...verso il

Partito Popolare Europeo

MAURIZIO EUFEMI

è stato eletto al Senato  nella XIV^ e XV^ legislatura

già Segretario della Presidenza del Senato

nella XVa Legislatura

comunicatI 2013

La cortina fumogena della riforma del procedimento legislativo.

Il governo è stato costretto ad abbandonare il cosiddetto salva Roma dall'azione incalzante delle opposizioni. Il decreto produrrá effetti giuridici fino alla scadenza dei sessanta giorni che dovranno essere eventualmente sanati. Il governo non ha potuto evitare la brutta figura ma in compenso ha potuto evitato un massacro mediatico nei giorni finali del 2013. Basti immaginare cosa sarebbe potuto accadere alla Camera e al Senato con un decrete legge su  cui potevano essere utilizzate le armi dell'ostruzionismo parlamentare, da parte di gruppi di non lieve consistenza numerica.

Il governo ha commesso l'errore strategico di porre la questione di fiducia dovendo  soffocare le tensioni interne alla maggioranza piuttosto che vincere una battaglia parlamentare, che si ė tramutata in una pesante sconfitta. Pendeva ancora la fase degli ordìni del giorno che rappresentava uno scoglio mediatico non sottovalutabile.
Ad ogni buon conto il Quirinale ha avuto buon gioco nel ribadire i vincoli che sottostanno ai decreti legge che non possono essere sovraccaricati nell'iter parlamentare di contenuti impropri.
Si è tentato allora di recuperare una immagine lacerata alzando il tiro sulla riforma costituzionale per arrivare al monocameralismo e alla modifica dei regolamenti parlamentari sul procedimento legislativo. Tutte cose impossibili da realizzare con una maggioranza raccogliticcia, svincolata dal mandato parlamentare. Le riforme costituzionali e regolamentari richiedono quorum alti in entrambi i rami del Parlamento che faranno fatica ad essere raggiunti.
Quanto al procedimento legislativo  messo incautamente sotto accusa non è vero che non consenta di verificare i contenuti degli emendamenti e la loro rispondenza ai criteri di ammissibilitá. Sia i Presidenti delle Assemblee legislative che i Presidenti delle Commissioni finanziarie e di merito hanno i poteri e gli strumenti per  valutare i contenuti degli emendamenti rispetto alla omogeneitá o estraneitá alla materia in discussione.
Per fare questo c'è bisogno di esercitare questi poteri, di sapere dire qualche no. C'è bisogno di affidare le relazioni dei provvedimenti non ad avventizi ma a  deputati o senatori di qualche esperienza, capaci di valutarne l'impatto sul sistema.
Introdurre nel dibattito argomenti estranei significa alimentare la confusione di cui non abbiamo bisogno.
Il governo è stretto tra le difficoltá della maggioranza incerta sul percorso e sugli obiettivi e la spinta della nuova segreteria del Pd che punta a definire e controllare la linea di azione del governo.
L'obiettivo della stabilitá del governo Letta  confligge con la esigenza di  rinnovamento della struttura di governo indicata dalla segreteria del Pd e un riequilibrio della rappresentanza governativa dei partner della coalizione.  La partita è appena iniziata. Il decreto salva Roma è stato solo un pretesto per un duello che è solo agli inizi. Il nuovo decreto salva Roma pur depurato  rappresenterá un nuovo banco di prova di verifica della maggioranza.

Roma, 28 dicembre 2013

La svolta generazionale


Il Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine d'anno ha enfatizzato la svolta generazionale dei quarantenni. Quasi una rottura rispetto al passato con una presa del potere che non è passata attraverso un passaggio e una verifica elettorale.

Sorprende che la questione generazionale sia posta dal capo del governo nato sulle larghe intese e incoraggiate dal Capo dello Stato per un coinvolgimento ampio delle forze politiche parlamentari. Il Presidente del Consiglio finisce per rincorrere il neosegretario del PD su un terreno scivoloso che alimenta nuove contrapposizioni e pericolosi conflitti. Giá sul job act si sono riscontrate due linee alternative tra Pd e il Ministro del Lavoro.

Il Presidente del Consiglio ha la responsabilitá del governo del Paese e deve guardare innanzitutto alla azione di governo.

Il Presidente del Consiglio ha deviato l'attenzione dalle contraddizioni della legge di stabilitá firmata dal settantunenne, Ministro della Economia Fabrizio Saccomanni e dall'ingorgo parlamentare che porterá alla riconvocazione, non certo usuale, delle Camere tra Natale e Capodanno.

Porre la questione generazionale è fuorviante perchè si può essere giovani incapaci e anziani saggi e lungimiranti. Così come il contrario.

Alcide De Gasperi guiderá il suo primo governo a 65 anni. Sará il presidente del Consiglio della ricostruzione del Paese fino all'etá di 72 anni e chiamerá Giuseppe Pella, a soli 46 anni, artefice del miracolo economico italiano alla guida del Ministero del Tesoro nei governi centristi dal 1948 al 1953.

Antonio Segni aveva sessanta anni quando fece la grande riforma agraria, una autentica rivoluzione per gli anni cinquanta. Così come invece Amintore Fanfani aveva solo 41 anni quando elaborò il piano casa da 300.000 abitazioni.

Si illude chi pensa che i complessi problemi del paese possano essere superati dalla semplice presa del potere di un gruppo dirigente su un altro.

Richiedono invece la partecipazione di tutti verso impegno condiviso.

Oggi più che mai c'è bisogno non di rotture, ma di costruire un ponte intergenerazionale per uscire insieme dalla crisi.

Forse qualche volta conviene guardare all'estremo oriente come Giappone e Cina dove in quelle societá per gli anziani vi è rispetto e considerazione.

Non basta essere giovani per risolvere i problemi by magic. Sarebbe troppo semplice e facile.

Ci sarebbe stato bisogno di ardore giovanile e di determinazione nelle scelte di politica economica che non abbiamo ritrovato in questa legge di stabilitá.

Ed era lì che avremmo voluto vedere coniugati coraggio e saggezza. !!!

 

Roma, 24 dicembre 2013

Associazione ex parlamentari della Repubblica

4 dicembre 2013

Premiazione parlamentari novantenni

Vedi l'intervento di Maurizio Eufemi su YouTube

Noi non siamo del Partito Democratico

La slavina di Renzi si abbatterá sul Partito Democratico. Vengono enfatizzate elezioni primarie che sono affidate alla autodisciplina dei partiti, perchè non vi sono controlli certificati. Emerge la diversitá del risultato tra voto degli iscritti e quello "aperto" di ieri. Quasi a significare che gli iscritti sono marginali rispetto al risultato determinato sulla spinta dei media grandi sostenitori del cambiamento. I gruppi di potere vogliono la semplificazione del sistema e hanno agito per raggiungere l'obiettivo. Basti guardare al ruolo decisivo giocato dai grandi giornali e dai network.

Il neo segretario del PD è salito sulla tolda del comando della nave con scelte simboliche come una squadra che compone la segreteria under 35, quindi improntata al giovanilismo e 7 donne su 12 per sottolineare la questione di genere.

Il PD è nato dalla fusione di due esperienze quella postcomunista e quella post democristiana. Probabilmente dopo le primarie di ieri non resterá nulla di tutto ciò. Il PD conteneva nella sua essenza due parole, " partito", inteso come luogo di incontro e di aggregazione e " democratico", inteso come metodo di elaborazione della linea politica.

Non sappiamo se Renzi saprá rispondere alle attese del PD come lo abbiamo conosciuto in questi anni. Interpreta con forza il leaderismo, la personalizzazione della politica, il decisionismo che possono confliggere con l'articolazione interna del Pd. Il modello del sindaco di Italia somiglia più a quello del Podestá, intesa come suprema autoritá di governo, del Paese che con a quello di un Presidente espressione di una Repubblica parlamentare.

Sono tutte cose che abbiamo rifiutato e che rifiutiamo, così come abbiamo fatto con il berlusconismo. Non siamo sostenitori del renzismo post berlusconiano. Il carro è giá sufficientemente carico. Piuttosto ci sembra di rivedere l'immagine del carro demitiano su cui salì nei primi anni ottanta gran parte della DC.

Non ci piace la disattenzione su certi temi di ordine etico e antropologico. Non ci convincono le idee economiche e le proposte di riforma istituzionale. Ė più alla ricerca del facile consenso attraverso formule spot che non alla elaborazione e soluzione di problemi complessi. È un grave errore considerare Renzi un ex democristiano. Non lo è mai stato. Nè vuole esserlo.

Crediamo che il Paese non sia alla ricerca di suggestioni, ma di progetti politici seri.

Crediamo che per risolvere i problemi del Paese non ci sia bisogno di scorciatoie che sono sempre periolose, perchè vulnerano la vita democratica del Paese.

Noi siamo ancorati ai valori della dottrina sociale della chiesa, della democrazia quotidianamente partecipata, della democrazia parlamentare.

Veniamo da un'altra storia, che vogliamo ancora percorrere.

Roma, 9 dicembre 2013

Sandro Fontana: storico, politico, uomo di cultura.

Sandro Fontana non è stato solo un politico che per il partito della Democrazia Cristiana ho ricoperto importanti compiti nelle Istituzioni, come assessore alla cultura e capogruppo in Regione Lombardia, senatore della Repubblica, Ministro dell'universitá nel Governo Amato, Parlamentare europeo e vicepresidente di quel Consesso. È stato anche uno storico, un uomo di cultura e un fine analista politico. Si è occupato diffusamente della cultura cattolica dell'800 e del '900. Ha scritto saggi importanti su personaggi di grande rilievo come Cattaneo, Murri, Sturzo, Grandi, Moro. È stato autore di importanti libri sul riformismo, sui cattolici e l'unitá sindacale. Proprio per la sua formazione storica aveva la capacitá di inquadrare e interpretare i problemi del momento con i movimenti generali della societá individuando le possibili linee politiche.

Era espressione del movimento politico più sensibile alle forze sociali che nella sua Brescia spingevano per coniugare con efficacia sviluppo e solidarietá. Aveva un rapporto forte con Carlo Donat Cattin che trovava poi espressione concreta nella realizzazione della rivista di cultura politica Terza Fase. Per un triennio ha diretto il quotidiano "il Popolo".

A metá degli anni ottanta scrisse il volume "l'identitá minacciata". Rileggerlo oggi aiuta a prendere atto quanto fossero giuste le sue indicazioni. Polemizzò aspramente con Pietro Scoppola ritenendo che con la messa in discussione del rapporto organico e strutturale tra dimensione religiosa e dimensione popolare rappresentato storicamente dalla azione del movimento politico e sociale dei cattolici italiani, si colpiva al cuore l'identitá della DC nel suo punto più delicato e originale. Percepiva con nettezza che una volta operata la scissione tra dimensione religiosa e quella sociale veniva meno la presenza in Italia di un grande partito popolare, si agevolava la nascita di due poli democratici alternativi e si sarebbe limitata la presenza politica e culturale dei cattolici alla iniziativa di minoranza profetiche e battagliere. Individuava i pericoli di teorie bipolari e alternative con la DC vittima sacrificale nell'avvento del gioco della alternanza per la democrazia compiuta.

La critica al permissivismo e all' edonismo non era fine a se stessa, ma inquadrata nel pericolo di scelte edonistiche barattate per progressiste e corrosive dei valori dell'umanesimo cristiano popolare rispetto all'avvento della industria culturale e dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Ricorda come il popolarismo abbia rappresentato una felice intuizione politica e culturale e la risposta vincente alla doppia sfida proveniente dalle élites borghesi dominanti e dalle forze della sinistra marxista.

Per Sandro Fontana la teoria bipolare ricavata da una presunta frattura tra valori religiosi e realtá popolare avrebbe finito per intaccare l'identitá della DC collocandola in un ruolo innaturale rendendola impacciata e irriconoscibile ai suoi elettori.

Sulla crisi dello Stato Sociale non restava passivo, ma indicava una strada quella della sua socializzazione riportando i servizi sociali sotto il controllo della societá, secondo l''insegnamento della tradizione sociale cattolica, della "societá delle autonomie, nelle sue articolazioni naturali, come la famiglia, la organizzazione professionale, la comunitá locale. Insomma quello che solo di recente è stato riscoperto come Welfare di comunitá e Welfare familiare. Sollecitava di eliminare le distorsioni statali compreso lo spezzato rapporto di controllo democratico tra amministratori locali e amministrati per restituire la responsabilitá agli amministratori e ripristinare il primato delle societá naturali.

Il suo sguardo non era rivolto al passato, agli innegabili grandi meriti storici della DC che aveva saputo amalgamare l'ispirazione cristiana, la dimensione popolare e la fedeltá ai valori democratici. Sandro Fontana guardava anche ad un futuro che richiedeva coraggio e innovazione, riducendo il peso dei partiti nello Stato e una più forte apertura nella società. Aveva una preoccupazione, quella di mantere un carattere democratico e popolare per non diventare un piccolo partito d'azione.

La sua lettura della crisi della societá anticipava di un decennio la crisi politica che sarebbe esplosa nei primi anni novanta.

Roma, 7 dicembre 2013

NOTA DI TASSONE SUL CONSIGLIO NAZIONALE CDU

Molti hanno partecipato al Consiglio Nazionale allargato del CDU, che si è svolto ieri, 22 novembre, presso l’Hotel Palatino di Roma. La riunione è stata aperta da una relazione introduttiva (che pubblicheremo) del Sen. Ivo Tarolli e che è stata la base del dibattito. Si è deciso di celebrare il Congresso Nazionale dell’Associazione a metà gennaio e, per venire incontro ad una serie di sollecitazioni, di prorogare il tesseramento al 15 dicembre prossimo. Vi è stato un dibattito estremamente interessante al quale hanno partecipato anche vari rappresentati di Associazioni e Formazioni politiche che si richiamano alla tradizione ed alla storia dei democratici cristiani e popolari. L’Assemblea si è trovata convergente sull’azione che il CDU sta svolgendo volto ad aggregare, in un impegno politico sempre più incisivo e marcato, quanti intendono affermare un’identità che sembra sempre più sbiadirsi in un confronto politico privo di momenti esaltanti e poco adeguati a quello che è il comune sentire ed alle esigenze di una società su cui gravano sempre di più grandi problemi. Il CDU porta avanti, quindi, un’azione per recuperare il senso della politica, investendo sulle nuove generazioni che debbono però trovare i giusti riferimenti, per acquisire spazi sostanziali e non formali, per un reale cambiamento.

I problemi economici si aggraveranno sempre di più se non ci sarà il retroterra di una cultura politica dove sensibilità e generosità sono momenti di costruzione di un Paese che percorre traiettorie di giustizia ed equità. Abbattere visioni settoriali ed egoistiche, il monopolio di gruppi variegati di pressione, è un dato imprescindibile per rilanciare il ruolo delle istituzioni. La politica deve riacquistare il suo primato per affermare gli interessi generali e per tutelare i diritti che, non possono essere scollegati ai doveri dei cittadini. Ai giovani, a cui si fa sempre richiamo, bisogna dare gli strumenti opportuni, testimonianze di coerenza e correttezza, per far nascere sempre di più la cultura della responsabilità e dell’impegno. Oggi si avverte uno sbandamento pauroso e non c’è dubbio che le riforme, sia istituzionali, sia del sistema elettorale, debbono trovare diffusi convincimenti e non declamazioni che sono formali e quindi non vere.

Hanno partecipato all’incontro molti esponenti, tra gli altri gli On.li: Gargani, Rotondi, Galati, Barbieri, Forlani, Drago, Tanzilli, Gemelli, Ravaglioli, il dr.Formano. Sono intervenuti con un loro contributo gli On.li: Tabacci, Eufemi, Mastella, Fontana, Fiori, la dott.ssa Pesarin, il dr.Grassi, Ilaria Biagioni, in rappresentanza dell’Associazione Giovani, Attilio Lioi Presidente “Liberi e Forti” e don Stenico.

23 novembre 2013

Intervento Sen. Maurizio Eufemi - Consiglio Nazionale CDU

Hotel Palatino - 22 novembre 2013


 

Care Amiche e Cari Amici,
 

siamo qui, oggi, in questo luogo anche simbolo della storia del CDU perché non vogliamo ammainare le nostre bandiere, i vessilli della nostra storia di cui dobbiamo essere orgogliosi.

Una storia che ha portato il Paese a grandi trasformazioni, elevati tassi di sviluppo, progressi civili e sociali, allargando soprattutto la partecipazione democratica alle scelte politiche del Paese.

E allora noi abbiamo il dovere di crederci, di ricercare le condizioni per una riaggregazione, una rigenerazione ancorata ad una piattaforma valoriale.

Eravamo pochi. Oggi siamo tanti su una idea condivisa.!

Non è la sede questa per mettere sul banco degli imputati tanti presunti leader, certamente arrendevoli, che hanno posto le loro ambizioni personali prima di quelle del partito.

I passaggi sono sotto i vostri occhi. Abbiamo visto le giravolte di Casini, con il nome sul simbolo, poi Partito della Nazione, poi l’Unione di Centro, fino a nascondere quelle parole “democristiani” come se fossero qualcosa di cui vergognarsi. Tutto questo è avvenuto in assenza di congressi e con palesi violazioni statutarie. E’ stato violato il patto del dicembre 2002.

Noi invece di quel simbolo non ci vergogniamo perché lo abbiamo difeso con laceranti e sanguinose scissioni, quando altri si accasavano sotto altre bandiere.

La storia saprà rivalutare quella esperienza politica.

E’ stato dunque svuotato il fatto fondativo del 2002, da parte di chi ha preferito aggrapparsi ai poteri forti, sciogliendosi in Scelta Civica, proclamando slogan come “Monti dopo Monti” senza adeguate valutazioni delle contraddizioni delle politiche di austerity fini a se stesse che stanno progressivamente colpendo con un fisco oppressivo e vessatorio il tessuto produttivo delle PMI. Il prossimo passo sarà quello di mettere le mani sul sistema della Banche Popolari ultimo baluardo del credito di prossimità sui territori.

Abbiamo l’ambizione di costruire un ponte intergenerazionale perché solo in una alleanza tra giovani e meno giovani potremo costruire e non solo demolire, come pensa di fare Renzi, colpendo i pensionati in una confusione tra i principi di assistenza e di previdenza.

Abbiamo il dovere di crederci, nel rigenerare ruoli e funzioni, nel riorientare cultura economica nella economia sociale di mercato, nel reinterpretare il modello di Welfare, nel riproporre democrazia moderna e partecipata.

Dobbiamo diffidare di questo Partito Popolare Europeo! Dobbiamo essere rivoluzionari sull’Europa partendo dal PPE, ritrovando l’identità del passato, superando burocrazie e tecnocrazie; non, dunque, il metodo intergovernativo, ma partito transnazionale per superare le barriere degli stati nazionali, attraverso scelte partecipate e condivise.

Va abbattuto il muro della indifferenza. Nel 1989 è stato abbattuto il Muro di Berlino, ma la Germania ha alzato il muro degli egoismi fondato sui parametri, sui numeri, sul denaro e su quello dei potentati economici, dimenticando i valori della solidarietà e dello sviluppo armonico di tutti i paesi dell’Unione.

Il nostro Progetto Paese guarda al lavoro come valore sociale irrinunciabile riscoprendo l’economia sociale di mercato come fattore di sviluppo, dopo l’ubriacatura della via dello sviluppo finanziario che ha portato ad abissali distanze tra ricchi e poveri e distruzione del ceto medio.

Puntare quindi sui settori strategici capaci di creare occupazione.

Si apre una nuova stagione se saremo capaci di fare gesti generosi e coraggiosi.

Le elezioni europee offrono l’occasione di una ricomposizione se saremo in grado di sostenere una idea nuova di Europa.

Non facciamo ingannare da Renzi che alla Leopolda nei cento tavoli, dove si è parlato di tutto, non ha messo nemmeno uno strapuntino per la questione antropologica e neppure per quei valori a noi cari come il volontariato.

Dobbiamo creare lo strumento per stare insieme, un partito aperto ai cattolici.

Il 18 aprile, nell’anniversario dell’appello ai Liberi e Forti, pronunciato da Sturzo, terremo un nuovo grande momento di incontro, lavorando per cerchi concentrici, operando convergenze, liberi ma non dispersi.

Contarsi per contare.

Andiamo avanti con chi ci sta.


Roma, 22 novembre 2013

22 novembre 2013 - Consiglio Nazionale CDU

alcune foto dei partecipanti

Alberto Alessi

Alessandro Forlani

Mario Tassone

Bruno Tabacci

Tommaso Stenico

Angelo Sanza

Gianni Prandini

Nino Gemelli

Natale Forlani

Publio Fiori

CONSIGLIO NAZIONALE CDU - DOCUMENTO TAROLLI

APPELLO AI TANTI VOLENTEROSI: UN GRANDE SOGNO PER APRIRE UNA NUOVA STAGIONE

Premessa

Mai crisi economica è stata così pervasiva e tanto complicata! Per alcuni bisogna andare a ritroso nei secoli per trovare analogie. E probabilmente le cause sono molto più profonde di quanto fino ad ora scavato.

Un dato su tutti: quasi sei milioni sono i giovani sotto i 26 anni che non hanno lavoro! Che salgono a poco meno di 10 milioni se si guarda a quelli sotto i 34 anni.

L’equivalente di una Nazione di media grandezza del centro Europa!

E i rimedi non stanno solo in intelligenti o sofisticate politiche del “fare”, quanto nel ri-generare ruoli e funzioni della politica; nel ri-orientare culture e politiche economiche e sociali! Nel re-interpretare le politiche di uno Stato Sociale che non siano solo protettive, ma anche virtuose; nel ri-proporre strumenti di democrazia aggiornati ai tempi e figli di un nuovo umanesimo che consenta ai singoli e ai territori di essere protagonisti nella partecipazione pubblica; nell’usare e difendere gli strumenti comunicativi e mediatici, non per ubriacare o imbonire, quanto per consentire ai cittadini della Polis di essere più consapevoli e più forti nella vita comunitaria di tutti i giorni.

Il dovere di credere nell’Italia

L’Italia può ancora aspirare ad un futuro migliore, dove sia possibile prosperità e lavoro per le persone singole e per le famiglie!

È necessario crederci ed è un dovere provare a farlo!

Per questo:

vanno coinvolte e rimotivate 60 milioni di persone, abbattendo paure e ritrosie, riproponendo valori unificanti per consentire ai più di remare nella stessa direzione perseguendo: il Bene prima dei beni! L’Etica e il Bene comune prima degli interessi e degli egoismi! Le testimonianze di fede prima delle regole dello Stato! La responsabilità dei doveri prima delle rivendicazioni dei diritti! L’Europa dei popoli prima delle burocrazie e dei localismi.

accanto al legittimo obiettivo del benessere e dell’interesse individuale va affiancata la cultura dell’impegno e del dovere, sia individuale che di gruppo sociale, che non rifuggono dall’opportunità del “sacrificio”, inteso nell’accezione latina del “sacrum facere”: fare una cosa sacra e virtuosa! Non quindi un obiettivo di autolimitazione o di sofferenza, ma di opportunità, di virtù e di armonia;

nella palestra politica bisogna sottrarsi dalla dittatura dello scontro a tutti i costi! Da un bipolarismo che ha favorito l’affermazione di culture manichee e per ciò stesso metalliche e non vocate all’ascolto! Quando invece, primariamente, va dato fiato alla cultura della responsabilità, della condivisione e del rispetto reciproco, salvaguardando nel contempo i valori veri ed importanti dell’alternanza al potere, della governabilità e della partecipazione popolare.

dentro questo contesto va declinato un articolato Progetto Paese che contenga le tante rivoluzioni in grado di trasformarlo, per farlo uscire dalle secche di culture superate, dalla recessione economica, dall’immobilismo politico e partitico e offrirgli una concreta prospettiva per il futuro.

E che indichi con priorità:

il lavoro, come indeclinabile valore sociale attraverso il quale si realizza la dignità della persona umana, la crescita e l’armonia di una comunità;

l’abbattimento del debito pubblico, attraverso un piano straordinario pluriennale di dismissione del patrimonio pubblico sia di assetto immobiliare che di partecipazioni pubbliche così da ridurre l’ingente spesa per interessi e liberare risorse per lo sviluppo;

la ristrutturazione della spesa pubblica ad iniziare dagli apparati e dalla sua riqualificazione;

un fisco semplice ed amico, ripristinando un clima di fiducia tra lo stato e il contribuente favorendo l’emersione del sommerso, riducendo il cuneo fiscale e abbassando significativamente la curva delle aliquote;

i settori strategici su cui il Paese deve puntare nei prossimi anni, capaci di creare più alto valore aggiunto, occupazione per evitare di disperdere risorse pubbliche in settori ormai superati.

Una nuova stagione

È necessaria! È imperativo aprire una nuova stagione dell’impegno politico! È doveroso ri-generare la politica italiana: nel senso di consentire lo svilupparsi di una nuova stagione e di rendere possibile una nuova esperienza di vita.

Che archivi l’esperienza del partito del leader, del partito del capo carismatico, che decide tutto! Che espropria gli organi! Che desertifica i livelli intermedi! per esperienze che consentano leadership autentiche che rappresentino culture, territori e organismi rappresentativi.

Che archivi l’esperienza del partito mediatico, virtuale, liquido che devitalizza le coscienze e lo spirito critico, per esperienze invece che reinterpretino il valore della partecipazione e dell’attivismo delle persone.

Che archivi l’esperienza del partito burocratizzato, che vuole occupare tutti gli spazi sia nelle istituzione che nella società.

Partiti quindi, autenticamente democratici e di servizio alle persone e alla comunità! Partiti capaci di progetti, di sogni e formatori di classi dirigenti preparate e generose, che sappiano usare con intelligenza gli spazi messi a disposizione dai nuovi strumenti della comunicazione e del web.

Il nostro appello ai tanti volenterosi va in questa direzione!

Condividere un impegno che si ponga come obiettivo e come progetto:

fare emergere una nuova grande area politica e culturale, plurale nelle sue espressioni, aperta e in grado di valorizzare le specificità dei tanti territori, capace di elaborare un nuovo grande Progetto per il Paese, dentro le più vaste problematiche che la globalizzazione delle persone, dell’economia e dei mercati ci pone;

riaggregare e rappresentare la diaspora e la frammentazione dei tanti milioni di italiani, cattolici e non cattolici, laici e riformatori, civici e giovani, che si riconoscono nei grandi valori della cultura dell’economia sociale di mercato che ha reso grande l’Europa e che ancora oggi guida il più grande paese industriale del vecchio continente.

dentro l’UDC, superare la logica delle continuità e interpretare la logica della rifondazione e della ri-generazione, verso un’esperienza più rappresentativa, più forte e più europea.

e solo a questo punto, prendere in considerazione l’ipotesi di un nuovo grande partito liberaldemocratico e popolare; moderno nella sua articolazione; democratico nella sua vita interna, che respiri a due polmoni: uno identitario ispirato al popolarismo europeo e un secondo aperto alle tante specificità e ricchezze territoriali; e impegnato ad immettere nell’agone politico dirigenti nuovi e capaci accanto ai tanti che con il loro attivismo hanno dato e continuano ad assicurare un contributo importante all’azione politica dei nostri tempi.

Un partito che stia dentro la grande area europea, transnazionale perché capace di proporre ideali e obiettivi all’intera comunità europea sia sul terreno della democrazia sia su quello economico e sociale e quindi in grado di contenere il debordante ruolo della burocrazia.

22 novembre 2013

Centro: Tassone, Cdu rilancia con Cn del 22

 

AGI) - Roma, 19 nov. - "La parte dell'Udc che non si riconosce nella scelta verticistica di unificarsi ai Popolari ex-Scelta Civica ha ridato vita al Cdu (Cristiani democratici uniti) insieme ad altri soggetti cattolici e post-democristiani", spiega Mario Tassone, presidente Cdu, ricordando che "la convocazione del Consiglio Nazionale dell'Udc e quella di un'assemblea per dare vita ad un nuovo soggetto politico e' un fatto gravissimo. Si convoca un'Assemblea senza attendere lo svolgimento e le conclusioni del Consiglio

Nazionale e si progettano scelte politiche, il cui organo competente, per tali decisioni, e' soltanto il Congresso Nazionale Udc che per quattro volte e' stato convocato dal Consiglio Nazionale UDC e puntualmente disatteso, in violazione di ogni regola statutaria e in dispregio del rispetto che si deve a dirigenti e militanti". "Il Cdu, che da tempo ha in programma il proprio Consiglio Nazionale per il 22

novembre alle ore 14.30 presso l'Hotel Palatino di Roma in Via Cavour 213, affrontera' anche questi temi, in un appuntamento - conclude - molto importante e significativo". (AGI)

CENTRO: TASSONE RILANCIA CDU

L'EURO E LA SFIDA CULTURALE

È bene che un personaggio cone il Prof. Bagnai trovi ampio spazio televisivo e arrivi al grande pubblico per divulgare un pensiero controcorrente rispetto alla assenza di posizioni critiche sulla grande stampa troppo schiacciata sulle posizioni europeiste fine a se stesse anche per i condizionamenti proprietari ed editoriali.  

Ed è un bene che arrivino al grande pubblico non gli spot di Grillo, ma i ragionamenti di un docente universitario che si confronta con analisi non superficiali, ma frutto di metodo e di ricerca. E questo è maggiormente apprezzabile. Ma sulla puntata di ieri di Servizio pubblico va fatta un'altra considerazione. La televisione di nicchia come La7 vince con la qualitá dell'approfondimento rispetto ai grandi network e la stessa Rai come servizio pubblico, e vince soprattutto con un tema ardito sul piano della scelta del tema  televisivo e con personaggi non troppo conosciuti.
La seconda considerazione è che un docente come Bagnai, espressione della universitá Gabriele D'Annunzio di Pescara  che potremmo definire minore o periferica come quella abruzzese, ma non sul piano della qualitá si confronta e vince la partita con le grandi universitá pubbliche e private che con i loro rappresentanti nel governo e nelle istituzioni sono stati espressione di una dottrina economica che ha orientato le scelte politiche infauste. I risultati sono sotto i nostri occhi. Finalmente vengono aperti dai più. Viene fatta chiarezza non solo sugli effetti dell'euro sul sistema Paese-Italia,  ma sulle politiche adottate che hanno provocato quella deflazione che solo pochi economisti aveva per tempo compreso.
Cito tra tutti il Prof. Giulio Sapelli con il suo scritto "l'inverno di Monti" inteso come il gelo che sarebbe sceso sulle nostre attivitá economiche. Potrei anche ricordare perfino il Prof. Guarino che con grande sapienza giuridica ha dimostrato le violazioni operate nel processo di costruzione dei trattati e la loro illegittimitá.
Il momento critico della svolta viene fissato dal Prof. Bagnai nell'anno 1997 quando nella fase di avvicinamento all'euro furono fissati i parametri che, poi, furono chiusi, nel 1998 con i concambi. Non va dimenticato che nell'ottobre 1998, rifondazione comunista fece cadere il governo Prodi, nacque il governo D'Alema con il determinante apporto di Cossiga. Le vicende internazionali non furono estranee a quel passaggio politico.
I nodi stanno finalmente venendo al pettine. Le basi fondative dell'Europa comunitaria erano lo sviluppo armonico e la solidarietá. Una Germania ricca e dominante non serve  è all'Europa nè a se stessa. Troppe asimmetrie economiche  portano alla crisi. È necessario intervenire rapidamente per correggere la rotta che non può essere affidata al pilota automatico. Si può finire sugli scogli.
Le elezioni europee del 2014 possono essere una occasione di chiarimento prima del semestre europeo a guida italiana. Il chiarimento sará tanto più efficace quanto più saremmo capaci di trovare convergenze  con i paesi dell'area mediterranea, facendo fronte comune nei confronti della Germania. Il chirarimento passa anche all'interno delle grandi famiglie politiche europee.


Ps - ai giovani che  interloquivano con il Prof. Bagnai e  che rappresentavano la ondata migratoria intellettuale in GB e che esaltavano il rispetto di quel paese europeo nei loro confronti, forse qualcuno avrebbe dovuto ricordare che le regole semplificate di quel paese valgono anche per i licenziamenti e che bastano 24 ore per chiudere i cassetti e preparare gli scatoloni alla lehman brothers. Il modello sociale europeo è una grande conquista. Non rinneghiamolo.

Roma, 15 novembre 2013

Una situazione in movimento

L'avvicinarsi delle elezioni europee della primavera 2914 sta investendo tutti i partiti italiani, che devono indicare le future collocazioni nelle grandi famiglie europee. È giá emerso nel PD dove la componente cattolica ha denunciato il patto fondativo del partito,  minacciando di tornare alla Margherita. È esploso nella PDL con il ritorno a Forza Italia, dove la corrente di Alfano ha una impronta più orientata al popolarismo europeo rispetto al populismo dei  cosiddetti lealisti spostati marcatamente  sulle posizioni di destra radicale e pronti ad inseguire l'anti europeismo e il contrasto all'euro; è affiorata  in Scelta Civica dove l'udc mantiene la sua autonomia di convenienza interna solo alla Camera dei deputati,  pur collocato nel PPE  continua la convivenza politica con le altre due componenti montiana e di Italia Futura propense a collocarsi nel gruppo Liberale europeo. Dunque una situazione in movimento.
Sembra tuttavia che ci sia  per tutti la ricerca di una identitá con il ritorno alle origini di fronte al fallimento di aggregazioni volte più alla ricerca di massa critica, di economie di scala, di creazione artificiale di valore numerico e non politico, piuttosto che valori condivisi, programma comuni, sintesi di obiettivi.
La partita è aperta. Per i cattolici v'è nelle elezioni europee la possibilitá di ritrovarsi, di riaggregarsi per uscire dalla insignificanza e per contare nelle scenario europeo con rappresentanti non disposti al compromesso. Si tratta di superare gli egoismi e di non dare deleghe in bianco. Nella legge elettorale non si possono operare i ricatti del porcellum.
La scadenza elettorale europea può essere l'occasione per muovere le acque stagnanti della politica italiana.

Roma, 10 novembre 2013

RASSEGNA STAMPA (da "La Nuova Periferia del 4 ottobre 2013)

 

Il ritorno di “Lape”

dal giornale "La Voce" (www.giornalelavoce.it - www.12alle12.it) del 2 ottobre 2013

Settimo Torinese - Pietro Lapertosa e Maurizio Eufemi

Pietro Lapertosa, il ritorno. Sembra il titolo di un film dell’orrore di quelli non tanto belli, tipo “La Casa 2”, e invece è proprio vero.

L’annuncio di una ridiscesa in campo dell’ex vicesindaco è arrivato da Lape in persona, che venerdì scorso a Castiglione ha sfilato in tutto il suo splendore alla conferenza dei Cristiani Democratici Uniti. L’incontro era promosso dall’onorevole Maurizio Eufemi e dall’ex onorevole Mario Tassone, pronti al rilancio del partito centrista. Ma la guest star era indiscutibilmente Lapertosa, che ha arringato le folle come solo lui sa fare: “Se nascerà il progetto di rilancio del CDU io aderirò, lavorando sui valori e partendo dal basso”. Ora, con questa notizia non vorremmo allarmare nessuno, ma sembra che Lape intenda presentarsi alle amministrative 2014 all’ombra della Torre. Almeno a giudicare dal suo discorso: “A Settimo fanno i grattacieli ma non gliene frega nulla se per strada ci sono le buche – ha detto – Io lo so che le buche sono quisquilie, ma io voglio parlare proprio di quisquilie, è questo che interessa alla gente”.

Che uno si chiede: lo sa, Lapertosa, di essere stato vicesindaco per 3 anni e mezzo nella stessa città che alza i grattacieli ma non riesce a tappare un buco? E in giunta che faceva, le parole crociate? E ancora: “A Settimo non c’è più sicurezza”. Già, non c’è sicurezza. Mica come quando c’era lui, Lape, paladino di quelli che escono in viale Piave con la rivoltella a sparare alle nutrie. Bei tempi andati. Ma chissà che quei tempi non possano tornare, se l’indimenticabile vicesindaco decidesse di ricandidarsi. “A Settimo ci saranno le elezioni e sicuramente a qualche mese dal voto metteranno fiori nelle aiuole e ci racconteranno di quant’è brava questa amministrazione – ha proseguito Lape – Io a Settimo ho preso tanti voti, perchè alla gente parlavo di cose quotidiane e sapevo colpire al punto giusto. Parlavo col contadino facendomi raccontare del suo raccolto di pomodori, e dal canto mio gli spiegavo come si fanno le strade. E nonostante non abbia mai fatto promesse a nessuno, la gente mi votava lo stesso”. E qui non c’è nulla da dire: a Lapertosa bisogna dare atto che si è sempre dimostrato vicino alle esigenze dei cittadini. Del resto uno che a Natale ti regala la mazzetta di “gratta e vinci” non lo trovi dappertutto.

I giorni tristi della democrazia

Sono giorni tristi per la democrazia.
Lo scontro assume i toni della guerra di religione.
Prevalgono gli interessi delle persone rispetto a quelli supremi del Paese. Si è determinato un blocco istituzionale mentre ci sarebbe estremo bisogno di agire con forza, con determinazione.
Vengono fatti ipocriti appelli ai moderati, quando in precedenza erano stati con disinvoltura espulsi dalla rappresentanza parlamentare in virtù di liste imposte agli elettori senza adeguata valutazione dei territori. I moderati nel 2013 hanno rifiutato l'esercizio del diritto di voto schifati da logiche elettorali di partiti senza democrazia interna e senza un minimo approccio a forme di autoregolamentazione. Lo scontro ha prevalso sul dialogo. I risultati sono di tutta evidenza: Crisi di sistema, crisi economica, assenza di scelte funzionali al Paese, risposte inadeguate alla gravità della situazione.

E oggi si ha la sfrontatezza di fare un appello ai moderati... Per fare che cosa, per vincere le elezioni, senza un programma, senza un progetto, e dare ancora una volta una delega in bianco e restare nell'immobilismo.

Ma per piacere...

Oggi c'è bisogno di formare un blocco sociale credibile che si ritrovi intorno a pochi punti fermi per il rinnovamento del paese recuperando innanzitutto i moderati delusi, dando loro rappresentanza parlamentare per difendere le ragione dei giovani e dei corpi vivi del Paese.

Roma, 1 ottobre 2013

Incontro Castiglione Torinese

Venerdì 27 settembre alle ore 18 presso il Castelletto, l'istituto Figlie della Sapienza in Viale Bollino 6 in Castiglione Torinese si è tenuto un incontro del sen. Maurizio Eufemi e dell'On. Mario Tassone con gli amministratori locali sul tema

 

" Riformare la politica attraverso la democrazia partecipata".

 

All'incontro hanno partecipato numerosi cittadini che condividono gli stessi ideali e valori nel quotidiano impegno politico.

Articolo comparso sul giornale "La Nuova Periferia" del 25 settembre 2013

 

Alcune foto dell'evento

 

 

 

 

 

Dichiarazione on. Mario Tassone e sen. Ivo Tarolli sulla Festa UDC di Chianciano
 

Decimati nelle ultime elezioni politiche!

Smarriti nell'indicare un percorso strategico di uscita!

Inconsistente nella autunnale!

Se la popolare di Chianciano doveva fornire una indicazione sulla rotta da seguire, e stata un'occasione sprecata.

Se la doveva dare una risposta alle inquietudini degli italiani, e stata una ripetizione di cose stantie.

Se la doveva essere una occasione di rilancio di nuovo grande progetto, il vuoto e stato fragoroso.

Casini, Cesa e Buttiglione, non ancora dimissionari ( uno scandalo!!!), sono stati di nuovo delegittimati.

Da co- fondatori del partito UDC, irriducibili e responsabili riconoscendoci nei valori del nostra cultura affermiamo:

  1. urge un nuovo grande progetto politico! lo spazio politico c'e! la domanda sociale è incalzante!!! Va proposto un nuovo soggetto plurale europeo con solide radici territoriali

  2. Urge un articolato Progetto Paese che contenga le tante rivoluzioni in grado di portarlo fuori dalla crisi e di farlo crescere

  3. Urge che l'UDC promuova una fase politica di ri-generazione, nel senso di proporre una nuova esperienza una nuova fase una seconda vita!!!

  4. Urge un congresso da celebrare subito in modo da esprimere la linea politica ed un gruppo dirigente rinnovato

  5. Urge subito una cabina di regia che dia garanzie a tutti sul percorso e sul progetto

  6. Urge finalmente un regolamento semplice e chiaro che assicuri al partito vera democrazia, reale partecipazione e grande responsabilità; valori da tempo annacquati e dispersi dalla perversa logica del partito del leader.

Firmato


On. Mario Tassone

Senatore Ivo Tarolli


Chianciano 15 settembre 2013

Commemorazione della "Battaglia della Montagnola"

 

La mattina susseguente alla notizia dell’armistizio truppe tedesche attaccano proditoriamente il reparto dei Granatieri dislocato presso il Forte Ostiense. L’attacco prosegue per tutta la giornata ed i granatieri resistono “fino all’ultima cartuccia”.

Nel percorso che abbiamo deciso di compiere insieme per rendere attuali i valori della Resistenza e della Costituzione abbiamo inserito per alcune ragioni particolari il ricordo di questo evento.

 

Martedì 10 Settembre 2013 in Piazza Caduti della Montagnola


15:30 – Deposizione di una corona di alloro al monumento ai caduti della Battaglia della Montagnola, picchetto e banda dei Granatieri
16:20 – Parleranno: Bartolo Ciccardini (Segretario Nazionale ANPC) ; Vito Francesco Polcaro (Presidente ANPI Roma); Mario Buscemi (Presidente Associazione Granatieri – ANGS).
17:00 – Seminario sulla Difesa di Roma nella Parrocchia del Buon Pastore.
Relatori: Dott. Mario Buscemi, Gen. Ernesto Bonelli, On. Bartolo Ciccardini, Dott. Antonio Cipolloni, Dott. Vito Francesco Polcaro, Parroco Don Dino Mussolano.

 

L’episodio della battaglia della Montagnola è emblematico perché vi sono racchiusi tutti i valori che troveranno il loro compimento nella Resistenza.
1. La forza morale del dovere. I Granatieri avevano ricevuto l’ordine di resistere fino all’ultima cartuccia. Non potevano sapere né la situazione politica, né la situazione strategica in cui quell’ordine si sarebbe attuato. Tuttavia risposero con onore e sacrificio all’ordine che avevano ricevuto. Questa forza morale del dovere compiuto che va da El Alamein alla liberazione di Milano è stato il fondamento della resurrezione d’Italia.
2. All’obbedienza senza calcolo dei granatieri si aggiunge spontaneamente il soccorso della popolazione, che accorre in aiuto dei suoi soldati contro lo strapotere della offesa.
3. In quella situazione disperata si trova coinvolto il parroco, Don Pietro Occelli, il quale si assume una responsabilità civile che va aldilà dei suoi doveri di parroco. Il soccorso ai soldati ed ai civili coinvolti nel sacrificio lo porterà a costituire la prima brigata partigiana di Roma. La resistenza armata dei partigiani non è in contrapposizione all’impegno dei militari ma il naturale maturarsi della coscienza nazionale che si oppone alla ingiusta sopraffazione.
4. Un piccolo episodio di altissimo valore morale ci spiega la nascita della Resistenza Cristiana, di coloro che si vollero chiamare “ribelli per amore”: Suor Teresina, che è ricordata qui fra i caduti, si oppone all’oltraggio nei confronti delle salme dei caduti che stava ricomponendo. È una ribellione che non nasce da contrapposizioni politiche o da motivazioni ideologiche, ma dalla pietà cristiana che soccorre gli umili e gli oppressi.
5. In un momento della crisi è giusto ricordare ai giovani che il dovere fino al sacrificio, il coraggio della difesa dei propri valori, l’impegno personale civile sono le componenti necessarie perché l’Italia viva e si rinnovi.

 

Relazione Ciccardini: “I valori della Resistenza civile da tramandare ai giovani

 

Roma 10 Settembre – Parrocchia del Buon Pastore (in Piazza Caduti della Montagnola)


Nella grande crisi epocale che distruggerà l’Europa e coinvolgerà tutto il mondo nel più grande conflitto della storia umana, crisi che incomincia con l’attentato di Sarajevo e che si conclude con l’esplosione della bomba atomica, l’episodio della Battaglia della Montagnola è microscopico. Un piccolo scontro casuale, in un momento ambiguo e confuso che si risolve in una sola giornata. Ciononostante questo episodio non è insignificante. Anzi, qui lo ricordiamo perché contiene tutti gli elementi importanti che permetteranno di ritrovare e ricostituire l’identità nazionale. Oggi, in un momento di crisi dell’Italia, non così grave come la crisi del ‘43, ma abbastanza preoccupante per i destini del nostro Paese, è molto importante far giungere ai giovani il messaggio morale, profondo e significativo, che viene da questo episodio.


Vorrei riassumere il messaggio ai giovani identificando cinque insegnamenti, cinque valori, cinque meditazioni su cui riflettere che possono servire alla formazione delle nuove generazioni.


1. Il dovere a tutti i costi, senza calcoli. La Battaglia della Montagnola avrebbe potuto non esserci. Il reparto che presiedeva una delle vie di accesso alla Capitale aveva ricevuto un ordine difficile da decifrare. Il Corpo dei Granatieri, a cui apparteneva il Primo Reggimento, veniva distaccato dalla divisione corazzata di cui faceva parte, che si trasferiva verso Tivoli. Il compito di “resistere fino all’ultima cartuccia” non era chiaro. Non si capiva se si dovesse resistere ai tedeschi. Si era diffusa l’idea che i tedeschi chiedessero un libero passaggio per uscire dall’Italia. Il reparto era rimasto privo degli alti ufficiali, perché convocati dal Ministero, evidentemente in un momento di crisi confusionale. Gli stessi ufficiali tedeschi stanziati alla Magliana, si presentarono con l’intento di festeggiare la fine della guerra. Poteva tranquillamente succedere quello che successe in molti luoghi: la liquefazione dello strumento militare, il sollievo per la fine della guerra e come conseguenza quella che venne chiamata “la morte della Patria”.
I tedeschi proditoriamente attaccarono all’alba del 9 settembre, sorpresero i Granatieri all’accesso alla Via Laurentina e li dispersero. L’ufficiale che li comandava cadde, ma ordinò il contrattacco all’arma bianca. La battaglia è confusa, i tedeschi conquistano il Forte, che non era affatto una fortezza, ma soltanto un orfanotrofio. L’ultima resistenza avviene nella salita della Laurentina, sotto il fuoco dei mortai che sparano dall’Eur, e l’attacco ai pochi carri armati che erano stanziati attorno al piccolo ponte di legno della Laurentina, sul fosso delle Tre Fontane. Gli equipaggi dei carri muoiono bruciati nel loro abitacolo e poco più in alto il tenente Luigi Perna, che aveva organizzato l’ultima difesa, muore colpito da un proiettile anticarro.
Il piccolo episodio militare è un grande esempio di un valore essenziale. Si è detto che l’8 settembre la Patria è morta. Per molti aspetti è vero. Ma finchè rimane un italiano che fa il suo dovere fino in fondo, fino al sacrificio della vita, senza aspettarsi, non dico la vittoria, ma neppure il riconoscimento della sua azione, solo, con la sua coscienza davanti a Dio, allora la Patria non è morta. Questo è il primo insegnamento della Battaglia della Montagnola per i giovani. Gabriele De Rosa ha in un suo libro ricordato la crisi di coscienza che colpì la sua generazione nella battaglia di El Alamein. Granatiere con i granatieri si rese conto del baratro verso il quale l’Italia si stava avviando e decise che l’unica risposta possibile era quella di fare tutto il proprio dovere con onore. Da El Alamein alla Montagnola, primo episodio della Resistenza italiana, c’è un imperscrutabile filo rosso. E questo è il messaggio ai giovani.


2. La Resistenza senza revisionismi. Alcuni giovani amici mi hanno rimproverato di aver ripreso, con l’Associazione dei Partigiani Cristiani, il tema della Resistenza come fondamento della Costituzione, perché questo tema riaprirebbe divisioni fra gli italiani, quando invece sarebbe necessaria una pacificazione. Certamente nei quasi due anni che vanno dall’8 settembre del ’43 al 25 aprile del ’45 assieme alla Resistenza degli italiani contro l’occupazione tedesca, si sviluppò un conflitto fra gli italiani stessi, che alcuni vogliono considerare una guerra civile. E la messa in archivio di questo conflitto sarebbe la premessa di una pacificazione fra gli italiani necessaria per essere un paese unito nella sua identità nazionale.
Io sono sicuro che l’acquisizione del giudizio storiografico del rapporto fra Resistenza e Costituzione è il vero significato della pacificazione, ma non intendo discutere qui questo tema. Intendo invece riflettere sul fatto che la Battaglia della Montagnola è significativa perché qui è nata una Resistenza senza guerra civile. La Resistenza alla ingiusta occupazione tedesca, nasce in primo luogo dai giovani Granatieri dell’Esercito Italiano che fanno il loro dovere fino in fondo, dalla solidarietà del popolo con loro, senza ripensamenti e senza crisi. Il PNF non c’è più; il fascismo è stato letteralmente abolito da un organo costituzionale, in quel tempo legittimo, che si chiamava Gran Consiglio del Fascismo; Mussolini non è stato ancora catturato e fatto prigioniero dai tedeschi e non si è ancora costituito lo Stato artificiale che esercitò una sorta di copertura politica alla occupazione tedesca. Questi fatti, solo in un secondo tempo, porteranno ad una crisi di coscienza di molti giovani, che si batteranno contro gli alleati convinti, in buona fede, di battersi per salvare l’onore dell’Italia. Ad essi in un mio libro ho dedicato una pagina commossa di pietà cristiana e di simpatia. Tuttavia la storia avrebbe seguito un altro percorso e la rinascita dell’Italia sarebbe passata per altre vie. In questo la Battaglia della Montagnola ha un significato particolare: non vi furono dubbi, non vi furono crisi di coscienza, la Resistenza fu necessaria, spontanea, senza se e senza ma.


3. I soldati e l’anima popolare. Per un lungo periodo non si è parlato abbastanza della Resistenza dei militari, sia combattenti, sia deportati per non aver accettato di combattere con i tedeschi. Poi qualcuno ha voluto anche sminuire l’importanza dell’appoggio morale e materiale che le popolazioni, le donne in particolare, davano nel prestare assistenza, nel nascondere, nel dividere il poco pane, nel curare i feriti, nel seppellire i morti. Alcuni storici hanno definito questa area la “zona grigia”. Ebbene nella Battaglia della Montagnola è significativo il rapporto che c’è fra i soldati che combattono e la popolazione. La borgata, che occupa la zona dove sorgerà l’Eur ed i quartieri moderni della Montagnola, è abitata da pastori, da contadini, da modestissimi lavoratori. C’è un orfanotrofio, c’è una parrocchia che non ha ancora costruito la sua Chiesa, c’è un fornaio. Molti vivono nelle grotte delle antiche cave di pozzolana. I popolani che arrivano ad impugnare le armi con i soldati, li soccorrono, li nascondono, muoiono con loro e si trovano ad aver costituito, quasi spontaneamente, la prima brigata Partigiana, che opererà per tutto il periodo della Resistenza. Oggi è importante riscoprire questa Resistenza civile, con i suoi valori, senza la quale non sarebbe potuta esistere la Resistenza armata, per insegnare ai giovani che non esiste nessun rinnovamento del nostro Paese, nessuna ripresa della nostra identità nazionale, nessun vero futuro della nostra Patria, senza i valori della Resistenza civile.


4. “La casa fiduciosa e silenziosa” (Ferruccio Parri). Nella Battaglia della Montagnola emerge l’attività di un sacerdote piemontese. È un paolino, è stato direttore di una edizione preistorica di “Famiglia Cristiana”, ed è stato mandato a costruire una parrocchia in una zona di Roma che, dopo pochi mesi, sarebbe dovuta diventare la sede della Esposizione Universale. Ma scoppia la guerra e questo straordinario personaggio, Don Pietro Occelli, si ritrova impantanato senza Chiesa e senza nessuna possibilità di costruirne una, in una parrocchia di pastori, che si appoggia ad un orfanotrofio con 35 suore e qualche villa di gerarchi fascisti. Il sacerdote si trova naturalmente coinvolto nella battaglia e nel suo diario ne descrive i particolari. Interrompe la Messa per le suore delle cinque del mattino per correre a vedere cosa succede. Cerca di trattare coi tedeschi e di capirne le intenzioni. Provvede a nascondere le armi e le munizioni. Organizza un soccorso ai feriti. E quando il cosiddetto “forte” si arrende, esce lui, con un lenzuolo bianco, a chiedere la fine del combattimento ai tedeschi, che insistono con un crudele tiro al bersaglio. È lui che corre a vedere cosa succede sulla via Laurentina, che descrive la morte dei carristi, che trova e ricompone la salma dell’eroe Luigi Perna. È lui che racconta l’episodio della sua morte e dei due sfilatini di pane comprati prima della battaglia per sé e per il suo attendente, Agostino Scali. L’attendente era morto per essere uscito allo scoperto per lanciare al suo tenente un tascapane di munizioni. Poco dopo morì anche il tenente, con i due sfilatini intatti in tasca. A tutti Don Pietro chiuse gli occhi e dette l’assoluzione e tutti, soldati e popolani, ricordò nel suo diario e nelle sue poesie. Dopo pochi giorni fondò, col Generale Cotellessa, la Prima Brigata Partigiana, che controllò il territorio in tutto il periodo dell’occupazione tedesca. Con il suo intervento salvò i rifugiati nell’abbazia di San Paolo dalle rappresaglie del questore Caruso e del torturatore Kappler. Alcuni dei suoi giovani finirono nelle prigioni di Via Tasso.
Anche questo è un aspetto significativo della Battaglia della Montagnola. Nella necessità emerge la personalità del parroco che diventa naturalmente la guida della società civile. Nel giudizio storiografico si sono messi in evidenza i singoli episodi in cui sono caduti dei sacerdoti. Ma non si è meditato sul fatto che essi furono un numero considerevole, 440, che non può essere casuale. Si è guardato a loro come martiri solitari, non si è studiato in quale modo erano divenuti i capi naturali della società civile che si opponeva alla occupazione tedesca, non per ragioni politiche o per ragioni militari, ma per una coscienza religiosa e morale del popolo di cui diventano i naturali leader.


5. La Resistenza cristiana. Nella cripta della primitiva chiesa del Buon Pastore c’è un bassorilievo che ricorda il gesto di Suor Teresina. Figlia di pastori, nipote del fornaio che viene trucidato dai tedeschi, infermiera nel povero orfanotrofio, ospitato negli ambienti del Forte, si ribella all’atto barbaro di un soldato tedesco che vuole depredare le salme dei caduti. E nel suo slancio colpisce il malvagio con un crocifisso di ottone che teneva in mano per accostarlo alle labbra dei caduti come estremo segno di compassione. Piccolo episodio, non importante, che probabilmente sarebbe rimasto sconosciuto, ma significativo perché mostra “in vitro”, quasi al microscopio, la nascita della Resistenza cristiana. La coscienza cristiana si ribella alla barbarie, non per ragioni politiche, non per ragioni militari strategiche, non per ragioni ideologiche, ma per amore. È la primissima manifestazione di quella schiera che Teresio Olivelli e Carlo Bianchi chiameranno i “ribelli per amore”. Ferruccio Parri la chiamerà: “La casa fiduciosa e silenziosa”.
6. Per concludere. Il sacerdote Pierluigi Occelli della Pia Società San Paolo, il cui nome di battaglia era “Don Pietro”, è amico di Ferruccio Parri, suo conterraneo, capo della Resistenza del nord, col nome di Battaglia “Maurizio” (che è il nome del Santo, nota Don Pietro, protettore del loro Paese).
Per un momento vorrei entrare nella nostra situazione politica e mostrare ai giovani cattolici di oggi, che sembrano essere assenti dalla politica, questa considerazione che Ferruccio Parri fece in confidenza a Don Pietro: “Ma è il Vaticano che proibisce a voi sacerdoti, cappellani della Resistenza, amici e protettori dei Partigiani, di unirvi in società, di prendere posto nell’Italia nuova? Siete una grande forza! Quando avevamo i tedeschi in casa voi sacerdoti siete stati i punti di appoggio della Resistenza, il segreto della clandestinità, ci avete offerto la casa silenziosa e fiduciosa dei Comitati di Liberazione Nazionali”. Rivolgendomi ai giovani cattolici mi viene la tentazione di chiedere insieme a Ferruccio Parri: “Ma è il Vaticano che proibisce a voi di prendere posto nell’Italia nuova?”. (Certamente non Papa Francesco!).

 

Bartolo Ciccardini

Alla festa popolare dell'UDC di Chianciano manca il dibattito sul partito.

Finalmente è stato pubblicizzato il programma UDC della festa popolare di Chianciano incentrata sul futuro dell'Italia con le sessioni dedicate all'Europa,  alle riforme alla politica,  al lavoro ed ai diritti. Temi importanti ma compressi in spazi preconfezionati.


Si configura per una larga partecipazione di rappresentanti del  governo in carica in grado di assicurare un forte ritorno mediatico. V'è la singolare contraddizione che  alcuni esponenti politici vengono etichettati con la sigla del partito di appartenenza e altri invece no, in forma asettica meno compromissoria.  

È presente l'intero governo Letta con la sola assenza del ministro del'Economia e quella più comprensibile del ministro degli Esteri Emma Bonino. Eppure i temi europei non sono assenti.


Si nota l'assenza vistosa  del leader di Scelta Civica  Mario Monti a conferma dei recenti ultimi contrasti in terra avellinese e di una ormai forzata coabitazione in previsione  di  una definitiva rottura. Con il paradosso che l'UDC marca la distanza dal leader in precedenza  osannato cercando sponde interne al movimento.


Ma il dato più rilevante è la compressione degli spazi destinati al dibattito che viene marginalizzato alla apertura mattutina e alla ripresa pomeridiana del sabato. Forse un'ora o due.
È troppo poco certamente per un partito che doveva celebrare il congresso e che lo allontana giorno dopo giorno,  così come   ogni momento  significativo di confronto interno. Ancora una volta prevale il tatticismo  eludendi i temi di attualitá politica: dal leaderismo al populismo, dalla democrazia interna alla democrazia partecipata, dalla crisi della rappresentanza al sistema Paese nel contesto economico internazionale.
Nella prospettiva del PPE, tema centrale della festa, tutto viene visto in funzione di piccoli adattamenti istituzionali. Invece c'è bisogno di cambiamenti radicali proprio a cominciare dal PPE e prima ancora dai soggetti aderenti alla stessa famiglia europea.  Non una costruzione dall'alto ma dal basso, dai cittadini europei chiamandoli ad essere protagonisti del cambiamento  di una Europa rinnovata nelle Istituzioni e nella governance.

 

È solo da partiti rinnovati e non sclerotizzati che può venire  la spinta adeguata al cambiamento.
Il partito dei militanti e degli iscritti è chiamato ancora una volta  ad assistere più che a partecipare alla elaborazione della linea politica. Tutto viene imposto.
Altro che festa popolare!. È una festa di élites autoreferenziali e chiuse in se stesse.

Roma, 7 settembre 2013

UDC - Congresso negato

 

Il partito di Casini, l'UDC si avvia alla festa termale settembrina. Guardando il sito ufficiale del partito colpiscono alcune cose.

 

La prima considerazione è che il Congresso Nazionale è solo una diapositiva che recita work in progress, ma solo virtuale perchè non vi sono indicazioni rispetto ad un percorso congressuale che richiede precisi adempimenti e fermo rispetto di regole statutarie.

Dunque tutti gli impegni assunti all' indomani della sonora sconfitta elettorale di febbraio, dopo le coraggiose prese di posizione e sollecitazioni di Mario Tassone, sono stati puntualmente disattesi dalla dirigenza arroccata nella difesa di posizioni di comando e di potere.

La seconda considerazione è che la festa di Chianciano di cui non v'è ad oggi alcuna indicazione del programma, viene plasticamente rappresentata come la chiusura del partito dell'UDC e questo fa intendere la dissolvenza progressiva del simbolo così come rappresentato nel progetto grafico e il conseguente approdo verso il PPE. Ma il PPE è di tutti e di nessuno. Non vi è chi in Italia possa dire di essere più popolare europeo di altri. Eppoi la prima riflessione da fare sarebbe quella sulla identitá presente e futura del PPE dopo la deriva germanocentrica, ritrovando i valori della coesione e della solidarietá europea.

 

La festa di Chanciano sará allora una inutile vetrina, certamente funzionale al leader dell'UDC per occupare per qualche giorno mediaticamente spazi radiotelevisivi, per far fare passerella al politico di turno ma sostanzialmente inutile rispetto ad un confronto interno che avrebbe richiesto la celebrazione di un Congresso piuttosto che la rappresentazione di una Convention.

Abbiamo visto le Convention del passato. Sarebbe l'ennesimo tentativo dopo lista per l'Italia, terzo polo, partito nazionale. Nella edizione 2012 fu il turno di Marcegaglia, Passera etc. Fu la premessa per la confluenza in Scelta Civica. Poi abbiamo visto che alcuni si sono tirati indietro e Scelta Civica è finita come è finita.

Sul simbolo si passa disinvoltamente con operazioni di marketing dal nome di Casini a quello di Italia.

 

Casini e più ancora Buttiglione in quanto segretario del CDU hanno un dovere civico ed etico. Se vogliono chiudere la ditta lo facciano seguendo regole e procedure. Non possono spegnere un partito senza che gli iscritti e i militanti non sappiano nulla o lo sappiano dopo avere letto il necrologium.

Si tratterebbe in ogni caso di una decisione personale di cui si assumono la grave responsabilitá politica.

Se vogliono chiudere la ditta restituiscano i beni ai conferenti e ai soci fondatori; restituiscano il simbolo dello scudo crociato ai soci che lo hanno conferito difendendolo con coraggio rispetto a chi se ne vergognava.

 

Abbiano il coraggio di fare un congresso, di rispettare le regole e lo Statuto.

Il tempo è scaduto. È tutto ormai fuori dello Statuto. Non servono le Convention o le americanate. Servono i congressi, quelli della politica alta, vera.
 

Roma, 5 settembre 2013

Lettera inviata a Rocco Buttiglione da Mario Tassone a proposito della vicenda relativa al quotidiano  "La Discussione":
 

Caro Rocco,

ho notizia di un’iniziativa per il rilancio e la costituzione dei circoli della Discussione. 

Sono dolente, ma debbo esternarti le mie perplessità e le mie riserve, che del resto tu conosci bene e che ti ho manifestato sin dalla cessione, confusa e rocambolesca, della proprietà della Discussione; nella scissione del PPI, eravamo riusciti ad ottenerne l’attribuzione al CDU affinché diventasse il giornale ufficiale del nascente Partito. 

 

Oggi vedo che il processo di disancoraggio di questo giornale, che è stato fondato da Alcide De Gasperi, continua inesorabilmente, mortificandone la storia e dilapidando quei valori di cui era portatore fin dalla nascita. Non accetto in nessun modo che il nuovo impianto redazionale e direzionale sia il segno di un ulteriore colpo dato alla testata, che doveva essere tenuta nel suo alveo originale e nel segno di un orizzonte ideale che oggi, sostanzialmente, viene smentito. 

 

Mi appello a Te perché Tu possa assumere delle decisioni conseguenziali .

 

Con i più cari saluti.


Roma, 4/9/2013

 

Mario Tassone

Alcide De Gasperi e il Cdu, nel solco del ritorno al futuro.

Commemorato, nella sede dell'Udc lo statista democristiano. Mario Tassone: salvaguarderemo i valori fondanti di un partito che altri vogliono sciogliere

 

Lunedì 19 Agosto 2013 - 19:30

CatanzaroInforma.it: Alcide De Gasperi e il Cdu, nel solco del ritorno al futurodi Maria Rita Galati

 

Alcide De Gasperi e il ritorno del Cdu. Un accostamento ardito nel giorno della commemorazione della scomparsa del grande statista democristiano, primo presidente del Consiglio di un’Italia uscita a pezzi dalla guerra, segretario del Partito popolare e fondatore della Democrazia cristiana. Ma fino ad un certo punto. Ricordare De Gasperi ‘pater Patria’ – grazie al suo coraggio e alla sua integrità morale l’Italia ebbe qualche credito all’estero sin da quando si presentò alla conferenza di pace di Parigi nel 1946 – contestualizzandone la lezione è il modo migliore di rendergli omaggio. E nello stesso tempo si individua il percorso di valori, storia e cultura che conduce dritto alla realizzazione di un progetto chiamato Cdu. Facile parlare di corrente, quando in realtà si tratta del nobile tentativo di recuperare l’interpretazione autentica dei valori che hanno costruito l’Udc, e che oggi si perdono nell’ennesimo tentativo dei vertici di un partito, che non esiste più, di svuotarlo. C’è bisogno di un manifesto di valori da riscoprire e difendere per costruire una prospettiva da tradurre in un ventaglio di risposte concrete alla comunità che guarda con sfiducia alla politica. Ne sente la necessità il popolo dei cattolici impegnati in politica. Nel giorno del consueto appuntamento con la messa in ricordo di De Gasperi, nella chiesa di San Nicola a due passi dalla storica sede della Dc, oggi Udc ma forse ancora per poco, si sono ritrovati in tanti, anche qualcuno in più. Lo ammette Dionisio Gallo che nella sede dell’Udc non ci metteva piede da cinque anni, torna Giuliano Renda, dà il suo contributo Filippo Capellupo, non manca alla celebrazione eucaristica affidata a don Franco Lorenzo, l’ex sindaco Marcello Furriolo. Un nuovo inizio nel solco della lezione degasperiana e dei suoi elementi costitutivi, primo fra tutti i concetto di uomo come “persona umana” e della difesa dei suoi interessi come missione, anche cristiana. Don Franco Lorenzo, nella sua omelia parla di De Gasperi “uomo del futuro”. Insieme ad altri due cattolici, Adenauer e Schuman, oltre Altiero Spinelli, è considerato un padre dell’Europa. Ma non un’Europa neo-guelfa e controrivoluzionaria, , ma una scelta di apertura democratica sulla base di una identità comune. Uomo del futuro e tanto ricco di idee e valori cristiani, quanto povero nel suo aspetto materiale, ma “la sua azione fu l’espressione del buon governo con grande spirito di servizio alla cosa pubblica”. Quando aveva ancora senso parlare di politica e di partiti.

 

La politica deve mettere a disposizione degli altri “una visione”

“La Prima Repubblica è stata spazzata via, siamo in una nuova fase verso un nuovo assetto istituzionale – ha affermato Mario Tassone, deputato democristiano, volto dell’Udc a livello nazionale, riferimento del progetto di ricostruzione del Cdu -. La cosiddetta Seconda Repubblica che doveva correggere e guarire i mali della Prima, li ha aggravati, mali come l’instabilità, la precarietà, la frammentazione ma soprattutto delle scelte e degli interessi che devono essere difesi dalla forze politiche in campo”. A proposito, si chiede Tassone: ma ci sono più forze politiche in campo? “Dal 1994 in poi c’è una vera e propria cesura, la politica non esiste più perché non esistono i partiti – afferma Tassone -. Abbiamo organizzazioni multiformi, una pluralità di movimenti che sono soprattutto sommatorie di sigle elettorali. Non abbiamo altro: il partito deve avere una missione, di parte, ma pur sempre un progetto”. La politica deve fare proprio quello che fece De Gasperi: mettere a disposizione degli altri “una visione”, attraverso un impegno condiviso. “Oggi invece – dice ancora Tassone – abbiamo movimenti grandi non supportati da un progetto, memorie condivise, storie”. Il leaderismo diventa un freno al rilancio della politica anche per questo, assieme alla connotazione negativa della scomparsa delle ideologie, nel senso di perdita di riferimenti storici, culturali e valoriali. Come si recupera tutto questo? “C’è l’esigenza di una organizzazione dei cattolici in politica – afferma ancora– che hanno una particolare sensibilità nell’individuarsi come comunità, emergono per il proprio senso comune e della creazione di un destino comune”. “Voi pensate che c’è una politica che conta, che questo Parlamento e questo Paese abbiano una vera sovranità? Ci sono delle corporazioni forti, forti burocrazie, in una parola ci sono i poteri forti che gestiscono le grandi concentrazioni economiche, che hanno il potere di condizionare la vita del nostro Paese. Questa – dice ancora Tassone – è la crisi della democrazia e delle istituzioni”. L’attenzione di Tassone si sosta, quindi, sulla situazione regionale. “La Calabria sopravvive a se stessa, ci sono situazioni drammatiche, sfilacciate, sempre più precarie – prosegue ancora – siamo di fronte ad una Calabria sempre più mortificata con un annichilimento da parte della maggior parte della popolazione. La Regione si trascina con molta tranquillità. Non c’è più reattività. Ma se mancano le passioni e la fiducia in se stessi, è come se la politica avesse tolto la coscienza e quando parliamo di difesa dell’uomo e dei suoi valori noi intendiamo anche questo: difendere la comunità di uomini liberi e non consegnarla al proprio destino ad altri apparati, i cui interessi non coincidono con il nostro destino”.

 

Perché si ricostruisce il Cdu

Cambiare il destino della Calabria, cambiando il corso della politica, sembra inevitabile. “Stiamo ricostruendo il Cdu, come componente dell’Udc, perché io sono convinto che ormai l’Udc è stato svuotato, trascinato verso lo scioglimento – sostiene ancora Tassone. Tanto è vero che a settembre non si fa più la festa dell’Udc ma si fa la festa Popolare. E’ l’ennesimo tentativo dei vertici dell’Udc di superarlo, prima con il Partito della Nazione, poi con il Terzo Polo, poi la lista per l’Italia e quindi Scelta Civica. Non c’è l’Udc. E questo patrimonio che ci viene anche dall’impegno di De Gasperi, ma anche Moro e Fanfani che fine fa con la sua eredità? C’è chi pensa di sciogliere l’Udc e in questo modo eliminare una storia, il CdU si sta frapponendo a questo, perché una storia rimanga.

 

L’appello ai molti per ‘mantenere una storia e un’idea che possa guardare al futuro’

Da qui l’appello ‘ai molti’ all’impegno per “mantenere una storia e un’idea che possa guardare al futuro”. La reazione dell’Udc è kafkiana: c’è l’avvio della procedura di espulsione di quanti hanno deciso di ricostruire il Cdu con questo scopo. “Praticamente – dice ancora Tassone – siamo di fronte ad un partito che si auto espelle, un partito che non c’è più ed espelle coloro i quali lo vogliono mantenere in vita salvaguardando i principi su cui è stato costruito l’Udc, e con procedure illegittime, perché non esistono nemmeno più gli organi. Una nazione vince le grandi sfide - ha concluso Tassone - se sa essere se stessa e sa ritrovarsi e può farlo attraverso il recupero delle radici e del passato. La storia dell'uomo continua solo se si riesce a dare senso della politica e della giustizia civile''.

 

Gli interventi alla commemorazione

In tanti hanno portato il proprio contributo alla commemorazione di De Gasperi nella sede dell’Udc. A partire dal segretario cittadino Gianluca Tassone che per primo ha evidenziato “ricordiamo la figura del grande statista ma non in maniera nostalgica. Lo facciamo per operare nel futuro nel solco tracciato da De Gasperi”. Un uomo ancorato “alla fede, alla cultura cattolica e all’umanità”, dice Nino Gemelli, già europarlamentare, “la sua grandezza la possiamo toccare con mano nel ruolo che ha avuto a livello internazionale. Una grandezza la sua che si misura davanti al nanismo politico imperante oggi. Nel solco della sua lezione restituiamo alla politica il significato della riaggregazione e della condivisione dell’umanità nelle sue differenze”. Chi si ispira a De Gasperi, ma senza proclami, come coloro i quali si sono ritrovati a celebrarlo stamattina, dice Franco Pilieci, sono “foglie ben radicate”, come ha affermato don Franco Lorenzo parlando di De Gasperi nella sua omelia. “Non serve ricordare De Gasperi se non partiamo dal suo progetto umano – afferma Filippo Capellupo – ripartiamo dai valori della comunità che per troppo tempo sono stati sacrificati al sistema del profitto”. Recuperare l’interesse superiore della difesa del “bene comune” suggerisceDionisio Gallo che ammette: “Ho fatto un percorso che mi ha portato a sperimentare anche altre realtà politiche ma in nessuna ho riscontrato l’obiettivo del perseguimento del bene comune, e solo in questo possiamo trovare le risposte che la gente comune si aspetta”. “Sarebbe bastato tenere conto del pensiero di questo grande statista per garantire al nostro Paese un destino diverso”, sostiene Vito Bordino. Perché “bisogna fare politica per servire il popolo non servirsi del popolo. E la politica – dice Maria Marino – deve rimettere al centro della sua azione l’uomo”. Ludovico Abenavoli ha parlato di De Gasperi come di una “figura libra, pure ma non adeguatamente citata a livello storiografico. Dobbiamo rivendicare i suoi valori con dignità”. Riscoprire i valori di De Gasperi, dall’europeismo al cattolicesimo, è “un modo per riscoprire il senso della giusta azione politica quella che serve per dare un futuro alle nostre comunità”, ha concluso il sindaco di Borgia, Francesco Fusco.

70° Anniversario del Codice di Camaldoli

 

Il settantesimo anniversario del Codice di Camaldoli è stato commemorato nella sala del Cenacolo di Palazzo Valdina per iniziativa delle Acli, dell'Assocazione Nazionale partigiani cristiani, dell'Istituto Sturzo e della Associazione Italia Popolare.

al termine del convegno è stato approvato un dcumento che è una proposta politica ai

cattolici italiani in un percorso che va dall’incontro di

Camaldoli, all’8 settembre; dal nascere della Resistenza al suo

organizzarsi. Fino alla situazione di oggi.

Sarà un itinerario per riscoprire il dovere politico dei cattolici.

Viene proposto a tutte le associazioni cattoliche, ai Movimenti, agli Istituti

 

 

PROPOSTA DI UN MESSAGGIO RIVOLTO AI CATTOLICI ITALIANI RICORDANDO IL CODICE DI CAMALDOLI

 

1. Attualità di Camaldoli. Nel 1943, in un paese ormai travolto dalla sciagura, si riunisce un gruppo di intellettuali cattolici. Hanno vissuto con Mounier e Huizinga l’agonia dell’Europa sconvolta dal totalitarismo fascista e decidono che i cattolici sono importanti per salvare l’Italia e l’Europa. Senza lo spirito di Camaldoli non ci sarebbe stata la partecipazione dei cattolici alla Resistenza e la scrittura della nostra Costituzione. Senza i democratici-cristiani non sarebbe rinata l’Europa. (Scrive Christiane Liermann: “L’Europa è un’invenzione della Democrazia Cristiana”).

2. La coscienza della crisi oggi. Se paragoniamo la crisi di oggi alla crisi di allora ci accorgiamo che è passata un’epoca. La rivoluzione tecnologica ha cambiato tutti i dati del sistema globale e ci troviamo ad affrontare una nuova crisi, ma diversa ed irreversibile da interpretare. I dati di questa crisi sono sotto gli occhi di tutti: rapida globalizzazione, società liquida fondata su scelte individuali dilatate, crisi della famiglia tradizionale, abolizione dei valori relazionali. La finanza disconnessa dall’economia ha creato valori virtuali incontrollati: una sorta di moneta falsa rapina le economie reali, crea grandi ricchezze artificiali e nuove povertà. In questo quadro declinano le identità nazionali. Le immigrazioni assumono dimensioni bibliche, ed aprono panorami sconosciuti. La crisi delle ideologie impedisce di vedere i nessi storici di questi cambiamenti e mentre si amplia a dismisura la possibilità di comunicazione ricompare con nuova micidiale potenza lo spettro della schiavitù e della tratta umana.

3. Speranze. Non ci sfuggono alcuni aspetti positivi che alimentano le nostre speranze. L’aspirazione alla democrazia è molto più alta che non quella ai tempi della fine dei grandi conflitti mondiali. Le primavere dei paesi emergenti devono ancora trovare una strada, ma sono reali. La difesa dei diritti umani non è sempre equanime e logica, ma è determinata. La comunicazione sociale intercontinentale dà occasione a forme di solidarietà e di partecipazione. La costruzione non ancora finita dell’Europa apre una finestra per il nostro impegno globale. Un nuovo cattolicesimo mondiale, attento alla povertà ed all’ingiustizia, alimenta le nostre speranze.

4. Il ruolo dell’Italia. Mentre il Vescovo di Roma porta sulla scena della comunicazione globale i naufraghi di Lampedusa e le favelas di Rio, cosa fa Roma, cosa fa l’Italia? L’Italia è esistita sempre ed esiste per una vocazione connessa alla universalità cristiana. L’Italia è una missione speciale, è un “primato civile”. “Non si sta a Roma senza una missione universale”, diceva Silvio Spaventa a Theodor Mommsen. “L’Italia è un laboratorio per dare risposte alla crisi”, diceva Dossetti. Nel panorama dell’Italia di oggi c’è un grande vuoto: l’irrilevanza dei cattolici, la loro assenza ed il loro tradimento.

• Non un programma, ma una “conversione”. In questi anni Movimenti, Istituti, Settimane Sociali e Convegni hanno prodotto una mole considerevole di proposte, di analisi e di programmi. Non siamo qui per redigere un nuovo programma o per fare un’antologia del meglio delle proposte elaborate. Il nostro compito è piuttosto quello di rinvenire le motivazioni che possano portare i cattolici a reimpegnarsi. Scrive Giuseppe De Rita (Il Corriere sabato 20 Luglio 2013): “C’è bisogno non di un lungo elenco di cose da fare, ma di un’interpretazione e orientamento dei fenomeni e dei processi che attraversano la società italiana”. Non abbiamo bisogno di un programma, ma di una “conversione”, che vuol dire un “cambiamento di direzione” nel nostro cammino. Si possono individuare alcuni doveri fondamentali capaci di dare fede e speranza alla nostra carità.

• La scelta democratica come valore “non negoziabile”. Dobbiamo diventare intransigenti nella difesa della Costituzione e dobbiamo diventare irremovibili “ribelli per amore” nell’esigere una legge elettorale in cui il popolo scelga direttamente e realmente i suoi rappresentanti e con la quale una vittoria certa legittimi un governo stabile.

• La partecipazione. Sostituire la declamazione dei diritti incommensurabili con una seria partecipazione ai doveri. Applicare il principio di sussidiarietà, previsto dalla Costituzione, in maniera orizzontale e verticale, facendo leva sulla solidarietà. Ribellarsi al linciaggio moralistico, al turpiloquio vaneggiante ed alla turpe antipolitica. Siamo cittadini con pieno diritto e piena responsabilità di una patria per cui molti sono morti. Fuori i barbari!

• L’amministrazione gentile e servizievole. Il compito degli amministratori del bene pubblico è un sacerdozio. E quindi tutto il modo di gestire lo Stato, le amministrazioni locali, i servizi della comunità, deve essere: non tirannico, ma civile; non sibillino, ma trasparente; non ricattatorio, ma gentile; non difficoltoso, ma servizievole. Dossetti nel 1956 immaginò che si potesse costruire il Comune dei servizi, al posto del Comune esattore. Apriamo la strada alla civiltà del servizio per rivedere con questa luce il servizio della scuola, il servizio della giustizia, il servizio del lavoro.

5. L’etica economica. A chi, se non a noi, spetta il compito di mettere l’attività economica al servizio dei principi etici che sono il fondamento di una civiltà compassionevole e di uno stato provvidente. Tornano gli ideali di Camaldoli iscritti nella Costituzione: i limiti sociali alla proprietà, lo sviluppo dell’economia reale, fondata sul lavoro, la sottomissione della finanza all’economia e non viceversa. La necessità dell’intervento statale per sanare la giustizia ed assicurare la pienezza dei diritti, la cittadinanza garantita, la comunità dei beni sociali, il ritorno agli usi civici delle ricchezze inalienabili (l’aria, l’acqua, la terra, la natura, l’arte e la cultura).

6. L’Italia al centro del mondo. L’Europa è un obiettivo prioritario per esistere nel mondo globalizzato. Solo con l’Europa potremo costruire la pace, potremo diventare protagonisti di nuovo internazionalismo generoso e solidale. Potremo ricordarci che il Mediterraneo non ci separa, ma ci unisce all’Africa, il continente più sfortunato e sfruttato, e che l’Europa non è mai finita agli Urali. Quel che manca all’Europa di oggi è un’Italia in cui pesi la presenza del cattolicesimo politico e democratico.

7. Lo strumento politico. Qual è la causa dello smarrimento dei cattolici dopo tanti studi, tanti incontri, tanti seminari e tanti programmi? Nella nostra cultura è sparito l’organismo operativo attraverso il quale i cattolici possano esercitare, come dice Benedetto XVI, “il momento più alto della carità: la politica”. Nella nostra esperienza storica abbiamo usato strumenti diversi: l’Opera dei Congressi (1874), strumento confederativo delle associazioni e dei movimenti cattolici, quando eravamo extraparlamentari che si astenevano dal voto. Abbiamo avuto l’Unione Elettorale (1906) per contrattare i nostri voti con le maggioranze politiche. Abbiamo avuto il Partito Popolare (1919), creatura delle nostre Leghe Bianche, quando con il peso dei nostri caduti nella prima Guerra Mondiale, riconquistammo la cittadinanza politica. Abbiamo inventato i Comitati Civici (1948) quando bisognava lottare la sfiducia, l’astensionismo, la diserzione. Abbiamo riempito un’epoca storica facendo la Democrazia Cristiana (1943), prima come partito federativo di movimenti e di categorie, poi come partito che attraverso le correnti trasmetteva i segnali necessari per mediare i difficili equilibri italiani. Ma quale sarà lo strumento politico del futuro? Forse saranno i nostri giovani ad inventarlo (Eugenio Scalfari nel suo editoriale di domenica 21 luglio 2013: “Il Cambiamento spetterà farlo ai giovani. Tu ed io, caro amico mio, abbiamo vissuto il nostro tempo. Chi vuole il cambiamento e si rivolge a noi può solo essere aiutato a non dimenticare l’esperienza passata, ma non ad immaginare il futuro”). Ma è nostro compito conservare oggi e subito le cellule staminali che potrebbero trasformarsi in brevissimo periodo nell’organismo politico necessario per far pesare, non il numero, ma la speranza dei cattolici.

8. L’itinerario. Proposta politica ai cattolici italiani. Dobbiamo percorrere un cammino. Facciamolo insieme. Faremo, come nostro dovere l’itinerario che ricorderà le vicende che sono avvenute settanta anni fa. E’ un percorso che va dall’incontro di Camaldoli, all’8 settembre; dal nascere della Resistenza al suo organizzarsi. Cercheremo di rivivere i valori che ispirarono le decine di migliaia di Combattenti Cattolici, ma con essi anche la Resistenza nei campi di concentramento, il sacrificio delle persone inermi, che tanto pesarono sulla nostra formazione spirituale, ed anche il sacrificio straordinario, impagabile, di 440 sacerdoti, uccisi non come singoli, presenti per caso, ma come capi naturali della Resistenza civile cristianamente ispirata. Sarà un itinerario per ricoprire il dovere politico dei cattolici.

Noi proponiamo a tutte le associazioni cattoliche, ai Movimenti, agli Istituti culturali, ai Sindacati, alle Parrocchie, di fare insieme, ciascuno a suo modo e nella sua libertà, ma insieme, questo itinerario dell’impegno civile dei cattolici per l’Italia.

ti culturali, ai Sindacati, alle Parrocchie.

70° Anniversario del Codice di Camaldoli

Cronache della giornata nelle parole di Bartolo Ciccardini
 

PRIMA TAPPA DELL’ITINERARIO. Raggiunto felicemente il traguardo.

All’incontro diretto da Gerardo Bianco, promosso da Acli, Istituto Sturzo e Partigiani Cristiani, con la partecipazione della Fuci, per ricordare il 24 Luglio 1943, quando si riunirono a Camaldoli gli intellettuali della FUCI, del Movimento Laureati e dell’Università Cattolica, gli invitati cominciano ad arrivare prima dell’orario previsto. È la giornata più calda dell’anno. Roma è un forno. Ma ancor prima delle 16:00 affluiscono gli invitati. I servizi di sicurezza del Parlamento non possono aprire la porta per riceverli finchè non arrivi la polizia. Per farli operare alacremente ci vorrebbe l’intervento dell’ambasciatore del Kazakistan! Al tavolo dell’ingresso sono predisposti: il numero speciale diwww.camaldoli.org

 

 dedicato al Convegno; il documento finale da approvare; il volantino "Diventa Partigiano Cristiano" con scheda di adesione per i gruppi di Lavoro "Resistenza e Costituzione" (proposti da ANPC e ACLI) e la Preghiera del Ribelle.

 

Alle 16:30 puntualmente inizia la riunione.

Ma ancor prima tutte le seggiole sono occupate ed ora molte persone stanno in piedi. Poi i commessi della Camera allestiranno la sala della Sacrestia, contigua alla Sala del Cenacolo, con l’audio del Convegno per permettere a tutti di seguire il dibattito.

Sono presenti un Presidente emerito della Corte Costituzionale, il Rettore dell’Università LUMSA, molti deputati, molti ex parlamentari, delegazioni delle Acli, della Fuci dei Partigiani Cristiani e numerosi giornalisti.

Gerardo Bianco assume la veste di moderatore con autorevolezza irpina e gentile diplomazia meridionale.

Ricorda Andreotti e Colombo, rivendica il giudizio storiografico sulla DC. Ricorda che a Camaldoli inizia il lavoro che porterà alla Costituzione. Conclude: "Il ricordo è doveroso per spezzare un silenzio distruttivo . Siamo qui per iniziare un cammino doveroso che dobbiamo compiere tutti uniti, per combattere la crisi" Questo messaggio emoziona e fa salire l’attenzione: c’è qualcosa da fare che non è solo ricordare o lamentarsi, ma è mettersi umilmente insieme.

Paolo Acanfora è un giovane ricercatore di storia. Ci racconta Camaldoli da un punto di vista interessante e nuovo. Si tratta di un gesto rivoluzionario volto a rifondare la cultura politica con una grande coscienza della crisi in corso ("Ansia di lettura della storia") ed infine una serie di proposte che stravolgono il vecchio pensiero politico e sono alla base di un ordine nuovo cristianamente ispirato e non una forma di utopia, ma un programma fattibile che significa l’ingresso italiano nella modernità.

Gerardo dà la parola ad Elena Ovidi: è una giovane bionda, piccolina, vestita di bianco, timida e riservata, ma è la Vicepresidente della Fuci e rappresenta un titolo storico inoppugnabile e prezioso. I giovani della Fuci erano la maggioranza dei partecipanti a Camaldoli (compreso il Presidente di allora: un tal Aldo Moro!).

Elena parla a voce bassa e Gerardo, da bravo nonno, le accosta più volte il microfono nella posizione giusta. Non si sente molto bene, ma fa niente. Tutti sono commossi ed emozionati. Ha 23 anni e studia a Trento. I due dirigenti che la accompagnano, Rita Pilotti (che è la Presidente della FUCI e segue con occhio protettivo la sua vice) ed Andrea Michieli, della classe 1990 (Direttore di "Ricerca", la storica rivista della Fuci di Claudio Leonardi e di Raniero La Valle,) sono più emozionati di lei. Il messaggio è accorato: "La riforma deve partire dai giovani".

Roberto Mazzotta, il Presidente dell’Istituto Sturzo, è anche un’economista impegnato nei meccanismi della finanza. Oggi è particolarmente in forma e lo studio delle proposte di Camaldoli lo ispira. Ricorda come l’Italia avesse avuto soluzioni particolari nella crisi del ’29, che andrebbero rivisitate. Ricorda l’importanza keynesiana dei progetti dell’Iri e del riordinamento delle banche. Ricorda il tentativo di composizione sociale fatto dalle troppo denigrate Corporazioni. È in questo brodo di cultura che nasce la visione del trio di Manerbio, Paronetto, Vanoni Saraceno. Ricorda come seppero intuire la via necessaria per ricostruire l’Italia e conclude amaramente che l’abbandono di quella via fu l’inizio della crisi italiana. Non suggerisce che da lì bisogna ricominciare, ma dice qualcosa di ancora più decisivo: alla base del successo di queste idee non vi fu il concetto di unità dei cattolici, ma piuttosto la personalità unica di Giovanni Battista Montini che aveva creato quella classe dirigente e che nella "Populorum Progressio" portò all’estreme conseguenze i principi di Camaldoli indicando la soluzione della crisi incombente.

Roberto Rossini parla a nome delle Acli e dovremmo studiare con attenzione il suo contributo perché esamina il problema non dal punto di vista di una cultura personale o di un giudizio storiografico particolare. Si pone il problema di un movimento diffuso nel territorio e quindi il problema dei principi formativi della cultura, della formazione della classe dirigente, della creazione degli strumenti politici per influire.

Roberto dà un forte avvertimento: la scelta prioritaria è la scelta democratica e non si può fare nulla se non si risolve subito la crisi della democrazia rappresentativa.

È l’ora di Giovanni Bianchi, Presidente dei Partigiani Cristiani. Come sempre egli compie un percorso culturale nutrito di citazioni e di esperienze.

Ma deve giungere per dovere di ufficio alla conclusione necessaria: bisogna ritrovare i vincoli dello stare assieme, la capacità di progettare assieme il coraggio di combattere assieme. (Ci manca soltanto che dia l’ordine di entrare in clandestinità!). Ricorda Padre David Maria Turoldo quando dice: "Riprendiamoci amici i nomi di battaglia ed armiamoci di luce".

Di solito in questi Convegni, dopo le relazioni preparate, si parla poco, oppure vi sono interventi non molto coordinati con il tema in discussione. Ma questa volta no. L’attenzione è lucida: gli interventi necessariamente brevi per questioni di tempo sono legati al tema e propongono considerazioni che approfondiscono e completano. Non solo, ma sembra che cominci a funzionare quell’atteggiamento, che prima di essere culturale è morale, di voler condividere, di voler partecipare, di voler stare assieme, di voler costruire qualcosa in comune.

Così troverete molto interessanti nella cronaca gli interventi del Professor Balduzzi, del Presidente Mirabelli, del Rettore della LUMSA Della Torre, del Sen. Acquaviva, del Sen. Eufemi, dell’On. Flavia Nardelli, dell’On. Gianni Fontana e del Prof. Leonardo Bianchi.

Si conclude con la lettura del documento finale che è stato frutto di una ampia consultazione precedente.

La conclusione è che tutti si impegnino in un itinerario che incomincia dal ricordo di Camaldoli ma che, per necessità dovrà riesaminare i due anni della nostra passione, dal ’43 al ’45. È un percorso che servirà ad unire pensieri e personalità, ad allenare giovani e comandanti, a preparare un gruppo dirigente e a raggiungere insieme la meta del pellegrinaggio.

La prossima tappa è già decisa: 10 Settembre, la straordinaria ribellione di Suor Teresina.

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Ecco il link a Youtube in cui vedere l'intervento di Maurizio Eufemi durante la commemorazione

https://www.youtube.com/watch?v=GDwOXMisjDk

 

 

 

 

 

Sergio Paronetto, una figura straordinaria

 

Per quanti tra di noi che hanno vissuto solo la storia del dopoguerra attraversata dai diversi momenti della ricostruzione, dello sviluppo impetuoso, della crisi degli anni settanta, della spinta sfrenata del liberismo reaganiano e thatheriano fino alla attuale fase di declino, rileggere la storia del Codice di Camaldoli significa immergersi nella grandezza di quegli uomini, protagonisti del futuro del Paese. Non si può non restare ammirati dalla forza di quelle idee e soprattutto verso colui che cresciuto alla scuola laica, ma così naturaliter christiana fu il motore della fatica. Colui che analizzava le scelte di quella tela insieme moderata e radicata nella migliore tradizione sociologica “nostra” come scrisse Giulio Andreotti. Quell’uomo era Sergio Paronetto, scomparso nel 1945. La sua è stata una storia breve ma intensa, piena di significato.

 

I partecipanti al piccolo cenacolo di via Reno erano affascinati dalla rivendicazione del primato della persona umana e del diritto di famiglia in antitesi con lo stato onnipresente e soffocante; protesi verso la ricerca di un equilibrio tra validità economica degli schemi e tutela della dimensione di una società a misura d’uomo.

 

Forse è il momento di riproporre ai giovani quel modello.

 

Ma non abbiamo ancora un Montini in grado di costringere i cattolici a tessere la tela di Camaldoli che orienterà i costituenti.

 

Sergio Paronetto non è stato un costituente, ma è come se lo fosse stato, tanta è stata la forza della sua ispirazione e l’influenza esercitata nei camaldolesi e nei costituenti.

 

Il codice è il momento alto di un progetto di società coerente e funzionante. Dà coerenza ai motivi tecnocratici, sociali e anticapitalistici.

 

Abbiamo un debito verso gli estensori del codice e verso Paronetto in particolare perché hanno saputo fare le scelte giuste idonee a unire i drivers dello sviluppo, facendo uscire il Paese dalla miseria.

 

Quella è una pagina di storia di cui i democristiani devono essere orgogliosi.

 

E fanno bene Gerardo Bianco e Bartolo Ciccardini a dare il significato storico che la commemorazione merita, legandola coerentemente a una prospettiva di riaggregazione culturale e politica.

 

"Paronetto trovò l’equilibrio tra informato realismo e ispirazioni fondamentali aggiornando e razionalizzando Malines" scrisse Andreotti in De Gasperi visto da vicino.

 

Paronetto è stato capace di coniugare il nittismo antiburocratico, la sensibilità ai valori della solidarietà, la democrazia economica, l’antimonopolismo radicale.

 

Per Paronetto il mercato andava aiutato con i controlli, con le indagini con le restrizioni. Per l’economia reale i mercati vanno corretti, sostenuti rilanciati mentre i mercati finanziari vanno governati con regolamenti e tetti. V’era nel suo pensiero modernità nella dimensione della gestione economica dei beni pubblici. Era un economista di impresa e il sistema Paronetto mette insieme politica economica e Welfare, economia delle imprese e investimenti sociali, processo di accumulazione e dignità umana.

 

Era competente e preparato. “Continua a consigliarmi con la tua illuminazioni dalla realtà" è l’esortazione di De Gasperi in una lettera.

 

Abbiamo un debito verso un personaggio che ha coniugato modernità e internazionalizzazione dell’approdo alla economia, alla industria, alla finanza.

 

Aveva una visione progettuale che puntava alla economia produttiva una figura riservata che aveva affinità con Guido Carli.

 

Vorrei concludere con il ricordo di una lettera che scrive Menichella allora direttore generale dell’Iri, poi straordinario governatore della Banca di Italia a Vittorino Veronese il 24 marzo 1955 per ricordarne la figura a dieci anni dalla scomparsa. Dopo avere sottolineato la sua "capacità di giudizio sereno ed equilibrato che in Paronetto era il frutto di una continua, assillante, tormentosa azione di appello alla sua coscienza, profondamente religiosa e vigile in ogni momento della sua vita" Menichella ricorda un episodio che då il segno della modestia di Paronetto e la Sua sinceritá.

 

Alla chiusura dell'anno 1939, provvedendo a migliorare gli stipendi dei funzionari, apportai un aumento anche al Suo. Mi trattenni dal fare di più come Egli meritava, solo per timore di turbare la sua modestia, sicchè grande fu la mia meraviglia allorquando mi si presentò per indurimi a limitare l'aumento che Gli avevo concesso, minimizzando il suo lavoro e citando esempi di funzionari, estranei al nostro ambiente che, a suo dire, valevano più di Lui è avevano stipendi minori.

 

Naturalmente non lo accontentai. Ne rimase male e me lo disse. Ne fu turbato. Lo scrisse nelle carte ritrovate dopo la morte".

 

Riteneva folle la cifra fissata. Questa decisione gli faceva paura. Fino al punto di dire "non c'è un profondo e perverso errore in tutto ciò? Una ingiustizia, una complicitá nostra?".

 

In questa lettera c’è una lezione di etica e di moralità, un insegnamento di modestia, rispetto alla deriva finanzaria stockoptionista e shortermista alla creazione di valore artificiale, alle fusioni e acquisizioni di breve periodo dei tempi nostri che hanno perdere di vista il ciclo lungo della economia sia rispetto agli investimenti che al lavoro.

 

Va anche ricordata l'intelligente mediazione di Paronetto che, attraverso opportune modifiche ai capitoli sulla educazione e sulla famiglia, permise di riguadagnare il consenso di Capograssi, che non si estese fino al punto di figurare tra i redattori dell'opera, ma solo come consulente e collaboratore, perchè non favorevole all'idea di un "distillato della sapienza cattoliitalianamente".

 

E sul tema del lavoro elaborato dalla triade di Morbegno, Saraceno, Vanoni e Paronetto, la sua criticitá e prudenza verso la participazione operaia alla gestione dell'azienda, definendola " illusoria meta la cui conquista lascerá insoddisfatti e delusi i lavoratori per la sua inconsistenza economica e morale" e nella peggiore "espediente accettato o propugnato da taluni datori di lavoro o da loro più o meno consapevoli interpreti per eludere altre più vere e sostanziali rivendicazioni dei lavoratori o per assicurarsi con mezzi politici la posizione di privilegio" .

 

Una posizione diversa da quella di Fanfani, più articolata rispetto a Gonella, Ferrari Aggradi e Taviani o di Malvestiti.

 

V'era in sostanza una distinzione tra partecipazione agli utili e il tema più complesso della partecipazione intesa cone democrazia partecipativa e del solidarismo partecipatativo nella economia, nell'artigianato, nella pmi, nella cooperazione.

 

Certo oggi sono diversi i tempi, la storia, gli uomini, le culture, di quando di affermava quel sogno utopico. C' era però in quella terza via la indicazione per garantire giustizia sociale per tutti attraverso il ruolo regolatore e perequativo dello Stato.

 

È stato detto che punto di forza fu quello della autonomia del gruppo di Camaldoli dalla politica partitica, ma essi stessi furono guida!

 

È forse il momento di riscoprire l'insegnamento sturziano, di riprendere coraggio, a partire "dal programma politico che non si inventa, ma si vive e per viverlo si deve seguire nelle sue fasi evolutive, precorrere le attuazioni, determinare e soluzioni, nel complesso ritmo delle affermazioni, nella fermezza delle negazioni".

 

Far rivivere il Codice di Camaldoli oggi è un sogno o piuttosto l'itinerario di un cammino da riprendere senza indugi?

 

Maurizio Eufemi

 

Bibliografia

AA.VV., Cattolici al futuro, editoriale Rufus, 1984

Giulio Andreotti, De Gasperi visto da vicino, Rizzoli

Giulio Andreotti, De Gasperi e il suo tempo, Arnoldo Mondadori editore, 1956

Donato Menichella, stabilitá e sviluppo dell'economia italiana, Editori Laterza, 1997

Sergio Paronetto e il formarsi della costituzione economica italiana a cura di Stefano Baietti e Giovanni Farese, Rubettino Editore, 2012

Sergio Paronetto, Prospettive sulla partecipazione operaia alla gestione dell'azienda, studium xl 1944 pagg 36, 37).

C. Vasale, i cattolici e la laicitá. Un contributo alla storia del movimento cattolico italiano, ed. Dehoniane, Napoli 1980 pag. 131)


Roma, 24 luglio 2013

memorie e propositi nel 70° anniversario 

L’occasione mi è offerta da una prossima importante ricorrenza: 70 anni fa un gruppo intellettuali cattolici si riunirono a Camaldoli per redigere un documento che sarà chiamato Codice di Camaldoli in cui sono straordinariamente riunite le idee principali che sarebbero state poi alla base della Costituzione e del "miracolo italiano".

Se confrontiamo questa proposta con le condizioni materiali nella quali essi si trovavano, sentiamo che c’è qualcosa di profetico. In quei giorni Roma veniva bombardata dagli alleati per spingere l’Italia all’armistizio, Mussolini stava a Feltre in un incontro con Hitler che lo rimproverava e lo umiliava, i gerarchi del fascismo si stavano accordando per togliere il potere a Mussolini ed il re, indeciso fino all’ultimo, restava chiuso nella sua gelida titubanza. Non era certamente questa la condizione migliore per "ritrovare un futuro".

Eppure, senza utilizzare sigle od inventare formule, si ritrovarono persone che rappresentavano il meglio della cultura cattolica: i giovani della Fuci, gli adulti del Movimento Laureati di Azione Cattolica, i futuri leader politici inconsapevoli. Era il frutto di quello spazio di libertà e di formazione di coscienze autonome che l’Azione Cattolica aveva salvato sotto il fascismo. Giorgio Campanini dà a questo gruppo una importante definizione: "Una "riserva etica" pronta a mettersi al servizio del Paese".

Anche oggi c’è bisogno che il meglio del pensiero cattolico non rifiuti di essere la "riserva etica" al servizio del Paese. Pietro Scoppola, nella sua ultima intervista concessa a Tognon, la ricorda ed espressamente la chiama "la riemergenza del cattolicesimo politico", espressione di cui sento la eco nel vostro incontro.

Voglio ricordare le tre grandi intuizioni del Codice di Camaldoli. La prima: l’affermazione della dignità della persona e del suo primato rispetto allo Stato, che diventò, attraverso l’emendamento di Dossetti, il caposaldo della Costituzione. La seconda: la scelta a favore dello Stato democratico nel quale i cattolici si impegnano senza privilegi, ma con grande assunzione di responsabilità. La terza: il ruolo della comunità politica come garante e promotrice di giustizia sociale e di eguaglianza. In quei drammatici giorni, dal 19 al 26 Luglio della "calda estate" del 1943, maturarono delle idee che avrebbero segnato i primi due decenni della Repubblica italiana.

Il vecchio pensiero politico liberale come le nuove espressioni politiche laiche del Partito d’Azione, socialiste e comuniste, maturate nella opposizione al fascismo, mai si sarebbero aspettate una così forte e matura "riemergenza del cattolicesimo politico", in chiave definitivamente democratica. L’apporto dei cattolici fu determinante affinchè che l’assemblea costituente in un periodo politicamente difficilissimo, riuscisse ad approvare quasi all’unanimità la nuova Costituzione. Fu il primo miracolo della presenza cattolica.

Mi sono soffermato su questo esempio importante di "riserva etica" per due motivi molto semplici. Il primo è questo: le idee di Camaldoli sono l’inizio della Resistenza Cristiana alla distruzione morale e materiale della nostra Italia. Senza questa riserva etica e senza questa assunzione di responsabilità non ci sarebbe stata la grande partecipazione dei cattolici alla resistenza armata ed alla resistenza civile. Va ricordato come il sacrificio di 440 sacerdoti non è soltanto la testimonianza di 440 eroici testimoni, ma anche la testimonianza di una precisa volontà del nemico di colpire e distruggere i capi della società civile che si opponevano alla oppressione. Il secondo: riprendendo il pensiero di Scoppola, il cammino dell’Italia riprende con "la riemergenza del cattolicesimo politico" nel segno della democrazia.

Ci assumiamo la responsabilità di difendere in prima persona come dovere della nostra "riserva etica" la presenza politica dei cattolici, per porre fine alla crisi democratica del nostro Paese.

Con l’augurio di buon lavoro,

Gerardo Bianco

INVITO AL CONVEGNO


La politica del cacciavite e le macchine utensili

Tra le misure contenute nel decreto del "fare" ce n'è una che potrebbe sembrare nuova ma non lo è: quella relativa alle macchine utensili. Del resto quel decreto è stato definito del cacciavite e il cacciavite ha la funzione di rimettere le cose a posto, a far ripartire ciò che non va. Eppure la legge Sabatini, dal nome del proponente definito il deputato dei poveri, la 1329 del 1965, ha confermato la regola che non vi è nulla di più duraturo di un provvedimento congiunturale. Promulgata in una fase congiunturale e per un triennio era diventata lo strumento più apprezzato dagli operatori per la sua funzionalitá e idoneitá a stimolare l'investimento in macchine utensili nelle piccole imprese. L'operazione si realizzava con uno strumento semplice, senza intermedazioni, con operazioni assistite da agevolazioni tributarie e da anmortamenti rapidi triennali. Uno strumento valido, chiaro, semplice nelle procedure efficace nel sostegno alla innovazione e alla crescita competitiva e con oneri ridotti per lo Stato. Arrivò al finanziamento di ben 30.000 operazioni nel 1984. Si ottenevano due risultati: la competitivitá delle imprese nella innovazione di processo e di prodotto e il sostegno alla domanda procurando lavoro negli stabilimenti produttori di macchine utensili.

Il rifinanziamento dello strumento legislativo è importante ma non possiamo non domandarci perchè la legge Sabatini sia stata per tanto tempo accantonata e si sia dovuto riprendere il cacciavite per riattivarla.

Maurizio Eufemi

Roma 23 giugno 2013

Perché Camaldoli 2013

(nota di Bartolomeo Ciccardini)

 

Tutti ci domandavamo se l’esistenza del Governo delle larghe intese avrebbe fatto esplodere la crisi del Partito Democratico così come Berlusconi si augurava. La notizia vera è questa: l’esistenza del Governo delle grandi intese ha fatto implodere il PDL e la Lega. Invece il Partito Democratico ha resistito meglio alla siccità elettorale perché ha una sua struttura nel territorio, fa le primarie, ha ancora una rete e che è in definitiva, seppur in dimensioni ridotte, ancora un partito. Anzi, per dare a ciascuno il suo, è ancora l’unico partito che esiste, che ha dei punti di riferimento nel territorio, che produce una classe dirigente locale, che governa le amministrazioni. Il prezzo pagato però è pesante: la preoccupante fuga dalla cabina elettorale. Sembra essere una corsa all’indietro a chi riesce a perdere meno voti.

Questa constatazione ci porta ad una domanda fondamentale: la crisi della democrazia si risolve con la scomparsa dei partiti?

 

Il presidenzialismo: un’occasione mancata

E veniamo all’argomento principale: la crisi della democrazia italiana.

È evidente che in Italia, anche in conseguenza di una forte crisi economica, è emersa una crisi della democrazia fondata sui partiti. Non a caso, è rinato per la forza che è nelle cose, il problema del “presidenzialismo”. Cosa è stato il presidenzialismo nel dibattito politico italiano?

È stato un tentativo culturale e politico di alleggerire la presenza dei partiti nella democrazia italiana.

La Resistenza e la Costituzione avevano messo al centro del processo politico i “partiti ideologici” e la democrazia esisteva in quanto esisteva una pluralità dei partiti. La società italiana, liberatasi dal fascismo, non era improvvisamente diventata più democratica e più liberale. La struttura forte, ordinata dei partiti, le loro classi dirigenti, provate dalle esperienze del carcere e dell’esilio, la necessità di combattere la dittatura, perfino con le armi, aveva creato dei partiti forti, che per molti aspetti occupavano lo stesso spazio che nella società italiana occupava il Partito Nazionale Fascista.

La differenza fondamentale era la pluralità. E la pluralità garantiva la democrazia. Ma anche questa pluralità non aveva dato luogo ad una alternanza democratica.

Era la pluralità garantita dalla Democrazia Cristiana, che rendeva questo partito insostituibile al governo, garantendo al Partito Comunista di essere in qualche modo insostituibile all’opposizione.

La DC coltivava la pluralità  tenendo in piedi delle alleanze variabili con i partiti democratici, la cui presenza al governo variava secondo le mutazioni necessarie del dibattito politico.

Un sistema siffatto non poteva non generare una partitocrazia. La Costituzione materiale italiana si costruiva attorno a dei principi democratici che prevedevano una grossa influenza dei partiti sul sistema di governo e sul funzionamento della Costituzione. Se questo sistema venisse confrontato con l’esperienza democratica americana od inglese, apparirebbe la differenza: in America una società civile e molto articolata, molto ricca, dotata di autonomie e di contrappesi politici, si manifestava sì attraverso partiti che avevano una struttura debole e che influivano sul Governo del Paese soltanto indirettamente attraverso strumenti istituzionali.

Era chiaro che con l’andare del tempo, con l’attenuarsi della guerra fredda e della contrapposizione fra democrazie popolari e democrazie liberali, il sistema partitocratico avrebbe dovuto alleggerirsi attraverso una maggiore autonomia delle istituzioni dei partiti e attraverso l’adozione di formule presidenzialiste. Il presidenzialismo libera la forma di governo dalla pressione del partito che ha vinto, anche se ne limita il potere nel tempo di durata e nella contrapposizione dei poteri. Il presidenzialismo avrebbe potuto essere la soluzione alla inarrestabile crisi della partitocrazia. L’averlo adottato salvò la Francia. In Italia oggi si rimpiange il non averlo adottato. Ma forse è troppo tardi. Forse il presidenzialismo è soltanto un’occasione perduta.

 

L’antipolitica non è una soluzione

Questi pensieri ci propongono un’altra domanda: la crisi della forma governo connessa alla crisi economica porta ad una incapacità di decidere? Sentiamo ripetere da anni: “Ci vorrebbe una diversa legge elettorale; ci vorrebbe una diversa burocrazia; ci vorrebbero processi più rapidi; ci vorrebbe più concorrenza; ci vorrebbero servizi più efficienti” e si ha l’impressione che queste aspirazioni non arriveranno mai alla soluzione. Nascono allora formule di rabbia, di scontento e di frustrazione che danno luogo a movimenti di antipolitica che rifiutano di farsi partito. È stata così la Lega, è stato così il berlusconismo ed è così il Movimento 5 Stelle. Non sono stati fenomeni deprecabili, sono soltanto il risultato naturale di una situazione politica senza sbocchi.

La domanda seguente è questa: riusciranno i movimenti di protesta ad incanalarsi in un progetto politico o esploderanno?

Questa domanda è effettivamente tragica. Se i movimenti di antipolitica esploderanno avremo una soluzione necessariamente traumatica, molto probabilmente antidemocratica ed, in ogni caso, con gravi conseguenze per la vita sociale ed economica del Paese. Poi, come dopo ogni crisi e come dopo ogni guerra, si troverà una soluzione su equilibri nuovi. Se i movimenti di antipolitica non esploderanno, essi stessi potrebbero trasformarsi in partiti o in qualcosa di molto simile ai partiti, per rispondere alle necessità di cambiamento divenute questioni di vita o di morte della nostra società.

 

L’attuale regime è già una tirannia burocratica

Del resto a causa della debolezza dei poteri politici un potere forte ci sta prendendo alla gola. La tirannia burocratica ormai persegue famiglie ed imprese con nuovi ordini, nuovi balzelli, nuove angherie che non sono più controllate da un potere politico che doveva risponderne ai suoi elettori. La burocrazia, come diceva un vecchio inno cattolico, “vincit, regnat, imperat”.

È già di per sé una forma di Governo strutturata ed imponente, dotata di potere incontrollato, che prende decisioni oppressive ed ingiuste nei confronti dei cittadini.

 

Come a Camaldoli 70 anni fa

La domanda finale non può essere che una: c’è una strada per uscire da questa situazione?

Sì, c’è una strada. Se il Governo di larghe intese riuscisse a fare una legge elettorale basata sull’uninominale a doppio turno e se i sindaci (Renzi insegni), selezionati ed eletti da un congegno analogo si trasformassero in canale rappresentativo delle necessità popolari e tutto questo in pochissimi mesi, ci potremmo anche salvare.

In tutto questo processo si evidenzia la mancanza di una posizione trasversale equilibrata ma innovatrice, popolare e disciplinata, quale era il cattolicesimo politico. Se non si rifonda il cattolicesimo politico che si collochi fra l’antipolitica e la crisi dei partiti, difficilmente so troverà una soluzione. Ma l’attuale cattolicesimo politico che sovrabbonda di idee, di propositi morali, di esortazioni, di studi, di convegni e di seminari non trova l’organismo identitario capace di offrire una soluzione pratica. Un partito? Un movimento prepolitico? Un Comitato Civico distaccato dalla gerarchia? Una entità confessionale? Un semplice Comitato elettorale? Se non si farà qualcosa le parrocchie andranno ad infoltire l’astensionismo che è l’ultima forma dell’antipolitica.

Le Acli e l’Associazione dei Partigiani Cristiani invitano ad una riflessione nel giorno del settantesimo anniversario del Codice di Camaldoli. Allora il cattolicesimo politico acquistò non solo la consapevolezza della tragedia, ma la coscienza di porre fine al disastro e di ricominciare una via nuova. Settanta anni fa a Camaldoli.

 

Bartolo Ciccardini - 14 giugno 2013

Lettera di Gerardo Bianco sul presidenzialismo

Cari colleghi,

è noto come Alcide De Gasperi non abbia mai interferito, in quanto Presidente del Consiglio, nei lavori dell’Assemblea Costituente, tanto da apparire, a torto, perfino disinteressato alla elaborazione del testo costituzionale.

In occasione dei Patti Lateranensi volle parlare dal suo banco di deputato, per sottolineare appunto, come scrive Leopoldo Elia, la deliberata scelta “di non interferenza governativa nell’elaborazione della nuova Costituzione”. Da Presidente del Consiglio parlò solo sul tema dell’Alto Adige. All’epoca il Banco del Governo era riservato al Comitato direttivo della Commissione dei 75.

Oggi assistiamo a un rovesciamento di impostazione. Il Governo si considera perfino come proponente di una riscrittura anche incisiva della Costituzione, con una iniziativa come quella della nomina dei 35 saggi che di per sé costituisce un’autentica anomalia in un processo di revisione costituzionale.

Una maggiore prudenza nella decisione del Governo sarebbe stata auspicabile.

Ma ciò che più desta preoccupazione è la disinvoltura con la quale si affrontano temi come quello del presidenzialismo che stravolgono alla radice l’impianto della Costituzione coerentemente fondata sulla preminenza del Parlamento.

Trasformare la Repubblica parlamentare in una Repubblica presidenziale significa archiviare la Carta del 48 e passare a un diverso assetto costituzionale. Per un’operazione del genere, come osservava Dossetti, non può, se non con grave forzatura, essere utilizzato l’articolo 138 della Costituzione.

Ciò che invece urge è la revisione della legge elettorale che inficia di legittimità ogni decisione, alterando la vita democratica dell’Italia. È su questo punto essenziale che dovrebbe concentrarsi l’impegno parlamentare con un Governo che ne agevoli il corso.

Soluzioni decenti per una buona legge elettorale sono possibili, prendendo soprattutto in considerazione quelle dei più grandi paesi europei, ma anche originali proposte come quelle presenti nel sito della nostra Associazione.

Sul tema del presidenzialismo, che ha sostenitori anche nella nostra Associazione, apriremo un vasto dibattito tra i soci, a partire da un convegno previsto nella prima decade di luglio.

La nostra preminente preoccupazione è che tutto si svolga in modo pienamente legittimato e democratico, cominciando, in primo luogo, a correggere le storture attuali che hanno la loro fonte nella legge elettorale che rischia di inquinare per la sua dubbia costituzionalità di illegittimità ogni atto deliberativo degli organi dello Stato.

Colgo l’occasione per inviare il più cordiale saluto.

Gerardo Bianco - Presidente Associazione ex parlamentari

6 giugno 2013

UNA SITUAZIONE INTOLLERABILE!

Il CN dell'UDC rappresenta l'ultimo atto del progetto politico avviato nel 2002 con la fusione del CDU, del CCD e di Democrazia Europea. Il CDU portò in dote il simbolo della Democrazia Cristiana insieme ad ideali e valori in cui si riconosceva una classe dirigente motivata che aveva difeso strenuamente quel vessillo anche attraverso dolorose scissioni, quella con il PPI prima e con l' UDR dopo.
Quella iniziativa si è ormai dissolta. Il leader del CCD è tornato al punto di partenza, cioè al CCD. È dimostrato dal fatto che tutti, dico tutti coloro  che avevano creduto nella necessitá di una ricomposizione dell'area post democristiana sono usciti o sono stati costretti ad uscire dal partito.
 L'elenco sarebbe infinito; non vogliamo tediare.
Oggi con l'operazione Scelta Civica, l'UDC ha cancellato in un colpo solo quanto era stato delineato in quel progetto originario che era stato impresso nel manifesto dei valori e sancito con un Congresso. È stata cambiata la linea politica senza un deliberato congressuale che ne riconoscesse la validitá.
Oggi quel che resta dell'UDC dopo la débacle elettorale di  febbraio è un misero 1,7 per cento, una pattuglia di fedelissimi del leader ex ccd, altri peraltro provenienti da esperienze lontane dalla storia democristiana.
La minoranza rappresentata da Tassone e Tarolli ha cercato giovedì al consiglio nazionale di Torre Rossa di riportare alla ragione una maggioranza arrogante, chiusa in se stessa e che ha rifiutato ogni proposta di dialogo politico  rifugiandosi nel formalismo regolamentare.
A questo punto non vi sono molte strade da intraprendere se non la denuncia del  patto costitutivo del 2002.
È il momento  che coloro che appartenevano al CDU si mobilitino, facciano sentire la loro voce e assumano iniziative concrete per  riprendersi  senza indugi  quel simbolo per il quale abbiamo combattuto e lottato.
Quel simbolo stava in un progetto che è stato stravolto e non più  stare con chi non crede nella ricostruzione di un'area cattolica e in  quei valori impliciti e soprattutto non può più essere utilizzato da  chi ha preferito scelte egoiste per ambizione personale, da chi si è piegato a posizioni che non appartengono alla tradizione della solidarietá e della economia sociale di mercato.


Roma, 1 giugno 2013

Andare oltre l'imu e la cassa integrazione

 

Nelle riflessioni di domenica 12 maggio sul Sole 24 ore Giuliano Amato interviene sui contenuti dell’accordo politico di maggioranza indicando una via virtuosa della crescita per far uscire il Paese dalle secche dell’immobilismo. Si tratta di un sentiero stretto sia per i vincoli interni (alto debito pubblico) con conseguenti misure coperte da entrate o da compressione della spesa e vincoli esterni (fiscal compact) con i parametri imposti dal navigatore di marca teutonica.

Il deficit spending come mezzo per la crescita è un lontano impraticabile ricordo.

Si pone allora l’interrogativo sul che fare rispetto a scelte difficili come quelle di mantenere l’austerità come è stato fatto o privilegiare la crescita, come si dovrebbe fare.

E’ vero che molti tra gli economisti, oggi, non sottoscriverebbero le scelte di austerità, ma va detto che pochi sono stati gli economisti i quali per tempo, hanno capito la gravità e le conseguenze delle scelte operate e che la via perseguita avrebbe portato ad una fase di così’ prolungata recessione senza che si possa ancora vedere la luce fuori dal tunnel.

Oggi v’è maggiore consapevolezza che l’austerity ha stremato il Paese, prima con la caduta dei consumi che si è poi riverberata sulla produzione. L’austerity non rappresenta un fattore di crescita; può solo permettere di sistemare un po’ le cose nel breve termine.

Di fronte ad una tale situazione assistiamo ad una strana maggioranza che finge di andare d’accordo a Palazzo Chigi per poi dividersi nelle sedi di partito. Le forze di maggioranza nel breve termine privilegiano la strada della divisione paritaria del lenzuolo per usare la metafora indicata da Giuliano Amato. Un pezzo di lenzuolo al PDL in questo caso l’Imu e un pezzo di lenzuolo al PD con le misure per la Cassa Integrazione speciale. Due concezioni destra-sinistra contrapposte; da una parte lo sguardo rivolto ai proprietari e dall’altro alle famiglie in difficoltà per il lavoro. La casa e l’occupazione finiscono per diventare due obiettivi divisivi perché privilegiano l’elettorato dei due schieramenti piuttosto che gli interessi del Paese che sono ben altri. Certo va detto che l’IMU in termini elettorali e politici vale di più che non gli interventi sulla CIG.

Il mezzo lenzuolo farà pareggiare la partita politica ma non coprirà nessuno. Rimarremo tutti scoperti.

Che fare allora?

Il lavoro e l’occupazione si creano se si muove il mercato, ma il mercato è fermo perché le banche non lo aiutano. Gli interventi della BCE sono stati finalizzati più a metter a posto i bilanci delle banche piuttosto che ad indirizzare la liquidità al sostegno delle imprese. Occorre superare l’orizzonte del novantesimo minuto nel tentativo di pareggiare la partita. Lo zero a zero non farà muove la classifica dell’Italia in termini di crescita del PIL, di riassorbimento del debito e di occupazione.

Proviamo a costruire un lenzuolo più lungo. L’Italia deve diventare un Paese appetibile per gli investimenti esteri per almeno 10 anni, senza alcun tipo di intervento politico. Di fronte alla crisi del settore industriale, i servizi possono essere sviluppati adeguatamente in particolare con l’espansione di Internet. Occorre allora introdurre meccanismi di detassazione del lavoro e delle aziende per 10 anni tali da creare un volano di Know how e di occupazione. Se Amazon, per fare un esempio, vuole aprire una filiale in Europa deve poterlo fare in Italia. Amazon porta Kow how, noi creiamo un framework imprenditoriale appetibile. L’altro segmento su cui operare nello stesso modo è il made in Italy. Qualsiasi azienda che vuole agire sulle esportazioni dei prodotti deve essere avvantaggiata con meccanismi che permettano la costituzione di aziende in breve tempo e con vantaggi fiscali certi per 10 anni. Un orizzonte decennale è quello necessario perché i mercati finanziari recepiscano le aspettative di lungo temine anche in relazione al corso dei titoli azionari. Dunque le riforme devono avere i caratteri della certezza, ma anche del lungo periodo perché in caso contrario vengono scontate dai mercati.

Il finanziamento di tali riforme deve avvenire attraverso le privatizzazioni dei “gioielli italiani” da collocare non sull’interno e con partite di giro ma sui mercati esteri (Eni, FS, Poste, CC.DD).

La cessione di asset immobiliari demaniali strategici è una passo fondamentale per abbattere il debito pubblico. Se dimostriamo concretamente di volere vendere asset per 10 md annui che vanno a diminuzione dello stock di debito diventiamo credibili e il mercato apprezza con la diminuzione dello spread con ulteriori vantaggi in termini di spesa per interessi.

In una fase come questa che fa registrare una crisi del mercato immobiliare occorre agire sull’edilizia con un ventaglio di azioni rapide sia sul nuovo che sull’usato. Va favorita la mobilità generazionale favorendo le transazioni immobiliari dai tagli grandi a quelli più piccoli per gli anziani che vogliono acquisire liquidità. Si può favorire con un forte abbattimento degli oneri di compravendita (notaio, imposta di registro IVA) , anche a misura fissa ridotta che oggi incidono in misura rilevante per gli acquirenti, soprattutto giovani coppie.

Poi si può lavorare sul mercato delle ristrutturazioni per tutte le costruzioni ante 1970 con benefici fiscali considerevoli che possono essere incrementati per l’affitto a terzi con una “cedolare secca” decennale.

In questo modo si interviene sul settore edilizio con un vasto indotto che oggi si propaga in numerosi comparti tecnologicamente avanzati, come i materiali energetici, impiantistica, con una maggiore rispondenza alle norme di sicurezza.

C’è bisogno di un colpo d’ala affinchè il Paese si copra non soltanto con un lenzuolo nell’imminenza di un inverno che sarà ancora rigido.

 

Roma, 18 maggio 2013

RIFLESSIONI SULL'INCONTRO UDC A PARCO DEI PRINCIPI

9 maggio 2013

 

Mario Tassone ha promosso un incontro del CDU allargato a quanti condividono gli ideali democratici cristiani. Si è tenuto all'Hotel Parco dei Principi sabato 9 maggio. È intervenuto Gemayel, rappresentante della internazionale democratico-cristiana, simbolo di lotta per la libertá in un'area martoriata del mondo e del medio oriente in particolare.

Vi è stata una larga partecipazione di dirigenti, sindaci, amministratori e moltissimi giovani impegnati nell'associazionismo.

I giovani sono stati i protagonisti e hanno avuto largo spazio; hanno espresso idee positive e propositive.

Ironia della sorte l'incontro si è tenuto mentre il giorno precedente la direzione dell'UDC consumava l'ultimo strappo con la indicazione del segretario amministrativo, nomina che spetta al consiglio Nazionale. Tassone ha rivendicato il pieno rispetto delle regole democratiche.

È l'atto finale di una progressiva occupazione del potere.

Il disastro elettorale del 24 -25 febbraio per l'UDC va oltre la sconfitta di generali ormai senza esercito.

La leadership di Casini è riuscita nel grande risultato di distruggere un partito portandolo sotto il 2 per cento.

È fallimento di leadership per ambizione personale. È tradimento del progetto politico costruito con ben altre finalitá e ambizioni sul manifesto dei valori del 2002, costruito per aggregare e ha finito per privilegiare la propria famiglia politica. La componente del CDU che ha creduto nel progetto portando il simbolo difeso allo stremo, fino a laceranti scissioni è stata marginalizzata. I suoi rappresenti sono stati considerati figli di secondo letto.

E questa è la più forte contraddizioni tra enunciazione di valori e lo pratica concreta attuazione. Casini è tornato al CCD ed ai suoi numeri.

Con l'annullamento in Scelta Civica è stata cancellata la presenza dei cattolici scomparsi come partito organizzato, come bandiera, quel vessillo in cui abbiamo creduto in anni duri di impegno politico. Casini dopo la fine della prima repubblica, prima si è attaccato a Berlusconi nel 1994, poi si è attaccato al CDU di Buttiglione, poi allo Scudo Crociato con l'operazione UDC, poi come scelta finale al "montismo".

Scelta infausta perchè il montismo andava ed è andato contro la storia e le politiche che abbiamo portato avanti nei decenni in favore degli artigiani, degli agricoltori, dei piccoli imprenditori, della orizzontalitá dei corpi intermedi piuttosto che la verticalitá dei poteri forti. È stata privilegiata la politica recessiva di una sfibrante austeritá senza la conoscenza dei problemi del paese piuttosto che la economia sociale di mercato e le politiche di solidarietá. E questo è l'errore politico piú grande.

Noi abbiamo portato quel vessillo con laceranti scissioni che poi è stato svenduto sull'altare di un accordo con i bocconiani con gli interessi forti, ma la ubriacatura è finita per eccesso di tatticismo, per deficit di idee e di prodotto.

Il prodotto politico non si compra al supermarket della comunicazione.

 

Richiede credibilitá, richiede coerenza, richiede passione, richiede partecipazione, richiede consenso costruito nella vita di ciascuno di noi. Il mondo non è solo la rete telematica che può essere uno strumento di ausilio nella circolazione delle idee e di comunicazione per facilitare il dialogo e non per imporre la propria posizione.

La nostra storia è una cosa diversa e la rivendichiamo con orgoglio.

Di tatticismi si può morire, politicamente si intende.

È finita la stagione dei furbetti, di quelli che privatizzavano gli utili e socializzavano le perdite.

Si riparte con un nuovo impegno più forte di prima, ma deve essere un impegno fondato sulla generositá e sulla solidarietá. Dobbiamo passare il testimone non prima di avere combattuto una ultima battaglia, quella di favorire una riaggregazione dei cattolici, per recuperare una presenza non su falsi valori, ma su quelli veri, soprattutto con una coerenza tra enunciazioni e comportamenti quotidiani.

Dopo il fallimento di Todi 1 e Todi 2, dopo che si è incenerito il conventicolo del Gianicolo con l'uscita di Riccardi, abbiamo il dovere di guardare avanti.

Non possiamo arrenderci di fronte al disastro politico.

I problemi dell'Europa si risolvono innanzitutto dentro la grande famiglia del PPE, per meglio trovare una sintesi sui valori della partecipazione e della solidarietá.

 

Roma 13 maggio 2013

 

 

 

 

 

 

Tassone sfida Casini: «Udc a congresso»

MILANO - L'Udc a rischio spaccatura. «Ci vediamo l'11 maggio all'Hotel Parco dei Principi per "riaggregarci". Non per una scissione, né per far rinascere il Cdu ma per riaggregare le nostre forze». Mario Tassone lancia la sfida a Pier Ferdinando Casini e affila le armi chiedendo un «congresso dell'Udc il prima possibile» e convoca a Roma, appunto, il Consiglio nazionale del Cdu, rivendicando un cambio di regia alla guida del partito. Tassone parla di «disastro elettorale» in merito al voto di febbraio. I cdu chiedono ai vertici del partito «di fare un passo di lato». «Un partito burocratico, privatistico e stantio, ha detto Tassone, è la negazione della politica. Ognuno di noi che ha esperienza in Parlamento, vuole dare la possibilità alle nuove leve di essere protagoniste».


04 maggio 2013 - Corriere della Sera - pagina 11

L'on. Mario Tassone ha predisposto il documento politico che portiamo a conoscenza di quanti hanno condiviso con me l'impegno politico.             Sen. Maurizio Eufemi      

Caro amico,

le ultime vicende politiche sono contrassegnate da un processo inesorabile di depauperamento di valori e di ideali. Le fondamenta su cui si è costruita e si è sviluppata la struttura organizzativa e istituzionale del nostro Paese sono sempre più gracili e la politica che ne era l’architrave si è svuotata di quei contenuti e di quelle tensioni che avevano ravvivato gran parte della storia del dopoguerra.
Ci si è proiettati alla ricerca delle novità che in molti casi non hanno prodotto dati positivi, ma hanno abbattuto riferimenti importanti come i partiti politici ai quali la Carta Costituzionale aveva dato un compito insostituibile come strumento per i cittadini per la formazione e per l’espressione delle loro scelte. Dal 1992/1993 non ci sono, quindi, più i partiti come associazioni libere di uomini e donne, di giovani che stavano insieme perché accomunati dalla stessa sensibilità e dagli stessi obiettivi. I movimenti, i talk show hanno sostituito l’attività di piccoli e medi nuclei di cittadini che si associavano nella pluralità delle sezioni per confrontarsi sulle piccole e grandi questioni che interessavano il Paese.
Ci si è proiettati, ormai, in una dimensione dove il rapporto fra uomini e la ricerca attraverso il confronto delle idee hanno lasciato spazio soltanto alla possibilità di essere i commentatori di ciò che si ascolta. Questo è un aspetto disarmante perché ha minato la responsabilità che deriva da un’attività di impegno diretto e la capacità di proposta che nasce attraverso una ricognizione di esigenze, quelle vere, che provengono dalla base.
Quello che appare più preoccupante in questa fase è che si tenta di disperdere definitivamente gli sforzi, fatti nei primi anni novanta, di difendere comunque il patrimonio rappresentato dai cattolici democratici e dai riformisti. La scissione del PPI del 1995 si sviluppò intorno a due questioni, tra chi credeva che i cattolici potessero ancora dare un forte contributo in politica se organizzati e chi pensava che quella fase era finita e che le proprie idee e la propria visione del mondo potessero avere senso anche se variamente distribuite in tutte le formazioni politiche. Il risultato è stato che la presenza dei cattolici e dei riformisti è diventata sempre più ininfluente e marginale.
Il CDU nasceva dalla scissione del PPI per assicurare continuità ad una esperienza culturale e politica nel solco del pensiero sturziano, degasperiano e moroteo. Successivamente, nel dicembre 2002, diede vita insieme al CCD e a Democrazia Europea alla “Unione dei Democratici Cristiani di Centro” (UDC) dando a questa formazione il contributo della sua coerenza, rappresentato dal simbolo dello scudocrociato, di cui altri si erano disfatti precipitosamente ritenendo che potesse essere considerato il sinonimo della vergogna e del malaffare. Si rinnegava così la lotta di milioni di italiani che avevano difeso, attraverso questo simbolo di libertà, la democrazia e la giustizia, restituendo al Paese dignità e un futuro ricco di obiettivi raggiunti.
Oggi bisogna difendere quella storia. Ecco perché intendo, con alcuni amici, riaprire il dibattito, convocando a breve termine un Consiglio Nazionale del CDU per non disperdere le passioni di una stagione che ci ha portato nel dicembre 2002 ad aggregarci nell’UDC. Quella scelta non va negata, ma va verificata aprendo una fase di sempre più ampi coinvolgimenti per rafforzare un’area dove convergono realtà di cattolici democratici e di riformisti che possono, ancora oggi, dare un importante contributo per ricomporre il tessuto della politica, attraverso le opportune riforme in campo istituzionale, economico, sociale e culturale.

Mario Tassone

E' tempo di riprendere un cammino insieme. 

Il giorno 11 maggio alle ore 14, a Roma presso l'Hotel Parco dei Principi, su iniziativa dell'associazione del CDU è fissato un incontro esteso a tutti gli amici che intendono impegnarsi in questa fase delicata a rilanciare una iniziativa nel solco della storia sturziana, degasperiana e morotea, tesa ad aggregare tutte le forze del cattolicesimo democratico e dei laici riformisti per rilanciare quell'impegno che é stato alla base della costituzione dell'UDC e che non può essere ne smentito, ne tantomeno dissolto.

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A questo proposito pubblichiamo un articolo dell'Agenzia Reuters Italia:

"Scelta civica, ex Cdu preparano scissione da Udc - venerdì 3 maggio 2013 15:15

ROMA (Reuters) - Continua vivace il dibattito interno fra i centristi di Scelta civica dopo il deludente risultato elettorale e l'Udc si prepara a riprendere la sua autonomia dal resto del movimento, ma con grossi problemi interni fino all'annuncio di questa mattina di una possibile scissione della sua componente interna proveniente dal vecchio Cdu.

Mentre il partito di Pier Ferdinando Casini sta preparando il percorso verso il proprio congresso rifondativo ed ha nettamente invertito la rotta rispetto al percorso di confluenza in Scelta civica, questa mattina gli ex Cdu hanno presentato una loro iniziativa per il prossimo 11 maggio.

In quella data si terrà a Roma il Consiglio nazionale del Cdu, come hanno annunciato Mario Tassone, Ivo Tarolli, Maurizio Eufemi e Angelo Sanza nel corso di una conferenza stampa alla Camera.

Per ora la manifestazione si configura come la richiesta "di un congresso su basi nuove, di garanzia", come ha detto Tassone e come l'invito a "Lorenzo Cesa [attuale segretario], Rocco Buttiglione [presidente] e Casini di fare un passo di lato", come ha detto Tarolli.

Ma è pronta anche la cosiddetta "opzione B", cioè una vera e propria scissione come hanno detto alcuni degli intervenuti."

(Paolo Biondi)

     

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani
(personalità giuridica ai sensi D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361)


L’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani – A.N.P.C.
in collaborazione con le ACLI
CATTOLICI E RESISTENZA A ROMA
Testimonianze e riflessioni
Venerdì 19 aprile 2013, ore 16,30
Istituto Luigi Sturzo
Via delle Coppelle 35, 00186 Roma


Introduzione


Prof. Gian Luigi Rondi
Presidente Onorario Sezione Partigiani Cristiani di Roma


Relazioni


Sen. Adriano Ossicini
Prof. Francesco Malgeri

 

Testimonianze


S.E. Card. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo
Sen. Maria Lisa Cinciari Rodano
Antonio Parisella
Mario Barone

 

 

La parabola dell'Ulivo nella testimonianza di Gerardo Bianco

La parabola dell'Ulivo è l'ultimo libro-intervista di Gerardo Bianco, che con le stimolanti sollecitazioni di Nicola Guiso, completa la analisi ricostruttiva del decennio 1992-2001. E’ il proseguimento del precedente volume dello stesso autore " la balena bianca l'ultima battaglia".

È una rilettura penetrante di due legislature: quella breve dal 1994 al 1996, quella del ribaltone e quella del successo dell'Ulivo del 1996, - determinato anche per la scelta elettrorale autonoma della Lega Nord - fino al suo dissolvimento nel 2001. Nel 1998 interverrà la caduta alla Camera del governo Prodi anche per la scarsa conoscenza delle dinamiche parlamentari del Premier; poi subentrerà il governo D'Alema sostenuto da Cossiga con l'operazione UDR e i cosiddetti “straccioni di Valmy” più come momento di legittimazione democratica degli eredi del PCI che non per l'errore di ritenere l’UDR, luogo e punto di aggregazione di una linea di centro sinistra. Completerà la legislatura il secondo governo Amato che porterà alle elezioni del 2001.

La ricostruzione degli avvenimenti avviene per via cronologica così le vicende politiche e parlamentari si intrecciano attraverso i protagonisti degli eventi. Bianco dà voce ai personaggi collegandoli alle principali vicende: dalle riforma istituzionale con la Commissione bicamerale presieduta da D’Alema, alla politica estera e comunitaria con la fase dell’ingresso nella moneta unica, dalle questioni economiche per il sostegno al rigore e al risanamento finanziario a quelle sociali; irrompono nel racconto le vicende partitiche e congressuali e i rapporti con le altre forze politiche e, inoltre, il rapporto con le gerarchie ecclesastiche nei confronti delle formazioni eredi della posizione dei cattolici impegnati in politica.

Bianco svolge una analisi accurata con il rigore dello studioso, con l'esperienza del politico di lungo corso e del parlamentare protagonista di tante vicende, con i ricordi personali, con le testimonianze documentate.

Colpisce la voglia di puntualizzare, di chiarire, di sgombrare ombre e dubbi su molti punti e su singoli aspetti.

Viene smontata la teoria del doppio stato che rappresenta una grave alterazione della realtá storica, sottolineando in modo particolare la contraddizione evidente che deriva dalla straripante libertá del potere inquirente e dall’alterato equilibrio tra Parlamento e Magistratura, tra potere legislative e ordine giudiziario.

Viene criticata la politica del doppio binario perseguita da chi sta al governo e sta al fanco di chi nelle piazza lo contesta. Sul piano partitito interno contesta la politica del piccolo cabotaggio rispetto a quella fondata su un forte sistematico impegno culturale e programmatico riferito ai grandi probemi aperti nel Paese.

Bianco ricostruisce queste vicende da un osservatorio privilegiato: quello della funzione di segretario politico del Ppi e poi di presidente dello stesso partito fino alla nascita della Margherita. Vive intensamente I momenti di tensione e di strappo nel suo partito nella fase di costruzione del’Ulivo, della sua crescita e della parabola dissolvente.

È una operazione veritá, su fatti ed eventi, ricca di riferimenti culturali supportata da testimonianze e ampia documentazione, che permette di penetrare dentro le vicende politiche vissute da un protagonista di quegli anni. Il libro ha il pregio della obiettività, della serenitá di giudizio che solo un intervallo di tempo sufficientemente ampio permette di esprimere.

Racconta una storia politica, quella dei cattolici democratici, che matura con la fase della transizione apertasi nel 1992 e che porterá alla diaspora dei democristiani attraverso rotture politiche, laceranti scissioni e infinite vertenze giudiziarie. Su questo punto si può non essere d’accordo con l’autore soprattutto sul fatto che nel PPI c’era ab origine chi voleva andare oltre, verso qualcosa di nuovo e puro, rinnegando tutto il passato. Quel qualcosa sarà prima la Margherita e poi il Partito Democratico. Del resto tale preoccupazione viene anche riconosciuta dallo stesso Gerardo Bianco, ma forse sarà il tema del prossimo terzo libro a completamento della trilogia.

Ripercorre e analizza con riferimenti puntuali le fasi congressuali del Ppi e le linee contrapposte con i sostenitori dell'alleanza con la destra berlusconiana nella illusione di prenderne la guida con evidenti errori di sottovalutazione della forza e della leadeship di Berlusconi.

Questa valutazione credo sia stata la più lungimirante. Va infatti riconosciuto che tutti coloro che dal 1994 hanno stretto alleanze con Berlusconi – ad eccezione della Lega Nord che ha una sua peculiarietà e territorialità - sono scomparsi dal panorama politico o sono stati assorbiti, vaporizzati nella sua formazione politica!.

Bianco racconta la "storia di una sconfitta politica" come afferma lo storico Piero Caveri nella postfazione o piuttosto rivendica l'orgoglio di una posizione tesa a difendere una cultura politica, una tradizione popolare e democristiana propria del cattolicesimo politico, la difesa strenua di una esperienza politica che si concluse dopo la breve esperienza del Partito Popolare con la fine della Margherita e quindi con quella dell'originario nucleo di cattolici?.

Esprime preoccupazione per gli stravolgimenti costituzionali operati dalla "costituzione materiale", per il dilagante populismo distruttivo, per la desertificazione culturale, per l'assenza di riferimenti culturali e politici fondamentali per il vivere civile, per la progressiva trasformazione della democrazia in oligarchia, con il prevalere di interessi lobbistici piuttosto che la ricerca di un diffuso bene comune.

Rispetto alla deriva presidenzialistica difende il ruolo del Parlamento che nel sistema costruito dai costituenti resta un presidio istituzionale insostituibile per il governo democratico del paese. Tale convinzione lo spinge ad affermare che è "dalla restaurazione parlamentare, anche attraverso una buona legge elettorale, può rinascere e riaffermarsi la necessaria preminenza della politica oggi confiscata da un economicismo pratico, neppure virtuoso"

Non fa sconti a nessuno dei personaggi politici che attraversano il suo racconto.

Nel giudizio non v'è mai un risentimento personale, ma una valutazione politica oggettiva sulle scelte e sui comportamenti tenendo ben presente il principio dell'amico storico Gabriele De Rosa per il quale " in politica non conta solo la teoria, ma, nella stessa misura, la pratica, il vissuto, al fine di verificare la coerenza tra i principi e l'azione". E ciò vale soprattutto per le persone e in modo maggiore per i leader politici o presunti tali.

Nella narrazione si ritrova preoccupazione costante e diffidenza verso una posizione subordinata derivante da una alleanza con la destra per la presenza di forze più spregiudicate ed estreme, dotate di grandi risorse e capacità di cancellare l'anima popolare del partito a cui guardava e a cui guarda. Quasi un richiamo costante alla logica degasperiana della forza di centro che guarda con attenzione critica a sinistra.

Resta come una ossessione la difesa e la salvaguardia di una esperienza politica, quella del PPI, rafforzandola e qualificandola sul terreno, ideale, culturale e politico programmatico. Difesa dunque di ideali e identitá convergenti verso una coalizione di forze politiche diverse, piuttosto che il perseguimento del progetto del partito unico ulivista, come forza unitaria. Per Bianco è infatti un "suggestivo progetto intellettuale, ma privo di fondamento storico e politico"con il prevalere di una posizione politologica che prescindeva dalla differenza delle ispirazioni e dalle tradizioni delle due componenti maggiori PDS e PPI e da una corretta valutazione della realtá culturale, sociale e politica del Paese.

La lettura del libro di Gerardo Bianco, a poco più di un mese dalle elezioni politiche del 25 febbraio aiuta a comprendere la complessitá della storia dei cattolici democratici impegnati in politica, prima divisi e poi definitivamente scomparsi dalle Aule parlamentari insieme ai loro vessilli manipolati dallo originario scudo crociato. Bianco racconta anche la fine di una storia protagonista della ricostruzione del Paese. E ciò aiuta anche a riflettere sul futuro di tutti noi. Quella storia di straordinario progresso, di crescita civile , economia e sociale merita di riprendere un cammino. Bianco difende quella storia con il rammarico per la convergenza di tanti errori e per l'assenza di una” isola” su cui approdare: l’isola che non c’è.

Traspare una profonda amarezza per la situazione che viviamo ed è bene rappresentata dalla constatazione di assenza di prospettive politiche per una inarrestabile deriva politologica ritenendo che i “movimenti politici sono diventati come il Lego utili per comporre e scomporre alleanze a seconda della stagione elettorale”.

Maurizio Eufemi

Roma, 4 aprile 2013

Riprogettare un impegno politico

Il risultato elettorale del 24 e 25 febbraio pone i cattolici di fronte alle loro responsabilità. Per la prima volta dal dopoguerra non c’è in Parlamento una entità riconoscibile, una rappresentanza organizzata. Si è passati dalla irrilevanza alla insignificanza. E’ come se una società pluralista, nata dalla Resistenza e dalla Carta Costituzionale fosse monca di una sua componente originaria. Tutti i vessilli sono stati ormai ammainati, compresi quelli che facevano riferimento a lembi di tessuto del glorioso scudo crociato. Non sono pochi gli elettori che di fronte ad una offerta politica che rinvigoriva lo schema bipolare destra – sinistra, si sono rifugiati nella indifferenza e nell’astensione. V’era poi l’anomalia del Movimento cinque stelle che coglieva in modo copioso i frutti dell’antipolitica agitata da certa stampa interessata ad un cambiamento sul sistema attraverso scosse telluriche mediatiche determinando un risultato che è andato in una direzione inaspettata nella dimensione, diventando un terzo polo di pari entità degli altri due. I tre poli sono divergenti nella azione programmatica e nelle prospettive.

Le legge elettorale, immutata per convenienza, nonostante le sollecitazioni, ha poi favorito l’arroccamento dei partiti-coalizioni chiusi nei loro cerchi impenetrabili a qualsiasi logica e regola di democrazia interna.

La lista civica di Monti con un risultato inferiore alle aspettative ha prosciugato completamente il serbatoio elettorale dell’UDC e di Futuro e Libertà portando Casini e Fini all’irrilevanza politica per essersi schiacciati sui potentati e sui circoli di potere venendo meno alla idendità dei rispettivi partiti. Gli elettori hanno percepito le ambiguità e le contraddizioni di Lista Civica, così come il venire meno alle aspettative e agli obiettivi del governo di tregua, che si trasformava progressivamente nella prospettiva elettorale in governo politico. Un governo tecnico senza anima politica ha finito per compiere errori gravi errori di politica economica senza quel respiro e quella mediazione che solo la politica può dare. I 14 mesi di governo hanno dato seguito alla finanziaria recessiva, alla riforma delle pensioni con evidenti scompensi valutativi sugli esodati , ad un mercato del lavoro che ha ristretto l’occupazione anziché favorirla, ad una line ad politica estera divisiva perfino sulla vicenda dei marò con la implosione del governo nell’aula di Montecitorio.

Gli elettori hanno distintamente compreso il fallimento di Todi 1 e di Todi 2, il venire meno di alcune componenti e movimenti e soprattutto il ripiegamento delle gerarchie cattoliche rispetto a più coraggiosi e decisi orientamenti politici.

Gli elettori hanno determinato un risultato che per lista civica vanifica il tentativo di diventare l’ago della bilancia soprattutto in Senato dove i numeri sono più precari.

Per i cattolici si pone allora una scelta fondamentale, quella di riprendere un cammino di unità, di superare la fase della diaspora, di cancellare le divisioni, di abbandonare sterili personalismi e deboli leadership, di porsi, invece, con umiltà alla ricerca di un coagulo che permetta di ritrovarsi insieme, di guardare alle nuove generazioni con generosità nel segno di una nuova e rinnovata piattaforma politica e culturale.

Non abbiamo bisogno, oggi, di tanti giocatori, di soli reduci di tante battaglie politiche, ma acciaccati e logorati nel fisico, ma di sapienti allenatori che sappiano dare consigli intelligenti e utili indicazioni. Abbiamo bisogno di energie nuove , vitali per una stagione politica che si apre nel segno della incertezza e della precarietà, mentre ci sarebbe bisogno di Istituzioni solide e riformate, soprattutto per competere adeguatamente nella economica globalizzata e nel contesto europeo.

Questo è il momento non di ripiegarsi in se stessi ma di mettersi al servizio di una idea ricostruttiva degli ideali che ci hanno accompagnato in cinquanta anni di vita politica e parlamentare. Il momento della emergenza richiede di mettere tutte le forze in campo. Non c’è più tempo da perdere. C’è in campo Camaldoli due con l’impegno quotidiano di Bartolo Ciccardini e può essere un momento importante di elaborazione culturale aperta, senza le chiusure e i recinti di Todi 1 e 2, ispirata a metodi e principi per nuovi slanci ideali. Da qui a luglio però dobbiamo attivare la rete orizzontale fatta di persone, di associazioni, di movimenti e di strumenti adeguati comprese le nuove tecnologie per risvegliare coscienze e intelligenze sopite, recuperare e alimentare tensioni morali e culturali con la generosità di chi vuole essere ancora attore e protagonista in ogni possibile ruolo, di chi non si arrende alla situazione politica attuale e agli errori di scelte politiche insensate. L’effervescienza creativa dei singoli andrebbe meglio coordinata e indirizzata.

Se saremo in grado di creare un ponte intergenerazionale positivo tra giovani e meno giovani, tra figli e genitori, tra nipoti e nonni allora si avremmo raggiunto un obiettivo grande che stempera le tensioni, facilita il dialogo, elimina la frattura intergenerazionale alimentata per creare divisioni e per distruggere l’architettura della società italiana costruita sui valori della solidarietà familiare recuperando quel modello che ci ha permesso di superare tante difficili prove. Dovremo forse recuperare un linguaggio semplice, come il “discorso dello spazzino” del 1951 in Campidoglio, cioè dell’uomo della strada per citare il famoso filosofo del diritto Giuseppe Capograssi .

Ripartire da questo momento di sconfitta politica per l’intero movimento dei cattolici per rinnovare una tensione ideale per guardare ad una nuova funzione del politico cattolico perché non è neppure più quella “dell’amministratore dei voti” per citare una frase di Augusto Del Noce. Perché non ci sono più voti e non si sono più amministratori.

E allora mettiamoci in cammino, riprendiamo vigore per ridarci una rappresentanza politica. Ripartiamo dall’entusiasmo giovanile dei più esperti, ma protagonisti di tante battaglie parlamentari, come Bartolo Ciccardini, Publio Fiori, Gerardo Bianco, Mario Tassone e quanti vogliano impegnarsi per non arrendersi alla irrilevanza, per non rassegnarsi all’indifferenza.

Possono essere il comitato dei garanti di una nuova stagione. Nella fase che si aprirà I generali dovranno guadagnarsi le stellette sul campo senza investiture o cooptazioni.

Alla vigilia della Santa Pasqua di Resurrezione ritrovare e rinnovare l’utopia di Camaldoli significa essere consapevoli della nostra memoria e di non avere paura del confronto per guardare al futuro senza rassegnazione.

Roma, 28 marzo 2013

Incontro ANIOC

Chieri 17 marzo 2013 - Sala della Conceria

 

Caro Delegato Regionale Cavaliere di Gran Croce Carlo Varni,

Autorità civili militari e religiose,

Cari Cavalieri e gentili dame,

Care Amici e care amiche,

 

Caro Commendatore Ciuffardi,

 

ti avevo promesso che sarei venuto qui e oggi sono felici di incontrare Te e tutti voi. In questi anni non ci siamo visti come avrei desiderato, ma ci siamo sentiti spesso.

Ci eravamo però incontrati in occasione dei festeggiamenti per il 150° dell’Unità di Italia e il giorno prima a Sciolze dall’amico Marco Ruffino che splendido padrone di casa nella presentazione del mio libro: Politica senza eredi, che ieri sono andato a dibattere a Cuorgnè.

Questo posto mi riporta indietro nei ricordi alle giornate del 2001, quando insieme a molti di voi abbiamo combattuto un battaglia politica. Spero di non avervi deluso. Oggi ho un po’ di rammarico nel vedere la scarsa partecipazione alla vita politica del Paese.

Un sentito ringraziamento dunque al comm. Nello Ciuffardi per avermi invitato al decennale dell’ANIOC di Chieri, perché ha il senso vero della amicizia e delle Istituzioni.

Grazie commendatore Ciuffardi, Presidente Ciuffardi, per la tua vitalità, il tuo impegno, i tuoi straordinari risultati con la sezione ANIOC di Chieri che supera quella di città più importanti. Grazie per avere voluto tutto questo, per esserti prodigato con passione e senza risparmio per la riuscita della manifestazione che è ormai una consuetudine alla vigilia di San Giuseppe, la festa del papà.

Credo che l'appartenenza all'ANIOC ci deve far sentire più vicini gli uni con gli altri, ci deve rafforzare nel legame interpersonale.

Io da parte mia, in questi anni di frequentazione ho cercato di farlo.

 

Questa nostra appartenenza deve aiutarci ad approfondire la nostra vicinanza alle Istituzioni e viverle consapevoli delle finalità più autentiche.

La Cavalleria fu una delle più caratteristiche e significative istituzioni della storia, con orme indelebili, vicende memorabili, tradizioni sempre più vive tra gli strati migliori della società.

E sono lieto di essermi impegnato affinchè i cittadini di Chieri, così fortemente impegnati nella società civile, nel volontariato abbiano il meritato riconoscimento delle Istituzioni perpetuando la loro funzione morale e civile.

Questi appuntamenti a livello nazionale e internazionale, come quello in programma a Malta nel prossimo giugno, così ricchi di partecipazione hanno costituito e costituiscono il momento migliore per tracciare un bilancio approfondito della nostra attività in questi ultimi cinquantasei anni di attività.

I riconoscimenti che tutti voi avete ricevuto come segno di benemerenza per la vostra attività nei diversi campi della vita economica, sociale, civile, sono la espressione della vostra generosità, del vostro impegno della vostra passione civile e deve essere uno stimolo vivo sempre più a guardare agli altri, al prossimo.

Le nostre apparenze esterne sono un segno di distinzione, che non è uno sfoggio di vanità, ma segno di appartenenza e dobbiamo impegnarci verso quanti ci avvicinano per ragioni di lavoro, di rapporti sociali.

Non dobbiamo dimenticare le virtù dei cavalieri che sono la lealtà, il coraggio, la generosità, la disciplina.

Mentre con soddisfazione vedo accrescere il numero degli iscritti anche per le nomine che nel corso degli anni dal 2001 al 2013 sono state registrate, con una attenzione all'area del chierese per quanti hanno operato nella società civile in particolare nel mondo della impresa, soprattutto nel volontariato, nella società civile trovando un meritato riconoscimento delle Istituzioni. Di ciò mi sono fatto carico come senatore del collegio.

Tra questi desidero ricordarne alcuni come il Comm. Fazzino, dell’Arma dei Carabinieri, Nicola Mercurio, Alessandro Pavesio, Massimiliano Puleo, Francesco Lupo, Antonino Misale, Angelo Grande , Nicola Castelli sono stati insegniti tra gli ultimi nel 2012. Mi fermo qui.

Avv. Notaristefano e Laura Ronco, Cucci Vincenzo, Arnaldo Schiattone, Vincenzo Misale, Nicola Ciraci, Leonardo Scopece, Deiana Di Giovanni, Pasquale Busceti le nomine sono state attivate.

Ed altre nomine arriveranno nel corso del 2013. Ce n’è una alla quale tengo in modo particolare quella di Marco Ruffino. Spero che abbia il riconoscimento. Di ciò sarò particolarmente lieto.

Di fronte alle difficoltà dei tempi che viviamo e che coinvolgono il Paese in tanti aspetti della vita economica e sociale, come non sottolineare che gli appartenenti dell'ANIOC sono parte attiva di qualche cosa di positivo, nel campo politico, sociale, economico, rendendo un prezioso servizio alla Nazione.

Abbiamo dunque doveri accresciuti; abbiamo il dovere di fare meglio; abbiamo il dovere di aiutare il prossimo e aiutarlo con generosità; abbiamo il dovere di diffondere la vocazione nel simbolo della amicizia universale.

Questa giornata che coincide con la festa della Unità di Italia, vuole essere allora non solo il momento per ritrovarsi su un programma che coniuga momento religioso, interessi culturali, approfondimenti civili ma anche il momento della riflessione su questioni che non meritano di essere confinate o nascoste, ma al centro della nostra attenzione e azione quotidiana.

 

Vi ringrazio per l'attenzione.

 

Chieri, 17 marzo 2013

 

 

 

Per lo sviluppo dell’Italia a partire dal Mezzogiorno

Napoli Hotel Royal 12 - 13 marzo 2013

 

 

Intervento Sen. Maurizio Eufemi

La ubriacatura dei bocconiani è finita il 25 febbraio. È finita anche una idea di austeritá c'è porta alla recessione. La soluzione non può essere una decrescita felice(?) che porta alla miseria, già conosciuta dalle generazioni del dopoguerra.

Il Mezzogiorno è scomparso dall’agenda politica, ma non i suoi problemi che investono l'intero Paese. Di fronte alla crisi prevalgono interessi egoistici piuttosto che una solidarietà diffusa.

Il debito pubblico è conseguenza di politiche assistenzialistiche universalistiche che hanno accentuato la ricchezza privata dei rentiers. Solo il 18 per cento della ricchezza finanziaria appartiene al Sud. Mentre il 63 per cento appartiene al Nord. Una quota rilevante del costo del debito pubblico ritorna alle famiglie del nord generando flussi aggiuntivi di reddito. Calcolando la media annuale dei BTP del 4,12 per cento nel quadriennio 2009-2012 de deriva che oltre 4,5 md di interesse rappresentano un flusso diretto dello Stato italiano al Nord ( un terzo di punto di PIL).

Il problema è che il Mezzogiorno oggi, più che in passato, soffre il problema del credito. E’ evidente la sottobancarizzazione del Mezzogiorno dove non c’è una filiale di banca estera. IL numero delle società quotate è di 12 su 272, perfino inferiore al numero di 13 del 1955. La crisi del credito è evidenziata dai finanziamenti, dalle sofferenze dell’industria e delle famiglie, dai divari dei tassi di interesse attivi e dalla minore remunerazione con tassi di interesse passivi interiori al resto del Paese. E come se il valore dell'euro fosse diverso tra le aree del Paese. Il merito di credito standardizzato finisce per penalizzare il Mezzogiorno e le sue aziende più competitive.

La Banca del Mezzogiorno con i suoi 250 sportelli appare inadeguata rispetto agli oltre 13 mila sportelli postali. Il volume degli impieghi è marginale rispetto a banche come Banca Sella o Banca delle Marche che con numero di sporlelli della stessa dimensione sviluppano rispettivamene impieghi per 8 miliardi e 17 miliardi.

Il quadro negativo del sistema bancario meridionale è completato dal peso insignificante delle Fondazioni bancarie che non garantisce il Welfare di comunità, assicurato dai corpi intermedi, tale da compensare l’arretramento del Welfare pubblico, con la compressione della spesa sociale.

La Fondazione con il Sud appare più una operazione filantropica, una granello di sabbia nel deserto, limitata nella azione e nei settori di intervento che non uno strumento operativo valido per attivare azioni rilevanti. Le fondazioni del Mezzogiorno pesano per il 4,9 per cento dell’intero sistema. La riforma delle Fondazioni di origine bancaria non deve riguardare solo il legame con la politica, ma anche riparametrare le erogazioni sia rispetto alla raccolta bancaria sia rispetto ai clienti.

L’uscita dalla crisi non può prescindere da una riprogrammazione dello sviluppo, dalla rivisitazione del sistema bancario, dalla presenza e dal ruolo di una banca pubblica. Forse occorre ripensare le lungimiranti idee di Vanoni, di La Malfa e di Saraceno.

 

Roma, 13 marzo 2013

 

 

 

 

Visita di solidarietá della associazione ex parlamentari alla cittá della Scienza.

Nella foto l'incontro con il prof. Silvestrini. Sono intervenuto con il presidente Gerardo Bianco ed una delegazione di ex parlamentari e ex consiglieri regionali

 

Eufemi presenta a Cuorgnè il suo libro "La politica senza Eredi"

IL PARLAMENTO RINGIOVANISCE? - Alcuni dati

 

Il "Corriere della sera" di mercoledì 27 febbraio in un articolo titolava "il Parlamento ringiovanisce", ripreso, senza firma anche da Corriere.it con un diverso titolo "il parlamento più giovane di sempre". Viene citata una analisi della Coldiretti, ma anche una associazione importante può indurre in errore perchè i dati statistici vanno letti attentamente e interpretati.

Non si può mescolare la Camera con il Senato. E' diversa per i due rami del Parlamento l' età per l'elettorato passivo.

 

"Si sostiene che l'età media scende a 48 anni contro i 54 dei deputati e i 57 dei senatori di adesso".

 

Anche con la somma tra Camera e Senato l'età media non raggiunge i risultati del passato.

Vorre portare alcuni dati frutto di specifici studi di statistica parlamentare.

 

L'età più bassa della Camera dei Deputati si è registrata nelle elezioni della prima legislatura con 45,9, quindi nella primissima repubblica.!!!

 

La serie storica è 47,1 nella seconda; 46,1 nella terza; 50,0 nella quarta; 48,2 nella quinta; 49,1 nella sesta; 49,6 nella settima. I gruppi parlamentari più giovani di età nella prima legislatura furono M.S.I. con 38,5 nella prima e PCI con 42. Il più anziano il PRI con 50,9.

 

Se guardiamo alle classi di età nella prima legislatura furono 39 quelli nella classe 25-29; 66 in quella tra 30-34; 76 nella classe 35-39; 79 in quella 40-44; 123 nella classe 45-49; 94 nella classe 50-54; 46 nella classe 55-59; 31 nella classe 60-64; 15 nella classe 65-69; 5 nella classe 70-74. Per un totla edi 574 deputati.

 

Nessun ultrasettantacinquenne nella prima legislatura.

Gli ottantenni si ebbero nella IV leg 1, V leg, 1, VI leg, 1 e 2 nella settima legislatura.

 

La classe di età 35-39 per due legislature la II e la III ha rappresentato il valore modale. con 98 unità e 121.

Infine per quanto riguarda i gruppi parlamentari.

 

Nella prima legislatura furono 39 i deputati nella classe tra 25-29 anni di cui 19 PCI e 12 DC. 66 quelli della classe 30-34 di cui 19 PCI e 32 DC.

Convegno centenario nascita Giuseppe Dossetti

Sala del Mappamondo - Camera dei Deputati

21 febbraio 2013

L'associazione ex parlamentari della Repubblica ha voluto commemorare la figura di Giuseppe Dossetti  dalla resistenza alla costituzione  nel centenario della nascita con una cerimonia che si è svolta nella sala del mappamondo alla camera dei deputati.

Sono intervenuti Gerardo Bianco, Presidente della Associazione con una introduzione all'anno dossettiano, Giuseppe Bianchi presidente nazionale dei partigiani cristiani  su Giuseppe Dossetti e la difesa della Costituzione, Bartolo Ciccardini  su la  crisi italiana  e il nuovo Risorgimento e Giancarla  Codrignani su Dossetti: una voce ancora valida per noi.

In un tempo di crisi della politica una riflessione a pochi giorni dal voto rappresenta il tentativo di guardare ai valori profondi della Costituzione e non disperdere il patrimonio di quanti hanno combattuto per la libertà

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Dalle promesse elettorali alle proposte

 

(articolo per il sito DIRSTAT - www.dirstat.it)
 

In una campagna elettorale contrassegnata giorno dopo giorno da fantasiose quanto irrealizzabili promesse improntate al rialzo, il confronto politico ha finito per allontanarsi progressivamente da una verifica concreta dei programmi. Anche le agende sono state riposte rapidamente nei cassetti.

 

Questa campagna invernale "corta", con il marchio della proposta shock, è diretta conseguenza della situazione recessiva e di crisi profonda che investe il paese sia nella economia reale che negli aspetti sociali. La crisi è stata aggravata da errori gravi del governo tecnico che non ha saputo dare al malato la dose giusta di medicinali.

 

Non sono state sbagliate solo le riforme strutturali e di lungo periodo come quella delle pensioni, con una sottovalutazio degli esodati, e del mercato del lavoro, scarsamente flessibile e ancorato a veterosindacalimo, ma anche quella congiunturali. Prelevare 25 md di euro attraverso l'imu sifignifica non avere conscenza dello stato della economia del Paese. È stata colpita la prima casa e quindi le famiglie nel lo bene più caro. Sono stati colpiti gli agricoltori e le imprese con una tassazione smisurata dei beni strumentali. Tutto ciò è stato nascosto per molto tempo attraverso una sapiente campagna mediatica che ha distolto gli italiani dai problemi veri della crisi della finanza che necessita di nuove e rigorose regole.

 

La DIRSTAT con l'incontro programmatico dell'hotel Nazionale, quindi in una sede immediatamente vicina al Palazzo della politica ha voluto chiamare le forze politiche a misurarsi sul terreno dei programmi e non degli slogan.

Sono stati affrontati i problemi di un dannoso spoil system per recuperare il principio costituzionale della neutralitá dei dipendenti pubblici e contrastare l'area grigia degli appalti e delle consulenze che si annida nelle procedure senza adeguati controlli.

È emersa la necessitá di affrontare l'attuale sistema duale del corpo dei vigili del fuoco dove prevale ha concezione arcaica che impedisce ai tecnici la direzione di un grande corpo di ingegneria civile e di soccorso e di eccellenza, guardando ad un nuovo modello di soccorso che preveda anche la equiparazione dei livelli retributivi con le altre forze di polizia.

Sono state evidenzate le conseguenze dannose del grande accorpamento delle agenzie fiscali, con risparmi irrrisori se non aggravi di spesa, caratterizzate da missioni peculiari di ciascuna di esse e con un modello organizzativo che non tiene conto delle difficoltá del cittadino nell'orientarsi tra provincia e territorio.

 

Prevale una concezioni di stato impositore, accertatore, valutatore, sanzionatore anzichè quella di stampo vanoniano dello stato amico del contribente teso al recupero di un rapporto improntato a fiducia. È stato rilevato il pasticcio operato con l'insabbiamento della delega fiscale che aveva introdotto il conflitto di interesse attraverso la deduzione dei documenti fiscali.

 

Sul piano previdenziale il blocco degli adeguamenti pensionistici genererá appiattimenti e livellamenti insanabili con il rischio di non sottovalutabili ricorsi alla giustizia civile.

 

La inammissibile situazione del precariato nella intera pubblica amministrazione che non trova soluzione nonostante i costi siano giá a bilancio, quindi senza oneri aggiuntivi rispetto a quelli sostenuti dalla finanza pubblica.

La cancellazione della vice dirigenza come area intermedia operata con la spending review dopo la pronunzia del tar lazio che ne chiedeva il rispetto del dettato normativo.

 

Su questi problemi le forze parlamentari saranno chiamate a misurarsi nella XXVII legisatura che sta per aprirsi.

Le riforme sono state imposte dall'alto senza alcuna mediazione, senza alcun dialogo senza quella partecipazione che è un pilastro della democrazia. La regole della economia e del mercato richiedono una pubblica amministrazione efficente e moderna, condizioni che si realizzano con il coinvolgimento dei soggetti e non con imposizioni.


 

Sen. Maurizio Eufemi

Giá senatore nella XIV e XV legislatura

 

Roma 14 febbraio 2013

Associazione degli ex Parlamentari della Repubblica
 

Come parla il Parlamento

Giornata di studio sul linguaggio politico e parlamentare
 

Roma, 12 febbraio 2013 ore 9,30 - 13,30
Sala delle Colonne - Via Poli, 19


Presiedono e introducono:


On. Domenico Rosati - Vice Presidente dell’Associazione ex Parlamentari della Repubblica
On. Gennaro Lopez - Presidente della Commissione Cultura dell’Associazione ex Parlamentari della Repubblica

Intervento dell’ On. Gerardo Bianco Presidente dell’Associazione ex Parlamentari della Repubblica
 

Sono stati invitati i Presidenti di Camera e Senato


Comunicazioni:


Prof. Paolo D’Achille - L’italiano della politica, l’italiano nella politica, l’italiano dalla politica. Bilanci e prospettive di studio.
Dott.ssa Miriam Di Carlo L’italiano tra prima e seconda Repubblica: esiti dell’indagine sul linguaggio parlamentare

(XI e XV Legisalatura Camera dei Deputati).
Prof. Michele A. Cortelazzo I discorsi di insediamento dei Presidenti delle Camere.

Prof.ssa Franca Orletti Fra scritto e parlato. Problemi di trascrizione dei dibattiti parlamentari.
Prof. Claudio Giovanardi La lingua della propaganda elettorale

 

Dibattito

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Intervento del sen. Maurizio Eufemi

potete vedere il video su YouTube qui

 

Condivido i rilievi appena epressi dal sen Zanone sugli eccessi di anglicismi. Tra questi non dimentichiamo window dressing che per e banche ha finito per assumere un significato un pò diverso rispetto all'abbellimento del bilancio in senso stretto. Ma torniamo alle sollecitazioni delle relazioni.

Riprenderò alcune indicazioni poste dalla Professoressa Orletti, sul rapporto scritto-parlato e sulle innovazioni nella resocontazione, dal Prof. Giovanardi sugli slogan elettorali, e da ultimo dal Dott. Garzia sul mutato ruolo della stampa.

 

Le smentite, anche rilevanti, anche ripetute, sono correzioni agli errori di comunicazione e a volte della guerra mediatica tra uffici stampa, di ghost writer dove prevale la ricerca del colpo ad effetto in velocità piuttosto che non la ricerca di un linguaggio più meditato.

Le innovazione tecnologiche, sia interne realspeaking, parlato-digitale, ma anche powerpoint come abbiamo visto stamane nelle illustrazioni delle relazioni D’Achille, Di Carlo e Cortelazzo, che esterne, in particolare la diffusione satellitare, diretta streaming e perfino twitter e facebook stanno producono effetti anche sul linguaggio parlamentare anche per i minori tempi a disposizione dei parlamentari, per effetto delle riforme regolamentari. L’intervento è diventato più televisivo, più diretto; le frasi ad effetto prevalgono sui ragionamenti più complessi.

 

Si parla a volte più per fuori che per dentro.

 

Gli interventi d’Aula o di commissione vengono fortemente influenzati dalle notizie in real time con il rischio di condizionare ciò che richiederebbe, soprattutto nel linguaggio, maggiore ponderazione. La stessa diffusione è più diretta che in passato. Riprendendo le considerazioni della prof. Orletti che si è soffermata sul processo di resocontazione, va sottolineato come oggi più di ieri venga completamente saltato il “processo” quello di resoconti e quindi delle agenzie di stampa più orientate e anche costrette a diversificare il prodotto informativo.

Il resoconto assume più il valore di prova sulle parole pronunciate soprattutto in caso di incidenti o di insulti o di frasi indecorose. Rispetto a questo fenomeno se ne riscontra un altro opposto. Nelle commissioni di indagine conoscitiva o di inchiesta parlamentare o anche nelle audizioni è ormai diffuso il fenomeno di ritardare l'uscita dei resoconti. La questione assume rilevanza non solo agli effetti della immediatezza rispetto ai contenuti. E’ invalsa l'abitudine di sottoporre agli auditor il testo per la correzione che può essere edulcorato cambiato sostanzialmente modificato in aspetti essenziali stravolgendo il significato dell'intervento.

Soprattutto dove il resoconto non è immediato il linguaggio viene filtrato non è qui di immediato nella interezza. Quante volte abbiamo assistito a notizie di rilievo mediatiche ma ridimensionate per incapacitá o per disattenzione. Altre volte invece solo la professionalitá di giornalisti ha permesso di realizzare autentici scoop. Ricordo a titolo di esempio una comunicazione del Ministro del Tesoro sulla vicenda del Banco Ambrosiano in una giornata di scarso rilievo parlamentare. Il giorno successive un giornale quotidiano fece un titolo di grande effetto per la capacità di quell giornalista di cogliere il significato delle parole contenute nella comunicazione parlamentare .

Il passaggio dal discorso scritto a quello parlato ha impegnato costantemenre la professionalitá dei resocontisti, di operatori professionalmente elevate nella conoscenza della lingua, della stilistica, dela procedura parlamentare, della stessa politica o del linguaggio della politica, perchè l'uso di una parola al posto di un'altra finisce per assumere significati o valori diversi.

Le trasformazioni hanno accorciato di tempi di diffusione degli atti parlamentari. In passato erano previste cinque settimane per avere la pubblicazione. Oggi I programmi di editor consentono notevoli risparmi sia nella fase della composizione che della stampa con un dialogo forte tra fase iniziale e fase finale.

Non c'è solo l'Aula, dove si concentra la attenzione mediatica. Una audizione del Ministro dell'economia può assumere grande valenza.

Una volta ad una domanda imbarazzante di un linguista eminente come Tullio de Mauro " ma resocontate proprio tutto?" Si rispose impudentemente il resocontista. Si tutto!. Beh proprio tutto no.

E’ stato rilevato da Dario Cassanello che “non vengono registrate parti non secondarie del dibattito che sono i tratti sopra segmentali, cioè le interiezioni, esclamazioni, intonazioni, e per converso i legamenti, atteggiamenti, segni e via elencando: insomma quei comportamenti vocali o di gestualitá che fanno forte presa sul segmento parola che sottendono e rappresentano il fascino del linguaggio parlato così vero e vivo nei confronti del linguaggio scritto”. (1)

Perchè v’è una differenza tra discorso a braccio e discorso scritto. C'è una pulizia del testo ed è positiva. Basti pensare ai dibattiti sui documenti di bilancio ove è forte il tecnicismo e dove prevale la immediatezza.

Rappresentare le parole non è facile. Poi vi sono le allusioni.

Poi vi sono i silenzi. Che possono essere quelli del parlamentare interrogante o del membro del Governo sui quesiti e sulle richieste della Presidenza. Come vengono rappresentati? . Il silenzio è stato studiato in 58 ragioni (Eduard Limbos, L’animazione socio-culturale, Armando Editore) nelle diverse implicazioni e nei momenti in cui è consentito intervenire.

 

A volte il silenzio anche in Parlamento, assume un significato più forte di tante parole.

 


Roma, 12 febbraio 2013

 

(1) Camera dei Deputati, La stenografia in Parlamento, 1987 Roma

 

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da sinistra: prof. Giovanardi, on. Lopez, on. Rosati, on. Bianco , prof. Cortelazzo

da sinistra: dott.ssa Di Carlo, prof. D'Achille, prof. Giovanardi. On. Lopez

 

sala Colonne

1948 - 2013                                                                            ...65 anni in prima linea

Giovedì, 7 febbraio 2013
HOTEL NAZIONALE
(Sala Cristallo)
Piazza Montecitorio – Roma


ORGANIZZAZIONE PROGRAMMATICA
“La Finanziaria alternativa”

 

RIPRENDIAMOCI IL PRESENTE


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: DIRIGENZA - AREA QUADRI - PRECARI - PENSIONI
RIFORME STRUTTURALI:CASA, SALUTE, FISCO, SCUOLA, SICUREZZA
RIFORME PARTICOLARI: EQUIPARAZIONE VIGILI DEL FUOCO ALLE FORZE DI POLIZIA
TUTELA DELLE FORZE DI POLIZIA, FORZE ARMATE E VIGILI DEL FUOCO NELLE OPERAZIONI DI SOCCORSO E DI GUERRA


Presiede il Prof. Avv. Raffaello Capunzo.
Moderatore il Sen. Dott. Maurizio Eufemi


ore 9,30 Saluto del Presidente Dirstat Dott. Alessio Fiorillo
ore 9,45 Relazione del Segretario Generale Dirstat Dott. Arcangelo D’Ambrosio
ore 10,45 Intervento dei parlamentari e dei giornalisti
ore 11,00 Intervento dei Segretari nazionali delle Associazioni
ore 12,00 Dibattito
ore 13,30 Conclusioni del Segretario Generale Dirstat Dott. Arcangelo D’Ambrosio


Nota: l’ordine degli interventi potrebbero subire variazioni a seconda degli impegni dei parlamentari e dei giornalisti
IL PRESENTE VALE COME INVITO – R.S.V.P. Segreteria Organizzativa Dirstat – Piazza del Risorgimento, 59 - 00192 Roma tel. 06.32.22.097 – fax 06.32.12.690 sito: www.dirstat.it - e.mail: dirstat@dirstat.it

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FEDERAZIONE FRA LE ASSOCIAZIONI ED I SINDACATI NAZIONALI DEI DIRIGENTI, VICEDIRIGENTI, FUNZIONARI, PROFESSIONISTI E PENSIONATI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DELLE IMPRESE

SINTESI DEL PROGRAMMA ELETTORALE DELLA

FEDERAZIONE DIRSTAT

Segretario Generale della Dirstat/Confedirstat - Dott. Arcangelo D’Ambrosio

RIFORME STRUTTURALI= almeno + 3 punti di PIL

Sono riportate ampiamente, su Riforma Amministrativa di dicembre 2012: evasione fiscale, acquisto di aerei militari, capitali all’estero, sanità ecc. (vedi sito: www.dirstat.it).

Per quanto riguarda invece, il problema della casa, è strano (e diciamo solo questo) che non si intuisca l’importanza strategica di una positiva soluzione del problema, sia ai fini della crescita delle famiglie, sia ai fini dell’economia.

Costruire case per la famiglia significa mettere in movimento un settore vitale per tutta l’economia del Paese (infrastrutture, mobili, elettrodomestici, illuminazione, energia ecc.): purtroppo dobbiamo pensare che non si vogliono creare “dispiaceri” ad alcuni centri di strapotere, presenti anche fisicamente nei “listini elettorali”. Per risolvere il problema “casa” basterebbe rivisitare, aggiornandole, le leggi Tupini, Aldisio e Fanfani, che hanno permesso la ricostruzione del Paese nel dopoguerra, senza dimenticare la “legge Goria” (Giovanni Goria, Presidente del Consiglio dei Ministri, più volte Ministro del Tesoro).

Nel “piano casa” dovrebbe rientrare la riqualificazione delle aree urbane periferiche e i lavori per il decoro delle abitazioni del centro.

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Efficienza= almeno 2 punti del PIL

Per la Pubblica Amministrazione, al di là delle facili promesse, è stato fatto poco, di concreto, per renderla più efficiente, più trasparente e a servizio reale dei cittadini e dell’utenza.

Di seguito, si riportano in sintesi, alcuni punti programmatici, già sviluppati sui giornali e nei siti della Federazione, riportati anche da numerosa stampa nazionale e emittenti televisive.

DIRIGENZA

Non sembra possibile avere una dirigenza pubblica indipendente, autonoma, snella e efficiente, se non si elimina lo sconcio dello spoil system, sulla cui soppressione si sono sempre dichiarati favorevoli tutti i partiti, nessuno escluso, con il risultato evidente che, sinora, si è proceduto ad attribuire posti dirigenziali a tesserati di partiti politici, familiari (famiglie vere ed allargate) “galoppini” elettorali, che anche dal “rango” di autista, sono divenuti dirigenti generali, senza averne né le capacità, né i titoli di studio e /o di cultura.

Ciò non è avvenuto invero, solo nell’Amministrazione dello Stato e nella Pubblica Amministrazione in genere, ma anche nei posti di vertice di società partecipate e non: per verificare basta “scandagliare” i siti di Finmeccanica, Fincantieri, Enav…

Altro problema è quello della rivisitazione della responsabilità oggettiva dei dirigenti, che va ridimensionata e circoscritta a particolari casi.

Al dirigente va riconosciuto, in poche parole, uno stato giuridico appropriato alla funzione pubblica che svolge: la confusione fra pubblico e privato va eliminata perché non in linea con il precetto costituzionale.

Occorre inoltre rivedere i contenuti della polizza assicurativa sulla responsabilità civili dei dirigenti, in quanto, attualmente, l’insufficienza di tale polizza, impone ai dirigenti ulteriori sacrifici finanziari per integrarne l’inadeguatezza.

Per le nomine di vertice occorre poi ricorrere ad una seria valutazione dei titoli di servizio e di studio, fermo restando la riserva, a concorso, del 50% dei posti disponibili di dirigente di 1ª fascia, norma già in vigore e disattesa.

Per tutti i dipendenti (e non solo per i dirigenti) deve essere prevista, inoltre, una polizza sanitaria integrativa, come quella di cui godono, ad esempio, i dipendenti dell’Aran e di altre Amministrazioni dello Stato.

AREA QUADRI

Risulta “non funzionale” l’equiparazione del settore pubblico a quello privato, perché nel primo non c’é corrispondentemente un’area quadri, già rappresentata dal ruolo dei funzionari direttivi.

Il Parlamento Europeo segnalò, al Governo italiano, la necessità di tale istituzione, a seguito dell’audizione chiesta e ottenuta dai vertici della Dirstat: tale area, prevista per legge dal 2002 e definita “Vicedirigenza”, è stata eliminata dal Governo Monti, con l’abrogazione della norma relativa.

L’area quadri permetterebbe, fra l’altro, alle Amministrazioni, di sostituire temporaneamente il dirigente o attribuirne funzioni vicarie, senza favoritismi, finalizzati a mettere a posti di vertice “amici di comodo” legati al politico di turno, con buona pace di una amministrazione trasparente e “terza”.

La proposta dell’area quadri formulata dalla Dirstat è esplicata nell’A.C. 5576

INIZIATIVE PARTICOLARI

Maggiore attenzione va dedicata ai Corpi di Polizia e alle Forze Armate, soprattutto al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, che elogiato, a parole, non vede ancora tradotta in forma concreta l’equiparazione con le altre forze di polizia e le forze armate.

Va risolto, poi, il problema del personale sanitario (medici) del Ministero della Salute, che pur essendo “dirigente” non ha ruolo proprio, per comportamenti contrari e poco trasparenti all’interno dello stesso Ministero.

In questo quadro si segnala il caso paradossale della Direzione generale della Sanità Militare, soppressa nonostante la contrarietà a tale iniziativa, documentata; da parte della Dirstat e nonostante il Sottosegretario pro-tempore della Difesa, On. Crosetto, avesse condiviso le argomentazione della stessa Dirstat.

Siamo lieti di sapere che la suddetta Direzione generale sarà ripristinata, ma nel frattempo l’utenza ha subito danni gravissimi ed evitabili e nessuno ripiana il danno erariale causato dall’inefficienza.

IL PROBLEMA DEI PRECARI

Risolvere il problema dei precari farebbe aumentare di almeno di 2 punti il PIL: chi non capisce questo, smetta di fare politica.

E’ tema importante e uno dei tanti problemi su cui chiediamo una risoluzione immediata.

Non riusciamo infatti a capire perché questo personale, già pagato direttamente o indirettamente dallo Stato, che versa regolarmente i contributi previdenziali e assicurativi, al fine per essere inquadrato in ruolo, dovrebbe gravare sulle pubbliche finanze (come asseriscono erroneamente le relazioni tecniche di spesa).

D’altra parte se questi precari sono presenti nella Pubblica Amministrazione, vuol dire che svolgono sicuramente una funzione o un lavoro: allora servono.

Poiché non siamo ingenui, abbiamo invece capito che le varie cooperative che operano nei Ministeri, comprese le società per i lavoratori interinali, lucrano su tale “stato delle cose”, operando come vero e proprio “caporalato”.

Non si tratta più, quindi, di problema di bilancio, ma di situazione che chiederebbe forse un attento intervento della guardia di finanza e della magistratura ordinaria e contabile per accertare il perché di questa “anomalia”.

PRECARI

Il 40% dei posti riservati nei pubblici concorsi ai precari e’ una ulteriore presa in giro da parte del governo

L’annunciata riserva del 40 per cento dei posti nei pubblici concorsi riservati ai precari è un’ulteriore presa in giro per gli interessati e per i cittadini utenti da parte di questo Governo. Per non essere cattivi, ricordiamo a questo Governo che quasi tutti i concorsi espletati dal 2006 in poi non sono stati ancora chiusi, nel senso che non sono stati assunti nemmeno i vincitori: precisiamo che stiamo parlando di vincitori e non di idonei che pur avrebbero, in parte, diritto all’assunzione stessa.

A conti fatti per ragionamenti non utopici, il 40% dei posti riservati, per il momento e per anni non esisterà, in quanto, nei prossimi concorsi (quando e se si faranno) il 40% scatterebbe su pochi posti disponibili. Per i “matematici” al Governo: il 40% di zero fa “zero”.
 

PENSIONI TRUFFA DI STATO: in 10 anni perdita del potere d’acquisto di almeno il 30%. L’aumento generalizzato delle pensioni equivale a 2 punto di PIL in più

La vergogna mediatica dei mass-media, spesso in mala fede, mette in atto una campagna che definire criminale e mafiosa è un puro eufemismo. Alla luce di quanto su chiarito, nessun pensionato è a carico di nessun lavoratore in attività: non esiste quindi nessun “Anchise” e nessun “Enea”. Fomentare una lotta/ controversia generazionale basata su falsi presupposti è da delinquenti.

Quasi tutti i parlamentari della cosiddetta seconda Repubblica avevano promesso, in campagna elettorale, l’adozione di un nuovo “paniere” di beni e servizi, su cui calcolare l’indicizzazione delle pensioni all’indice ISTAT.

- Invece per il 2013 l’irrisorio aumento del 3%, correlato all’inflazione, viene attribuito solo alle pensioni che non superano tre volte il minimo, cioè 1.443 euro al mese, mentre i trattamenti cosiddetti medio-alti (dal sergente al direttore generale, tanto per intenderci) sono esclusi da tutti gli aumenti.

- Nelle rare volte poi che le pensioni sono state aumentate, nell’ultimo decennio, gli aumenti sono stati attribuiti con percentuale decrescente man mano che la pensione aumentava, violando palesemente la Costituzione, come dimostreremo in seguito.

- si aggiunge poi che, dall’anno scorso, le cosiddette pensioni medio-alte hanno subito un taglio del 5 o del 10% che durerà sino al 2014: l’identica ritenuta operata sui trattamenti, dei dipendenti in servizio, è stata cancellata dalla sentenza n. 223/2012 della Corte Costituzionale.

L’INCOSTITUZIONALITA’ DEL BLOCCO DELLE PENSIONI E DEL PRELIEVO STRAORDINARIO SULLE STESSE

Premessa

Le pensioni sociali o cosiddette minime, sono basse, bassissime, anzi vergognose, ma avrebbero dovuto gravare sulla fiscalità generale (perché per esse non è stato versato alcun contributo) e invece gravano sui fondi pensionistici di coloro che i contributi li hanno versati, facendo paradossalmente da termine di paragone: succederà tra poco, che le più basse pensioni contributive faranno “blocco” unico con le pensioni sociali, di modo che si avrà una pensione unica nazionale di “sovietica” memoria.

Il “sacco” delle pensioni, complici alcuni sindacati, risale al “patto scellerato” del periodo del “consociativismo” che ha consentito, ai politici “pro tempore” di attingere, a piene mani nei fondi dei pensionati, lucrando in seggi e voti di scambio.

Come contropartita i sindacati hanno conservato il privilegio della non obbligatorietà dei bilanci certificati e quello di poter licenziare i loro dipendenti come e quando vogliono (con buona pace per lo Statuto dei Lavoratori).

E’ nota inoltre la miriade di sindacalisti premiati con un seggio al Parlamento, benché alcuni di costoro semplicemente inadeguati al ruolo.

  1. Pensione retribuzione differita corrisponde agli accantonamenti del 10%, a carico del lavoratore su tutta la retribuzione (sottolineiamo tutta), più il 20%, sempre su tutta la retribuzione, che viene versato dal datore di lavoro e rappresenta una specie di risparmio forzoso che il datore di lavoro stesso accantona per conto del dipendente, il quale rinuncia contemporaneamente ad una parte del salario.

  2. A parte il blocco di quest’anno e di quelli precedenti, quelle poche volte che in questi ultimi anni le pensioni sono state aumentate, ciò è avvenuto con percentuali decrescenti sul trattamento pensionistico. A titolo di esempio, se l’inflazione veniva calcolata al 3%, tale incremento veniva concesso per intero su 3 volte il minimo, poi il 2% sino a X euro, mentre, oltre una certa cifra, l’incremento era pari a zero. E’ chiaro ed evidente che, siffatto modo di operare, cozza con i principi di giustizia amministrativa e costituzionale, perché mentre il versamento per il fondo pensioni è stato del 30% su tutta la retribuzione, l’aumento pensionistico viene disposto per scaglioni decrescenti man mano che la pensione è più alta.

  3. La truffa di Stato è ancora più grave se si considera che la legge 177/1976 aumentò di circa 3 punti complessivi la ritenuta pensionistica in conto/Tesoro, a carico dei lavoratori dipendenti perché nella relazione di accompagnamento al disegno di legge (poi diventato legge) fu chiarito che tale nuovo “balzello” avrebbe pienamente garantito nel tempo, la perequazione delle pensioni. Per opportuna notizia: l’ultima perequazione risale al Governo Andreotti negli anni novanta e nel 1942, in piena guerra, il governo fascista adeguò tutte le pensioni al costo della vita.

  4. Sulle pensioni cosiddette medio-alte, come si è già detto, è stata effettuata, poi, un ulteriore ritenuta del 5 o del 10%, come per i lavoratori in servizio, i quali però hanno ottenuto la cancellazione della norma e, quindi, della ritenuta, a seguito della richiamata sentenza della Corte Costituzionale. Uno stato di diritto avrebbe rivisitato e annullato di conseguenza anche la norma, identica, che grava sulle pensioni, senza attendere un ricorso dei pensionati.

  5. Non si può nemmeno sottacere che il carico fiscale sulle pensioni è più oneroso di quello dei colleghi in servizio, come è stato più volte ampliamente dimostrato: infatti, le pensioni vengono assoggettate alle aliquote IRPEF, ma essendo risorse risparmiate dagli stessi lavoratori, che già a suo tempo vennero ridotte per l’effetto irpef, subiscono una doppia imposizione.

  6. La Sentenza della Corte Costituzionale n. 316/2010 confermando una serie di altre decisioni della Consulta, ritenne che reiterare il blocco degli aumenti pensionistici fosse incostituzionale e ritiene, ancora oggi, invalicabili i principi di ragionevolezza e proporzionalità degli aumenti. In buona sostanza le pensioni dovrebbero essere collegate alla retribuzione goduta nell’attività lavorativa.

  7. Il contrasto con la normativa europea.

    Si premette che le pensioni perdono ogni anno circa il 2-4% (e forse più) del loro potere di acquisto per erosione inflattiva e che ai lavoratori in quiescenza non vengono estesi i miglioramenti retribu­tivi attribuiti annualmente ai lavoratori in servizio (circa il 3%) per cui tra qualche anno, il problema sarà an­cora di più difficile soluzione e ghettiz­zerà la popolazione più anziana nell’area della sopravvivenza. Si precisa che tale comportamento:

    - è in aperta violazione degli articoli 12 e 23 della Carta Sociale Europea, sot­toscritta a Strasburgo il 3 maggio 1996 nonché degli articoli 2, 3, 136, 137 e 141 del trattato istitutivo della Comu­nità Europea del 25 marzo 1957, del trattato di Maastricht e di Amsterdam del 2 ottobre 1957;

    - contrasta con la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea (sentenza 11 marzo 1981 nella causa 59/80 e sentenza 22 dicembre 1993 nella causa 152/91) nonché con la giurisprudenza della Corte di Cassa­zione (sentenza delle Sezioni Unite) del 1° febbraio 1997, n. 974;

    - contrasta, infine, con gli articoli 3 e 36 della Costituzione, che dispongono la pari dignità tra tutti i cittadini (principio di uguaglianza) e riconoscono il diritto ad un trattamento economico (retribuzione o pensione) sufficiente ad assicurare agli aventi diritto ed alle loro famiglie una esistenza libera e dignitosa.

  1. CONCLUSIONI

    - Occorre nel medio termine, determinare un paniere di beni e servizi (adeguato alle necessità dei pensionati) su cui basare il calcolo della percentuale di aumento di tutte le pensioni

    - Applicare annualmente e pienamente la percentuale di aumento prevista, a tutte le pensioni.

    - Annullare la ritenuta del 5% e del 10% sulle cosiddette pensioni medio-alte al pari di quanto è già avvenuto per le retribuzioni medio-alte dei dipendenti in servizio.

Nota

PROVVEDIMENTI CHE INVECE DI GRAVARE SULLA FISCALITA’ GENERALE HANNO DEPAUPERATO I FONDI PENSIONI

  • l’assistenza generalizzata gratuita di ogni tipo:

  • le risorse per pagare i cassintegrati;

  • i ripetuti “abbuoni” concessi per raggiungere i trattamenti pensionistici, fra cui ad esempio, i 7 o 10 anni di cui alla legge dei combattenti (336/70), l’esodo agevolato per i dirigenti (DPR 748/72) gli esodi o “scivoli” vari a statali, ministeriali e aziende, accompagnati dall’ulteriore “regalo” dell’attribuzione delle qualifiche (civili) o gradi (militari) superiori: con questo sistema, e anche con un solo giorno di permanenza nel grado o qualifica si è conseguita la pensione dirigenziale;

  • premio di “avviamento” (sino a 50 milioni di lire) concesso dagli anni ’80 in poi ai dipendenti in esubero delle aziende in crisi, sollevando da relativi oneri quelle imprese incapaci che, pur lucrando, non facevano alcuno sforzo per riconvertirsi (legge n. 8/1988; 11/31988, n. 67; etc.);

  • pensioni elargite a politici e sindacalisti (i nomi sono anche sul nostro giornale), senza versare alcun contributo, (cosiddetta “legge Mosca”) sui cui effetti vennero inviati numerosi avvisi di garanzia rimasti “lettera morta” per i nomi altisonanti dei beneficiari (euro 14 miliardi che sinora hanno gravato sui fondi pensione);

  • concessione di pensioni a coltivatori diretti, commercianti, casalinghe con versamenti di appena 5 anni.

 

  • Esiste invece lo scandalo delle pensioni plurime di cui nessuno parla: mentre si ricopre la carica di deputato italiano e contemporaneamente quella di parlamentare europeo e si maturano i relativi “vitalizi”, si versano contributi pensionistici e si maturano pensioni per professioni, o mestieri, docenze universitarie, consulenze e via dicendo, raggiungendo cifre stratosferiche di oltre 30.000 euro al mese. E’ questa la truffa di coloro che in una sola giornata lavorativa percepiscono diversi compensi, tutti utili alla pensione e quindi tante pensioni tra loro cumulabili.


 

Il Segretario Generale Dirstat-Confedirstat

Dott. Arcangelo D’Ambrosio

Articolo su "Corriere della sera" del 29 gennaio 2013 che rende giustizia alla veritá riconoscendo il mio ruolo nell'azione parlamentare su fondazione MPS e legami con la politica

 

Atto Senato - Interrogazione a risposta orale 3-01013 

presentata da 

MAURIZIO EUFEMI 

mercoledì 17 ottobre 2007 nella seduta n.231

EUFEMI, BONFRISCO, SILVESTRI - Al Ministro dell'economia e delle finanze - Premesso che:

la crisi dei mutui subprime sta determinando gravi conseguenze e un pericoloso contagio sui mercati internazionali;

stanno emergendo i sottovalutati pericoli sull'utilizzo di strumenti di finanza derivata, che presentano notevoli rischi soprattutto per quanti non ne conoscono a sufficienza i meccanismi di funzionamento;

è emerso, altresì, che anche gli enti locali si sono contraddistinti nell'utilizzo di tali strumenti per la gestione del debito, con gravi conseguenze sul futuro dei bilanci, fattore che alimenterà il già costoso indebitamento locale,

si chiede di sapere:

quali siano le dimensioni dell'utilizzo degli strumenti di finanza derivata da parte degli enti locali (Regioni, Province, Comuni);

quali siano le valutazioni del Ministro in indirizzo su tale situazione;

quale sia l'elenco degli enti locali che hanno fatto ricorso a strumenti di finanza derivata, l'ammontare delle operazioni ed il livello dell'indebitamento relativo;

se non ritenga di assumere iniziative anche urgenti per sospendere l'utilizzo di tali strumenti da parte degli enti locali, in attesa della piena conoscenza di tale fenomeno;

anche in ragione di quanto emerso nell'intervista a "Report", quale sia stato il ruolo del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali Lanzillotta, quale consulente di JP Morgan nei rapporti con la pubblica amministrazione italiana;

se tale rapporto non abbia incentivato la pubblica amministrazione all'uso di strumenti di finanza derivata.

(3-01013)

lettera al Direttore del Corriere della Sera a proposito della vicenda Monte dei Paschi di Siena

Monte dei Paschi di Siena: le responsabilità della politica.


Gentile Direttore,

Sergio Rizzo, muovendo dal caso di MPS affronta con chiarezza il problema “vero”, quello del legame tra politica e banche.

Per un esame obiettivo della situazione dobbiamo rivedere alcune scelte della politica soprattutto degli ultimi anni.

Non entro pertanto su strategie di investimento sbagliate e su una gestione opaca e su conseguenti responsabilità. Mi preme solo ricordare per amore di verità una decisione che forse avrebbe evitato conseguene successive. Ad essa possono essere fatte risalire responsabilitá politiche.

Con la legge sul risparmio 262 del 2005 fu introdotta la norma che imponeva alle fondazioni bancarie di limitare i diritti di voto al trenta per cento in linea con quanto indicato dalla legge Ciampi. Evitava il controllo pieno della banca e diminuiva I pericoli di eccessiva concentrazione del rischio. La norma fu approvata con il voto favorevole di due esponenti del Pd che coraggiosamente votarono in dissenso dal gruppo DS Democratici di Sinistra; ricordo Franco De Benedetti e Nicola Latorre. Quella norma fu cancellata dal governo Prodi attraverso l'uso improprio della delega prevista in quella stessa legge. Quell'uso avvenne attraverso un parere espresso in commissione Finanze su un decreto legislativo, da un solo ramo del parlamento, la Camera dei Deputati, perchè il Senato riuscì a non esprimerlo. Non mancarono in quella occasione situazione di conflitto di interesse in chi apparteneva al sistema delle Fondazioni. Ma questo può far parte dell’etica pubblica.

Il Gruppo dell’Ulivo con un voto parlamentare si assunse la responsabilitá politica di quella decisione.

Quella norma sostanziale, con una evidente forzatura, con un uso disinvolto del concetto di coordinamento, fu quindi cancellata con un parere in Commissione, su un solo ramo del parlamento su un decreto legislative!. Tutto ciò nel silenzio dei grandi costituzionalisti così attenti ai punti e alle virgole del diritto parlamenare. Quella scelta politica aveva molti sponsor interni ed esterni al Parlamento, oggi stranamente silenti e non fu neutrale rispetto alla evoluzione di MPS .

Quella norma, se applicata correttamente, avrebbe consentito un maggiore grado di apertura della banca senese con la presenza di nuovi investitori, una diversa articolazione degli amministratori e degli organi di controllo, quindi una maggiore trasparenza complessiva rispetto alle decisioni di investimento. Senza affrontare la questione della italianità e della contendibilità. Il risultato sarebbe stato ben diverso da quello poi negativamente registrato, perchè la Fondazione MPS avrebbe ottenuto notevoli guadagni dalla vendita di parte delle azioni ad un valore che 7 anni fa quotava 3,8 euro e minori apporti rispetto alle successive onerose ricapitalizzazioni. Questi sono i risultati di scelte strategiche e non solo gestionali. La Fondazione ha difeso strenuamente il controllo della banca con costi finanziari, economici e sociali altissimi per la comunità locale innanzitutto e di riflesso per il Paese ed è il riflesso del legame tra politica e banche ed impone di conseguenza di rivedere anche il ruolo delle Fondazioni di origine bancaria e della loro autoreferenzialità.

Con viva cordialità

Maurizio Eufemi

(già senatore nella XIV e XV legislature e relatore in Senato della legge 262/2005 sul risparmio)

Roma, 24 gennaio 2013

Pezzotta abbandona l’UDC

Solo chi non ha seguito la storia personale sia politica che sindacale di Savino Pezzotta può stupirsi della rottura tra il leader della Rosa bianca e l’UDC.

Non va dimenticato che Savino Pezzotta era tra i fondatori della Unione di Centro dopo la chiusura della esperienza dell’unione dei democratici cristiani. La trasformazione dell’acronimo ne ha anche mutato il significato con un progressivo cambiamento di ispirazione, di strategie, di valori. E Savino Pezzotta lo ha bene spiegato senza sottrarsi ad una chiara assunzione di responsabilità. Lo aveva fatto nei mesi scorsi nei suoi scritti su Camaldoli.org. Lo ha fatto oggi manifestando il suo disagio per la assenza di spread sociale nella agenda Monti; così come la scarsa attenzione alle problematiche sulla famiglia. Per chi è stato il portavoce del family day tutto ciò deve essere apparso insopportabile. Ha dimostrato coerenza tra le parole pronunciate alle famiglie convenute da tutta Italia nella piazza di San Giovani e l’impegno personale politico.

E lo ha fatto con una dimostrazione di stile. Non è andato a comunicarlo al leader maximo dell’UDC, Pierferdinando Casini. No. Lo ha comunicato a Lorenzo Cesa, il Segretario Politico. In quel gesto ha voluto sottolineare il rispetto delle regole e delle cariche dalle quali non ci si può dissociare.

C’è un elemento misterioso e incomprensibile in questo vicenda. L’UDC rinuncia a Pezzotta, alla forza delle sue idee e, al contrario, preferisce avere Adornato come capolista tutelato nelle circoscrizioni elettoralmente più garantite. Non possono balzare agli occhi le profonde differenze. Due storie completamente diverse. Pezzotta è un protagonista del cattolicesimo sociale e democratico. Meritava più rispetto. Adornato approda al centro di Casini dopo un percorso zigzagante sinistra- destra berlusconiana fino a scoprire come approdo finale il centro di Casini.

Misteri della politica.

Roma, 18 gennaio 2013

Associazione Partigiani Cristiani

(Con preghiera di diffusione)

Il Consiglio Nazionale dell’Associazione Partigiani Cristiani ha preso importanti decisioni sul programma da svolgere nell’anno 2013. Dopo un ampio dibattito seguito alla relazione del Presidente, On. Giovanni Bianchi. I Partigiani Cristiani si impegneranno a fare una campagna contro l’astensione dal voto, chiedendo a tutte le associazioni cattoliche di partecipare a questa mobilitazione della coscienza civica.

Questa azione sarà proposta all’attenzione del Presidente della CEI, Cardinal Bagnasco.

Una lettera su questo programma è stata inviata al Presidente della Repubblica.

Nella sua relazione il Presidente, On. Giovanni Bianchi, ha spiegato lo stretto collegamento fra Resistenza e Costituzione. Ha citato la frase di Dossetti: “Se il fascismo significava priorità dello Stato sulla persona, la Resistenza significa priorità della persona sullo Stato”. Questo concetto è stato al centro della Costituzione con un accordo straordinario fra le culture cattolica, socialista e liberale, che ha permesso di approvare il testo quasi all’unanimità.

Per sottolineare questa caratteristica importante della Costituzione i Partigiani Cristiani celebreranno l’”Anno Dossettiano”, ricordando anche il Dossetti partigiano sull’Appennino tosco emiliano. I Partigiani Cristiani parteciperanno con le altre Associazioni militari e partigiane al ricordo della rinascita dell’Esercito Italiano dopo la dissoluzione dell’8 Settembre 1943 nella battaglia di Monte Lungo a Mignano (l’8 dicembre 1943), in Campania.

L’Associazione con un accordo stretto con le Acli costituirà dei Gruppi di Lavoro “Resistenza e Costituzione” per la preparazione dei giovani alla “buona” politica.

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Oggetto: Relazione del Presidente ANPC On. Giovanni Bianchi al Consiglio Nazionale dei Partigiani Cristiani
 questa relazione è tanto corposa quanto ricchissima di spunti e riflessioni. Ne suggerisco vivamente la lettura ricordando a ciascuno la lezione di Dossetti per cui il primo modo di fare politica é quello di fare "cultura politica"
 
Una ripartenza democratica

Dopo il Congresso

Il senso e la decisione del nostro XVI Congresso svoltosi a San Donato Milanese il 23 e 24 ottobre dello scorso anno sono senza dubbio racchiusi nella mozione finale, approvata all'unanimità. Con essa facciamo appello a tutte le associazioni democratiche – con particolare riferimento alle associazioni cattoliche – per intraprendere un'azione comune intesa a combattere l’astensionismo e l’antipolitica. Due atteggiamenti diffusi che consideriamo una fuga ed un tradimento di fronte alla necessità di impegnarsi per la difesa e la ricostruzione dei valori della Resistenza che sono alla base della nostra Repubblica e della nostra Costituzione. Una decisione starei per dire da manuale: la tradizione della Lotta di Liberazione si sporge oltre la memoria per diventare stimolo alla partecipazione democratica. Non sembri perciò troppo lieve e scanzonato il linguaggio, quasi sportivo, con il quale ho pensato di definire il risultato della nostra assise, nella città voluta da Enrico Mattei, come una ripartenza democratica.

La transizione infinita nella quale siamo da troppo tempo immersi non solo pone infatti domande per le quali non abbiamo ancora risposte, ma dice soprattutto che il Paese non può fare a meno di una adeguata cultura politica, in entrambi i campi del vigente bipolarismo. E anche oltre il bipolarismo. Troppo a lungo infatti le sorti di una necessaria governabilità e di una auspicabile partecipazione sono state affidate ai meccanismi elettorali ed istituzionali. Importanti senza dubbio, ma non in grado di ridisegnare in quanto tali e da soli le forze in campo. Il nostro Paese infatti è l'unico che, a far data dalla caduta del muro di Berlino dell'Ottantanove, ha azzerato il sistema dei precedenti partiti di massa.

Sono state le diverse tornate elettorali a dettare i tempi e perfino le agende. Una democrazia sincopata di scadenza in scadenza, con una costitutiva incapacità di pensarsi oltre i singoli traguardi. E’ in tal modo che i partiti si sono progressivamente trasformati in taxi o pullman caricati di liste elettorali e disponibili alla rottamazione una volta raggiunto il traguardo con una vittoria o anche con una sconfitta.

Non solo la politica, ma anche l'azione legislativa, quella varata dai parlamenti nazionali e regionali, non se ne è potuta riparare e progressivamente i tempi brevi del decreto-legge di iniziativa governativa hanno sostituito quelli dell'iter naturale delle leggi. Insomma, siamo in presenza di un fenomeno generalizzato e di una condizione che Raffaele Simone così descrive: "Taluni di questi fenomeni, che oggi dominano la scena mondiale e toccano da vicino la nostra vita individuale, non sono stati neppure percepiti, a causa di una sorta di tirannia del breve termine". Ecco dunque chi detta il dovere dell'ora e determina la velocità dei tempi: il Breve Termine, che costringe tutti a vivere di corsa pensando a raffiche. (E chi evita di pensare rischia di arrivare prima, anche se al traguardo sbagliato.)

Eppure la percezione e l'augurio sono che quella che il Paese sta attraversando sia un’autentica svolta in grado di consentire l’uscita da quella "Repubblica indistinta" (Edmondo Berselli) che è succeduta alla Prima Repubblica crollata sotto le macerie di Tangentopoli. Per quasi un ventennio abbiamo vissuto l'egemonia e i riti della videocracy dominante, implementata da Silvio Berlusconi e dalla sua portentosa macchina mediatica, fino a indurre in se stesso e negli italiani una sorta di seconda natura. Insieme a un estetismo generalmente volgare e commercializzato e a un giovanilismo facilmente orientato verso le fortune della destra politica, si evidenzia un profondo processo di de-istituzionalizzazione e de-costituzionalizzazione del Paese. E non poco ha contribuito allo scopo quella confusione tra divismo e leadership che Francesco Alberoni si incaricava di chiarire in un testo degli anni Sessanta dal titolo L'élite senza potere. Una dittatura dell'immagine occupata da una torma di dilettanti, laddove almeno i politici della cosiddetta Prima Repubblica quando sbagliavano (e accadeva non di rado) però – ho in mente Paolo Conte – "sbagliavano da professionisti".

Detto in fretta e alla plebea: dopo aver fatto naufragio con la politica "corta", dovremmo provare a salvarci pensando una politica "lunga".

Le osservazioni svolte finora riguardano le modalità del consenso (una loro parte) e si sa che il consenso è ingrediente ineliminabile della democrazia rappresentativa. Esse però rimandano alla seconda trasformazione in atto, variamente e interessatamente interpretata e perfino esorcizzata: quella che avviene nei luoghi della democrazia. Anche qui, come in tutti i settori dell'agire umano, il campo di Dio e quello di Satana sono lo stesso, nel senso che politica e antipolitica si contendono il medesimo spazio. Nella quotidianità, nell’organizzazione, nelle istituzioni. A separarle un confine poroso e transitabile nei due sensi: circostanza che dovrebbe chiarire come l'antipolitica non sia destinata a restare tale per immutabile natura, e la politica possa volgersi nel suo contrario, al punto che talvolta l'antipolitica si annida nel cuore della politica medesima, quella che si ostenta come doc ed ortodossa, proprio là dove si scagliano gli anatemi contro le nuove insorgenze dell'antipolitica. Soprattutto nella fase in cui il mutare del governo coincide con il mutamento del paradigma della politica nazionale, e non soltanto.

Se infatti sono riconoscibili e circoscritte le aree dove le nuove insorgenze dell'antipolitica si manifestano – movimenti, antagonismi, luoghi mediatici, satira, corpi antichi e nuovi del civile e delle istituzioni, corporazioni – più difficile è cogliere i caratteri dell'antipolitica dentro gli organismi deputati del politico. Tuttavia essi possono essere individuati seguendo una lucida indicazione di Hannah Arendt, là dove addita nel carrierismo (le resistenze castali sbeffeggiate da Rizzo e Stella) i rinascenti mimetismi dell'antipolitica. Scriveva infatti la Arendt nel 1963 che il guaio è che "la politica è diventata una professione e una carriera, e che quindi l'élite viene scelta in base a norme e criteri che sono in se stessi profondamente impolitici".

Insomma, bisogna preliminarmente distinguere. Altro è gridare all’antipolitica e altro rilevare la generalizzata avversione ai partiti. Antipolitica e antipartitica non coincidono; anzi, la disaffezione verso "questi" partiti può aprire nuovi percorsi di ricerca politica. Percorsi imprevedibili e discutibili, dal momento che non si ha notizia di democrazie che funzionino senza partiti.

Non siamo evidentemente in grado di elencare le nuove categorie dell'antipolitica, ma additare sconfinamenti e metamorfosi, in negativo e in positivo (dall'antipolitica alla politica), significa dare un contributo a delimitare il campo ed attrezzarsi per un futuro che senza la competenza della politica non sarebbe neppure possibile progettare.

Ho già osservato che il confine tra politica e antipolitica è indefinito e continuamente transitabile nei due sensi. Miope e destinata alla sconfitta è la politica che reagisce all’antipolitica prima con fastidio e poi con l’esorcismo. L’antipolitica infatti non è condannata a restare perennemente tale. Resta anzi in attesa di chi sappia interpretarla per darle forma politica. E’ la lezione del sempiterno Hegel: sempre la politica nasce da quel che politico non è. E se tu non interpreti quella che definisci antipolitica troverai ben presto chi la interpreti contro di te. La sindrome difensiva è perciò sicuramente perdente. Ci vuole il coraggio del discernimento, di chi si mette "in mezzo" con il gusto prima di vivere e condividere la condizione e le aspirazioni della gente comune e "indignata", per poi eventualmente governarla. Leggere gli uomini oltre che i libri.

Una legge elettorale inguardabile

È risaputo che in Italia il cuore della de-legittimazione della politica è costituito da una legge elettorale che il latinismo porcellum non riesce ad ingentilire: per la evidente contraddizione che non si dà democrazia rappresentativa senza rappresentanza. Bisogno dunque di pensieri lunghi che non dovrebbero essere assenti, parrebbe, da una Nazione dove la vita media dei cittadini – superati allo sprint i giapponesi – è la più lunga al mondo... Pensieri necessari, perché la fase che stiamo attraversando non è una sorta di nuova parentesi crociana della politica italiana chiusa la quale tutto è destinato a ricominciare come prima.

I riflettori sono finalmente sui problemi reali, e da qui tutte le forze politiche sono costrette a ripartire. Questa d'altra parte è l'occasione offerta per ri-legittimare la politica da quando i sondaggi d'opinione (Renato Mannheimer, Ilvo Diamanti) ci raccontano che il numero di coloro che auspicano una politica senza i partiti è diventato maggioranza rispetto al numero di quelli che continuano a pensarla governata dai partiti.

Ma – bisogna ripeterlo – non c'è democrazia al mondo senza partiti. L’inciampo grosso è rappresentato dalla circostanza che i costi della politica appaiono scandalosamente insopportabili perché le istituzioni appaiono scandalosamente inefficienti e autoreferenziali. (I rimborsi elettorali odierni pagati ai partiti sono 10 o 15 volte superiori a quelli della stagione nella quale Citaristi fungeva da segretario amministrativo della Democrazia Cristiana.) Anche per questa ragione il mantra corrente non è più che la politica sia cosa sporca, ma cosa inutile. L’italiano medio non si rallegra davanti alla salata parcella del dentista, ma sa perfettamente che senza denti e dentiera la sua salute risulta compromessa.

È la sua "inutilità percepita" che impedisce di difendere il primato della politica contro l’antipolitica in nome di un Parlamento da tutti ritenuto finto e di altrettanti finti partiti. Senza disperare, perché la stessa storia del nostro Paese è colma di ossimori vitali. E non si dovrebbe neppure dimenticare che la politica spesso risolve le proprie complicate equazioni aggiungendo ogni volta una nuova incognita...

Chi meglio ha analizzato la situazione da questo punto di vista è Gerardo Bianco in una lettera indirizzata agli ex parlamentari. Laddove si segnala che la precedente legislatura lascia una pesante e negativa eredità che sarà molto difficile da gestire. Perché è soprattutto l’indebolimento dello spirito pubblico e della fibra morale della nostra società a dover suscitare preoccupazione. Non a caso il Presidente della Repubblica ha, con molta lucidità, indicato i problemi aperti che rendono preoccupante la situazione sociale e politica dell’Italia. Con un rischio di continua alterazione del sistema istituzionale che minaccia di trasformare la crisi politica in crisi democratica. Osserva ancora Gerardo Bianco: "Con lo scioglimento delle Camere, senza la revisione della legge elettorale, ci si avvia verso una elezione del Parlamento con un sistema sul quale la Corte Costituzionale ha espresso seri dubbi di costituzionalità e la cui mancata revisione è stata duramente stigmatizzata dal Presidente Napolitano. È inevitabile conseguenza che un Parlamento così eletto sia inficiato nella sua legittimazione. Si aprirà, pertanto, all’indomani delle elezioni, un delicato problema istituzionale che le forze politiche, se vogliono ripristinare la piena legittimazione del Parlamento, non potranno eludere".

La Costituzione e i suoi nemici

Sempre nella missiva ricordata Gerardo Bianco osserva che esiste un vero e proprio rischio di continua alterazione del sistema istituzionale e di sotterranea demolizione della nostra Costituzione. "La insensata tesi sostenuta da alcuni, con protervia, di una cosiddetta "Costituzione materiale" che dovrebbe ormai sostituire quella "formale" dimostra la confusione culturale e politica in circolazione". E infatti non sono "coerentemente" mancati – e per tempo – i tentativi di mettere al passo la Costituzione formale con quella materiale. Non a caso il punto di resistenza più importante alla generale deriva è rappresentato dal referendum del 2006 con il quale gli italiani hanno respinto lo sgorbio di riforma costituzionale approntato dal centrodestra. Basterebbe confrontare sinotticamente il testo dell'articolo 70 nelle due versioni per cogliere quanto di cristallino vi sia nella Costituzione del 1948 e quanto di fantozziano nel tentativo approvato dalle Camere nel 2005 e bocciato dagli elettori. Recita infatti l'articolo 70 rimasto in vigore: "La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere". Una riga e mezza, che sarebbe perfino possibile solfeggiare. Quanto all'articolo 70 bocciato dal referendum del 25 e 26 giugno 2006 si compone di ben ottantatré righe con il rimando a un diluvio di altri articoli e di commi, tali da costituire un percorso labirintico scritto apposta per non farsi capire.

Non si trattava soltanto del tentativo di prendere le distanze da quella che Togliatti considerava una Repubblica fondata sui partiti – per altro erosa dall'interno e nella superficie esposta al pubblico da una partitocrazia in assenza di partiti credibili – ma di fondare su nuovi equilibri il patto tra mercato e democrazia. Ma lo spirito della Costituzione del ’48 ha retto, e con lui un idem sentire degli italiani che recupera una diversa antropologia e una visione della politica che ebbe in Giuseppe Capograssi e nel giovanissimo giurista Aldo Moro due punti di riferimento. Una temperie culturale e politica cioè che ha fondamento in quel personalismo costituzionale che trova in Giuseppe Dossetti il maggior regista. Circostanza che dovrebbe togliere di mezzo tutti gli improvvidi tentativi di continuamente metter mano al testo costituzionale, guastandone l’ispirazione e avvilendone la lettera. Ha ragione Valerio Onida: "La Costituzione ringiovanisce vivendola".

Già all'inizio degli anni '70 si determinò un passaggio decisivo che poneva le condizioni per attuare i fini istituzionali della Costituzione sul terreno economico-sociale. Viene cioè in evidenza il dato che la Costituzione non è solo un documento, un fatto formale scorporabile e da analizzare da specialisti, ma è fondamento di un processo nuovo. La Costituzione Italiana dice cioè che il mercato, sublimato poi nell’ordinamento comunitario europeo, non è il solo metro di misura dei "valori sociali", ma, al contrario, risulta ad esso subordinato.

Si poneva già allora il problema di conseguire riforme sul terreno del sociale per trovare una coniugazione coerente tra controllo del sistema di accumulazione e nuove forme di consumo sociale. Sul territorio emersero conseguentemente elementi convergenti di controllo democratico che rafforzavano il ruolo degli enti locali sul terreno della programmazione dell'economia. E nacque il fenomeno diffuso denominato "partecipazione" che fu luogo d'incontro tra forze culturali diverse. La partecipazione come partecipazione sociale e politica che provava ad esprimersi in Consigli di zona e Consigli di quartiere. Cui si è poi accompagnata una concezione della legge non più solo come legge dello Stato di diritto, ma anche come strumento di garanzia di diritti. Tant'è che per esorcizzare questa originalità nel linguaggio politologico venne coniato il termine "anomalia del caso italiano".

In linee generali dell'anomalia si occupa il libro La crisi della democrazia, che raccoglie il rapporto tenuto a Kyoto nel maggio 1975 dalla Commissione Trilaterale. Le relazioni a quell’assemblea furono tenute, naturalmente, da un europeo (Michel Crozier), da un americano (Samuel P.Huntington), da un giapponese (Joji Watanuki), ma il reale referente teorico è Niklas Luhmann. Ed è nella adesione alla sua teoria generale che si cercano soluzioni. Anche in Italia si definiscono nuove risposte politiche. Ed è da questo momento che la Costituzione incontra i suoi nemici, meno preoccupati della governabilità e più del consistere di quelli che con etichetta onnicomprensiva siamo abituati a chiamare "poteri forti", non di rado occulti.

A dire il vero a far problema non è tanto la governabilità, quanto i disegni che dietro le sue bandiere vengono allestiti. È infatti impressionante che quanti si sono preoccupati del governo del Paese a prescindere dalla Costituzione abbiano messo a rischio non solo la Costituzione ma anche la democrazia repubblicana. Mi riferisco al piano della P2 e a una parte della strategia delle riforme istituzionali.

Il c.d. "Piano di rinascita democratica" della "loggia massonica P2", pubblicato a cura di Gelli, elenca tutte le proposte di "riforma istituzionale" che dovevano servire a "rivitalizzare" il sistema inquinato dalla presenza del "partito orientale" e dalla politica compromissoria della Dc, denunciata per essere nei limiti della legittimità repubblicana. Tale "piano" non è stato sottoposto a una discussione sufficientemente attenta e diffusa tra la pubblica opinione, sicché per quanto importante sia stato l’attacco in sede istituzionale alla "P2" come associazione eversiva e nei suoi aspetti "strutturali", rimane una zona di preoccupante latenza.

Come attacco alla Costituzione Italiana, si articola un’altra risposta, che trova espressione in Gianfranco Miglio e nel suo "Gruppo di Milano". Hayek è il punto di riferimento. Infatti, ciò che Miglio invoca è la tradizione liberale non ancora contaminata dalle lotte del movimento democratico. Prendiamo la sua lettura contro la Costituzione nata dalla Resistenza. Vi leggiamo: "Le norme che pretendono di rendere coattivo, mediante la redistribuzione del reddito, il ‘presunto impegno alla solidarietà’ non fanno altro che ‘legalizzare la violenza’ a danno dell’onesto possidente, costretto a rendere ‘partecipi della sua fortuna coloro che guadagnare non sanno’. Non solo i principi della ‘progressività’, ma anche quelli della ‘proporzionalità’ dell’imposizione fiscale (...) entrano in costituzione perché si fondano su una decisione di maggioranza, e dunque, sulla ‘sopraffazione dei più a danno dei meno’, ‘sul principio della forza’. Se ‘accumulata nel rispetto della legge’, una ricchezza privata è ‘intangibile’ e su di essa ‘né i concittadini stessi né i detentori del potere possono vantare alcuna pretesa fondata sul diritto naturale’. Dato che ‘la grandiosa parabola del socialismo dell’otto-novecento si è esaurita’ e che, assieme al socialismo, sembra per fortuna ‘uscire definitivamente di scena’ anche lo ‘stato sociale’, è necessario farla finita una volta per sempre con tali sopraffazioni e ritornare ai principi del liberalismo classico".

Come si vede, il bersaglio della polemica va ben al di là della Prima Repubblica: sono in discussione due secoli di storia mondiale. E questo progetto per lungo tempo è stato il substrato ideologico della Lega Nord. Le elaborazioni di Gianfranco Miglio e del "Gruppo di Milano" hanno poi trovato formulazione coerente nel progetto presentato al senato all’inizio del 1995 da Speroni (ed altri), per una "revisione della Costituzione in senso federale."

Il progetto in parola puntava alla modifica di tutti i princìpî fondamentali, ma soprattutto mirava a sostituire il valore del lavoro con il valore del mercato (art.1); subordinava i valori di cui all’attuale art. 2 sui doveri di solidarietà politica economica e sociale ai valori del federalismo fiscale; stravolgeva completamente il nesso tra i princìpî fondamentali e le norme sui rapporti economici, sostituendo l’attuale art. 35 (per il quale la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni) con una serie di principî intesi ad esaltare la libertà di mobilità dei capitali e dei beni all’interno e verso l’estero, in sintonia con un nuovo testo dell’art. 1. In tale logica si proponeva poi di modificare tutti gli articoli da 41 a 47, onde eliminare ogni condizionamento a fini sociali dell’impresa e della proprietà.

In effetti è la natura ‘politica’ della Costituzione che va sottolineata tanto più nei casi in cui essa – come conferma il contesto della elaborazione della Costituzione italiana del 1948 – si è posta come sbocco di un processo di lotta politica armata (Giorgio Bocca) quale è stata la Resistenza diretta dai partiti antifascisti, con la conseguenza che il potere costituente "sociale" ha preceduto ed è stato il motore del potere costituente "politico-istituzionale" espresso dalla successiva Assemblea Costituente, destinata a delineare i tratti del nuovo ordinamento sociale, politico ed economico secondo un modello non inquadrabile negli schemi della cultura giuridica tradizionale, in grado di predisporre una strategia di trasformazione della società e di creare i presupposti di una democratizzazione della società e dello Stato, imperniata sul potere preminente degli organi parlamentari. I più adatti a recepire le opzioni espresse dalle organizzazioni in cui si articola il pluralismo sociale e politico.

Dopo l'anno di Mattei, il centenario di Dossetti

Se lo scorso anno fu dedicato ad Enrico Mattei, quest'anno celebra il centenario della nascita di Giuseppe Dossetti. Dossetti non nasconde che la matrice di tutto il suo agire fosse un "irriducibile antifascismo". Una opposizione continua e continuata cioè al fascismo inteso come "una grande farsa accompagnata da una grande diseducazione del nostro Paese, del nostro popolo; un grande inganno anche se è seguito certamente con l'illusione dalla maggioranza, che però sempre più si lasciava ingannare e sempre più si lasciava fuorviare".

Così pure molti italiani ignorano l'autentica svolta a gomito rappresentata dal secondo ordine del giorno presentato da Giuseppe Dossetti nella Seconda Sottocommissione, e votato all'unanimità. Il problema risolto in quella occasione è discriminante perché Dossetti, dopo aver asserito che forze e culture diverse possono scrivere insieme la Costituzione soltanto trovando una base e una visione comune, avanza la propria proposta.

Era il 9 settembre del 1946. Di assoluto rilievo la geniale (e non revisionistica) impostazione data in quella occasione al tema fascismo–antifascismo, dal momento che la Costituzione del 1948 è illeggibile a prescindere dalla Lotta di Liberazione. Propone Dossetti: se il fascismo è il prevalere dello Stato rispetto alla persona, noi assumiamo come antifascismo il prevalere della persona rispetto allo Stato. Si tratta di accedere ad una convenzione politica ed anche etica. Del resto i temi etici non hanno cessato d’assediarci: non è forse anche etica la contrapposizione tra ricchi e poveri, contrapposizione sulla quale sono misurati i provvedimenti delle leggi finanziarie? E non aveva ragione Leopoldo Elia quando indicava nel costituzionalismo, in grado di fornire "una disciplina ai partiti", il vero europeismo del Partito Democratico?

Che il fascismo fosse la prevalenza dello Stato rispetto alla persona lo testimonia l’articolo Che cos’è il Fascismo firmato per L’Enciclopedia Italiana da Benito Mussolini e scritto, come è risaputo, da Giovanni Gentile. Quanto alla preminenza della persona siamo al cuore della cultura cattolico-democratica, centrale – anche per la concezione dei cosiddetti "corpi intermedi" e del bene comune – nel filone di pensiero che va dalla Dottrina Sociale della Chiesa a Maritain e Mounier.

Nessuno tra i costituenti, grazie alla soluzione fornita da Dossetti, doveva strappare le pagine della propria storia o almanaccare intorno alla espressione "guerra civile" introdotta da De Felice. Già allora alle spalle, nella chiarezza, le preoccupazioni espresse da Luciano Violante durante il discorso di insediamento in quanto presidente della Camera nel 1996. Ridicolizzata addirittura l’uscita di Berlusconi che in un’intervista parlò di "Costituzione bolscevica": soltanto un prodigio etilico può legittimare un’espressione simile. Una Costituzione che oppone un muro di legalità e partecipazione alle derive plebiscitarie e che – in sintonia con un acuto intervento in Assemblea di Giorgio La Pira – rammenta che i diritti della persona vengono prima, come fonti, rispetto al riconoscimento da parte dello Stato. Una Costituzione che non a caso menziona il lavoro al primo posto e nel primo articolo: dove il lavoro risulta fondamento della convivenza nazionale, in quanto diritto e dovere della persona, non assimilabile in alcun modo al diritto commerciale, proprio perché la persona non è riducibile a merce e anzi la sua dignità viene dichiarata "inviolabile".

Una Costituzione in tutto personalista dunque. La persona come crocevia di culture sia pure in fiera contrapposizione tra loro. La persona in quanto trascendenza "orizzontale" e "verticale" (l’Altro), secondo la lezione di Mounier.

Dossetti rimosso

Curiosamente Giuseppe Dossetti è più noto per il livore disinformato dei detrattori che per lo zelo propagandistico degli estimatori. Dossetti infatti, dopo Antonio Rosmini, è il grande rimosso della cultura e della Chiesa italiana. Le circostanze possono averne favorito la sordina dal momento che il monaco di Monte Sole è stato in politica sette anni in tutto, ivi compresi quelli passati in montagna come partigiano. Rivisitarne dunque non tanto la memoria ma il lascito politico, provare a rifare i conti con il metodo Dossetti può essere operazione fondatamente ricostruttiva nella fase in cui il cattolicesimo democratico si trova alla fine di un ciclo politico. Proprio perché la forma che ci siamo lasciati alle spalle è quella del partito, laddove estimatori e critici, tutti, riconoscono in Dossetti una passione per il partito che andava ben oltre quella per il governo.

E dal momento che è impossibile fare una storia del cattolicesimo politico di questo secolo a prescindere dalla storia del partito politico, che ne costituisce la più originale espressione – in rotta di collisione con l'universalismo Vaticano additato da Gramsci e con le pratiche del gentilonismo – il confronto con le prese di posizione e gli scritti dossettiani, tanto avari nel numero quanto determinanti per il contenuto, si impone ancora una volta.

I cattolici infatti si affacciano come protagonisti alla storia dello Stato unitario solo attraverso la figura e lo strumento del partito politico (Pino Trotta). E probabilmente non si è sottolineata a sufficienza questa novità che per la prassi della politica cattolica costituì un autentico tornante. Non era infatti scontato che l'impegno politico dei cattolici dovesse attraversare l'esperienza del partito. Tanto che fu l'esperienza del secondo dopoguerra a sviluppare il granello di senape popolare nel grande tronco della Democrazia Cristiana. E mentre la Santa Sede, proverbialmente lento pede, stava ancora uscendo a tappe dallo Stato Pontificio, l'esperienza dei cattolici radunati in partito segnava momenti di innovazione non soltanto sul piano politico ma anche su quello ecclesiale: al punto che la Democrazia Cristiana può essere considerata un'avanguardia nel grande e variegato corpo della chiesa preconciliare. Non è dunque casuale e certamente è provvidenziale il ruolo di solerte "segreteria" giocato da don Dossetti nelle assise conciliari al seguito del cardinale di Bologna Giacomo Lercaro.

Proprio la "tranquilla liquidazione del Partito Popolare Italiano dinanzi alla vittoria del fascismo" consegna irrisolto alla Democrazia Cristiana il problema di saggiare fino in fondo nell'area culturale cattolico-democratica le potenzialità della forma partito. Quella forma rispetto alla quale la Santa Sede oscillerà tra diverse opzioni senza coincidere mai. Ed essendo Dossetti la mente più fervida e appassionata alla forma partito, è con lui che i conti vanno fatti in una fase dove al vecchio della politica pare succedere il vuoto della politica.

Spetta quindi a Giuseppe Dossetti il primato nella visione e nell'approfondimento culturale. Al punto da considerare la cultura politica l'aspetto preminente del fare politica. E vale la pena osservare, non solo di passata, come il dossettismo non estinto in Aldo Moro si riveli in una sua celebre espressione, quando cioè lo statista pugliese afferma che il pensare politica e già per il novantanove percento fare politica.

Ma se si prende come termine a quo l'Ottantanove o il Novantaquattro, tutte queste rischiano di apparire espressioni da antico testamento. Perché la nuova politica si gioca intorno ai narcisismi dell'individualismo che producono il partito personale e alle confusioni tra divismo e leadership che privilegiano la comunicazione onnivora rispetto ai contenuti. Dove il vettore comunicativo cannibalizza ogni sera nei talkshow il contenuto che è stato chiamato a veicolare. Mentre senza il fondamento dei contenuti non si danno partiti.

Probabilmente l'estinzione della figura dell'intellettuale, più o meno "organico", che si occupava dei destini del partito e del Paese e della formazione dei quadri (gli intellettuali non coincidono necessariamente con i professori) è da collocare nel dissolversi del rapporto tra elaborazione culturale, formazione, organizzazione e rappresentanza. Nessun training riconosciuto; molta improvvisazione ed esaltazione di attitudini che non sempre si combinano con la professione politica e meno ancora con la ricerca del bene comune. Il presidente Scalfaro notava con amarezza che dopo il 1992 venivano considerati atti a fare politica soprattutto coloro che fin lì non se ne erano mai occupati. Un filo di ironia lega anche la riflessione in proposito del cardinale Carlo Maria Martini dal momento che ai suoi occhi la politica è l'unica professione senza una specifica formazione. "I risultati sono di conseguenza". Circa le conseguenze si esprimeva con grande semplicità il rappresentante del popolo Saharawi nel nostro Paese: altrove cambiano gli uomini e restano i partiti; in Italia cambiano i partiti e restano gli uomini. Candore africano!

Resta comunque il fatto che non si dà al mondo democrazia senza partiti. Si aggiungano le nuove tensioni che in senso contraddittorio e contrapposto sollecitano le forme della politica. Da un lato assistiamo alla lenta ma inesorabile derubricazione "elvetica" della politica a semplice amministrazione, complice, nel quadro istituzionale, di promesse impossibili da mantenere e di troppe eterogenesi dei fini, tra le quali, soltanto per fare un esempio, la riduzione italiana del federalismo a inguardabile imitazione del federalismo. Dall'altro l'irrompere delle nuove acquisizioni della ricerca scientifica e delle biopolitiche hanno reso ineliminabile dalla riflessione, dalla legislazione e dalla decisione politica la questione antropologica. Tutto ciò dilata in maniera inedita l'ambito e lo statuto della politica, ne intimorisce ed esalta la responsabilità, fino a produrre una serie di effetti evidenti ma difficili da ricondurre a disciplina. Per questo verso infatti si dilata l'ambito della cultura politica, fino a recuperare in maniera diffusa e diffusiva, ma anche indisciplinata e confusa, il ruolo che negli anni Cinquanta e Sessanta fu – la Francia come epicentro – quello già ricordato dell'intellettuale.

Tutto ciò non bussa alla porta della politica politicante per la semplice ragione che nell'opinione pubblica e nei ritmi della vita quotidiana quella porta è stata divelta.

E’ per questo fascio di ragioni che la politica, proprio nella fase in cui si sono smarriti l'abitudine e i luoghi del pensare, si carica di nuove domande e nuove tensioni. E’ ancora qui che il compito di un'associazione come la nostra e l'attività dei gruppi incentrati intorno al binomio Costituzione e Resistenza può esercitare a pieno titolo e con originalità la propria funzione.

La lezione

È don Giuseppe a consegnarcene l'interpretazione autentica in quello che mi pare possibile considerare il suo testamento spirituale: la conversazione tenuta al clero della diocesi di Pordenone presso la Casa Madonna Pellegrina il 17 marzo 1994 e pubblicata con il titolo Tra eremo e passione civile. Percorsi biografici e riflessioni sull’oggi, a cura dell'associazione Città dell'Uomo.

Dopo avere ricordato con una sorta di civetteria del tempo breve che nel 1952 la sua stagione politica era già finita, Dossetti quasi contraddice se stesso dando conto delle ragioni che lo condussero all'abbandono esplicitato a Rossena e all'impegno successivo all'abbandono.

Dossetti del pari non nasconde che la matrice di tutto il suo agire fosse un "irriducibile antifascismo". Una opposizione continua e continuata cioè al fascismo inteso come "una grande farsa accompagnata da una grande diseducazione del nostro Paese, del nostro popolo; un grande inganno anche se seguito certamente con illusione dalla maggioranza, che però sempre più si lasciava ingannare e sempre più si lasciava fuorviare".

Su due registri Dossetti si confida al clero di Pordenone. Da un lato mette in rilievo l'occasionalità, perfino rocambolesca, del suo ingresso in politica, accompagnato da una rottura di testa in un incidente d'auto. Dall'altro insiste sul carattere della propria scelta e sulla continuità di questa scelta nella fase della politica attiva ed in quella del suo farsi monaco e fondatore di una comunità. Eccone i pilastri: "Ho cercato la via di una democrazia reale, sostanziale, non nominalistica. Una democrazia che voleva che cosa? Che voleva anzitutto cercare di mobilitare le energie profonde del nostro popolo e di indirizzarle in modo consapevole verso uno sviluppo democratico sostanziale". Questo il fine.

E il mezzo individuato come il più adeguato per raggiungere il fine è per Dossetti l'azione educatrice: "E pertanto la mia azione cosiddetta politica è stata essenzialmente azione educatrice. Educatrice nel concreto, nel transito stesso dalla vita politica. Non sono mai stato membro del Governo, nemmeno come sottosegretario e non ho avuto rimpianti a questo riguardo. Mi sono assunto invece un'opera di educazione e di informazione politica."

E siccome non sono mancati nel Dossetti che frequentava le istituzioni gli scontri e le asprezze, don Giuseppe così legittima decisioni e temperamento: "I miei contrasti – se ci sono potuti essere – con quelli che comandavano allora, sono stati non tanto contrasti di persone o di sensi, di temperamenti, ma contrasti su quest'aspetto necessario dall'azione politica come formazione della coscienza del popolo."

In particolare le accuse nei suoi confronti sono risultate funzionali a bloccare ogni opera di educazione politica e "quella dimensione della politica attiva che è l'educazione politica del popolo". (Si noti l'espressione "politica attiva" che colloca l'educazione politica nell'ambito della politica militante e non in quello del prepolitico.) Una evidente causa d'inciampo alla quale una seconda causa, altrettanto evidente, si aggiunge. "La seconda cosa che mi ha bloccato è la coscienza che la nostra cristianità, la cristianità italiana non consentiva le cose che io auspicavo nel mio cuore. Non le consentiva a me e non le avrebbe consentite a nessun altro in quei momenti, per considerazioni varie di politica internazionale e di politica interna."

Chi non intende questo approccio non capisce la consequenzialità del Dossetti "monaco" rispetto al Dossetti politico militante. Opera una scissione là dove c'è una lucida distinzione. Rimuove (non rischia anche questa di essere una rimozione?) l'originalità del Dossetti vocazionalmente politico che sceglie di salire a Monte Sole dove il dramma della storia e del mistero cristiano pongono allo spirito e alla politica domande rimaste ancora senza risposta. Perché la Lotta di Resistenza non segna soltanto la fine del fascismo, ma schiude l'ingresso a una nuova democrazia alimentata da valori che a loro volta non possono essere rimossi, proprio perché questa democrazia – e la Carta costituzionale che ne discende – non sono un guadagno fatto una volta per tutte.

E’ questo il rigore dossettiano. E’ questo il Dossetti che va riscoperto e non rimosso, anche se ci inquieta e ci sfida a una politica per la quale non ci sentiamo attrezzati e della quale non siamo in grado di intuire il valore. Una politica che ha il coraggio e la lucidità di mettere al primo posto la cultura politica, prima dei sistemi elettorali, prima della dittatura del tempo breve, prima dell'onnipotenza delle immagini sempre più onnivore.

Ma proprio queste immagini hanno assoggettato la politica fino a svuotarla, e a svuotarla a partire dalla sua istanza pedagogica. Non è forse più tempo di vati come nel Risorgimento, ma certamente è ancora tempo di testimoni piuttosto che di trionfanti ed applauditi testimonial. Ecco perché tornare a Dossetti significa non rimuoverlo in questo aspetto della sua lezione che probabilmente risulta il meno comodo. L’imprescindibilità cioè dello stile del cristiano e della cultura politica, senza la quale il nichilismo dei contenuti si concede allo spettacolo o ai nuovismi che fanno succedere al vecchio soltanto il vuoto. Onestà vorrebbe che non si rifiuti la sfida e che il cammino prosegua oltre l'attimo di un successo apparentemente felice, superando difficoltà e passaggi difficili, avendo il coraggio di proseguire anche a tentoni.

I compiti dell'ora

Diceva Giuseppe Dossetti, nel settembre del 1994 a Monteveglio, che era impossibile leggere il testo della Costituzione senza la coscienza che i costituenti avevano alle spalle l'evento globale della guerra, la trasformazione quasi totale dei costumi di vita e l'aspirazione al bando di ogni conflitto, tali da sollecitare gli animi oltre le concezioni di parte, fino a conferire al testo "l'impronta di uno spirito universale e in certo modo transtemporale". Circostanze che consentirono una votazione finale che raggiunse quasi il novanta percento dei componenti dell'Assemblea.

È a partire da queste convinzioni che abbiamo promosso una campagna contro l’astensionismo e l’antipolitica, per invitare i cittadini a non disertare le urne. Infatti la difesa della democrazia e della Costituzione sono il modo migliore per celebrare la memoria della Resistenza. Questo l'intento che intendiamo perseguire e proporre alle associazioni che, a diverso titolo, fanno riferimento alla lotta di liberazione. Di tutto ciò dà conto la lettera inviata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con la quale chiediamo un incontro.

L'intenzione emersa infatti dal nostro ultimo congresso è quella di contribuire efficacemente al rilancio degli ideali resistenziali a partire da un approfondimento della Carta Costituzionale da non svolgersi soltanto in convegni e seminari, ma creando una serie di Gruppi di Lavoro sul territorio intorno al tema "Costituzione e Resistenza". Gruppi di Lavoro composti dall'incontro tra l'Associazione Nazionale Partigiani Cristiani e le Acli che, per ragione sociale e dimensione territoriale, assicurino un nuovo tessuto umano e generazionale all'associazione. Non una rivitalizzazione ed una lotta impari contro l'anagrafe, ma un’iniziativa di recupero della memoria e dei valori della Resistenza da offrire alle nuove generazioni.

Il patrimonio al quale accedere è quello di una resistenza civile e cristiana che ha contribuito alla trasformazione delle coscienze dei cittadini in maniera determinante affiancando questa mobilitazione di popolo alla lotta armata che i partigiani conducevano in montagna. Un concetto ben delineato da Pietro Scoppola e da sempre costitutivo della visione dell'Associazione Nazionale Partigiani Cristiani. Una tradizione peraltro nella quale campeggiano vite ed eroismi cristiani come quello di Teresio Olivelli, la cui preghiera "Ribelli per amore" è diventata luogo d'incontro e di riflessione della passione civile degli italiani e insieme della loro fede cristiana e di una carità eroica. Come Olivelli, prima studente e poi rettore del collegio Ghislieri di Pavia, ufficiale degli Alpini nella tragica campagna di Russia, fondatore del giornale clandestino Il Ribelle, capace di difendere coraggiosamente valori cristiani in un'epoca segnata da ideologie che si ponevano contro Dio e contro l'uomo. Internato nei campi di concentramento di Bolzano, Flossenburg, Hersbruck, all'età di 29 anni si immola volontariamente facendo scudo con il proprio corpo alle percosse inflitte a un giovane internato dal kapò responsabile della loro baracca. Una figura, quella di Olivelli, che si va ad aggiungere alla schiera di figure eroiche, morte nei campi di sterminio tedeschi e che costituiscono un riferimento per tutto il popolo italiano.

Sarà sufficiente ricordare il rifiuto di Giuseppe Lazzati a lasciare il Lager per condividere il destino dei compagni d'arme e la passione ad un tempo religiosa e civile con la quale padre David Maria Turoldo ha identificato nella Resistenza milanese il suo essere frate e poeta, allievo di Bontadini alla Cattolica, con la libera passione che lo oppose alla dittatura e alle insorgenze mai sopite dell'antidemocrazia successiva. Perché, giova ripeterlo, la democrazia non è un guadagno fatto una volta per tutte.

Non manchiamo certamente di un solido retroterra e di motivazioni per il prossimo futuro. Da qui emerge la decisione di continuare e approfondire i rapporti con la Confederazione delle associazioni militari e partigiane, dopo la morte di Gerardo Agsotini, che fu per lunghi anni e con grande vigore presidente nostro e presidente della Confederazione. Da qui anche il rapporto con le altre associazioni partigiane: trovare una nuova sintonia sui valori generali, tenendo alti i nostri valori e mantenendo l'iniziativa. Che vuole anche dire aprirci alle nuove generazioni con il mezzo tradizionale del tesseramento e con altri che la stagione storica e la creatività dei giovani e degli aclisti sapranno suggerirci. Tutti modi per segnalare, anzitutto a noi stessi, che non solo chi non sa da dove viene non sa neppure dove va, ma che il fare memoria è il modo più cospicuo per ritrovare i materiali adatti alla ricostruzione del nostro futuro repubblicano.

Roma, 15 gennaio 2013 Giovanni Bianchi

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