...verso il

Partito Popolare Europeo

MAURIZIO EUFEMI

è stato eletto al Senato  nella XIV^ e XV^ legislatura

già Segretario della Presidenza del Senato

nella XVa Legislatura

comunicati 2015

La commissione di inchiesta sulla truffa ai risparmiatori. 

La stanno buttando in caciara. La proposta del PD Marcucci, sottoscritta da 41 senatori, di istituire una commissione di inchiesta sul credito dal 2000 ad oggi è un tentativo di confondere le acque per distogliere l'attenzione sulla vera questione della truffa operata ai danni dei risparmiatori. A proposito tra le adesioni mancano le firme autorevoli del capogruppo Zanda e di altrettanti autorevoli economisti ed esponenti di spicco del PD capaci di leggere le carte. Qualche nome: Guerrieri, Gotor, Mucchetti, così come i presidenti delle commissioni Bilancio e Finanze sempre del PD Marino e Todini. 
Si dimentica che dopo lo scandalo Parmalat il Parlamento istituì una commissione di indagine parlamentare che in tre mesi produsse notevoli risultati, raccolti in 4 volumi, che portarono alla legge di riforma del risparmio del 2005 n. 262. 

Qui si tratta di accertare che cosa non ha funzionato nelle 4 banche salvate, i comportamenti dei soggetti coinvolti, degli amministratori, quelli delle autoritá di vigilanza, e i meccanismi di intervento. Quindi tempi brevi e soluzioni idonee. 
Mettere tanta carne al fuoco, allargare a dismisura il campo di indagine significa favorire ricatti e controricatti, dove ognuno cerca di non restare con il cerino acceso in mano. 

Casini, come ascoltato sostenitore del premier, ieri ha cercato di mettere in guardia dalla soluzione proposta essendo ben conscio dei rischi che potrebbe correre la maggioranza. Pur non condividendo nulla di ciò che Casini dice e fa, però ieri ha colto i pericoli. 
Anche se la si butta in caciara i riflettori si accenderanno e sará arduo contenere il virus delle polemiche che colpiranno il PD. 
Il PD nella sua storia recente, passata e trapassata ha sempre utilizzato le commissioni di inchiesta come strumento di lotta politica contro il partito di governo. Oggi vorrebbe assumere il ruolo di lotta e di governo. Un pò troppo anche in tempi di monopolio mediatico pubblico. 
Se non prevale la saggezza, ma il tutti contro tutti, si finirá per demolire anche quelle infrastrutture dello Stato che dovrebbero essere irrobustite e non cancellate, perfezionale e non umiliate. 
Appare evidente che l'obiettivo non è indagare, correggere e sanare, ma occupare, controllare, salvare.

Scandali di ieri e quelli di oggi
Dalla scalata della banca italiana di sconto alle obbligazioni subordinate delle 4 banche in salvataggio 


Oggi sul Corriere della Sera Federico Fubini ha voluto ricordare la vicenda del fallimento della Banca Italiana di Sconto del 1921 offrendo una lettura collegata alla situazione delle obbligazioni subordinate delle 4 banche salvate.
Vanno però fatte alcune precisazioni di contesto.
La storia della Banca Italiana di Sconto fu una storia breve perché nacque il 15 dicembre 1914 come spinta al credito industriale e con la fusione del Credito Provinciale e della Società Bancaria, e chiuse gli sportelli il 28 dicembre 1921. Dunque appena 7 anni. Quello fu un eccesso di indebitamento del sistema industriale seguito da inflazione da debiti. Oggi dopo una fase deflattiva siamo in fase di ripresa debolissima con inflazione prossima allo zero e comunque sotto gli obiettivi fissati dalla BCE.
La Banca Italiana di Sconto nella affannosa ricerca di liquidità si spinse all’assalto della Banca Commerciale e al complesso industriale sottostante. Quindi è storia anche di scalata e di legame incestuoso banca industria. Oggi è storia di prodotti finanziari opachi e rottura del principio fiduciario banca cliente.
E’ proprio il fallimento dell’ultimo tentativo ostile nei confronti della Banca Commerciale che fece emergere problemi di liquidità alla Banca di Sconto con la falsificazione del Bilancio del 1920.
La risposta del governo del tempo fu flessibile. Si rifiutava il salvataggio ed si evitava il fallimento. Il Ministro dell’Industria Belotti ricostruì il tutto alla Camera il 22 maggio 1922.
Il Governo promosse un Consorzio di salvataggio coinvolgendo gli istituti di emissione Banca d’Italia, Banco di Sicilia e Banco di Napoli. Furono stanziati 600 milioni che erano insufficienti. Ne servivano il doppio.
Con il RD 28 dicembre 1921 fu ripristinata la moratoria. I 400 mila depositanti venivano garantiti tra il 75 per cento fino al 65 per cento per coloro che erano esposti per più di 5.000 lire. Oggi agli obbligazionisti subordinati delle 4 banche con un fondo di 100 milioni di euro verrebbero ristorati importi interno al 20 per cento.
Stiamo sulle percentuali di ristoro dopo la incostituzionalità del blocco degli automatismi sulle pensioni dopo la pronuncia della Corte Costituzionale.
Un fatto curioso. Nel cda erano presenti due senatori Gavazzi e Scalini che furono processati dall’Alta Corte di Giustizia in Senato. Furono assolti. Un altro fatto curioso uno dei due, Gavazzi, aveva debuttato con un interpellanza moralizzatrice sulla vicenda dello scandalo della Banca Romana. Corsi e ricorsi della storia.
Come affermerà Benedetto Croce:” Non appartiene allo storico soffermarsi sugli incidenti dei cosiddetti “scandali bancari” e sule indagini delle responsabilità e delle colpe, materia prediletta dei moralisti a buon mercato, adoperata ai loro fini dagli oppositori, Affaristi, uomini poco scrupolosi e poco dignitosi, amministratori fraudolenti, impiegati infedeli e o venali, e piccole e grosse rapine, sono cose di tutti i tempi e di tutti i paesi, e in certi tempi e in certi paesi, per effetto di talune circostanze si addensano e scoppiano in modo grave; ma il male vero si ha quando si addensano e non scoppiano, cioè quando non danno luogo alla reazione della coscienza, e al castigo e alla correzione: il che non si può dire che non accadesse allora in Italia, dove si ebbe col male il rimedio, e gli scandali cessarono di essere tali, appunto perché furono qualificati e trattati come tali”

Roma, 13 dicembre 2015

COMUNICATO STAMPA

Mario Tassone: Conferenza nazionale CDU 12/12/2015, l’obiettivo è realizzare un nuovo soggeto politico federato di Centro

Si è svolta ieri a Roma, presso l'hotel RADISSON, la Conferenza Nazionale del Nuovo CDU - Cristiani Democratici Uniti “Dall’Io al Noi: sovranità e partecipazione della società”. L'assemblea, sentita la relazione del Segretario politico onorevole Mario Tassone l'ha approvata, impegnandolo a svolgere ogni azione al fine di un coordinamento con i vari soggetti politici e movimenti con cui è in atto un confronto per realizzare un nuovo soggetto politico federato di centro, con l'obiettivo di presentarsi alle prossime scadenze elettorali amministrative e politiche. L'assemblea ha, inoltre, dato mandato al presidente Sen. Iervolino, di convocare, subito dopo la pausa delle festività natalizie, un Consiglio Nazionale dove verranno esaminati i documenti presentati durante i lavori. Sono intervenuti il Sen. Mario Mauro dei Popolari per l’Italia, il Sen. Gaetano Quagliariello di Idea, il Dr. Pino Bicchielli di Italia Unica, il Dr. Giancarlo Travagin di Alleanza Democratica, l’On.le Ignazio Cozzoli dei Conservatori Riformisti, il Dr. Nino Luciani della Democrazia Cristiana Nuova di Alessi ed i Rappresentanti della Federazione Solidarietà Popolare dell’On.le Gianni Fontana, del Movimento 20 Giugno e della Democrazia Cristiana dell’On.le Sandri.

Roma, 13/12/2015

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Conferenza Nazionale del nuovo CDU

DALL’IO AL NOI – LA SOVRANITA’ E LA PARTECIPAZIONE DELLA POLITICA

Sabato 12 DICEMBRE 2015 Hotel Radisson Blu - Roma

videoregistrazione dell'intervento: https://www.facebook.com/maurizio.eufemi.7/posts/448646548672054

 

intervento di Maurizio Eufemi

Oggi siamo qui perché vogliamo tenere alto il vessillo della idea popolare portata avanti dal CDU con lo spirito di Rovereto, di Torino, di Orvieto, che è quello della riaggregazione, rifiutando indifferenza e rassegnazione.

Il titolo racchiude bene il significato dell’incontro odierno. La presa d’atto della fine di una stagione politica costruite sulle leadership che hanno azzerato partecipazione e confronto democratico che hanno portato a disaffezione ed astensionismo.

E’ crisi di leaderismo e di partiti personali che hanno dimostrato limiti vistosi.

Oggi ritroviamo tanti amici con i quali percorrere un altro cammino perché non possiamo né silenti, né spettatori passivi, ma giocare la partita con la squadra e con le idee.

Per contare è però necessario contarsi.! Abbiamo il dovere ricostruire il tessuto politico, lavorando sul territorio.

Non siamo stati fermi. Abbiamo sempre operato anche da posizioni difficili e nell’oscuramento dei media.

E in questi due anni soprattutto abbiamo cercato di ricostruire una casa distrutta da ambizioni di taluni, da interessi di altri, e da errori di altri ancora.

Cari amici dobbiamo essere franchi. Non ci devono essere ambiguità. Abbiamo un concetto alto di libertà. Lo dico dopo avere ascoltato il Sen Quagliariello. Quando nel 2005 votammo la riforma costituzionale Calderoli, noi del CDU con Iervolino, Gubert e tanti altri mettemmo in minoranza il Presidente del Gruppo - relatore di quel provvedimento che era D’Onofrio, uno del patto di Lorenzago, ed è tutto dire per significare la difesa di talune idee sulle istituzioni in quel caso difesa del ruolo, delle funzioni competenze del Senato.

Vogliamo ricostruire una casa con mura solide, di cui il CDU è una pietra d’angolo perché ancorati ai valori sturziani e degasperiani. Sono i valori della onestà, della solidarietà e della partecipazione.

Non veniamo da comode posizioni di governo. Ai tanti distratti ricordiamo solo che facevamo opposizione anche quando eravamo maggioranza, perché non ci si può adagiare. Questo per dire che ci voleva un pò più di coraggio su una riforma costituzionale- elettorale devastante e pericolosa. Non è sulla politica economica accettavamo tutto il precotto preparato da Tremonti.

Lo stesso va detto per le scelte di finanza pubblica da chi ha accettato i governi Monti Letta e Renzi è adesso si sveglia tardivamente per prenderne le distanze. La frittata è fatta e le uova sono state rotte è difficile ricomporle.

È la ricetta che è sbagliata. Si è puntato sui bonus discrezionali, sui numeri tondi che colpiscono l'immaginifico, 80, 500, 1.000, piuttosto che su vere riforme fiscali. Ci si è dimenticati completamente del Mezzogiorno. Si è inseguita la Merkel sugli automatismi piuttosto che sulle politiche di coesione e sussidiarietá.

Noi dobbiamo seguire la strada del popolarismo piuttosto che quella delle elites che si credono illuminate del sapere di imporre la strada. Non siamo il gregge. E’ stato lanciata una nuova formazione l’Idea. Preferiamo il plurale: le idee.

Il popolarismo è condivisione, è pluralismo, è partecipazione è solidarismo.

In questa nuova casa, più grande, aperta ai volenterosi, non c’è però spazio per opportunisti o per chi dopo avere preso il nostro sangue è pronto poi a tradirci saltando sul carro di vincitori e vendersi per un piatto di lenticchie. Non servono patti siglati dal notaio. Basta una stretta di mano.

Vogliamo amici generosi, disposti al sacrificio, a svolgere un ruolo di opposizione ferma, decisa senza compromessi.

Scriveva Sturzo le vittorie non sono nostre ma dell’idea, le sconfitte sono nostre non dell’idea.

Ecco non dobbiamo compiere errori.

Dopo il tempo della diaspora è venuto il tempo della riaggregazione, della ricostruzione, ma abbiamo il dovere di scegliere bene i compagni di strada. La convergenza deve avvenire sugli obiettivi e sui programmi con un profilo chiaro non contraddittorio. E’ preferibile essere pochi, ma buoni, piuttosto che annacquarsi in aree, in programmi lontani dai nostri valori. Lo facciamo con quanti in questi due anni hanno condiviso le nostre scelte sul terreno della opposizione alle riforme e alla linea di politica economica del governo. Lo facciamo con quanti sono qua.

Ormai Palazzo Chigi sembra ormai diventato un centro di produzione televisiva di immagini del premier, ieri impegnato in una conferenza stampa al mattino, poi a un convegno alla Accademia dei Lincei e alla sera alla Leopolda. Una sovraesposizione unita a sovrapposizione di ruoli.

Consigli dei ministri che decidono tanto e durano poco tempo, dimostrando l’assenza di qualsiasi approfondito confronto tra i titolari della responsabilità politica che sono i Ministri svuotati di ogni azione accentrata a Palazzo Chigi. Così come è stato con il decreto domenicale sulle banchem durato solo 23 minuti, dimostrando l'assenza di qualsiasi serio approfondimento e di confronto tra i titolari della responsabilitá politica che sono i ministri, svuotati di ogni azione, perchè accentrata a Palazzo Chigi.

De Gasperi al primo congresso DC rispetto al potere dello Stato aveva l'umiltá di dire cosa è il Governo e " vi posso parlare della limitatezza della possibilitá che possono avere 18 nomi che deliberano leggi e decreti preparati dalle burocrazie".

Così è stato il decreto domenicale sulle banche con il disgustoso scaricabarile.

Prima di tutto viene il risparmio.!! Prima di tutto viene la fiducia della gente che non può essere tradita da comportamenti truffaldini. A Domenico Orsini, vorrei ricordare le battaglie parlamentari del 2005 sulle obbligazioni strutturate e sul MPS. Ci dovrebbero fare un monumento a piazza del Campo per non avere recepito le nostre indicazioni.

La convergenza è innanzitutto con quanti respingono i programmi di questo governo a cominciare dalla riforme costituzionali ed elettorali e il renzismo come metodo. Siamo ormai al governo delle minoranze Dove sono finiti i partiti, si chiedeva Prodi, nei giorni scorsi e quanta debolezza dei sindacati.

Come cdu abbiamo sottoscritto i ricorsi in tribunale sul’Italicum con 14 motivazioni e parteciperemo alla campagna referendaria su una legge che con pochi consensi da il massimo del potere senza quei bilanciamenti indispensabili all’equilibrio costituzionale. Perché vogliamo difendere le istituzioni e si vogliono distruggere i rappresentanti del popolo. Si sta tornando alla politica delle caste.

Una legge che con il disposto dei collegi produce nominati e dunque svuota la partecipazione.

Perché vedete amici, solo un forte impronta culturale ci consente di vincere la battaglia delle idee.

Solo un forte ancoraggio ai grandi pilastri culturali della nostra tradizione ci consente di affrontare la sfida politica.

Non ci affidiamo a tesi semplicistiche, ai twitter, noi vogliamo guardare in faccia la gente ed è per questo che da ogni regione, da Torino a Messina dal Veneto al Gargano, siamo qui.

Vogliamo recuperare i valori del popolarismo che non sino tramontati, ma sono più attuali che mai, sono quelli che pongono attenzione verso i più deboli, verso gli altri, verso chi è in difficoltà e fa crescere non pochi ma molti e la società in tutti i suoi segmenti.

Non ci può essere sovranità senza mediazione con il corpo sociale.

Una sovranità messa in crisi sul piano teorico da teorie costituzionaliste e sul piano pratico dalla incapacità di essere nello stato moderno, unico e autonomo centro di potere e che viene messa a dura prova dalle interdipendenze fra gli Stati. I poteri sono stati corrosi da comunità sovranazionali imponendo i diritti sovranazionali. Sta venendo meno la grandezza della sintesi tra potere e diritto. V’è ormai una sovranità nazionale solo fittizia, una sovranità limitata sul problema delle frontiere, degli immigrati, da istituzioni sovranazionali, dalla BCE, dalla moneta europea, con poteri nazionali svuotati incapaci di affrontare lo stato di eccezione che revoca la legalità (esempio provvedimenti in Francia) in una fase precaria di trasformazione e di globalizzazione senza assetti definitivi. Una sovranità che è limitata dai governi globali. Non si può trasferire tutto in alto.

C’è la rottura dello spazio, dei confini, ma nello spazio globale si muovono altre forze che non possono essere bilanciate. Multinazionali con poteri senza controllo, senza popolazione e territorio, dunque senza sovranità, ma di un potere superiore.

La crisi della sovranità è crisi della democrazia politica e della rappresentanza.

Non un cultura dell’io, ma una cultura del noi. Rifiutiamo l’io dell’individualismo e della verticalità renziana, lo svuotamento di organi elettivi che portano al prevalere delle tecnostrutture, dei circoli chiusi delle consorterie, e sosteniamo il noi del partito plurale, della partecipazione, della biodiversità finanziaria, della solidarietà, una visione dei corpi intermedi, della comunità, di valori comuni e condivisi. In quel noi c’è tutta la nostra tradizione, cultura e la nostra storia e c’è il nostro avvenire.

Partecipazione è presenza nella società.

Siamo chiamati ad importanti appuntamenti elettorali in città. I risultati assumeranno un forte significato politico. Non dobbiamo annacquarci in posizioni contraddittorie con la nostra visione.

Abbiamo l’ambizione di rigenerare la politica

Riorientare la cultura politica, economica e sociale

Reinterpretare lo Stato Sociale in senso virtuoso

Riproporre strumenti di democrazia aggiornata.

Abbiamo il dovere di credere e di crederci.

Recuperare una cultura dell’ascolto, della responsabilità, della condivisione del rispetto reciproco.

Vogliamo declinare un progetto Paese che indichi come priorità

Il lavoro come valore sociale che realizza la dignità della persona umana

Affrontare il problema del debito pubblico, questione dimenticata

Ristrutturare la spesa pubblica

Realizzare un fisco semplice e amico

Definire i settori strategici su cui puntare, quelli a più alto valore aggiunto

Non si risolvono i problemi complessi del Paese senza un coinvolgimento delle forze sociali come è stato nel 1993.

Vogliamo una Europa dei popoli e dei valori non l’Europa del metodo intergovernativo e delle tecnocrazie.

Vogliamo archiviare la fase dei leader carismatici che espropriano gli organi di partecipazione desertificando i corpi intermedi e rappresentativi come province, camere di commercio.

Archiviare il partito mediatico che devitalizza le coscienze delle persone.

Il nostro appello è quello di far emergere una nuova grande area politica e culturale plurale che valorizzi i territori che riaggreghi i frammenti della diaspora che si riconosca nella economia sociale di mercato

Se sapremo fare questo con generosità avremo dato un contributo per la crescita del Paese.

Siamo nell'anno giubilare. Tutti vogliamo andare sulla Via Francigena. Ma dove La imbocchiamo per arrivare al Monte Gaudio che ci consenta di vedere il traguardo?

Roma, 12 dicembre 2015

 

 

 

 

Dall'Io al Noi:

 

sovranità e partecipazione della società

é il tema della Conferenza Nazionale del CDU che si terrà sabato 12 dicembre a Roma. 

 

Con questo evento si chiude una fase del progetto avviato l'11 maggio del 2013 al Parco dei Principi di Roma.

Avevamo assunto l'impegno di operare,coinvolgendo altri movimenti e forze politiche, per costruire una aggregazione ampia che colmasse il vuoto della non politica. Dopo il Parco dei Principi in molti si sono mossi lungo questa prospettiva. Con il trascorrere del tempo la proposta é divenuta sempre più attuale. C'è un mondo che crolla sotto il peso delle illusioni e della superficialità. I pensieri sono sempre a breve raggio e una idea Paese sempre più asfittica e inconsistente. Il diffuso fastidio verso la politica, l'astensionismo, la tendenza ad attenzionare ogni forma di estremismo sono le patologie di una cultura che va in frantumi. 

E nella Conferenza del 12, con le rappresentanze di altri movimenti, intendiamo chiudere una stagione di ricerche e di confronti per trovare assieme uno sbocco dove le proposte espresse in tante iniziative trovino le forme di una definizione che non puó essere rinviata. Sarà la federazione o un coordinamento. Come si vuol chiamare non ha molta importanza, quello che invece é vitale é dare vita ad un soggetto politico che occupi spazi vuoti, restituisca le regole di una democrazia violata. Non é il tempo dell'essere contro a qualcuno ma é il momento di trovare una alternativa a un sistema che polverizza i riferimenti storici e culturali sui cui si é costruita la Repubblica. Certo la strada non è facile. Con il combinato disposto delle riforme elettorali e istituzionali tutto appare blindato e senza via di uscita. Ma gli"autori " di queste blindature sanno bene che non si possono imbrigliare i sentimenti, non si possono rottamare le sensibilitá, non si possono soffocare gli aneliti di libertà e di giustizia. Non si possono negare i tratti identitari dell'Uomo. In questo dobbiamo essere tutti convinti. Chi pensa solo,a  percorsi personali o a un soggetto politico senza anima ma una aggiunta agli altri é fuori strada. Non è più il tempo di pigrizizie ma di immaginifici appuntamenti dove il coraggio della volontà sia lo strumento per ritrovare se stessi. Siamo perché rivivano i valori non quelli commerciali, usati come offerta speciale di un prodotto nei supermercati ma quelli che sono il sedimento della persona umana. Sembra ritornare una epoca di distruzione, di violenze. Si sta scivolando nel baratro. Come si può fermare tutto questo se non ci affidiamo agli slanci della solidarietà di un umanesimo ritrovato? Ecco quale deve essere la nostra parte. Un amore per il nostro Paese, un amore della verità, una lotta per bloccare inganni e raggiri. Allo stato non sappiamo se c'è crescita o no. C'è un susseguirsi di dati contraddittori. Il ministro dell'economia distribuisce assicurazioni, con una faccia sempre più patibolare, per mandato ricevuto e subito. Non sappiamo se il pubblico impiego è fuori o no dai meccanismi del Jobs - act. Viviamo questo 12 dicembre, quindi, nella convinzione che siamo nel giusto. Chi aveva promesso rivoluzioni ha fatto una restaurazione rozza. 

Noi dobbiamo essere la rivoluzione per far riprendere la corsa di una storia fermata attraverso strumenti che hanno distrutto il buon senso.

 

Mario Tassone

Riflessioni su "Elogio della sovranitá politica" 

 

Alcune riflessioni sulla presentazione del libro di De Giovanni " Elogio della sovranitá politica". Le riflessioni filosofiche dei relatori Polito, Bianco, Scoditti, Marramao, De Giovanni, sono diventate anche pressanti interrogativi dopo interventi così profondi che portavano a trasferire i ragionamenti alla attualitá, alle vicende del 13 novembre, ma anche alla crisi mediorientale, alla primavera araba, alla costruzione europea, alla BCE e tanto altro ancora. 

Come ha scritto Gerardo Bianco "con questo saggio De Giovanni affronta, dopo quello dedicato alla Democrazia di massa, un tema cruciale del pensiero politico, quello della Sovranità.

Attraverso una rilettura attenta dei grandi autori che, lungo i secoli, hanno trattato l’argomento, egli riformula l’originario concetto hegeliano di Sovranità, ribadendone il necessario ruolo per l’organizzazione politica della società in una cornice di libertà costituzionalmente garantite.

In una fase di “pensiero debole” che si riflette, con evidenza, nell’opaca “prassi politica” dei nostri giorni, il libro di De Giovanni, filosofo e politico che ha contribuito a dissolvere varie mitologie e ad aprire nuove prospettive, sollecita a riprendere in modo approfondito la riflessione sulle grandi questioni aperte della teoria politica.

Lo scritto di Biagio De Giovanni restituisce dignità al ruolo dell’agire politico, fissandone anche il fondamento concettuale". 

È stato anche detto della espansione di una teologia dei diritti, ma chi dá a questi diritti il fondamento se non c'è sovranitá. Non ci può essere sovranitá senza mediazione con il corpo sociale. 
Nella attualitá c'è il contrasto tra gli Stati Nazionali e istituzioni sovranazionali. 
La democrazia è diventata impopolare con forme di ribellione perchè non riesce più ad essere potere del popolo. 
Non si comprende il mondo globale se non si ripercorrono le tappe della globalizzazione. 
Il popolo è prodotto di una costruzione politica. 
A che punto è la notte della sovranitá ? Siamo nell'interregno tra vecchio ordine e nuovo ordine. La sovranitá è sempre più limitata dai governi globali. 
È possibile un Demos globale? 
In Europa il costituzionalismo del novecento è stato costituzionalismo sociale. 
Quale è il rapporto tra democrazia nazionale e sovranazionale? 
Distinzione fra diritti umani e diritti fondamentali. 
I diritti fondamentali sono diritti politici. Tanto spessi sono i diritti fondamentali, tanto sottili sono quelli umani. 
La grande questione è la sovranazionalitá, con un popolo che non c'è, un territorio confuso e una societá liquida. Come riorganizzare tutto ciò? 
Il novecento ha posto il tema del cambiamento nel mondo con l'irruzione delle masse. 
La teologia dei diritti li ha resi fluttuanti, confusi, disconnessi . 
La sovranitá politica è un processo più complicato. La crisi della sovranitá è anche crisi della democrazia politica e della rappresentanza. Lo Stato è stato contenitore. Quale è il destino della democrazia politica. C'è la rottura dello spazio, dei suoi confini e nello spazio globale si muovono altre forze. Non possiamo trasferire tutto in alto.
Che cosa lascia la crisi della sovranitá politica. 
Che cosa accade in questo spazio? Che fine fa il mondo nuovo che prima era tenuto in mano dagli Stati moderni? 
Sono riflessioni che volevo condividere con chi non ha avuto la possibilitá di assistere ad un dibattito così profondo in un pomeriggio dedicato al pensiero forte nella sala dedicata a Giovanni Spadolini.

 
Roma 25 novembre 2015 

LETTERA APPELLO AI POPOLARI ITALIANI
 

Ai tanti in prima linea nell'impegno civile, nell'associazionismo politico e culturale e nell'animazione sociale.
Il tempo che ci è dato di vivere è questo! Limitarsi a denunciare il disordine, non basta!! Farsi risucchiare dall'inquietudine e dallo
smarrimento è un errore! Tanto meno ritirandosi nel privato!
Occorre reagire!! Organizzandoci! E misurandoci con le sfide che la complicata situazione economica e politica ci pone!
Anche le drammatiche tragedie che stanno interessando l'Europa dell'Est, il Mediterraneo, il Medio Oriente e le vaste zone dell'Africa abbisognano di assunzione di responsabilità e di risposte decise.
L'irrazionalità di certa cultura e certe barbarie fondamentaliste nel rapporto fra popolazioni e religioni diverse, ci portano indietro nella storia e minano alle fondamenta i principi di rispetto dell'uomo e di tolleranza.
L'eccezionale crisi economica provocata dai default finanziari nel 2007/2008 e la miope reazione della politica europea, che hanno messo in ginocchio interi popoli, potrebbero ancora ripetersi, data l'arrendevolezza della Politica nell'introdurre nuove regole e nuovi
presidi nella "Governance globale".
Le incertezze e le carenze dell'UE manifestano i loro perniciosi effetti sia nel funzionamento delle Istituzioni Politiche, sia nelle Politiche di settore: dalla politica estera a quella di difesa; dalla politica fiscale sino a quella umanitaria.
La complessità dei problemi che gravano sul nostro Paese, a partire da quelli etici perarrivare a quelli economici, con la carenza di lavoro davvero emergenziale, richiedono uno sforzo eccezionale e straordinario.
In presenza di questo quadro, il grido biblico di Jahvè: "Adamo dove sei?" Non può ripetersi!!
Ciascuno di noi deve rimettersi in gioco. In un cammino di impegno e di dedizione sulle questioni che la quotidianità ci pone: da quelle grandi a quelle piccole, da quelle economiche a quelle politiche.
***
Dall'Italia abbiamo avuto tanto! All'Italia ora, non dobbiamo far mancare il nostro contributo generoso di idee, di progetti e di classe dirigente disponibile a giocare una nuova partita.
Da più parti: dai cittadini in primis, che disertano le urne! Come da autorevoli osservatori della cultura e dell'economia nazionali, si sollecita a gran voce una "profonda riforma dei partiti" e che bisogna impegnarsi in prima persona, per dar vita "a Nuovi Movimenti Sociali". Noi vogliamo cogliere queste "provocazioni "! Noi vogliamo promuovere e sollecitare una sana reazione, e quindi diventare, attraverso un Progetto chiaro, ambizioso e concreto, un punto di riferimento nel Paese e fuori, per: Dare un Governo e delle regole alle sfide poste dalla "Globalizzazione" delle persone, dell'economia e della finanza! Recuperare lo spirito originario, che è stato alla base della nascita dell'UE: mettendo avanti il benessere delle persone rispetto alla politica del rigore! La sussidiarietà rispetto all'illuminato ruolo della burocrazia! Lo sviluppo rispetto alle regole e al mercato! Le piccole imprese e l'economia reale alla base delle politiche economiche! Batterci per tenere alta la "qualità" della nostra Democrazia: autentica architrave di un sistema che abbia a cuore la promozione della dignità della persona umana, sia nella sfera della libertà religiosa, sia in quella delle libertà individuali e democratiche! Contrastare con energia le tante Povertà, aumentate con la persistente crisi di questi anni! In primo luogo accrescendo le opportunità di lavoro e, in pari tempo, tutelando le fasce più deboli! Promuovere senza tentennamenti i nostri valori di riferimento: a partire dalla centralità della persona, dalla Giustizia e dal contrasto di tutte le devianze (come illegalità e corruzione), alla salvaguardia della famiglia naturale (articolo 29 della Costituzione) fino al primato della libertà e qualità di educazione! Fare della Comunità, della Famiglia e dell'Impresa i tre motori cardine del nostro programma di riscatto. Non possiamo non condividere questi obiettivi! *** Per questo ci è imposto promuovere una "Grande Iniziativa": plurale, aperta, comunitaria. Una Iniziativa che ponga fine alla diaspora e alla frammentazione dei tanti Partiti, Associazioni, Movimenti di matrice cristiano-popolare che hanno reso questa area e questa cultura marginale ed irrilevante. Una Iniziativa che dia vita ad un'"Area politico-culturale" che sappia far interloquire cattolici e non cattolici, laici, riformisti e liberaldemocratici! Che sappia coniugare la freschezza giovanile con la saggezza dell'esperienza!! E che abbia una chiara connotazione popolare e territoriale. Una Comunità di persone responsabili, che abbia l'ambizione di contribuire alla realizzazione di un Progetto-Paese per la nostra Italia.
Da questa Area dovrà scaturire un Impegno Politico diretto!! Ambizioso nel Progetto! E generoso nella testimonianza di ciascuno! Non per dar vita a un piccolo Partito! Ma ad un'Esperienza Grande, che sappia unire e favorire aggregazioni nuove!! E che sappia concorrere ad essere anche punto di riferimento per il Governo del Paese. Un'Esperienza dove la Sussidiarietà e il Dialogo Sociale siano le anime di un nuovo popolarismo e dove la Comunità, l'Impresa e la Famiglia diventino la dorsale della nuova Italia!!. Proprio perché siamo interessati ad un Grande Progetto, vogliamo muoverci dentro un genuino spirito di "Ricerca". Una ricerca che non escluda, anzi favorisca l'organizzazione e il fiorire di incontri territoriali di condivisione, di approfondimento e di proposta. Un metodo che ci porti a seppellire e cestinare il modello dei movimenti leaderistici e dei movimenti solo mediatici per adottare modelli comunitari, che si dotino di leader comunitari espressi democraticamente e collegati con i territori. Quasi una rivoluzione rispetto ai populismi imperanti! Se sei interessato a questa nuova impresa, qui sotto troverai i nostri riferimenti. Non c'è nulla di già scritto! Nulla di scontato! Ma proprio per questo il futuro è alla nostra portata!

I promotori:

Sen. Dott. Ivo Tarolli On. Rodolfo de Laurentiis Dr. Raffaele Bonanni On. Mario Tassone Dr. Ettore Bonalberti On. Gianni Fontana On. Luisa Santolini On. Mario Baccini On. Alessandro Forlani On. Nino Gemelli On. Renzo Gubert Prof. Gustavo Piga Prof. Andrea Tomasi Dr. Pippo Castronovo Prof. Antonino Giannone Jacopo Solaini Dr. Paolo Floris Maurizio Pilati Alessio Piazza Dr. Emanuele Pezzino Dr. Tiziano Melchiorre Avv. Paolo Voltaggio Dr. Mauro Carmagnola Dr. Amedeo Portacci Dr. Attilio Lioi Prof Luciano Pilati Dr. Marco D'Agostini On Potito Salatto Dott.ssa Rosanna Dr. Ilario Maiolo;Dr. E. Perriello;Dr. Antonio Di Matteo Dr. Sergio Torta Dr. Eugenio Antolini On.Publio Fiori Prof. Ulderico Bernardi; Dr. Leonardo Ranieri Triulzi; Dr. Luigi Bottazzi; Dr. Francesco Innaco. Dr. Roberto Rosso Dr. Stefano Bagozzi On. Maurizio Eufemi Sen. Mario Mauro Dr. Mirko De Carli Dott.ssa Lucia Scaffardi Dr. Francesco Marcato Luigi Bonanomi Alberto Vinzio Elena Sester Marcello Baldini Avv. Daniele Ricciardi Avv. Antonfrancesco Venturini Dott.ssa Caterina Grechi On. Luigi D’Agrò Sen. Riccardo Pedrizzi Dott.ssa Melania Boni Dr. Gabriele de Simone Dr. Andrea Giorgianni Dr. Lelio Alfonso Dr. Domenico Menorello Dr. Vittorio Zanini Dr. Riccardo Pilat Matteo Masé Valter Bonatti Prof. Nino Luciani Sergio Scarpino Giuseppe Criseo Gianfranco Tunis Dr. Alberto Alessi Dr. Francesco Pilieci Dott.ssa Barbara Casagrande Dr. Mario Petrillo, Augusto Ciampechini Dr. Monica Bomé

Articolo di Dario Bego

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto il 23 novembre 2015 al Quirinale una delegazione dell'Associazione ex parlamentari della Repubblica, guidata dal Presidente, Gerardo Bianco, e una delegazione dell'Associazione ex consiglieri regionali guidata dal Presidente, Aldo Bottin

 

Le  ragioni del no alla riforma costituzionale.

Sono motivazioni che superano l' appartenenza politica e partitica, ma risiedono nella visione dello Stato di ciascuno. 

COMITATO PER IL NO
NEL REFERENDUM COSTITUZIONALE SULLA LEGGE RENZI-BOSCHI

 

LE RAGIONI DEL NO
Appello ai Deputati
Onorevoli deputati,

1. la vasta e complessa riforma costituzionale che vi accingete a votare in quarta lettura, ma pur sempre nell’ambito della prima deliberazione, è una riforma che, in coerenza col nostro sistema di democrazia parlamentare, avrebbe dovuto procedere dall’iniziativa parlamentare, e non dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi e dal Ministro per le Riforme Boschi. Il che ha determinato inammissibili interferenze da parte dei medesimi sulla libertà di coscienza dei parlamentari in sede referente e in assemblea; e con modalità di approvazione che se legittime per leggi ordinarie, non lo sono certo per le leggi di revisione costituzionali. Come, ad esempio, l’asserita non emendabilità degli articoli approvati sia da Camera che da Senato, che è bensì un principio valido per le leggi ordinarie (art. 104 reg. Sen.) ma non per le leggi costituzionali.
Contro l’applicabilità di tale norma vi è, infatti, non solo il precedente della Giunta del regolamento della Camera del 5 maggio 1993 (presidente Napolitano), secondo il quale nel procedimento di revisione costituzionale possono essere introdotti emendamenti anche soppressivi pur quando sul testo si sia formata la “doppia conforme”, ma sussiste l’argomento ulteriore - assorbente e insuperabile - secondo il quale, fino a quando non sia stata definitivamente approvata e promulgata, una modifica non può prevalere sulla Costituzione vigente e sostituirsi ad essa. 

2. Quella che vi accingete ad approvare in seconda lettura, pur sempre nell’ambito della prima deliberazione, è una revisione costituzionale che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 - dichiarativa dell’incostituzionalità di talune norme del c.d. Porcellum -, non avrebbe dovuto essere nemmeno presentata in questa legislatura.
La Corte costituzionale, nella citata sentenza (v. il n. 7 del cons. in dir.), ebbe infatti a precisare che, a seguito dell’incostituzionalità di tali norme, le Camere avrebbero potuto continuare ad operare grazie ad un principio implicito - il «principio fondamentale della continuità dello Stato» - però essenzialmente limitato nel tempo, come esemplificato dalla stessa Corte, in quella sentenza, col richiamo alla prorogatio prevista negli articoli 61 e 77, comma 2, Cost., che prevedono tutt’al più un’efficacia non superiore ai tre mesi! 

3. Ancora: tale legge di revisione costituzionale è disomogenea nel contenuto, e pertanto contraria all’art. 48 Cost., in quanto costringe l’elettore ad esprimere con un solo voto il suo favore contestualmente a proposito sia delle modifiche alla forma di governo, sia delle modifiche ai rapporti tra Stato e autonomie locali, ancorché egli sia favorevole solo ad una delle due. Ripetendo così l’errore della riforma Berlusconi del 2005, che violava per l’appunto la libertà di voto dell’elettore.

4. Gravi e svariate sono poi le perplessità che sollevano gli articoli fin qui approvati, molti dei quali - come si dirà nel prosieguo - ridondano addirittura nella violazione dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale, come tali non sopprimibili ancorché con legge di revisione costituzionale, sulle quali la Corte, come esplicitamente affermato nella sent. n. 1146 del 1988 (ripetutamente ribadita), si è esplicitamente riservata di dichiararne l’incostituzionalità ove tempestivamente investita della relativa questione. 
I principi supremi che vengono esplicitamente violati dal d.d.dl. Renzi-Boschi sono, in primo luogo, il principio della sovranità popolare di cui all’art. 1 Cost. (ritenuto ineliminabile dalle sentenze nn. 18 del 1982, 609 del 1988, 309 del 1999, 390 del 1999 e, da ultimo, dalla sent. n. 1 del 2014, secondo la quale «la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto (…) costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare»). In secondo luogo il principio di eguaglianza e di razionalità di cui all’art. 3 Cost. (sentenze nn. 18 del 1982, 388 del 1991, 62 del 1992 e 15 del 1996).

4.1. Il principio secondo il quale «la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto (…) costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare») è violato dal “nuovo” art. 57, commi 2 e 5, il quale, con una formulazione criptica indegna di una Costituzione, da un lato, esclude comunque che i senatori-sindaci non vengano eletti dai cittadini nemmeno in via indiretta, dall’altro prevede che la scelta dei senatori-consiglieri regionali avvenga da parte dei consiglieri regionali, che dovrebbero però conformarsi al risultato delle elezioni regionali. Per cui, delle due l’una: o l’elezione dei senatori-consiglieri si conformerà integralmente al risultato delle elezioni regionali e allora ne costituirà un inutile duplicato oppure se ne distaccherà e allora viola il principio dell’elettività diretta del Senato sancito dall’art. 1 della Costituzione. 
Si badi bene: l’esigenza dell’elettività diretta del Senato non è fine a se stessa, essa consegue da ciò, che, anche a seguito della riforma Renzi-Boschi, il Senato eserciterebbe sia la funzione legislativa sia la funzione di revisione costituzionale che, per definizione, costituiscono il più alto esercizio della sovranità popolare.
Di qui l’ineludibilità del voto dei cittadini che, della sovranità popolare, «costituisce il principale strumento di manifestazione». 
Senza poi dimenticare che solo l’elezione popolare diretta consentirebbe di svincolare l’elezione del Senato dalle beghe esistenti nei micro-sistemi politici regionali, come è stato sottolineato, tra gli altri, dal Presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri. Il che, detto più ruvidamente, sta a significare che l’elezione diretta sottrarrebbe, almeno in via di principio, le elezioni dei senatori dal tessuto di scandali che contraddistingue la politica locale italiana. 

4.2. Passando alle violazioni del principio supremo di eguaglianza e razionalità (art. 3), la prima e più evidente consiste nella macroscopica differenza numerica dei deputati rispetto ai senatori, che rende praticamente irrilevante - nelle riunioni del Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei componenti laici del CSM - la presenza del Senato a fronte della soverchiante rappresentanza della Camera,. 
Sotto un diverso profilo, la competenza dei 100 senatori ad eleggere due giudici costituzionali mentre i 630 deputati ne eleggerebbero solo tre, solleva sia un problema di proporzionalità a svantaggio della Camera, sia un problema di inadeguatezza tecnica dei senatori nella scelta dei giudici costituzionali, che finirebbe per essere effettuata dalle segreterie nazionali dei partiti politici.  
Né si può sottacere che, secondo la riforma Renzi-Boschi, i 95 senatori eletti dai consigli regionali continuerebbero ad esercitare part time la funzione di consigliere regionale o di sindaco, per cui è facile prevedere che eserciterebbero in maniera del tutto insufficiente le funzioni senatoriali. Con un’ulteriore evidente violazione del principio di eguaglianza-razionalità

4.3. Nel sistema federale tedesco - che alcuni parlamentari erroneamente ritengono di aver introdotto in Italia (sic!) - il Bundesrat, l’equivalente tedesco del nostro Senato (operante però sin dalla Costituzione imperiale del 1870, tranne la parentesi hitleriana), è costituito dalle sole rappresentanze dei singoli Länder che, a seconda dell’importanza del Land, hanno a disposizione da 3 a 6 voti per ogni deliberazione. 
Ebbene, a parte l’ovvia considerazione, anch’essa ignorata, che i cittadini dei singoli Länder eleggono bensì il Governo del Land, me non, indirettamente, il Bundesrat, ciò che deve essere sottolineato è che nel Bundesrat sono presenti i singoli Governi del Länder, con tutto il loro peso politico, nei confronti del Governo federale, derivante dall’elezione popolare. 
Ci si deve allora realisticamente chiedere quale mai forza possa avere il Senato della Repubblica – privo di effettiva politicità (v. ancora G. Silvestri) -, sia nei confronti dello Stato centrale, sia dei Governatori delle singole Regioni, in quanto composto da soli 100 senatori part time consiglieri o sindaci.

4.4. Di minore importanza pratica è il problema, che però testimonia la trascuratezza e superficialità del disegno costituzionale del Governo Renzi, della nomina presidenziale dei cinque senatori che durerebbero in carica per sette anni, quanto quindi il Presidente che li ha nominati.
A parte le perplessità a proposito del “partitino” del Presidente, che verrebbe così costituito, una cosa sono i senatori a vita in un Senato avente finalità generali, altra cosa, assai più discutibile, sono i senatori eletti in un Senato delle autonomie (G. Silvestri, S. Mangiameli).
Da questo diverso angolo visuale, volendo a tutti i costi mantenere questo pubblico riconoscimento per chi ha illustrato la Patria, sarebbe allora più logico (rectius, meno illogico) che il riconoscimento avvenisse nell’ambito della Camera dei deputati, in quanto essa sola manterrebbe le funzioni di rappresentanza generale del popolo italiano nell’ambito delle quali i deputati “del Presidente” avrebbero una indubbia funzione culturale da svolgere. 

5. Il vero è che tutti questi apparenti errori e apparenti strafalcioni costituiscono piuttosto dei precisi tasselli che determineranno lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo.
Grazie all’attribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario col Governo, e, grazie all’Italicum - in conseguenza del quale il partito di maggioranza relativa, anche col 30 per cento dei voti e col 50 per cento degli astenuti, otterrebbe la maggioranza dei seggi - l’asse istituzionale verrà spostato decisamente in favore dell’esecutivo, che diverrebbe a pieno titolo il dominus dell’agenda dei lavori parlamentari, con buona pace della citata sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, secondo la quale la “rappresentatività” non dovrebbe mai essere penalizzata dalla “governabilità”.
Il Governo, rectius, il Premier, sarebbe quindi il dominus dell’agenda parlamentare, anche se un qualche problema la darà la cervellotica varietà di ben otto diversi iter legislativi a seconda delle materie (F. Bilancia).
Il Governo, rectius, il Premier, dominerà pertanto la Camera dei deputati cui non potrà contrapporsi, alla faccia del barone di Montesquieu, alcun potenziale contro-potere: né “esterno” - essendo il Senato ormai ridotto ad una larva - né “interno”, grazie alla mancata esplicita previsione dei diritti delle minoranze (né il diritto di istituire commissioni parlamentari d’inchiesta, né il diritto di ricorrere alla Corte costituzionale contro le leggi approvate dalla maggioranza [M. Manetti]).
Il riconoscimento dei diritti delle opposizioni, nella Camera dei deputati, viene, dal “nuovo” art. 64, graziosamente demandato esclusivamente ai regolamenti parlamentari, con la conseguenza che sarà il partito avente formalmente la maggioranza parlamentare e, quindi, il Governo, a precisarne i contenuti.
Con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni, la cartina di tornasole della contrazione delle autonomie territoriale è data dalla previsione della così detta “clausola di supremazia” (art. 117), con riferimento alla quale l’ex Presidente della Consulta, Gaetano Silvestri, ha osservato nella già citata audizione dinanzi al Senato, che suscita perplessità la previsione di una tale clausola, la quale «ingloba in sé non solo la “tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica” pienamente condivisibile, ma anche la reintroduzione del famigerato “interesse nazionale”, che nella prassi anteriore della riforma del 2001, si era rivelato uno strumento di azzeramento discrezionale dell’autonomia regionale da parte dello Stato (una “clausola vampiro”, secondo la felice espressione di Antonio d’Atena)». 

Onorevoli deputati e senatori, di fronte a questo criticabilissimo quadro normativo, e a maggior ragione discutibilissimo perché pretenderebbe di avere la forza e l’autorità morale della Costituzione della Repubblica italiana, il Comitato per il NO vi chiede di tentare con decisione di modificare l’attuale testo del d.d.l. cost. n. 2613-B; in subordine, di aderire a questo Comitato, e, infine, qualora tale d.d.l. cost. venisse definitivamente approvato, di impegnarvi fin da ora a richiederne la sottoposizione a referendum popolare. Vi chiediamo di mandarci un cenno di conferma di questo impegno all’indirizzo: segreteria.comitatoperilno@gmail.com
Roma 20/11/2015

Prof. Alessandro Pace
Presidente del Comitato per il No
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Consiglio direttivo del Comitato per il No nel referendum costituzionale: Gustavo Zagrebelsky (Presidente onorario), Alessandro Pace (Presidente), Pietro Adami, Alberto Asor Rosa, Gaetano Azzariti, Francesco Baicchi, Vittorio Bardi, Mauro Beschi, Felice Besostri, Francesco Bilancia, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Sergio Caserta, Claudio De Fiores, Riccardo De Vito, Carlo Di Marco, Giulio Ercolessi, Anna Falcone, Antonello Falomi, Gianni Ferrara, Tommaso Fulfaro, Domenico Gallo, Alfonso Gianni, Alfiero Grandi, Raniero La Valle, Paolo Maddalena, Giovanni Palombarini, Vincenzo Palumbo, Francesco Pardi, Livio Pepino, Antonio Pileggi, Marta Pirozzi, Ugo Giuseppe Rescigno, Stefano Rodotà, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Cesare Salvi, Mauro Sentimenti, Enrico Solito, Armando Spataro, Massimo Villone, Vincenzo Vita, Mauro Volpi.

APPELLO AI POPOLARI TORINESI

Oggi a Torino, presso l'Hotel Nizza si è tenuto l'incontro promossa dal Cdu piemontese per l'appello ai popolari in vista delle elezioni comunali della prossima primavera. Vi è stata una larghissima partecipazione. Dopo la relazione del responsabile regionale del nuovo Cdu Mauro Carmagnola sono intervenuti tra gli altri, Roberto Rosso,  Maurizio Eufemi, Ivo Tarolli, Ettore Bonalberti,  Vito Bonsignore,Emanuele Pezzino, Giampiero Leo, Flavio Tanzilli.
Ha  svolto la relazione conclusiva Mario Tassone, segretario Politico del Nuovo CDU.
" siamo  fortemente impegnati in uno sforzo di riagregazione dell'area cattolica popolare e laico riformista ha detto Tassone -  con l'obiettivo di contribuire a ridare senso alla politica recuperando la vasta  di disinteresse  che si rifugia in un pericoloso assenteismo. Di fronte scadenze che coinvolgono importanti centri del Paese non si può non agire recuperando il senso è il dovere della partecipazione.
L'incontro odierno rientra nel percorso di costruzione della Federazione di centro che con la Conferenza Nazionale del 12 dicembre a Roma troverá momento di ulteriore rafforzamento.
Ad Orvieto, la prossima settimana, ci ritroveremo con tanti amici impegnati nella costruzione del Federazione di Centro.

Torino 21 novembre 2015

Convegno su diritti acquisiti e fiscalità

 

Se l'associazione nazionale dei magistrati e degli avvocati dello Stato in pensione ha ritenuto necessario promuovere un convegno sulla tutela dei diritti acquisiti e fiscalitá significa che in uomini che hanno dedicato la loro vita al servizio delle istituzioni, è scattato un senso di reazione dopo la pubblicazione del documento sulle pensioni da parte del bocconiano Presidente dell'Inps Tito Boeri.
La presenza di altissime personalitá come i presidenti emeriti della Corte Costituzionale Quaranta e Tesauro oltre al presidente onorario della Corte dei Conti Pasqualucci ha arricchito i lavori di interventi e relazioni ricche di cultura giuridica.
Sono emerse preoccupazioni rispetto a scelte che travolgono i principi della civiltá giuridica.
Il settore dei pensionati non può essere il salvadanaio foce attingere per le esigenze di finanza pubblica.
Alla diffusa demagogia si è risposto con la cultura della competenza e della ragionevolezza e del confronto, chiedendo il rispetto dei patto tra Stato e cittadino, perchè le condizioni non possono essere cambiate unilateralmente.
Purtroppo non si conosce la veritá, molti dipendenti pubblici percepiscono meno di quanto versato e con la trasformazione del retributivo con il contributivo si avrebbe un sostanziale miglioramento per i pensionati.
I diritti quesiti non sono una categoria ottocentesca da riporre nell'armadio, ma un valore dell'ordinamento.
La ragionevolezza non è in contrasto con altri valori. Il principio di affidamento è più dolce, ma resiste come quello dei diritti quesiti.
L'attacco ai diritti acquisiti avviene attraverso il contributo di solidarietá, la perequazione e con questa idea ultima del ricalcolo delle prestazioni oggi erogate.
Va detto che paventare l'equilibrio di bilancio significa deviare l'attenzione dai problemi reali, nascondendo una logica punitiva, perchè l'effetto sul bilancio è modesto.
C'è da augurarsi che la Corte Costituzionale, il giudice delle leggi, sappia vigilare sulle dilaganti tendenze populiste.

C'è una strana aria nel Paese


Sembrano all'opera forze che vogliono modificare la struttura del Paese. Tutto ciò senza un mandato popolare. Il popolo infatti nel 2013 non ha votato nè programmi  nè rappresentanze con l'obiettivo di alterare l'equilibrio dei poteri a vantaggio di un premierato senza contrappesi, nè di ridurre e marginalizzare il ruolo e la funzione del Parlamento che resta centrale nella nostra visione della societá.
Quando assistiamo alla sfiducia notarile del sindaco di Roma, quando vediamo che il Presidente dell'Inps invade settori e competenze che esulano dalle proprie funzioni senza che si levino voci autorevoli sul rispetto dei ruoli si resta allallibiti. Il Presidente dell'Inps intervenendo sul tema dei diritti acquisiti e degli esodati finisce per scavalcare il Ministro del Lavoro e il  Ministro dell'Economia. Per non parlare poi del tema dei vitalizi che appartiene alla competenza esclusiva delle Camere.
Quando si prende a riferimento   il sindaco della cittá capoluogo  in termini di indennitá come riferimento per le cariche istituzionali regionali e nazionali per affermare il modello del sindaco d'Italia e poi assistiamo alla vicenda romana non possono non sorgere perplessitá soprattutto nel vedere largheggiare l'uso delle carte di credito  per compiti certo istituzionali, ma si finisce per far lievitare indirettamente l'indennitá.
Chi è particolarmente attivo sul tema dei vitalizi è il presidente dei deputati di scelta civica Mazziotti  di Celso che ha presentato una proposta di legge costituzionale per modificare il sistema di ricalcolo dei vitalizi.
Riteniamo che la funzione parlamentare sia un presidio di libertá che vada salvaguardato.
È facile dire cancelliamo tutto da parte di chi come il deputato in questione che  ha un reddito complessivo  2014 di 985.434 euro, compresi  fabbricati e redditi di capitale, mentre nel 2013 era di 488.011.
Non non vogliamo la plutocrazia, ma una democrazia partecipata in cui tutti possano essere eletti per  difendere i diritti dei più deboli e il bene comune.
Ecco perchè dico che c'è una strana aria nel Paese. Si tende a restringere l'area della partecipazione con la riduzione dei diritti. Per fare faremo si tende a  creare l'alibi della casta. Ma è un finto problema perchè sono ben altri gli interessi gioco.
Sta a noi nella visione sturziana e degasperiana difendere le istituzioni democratiche dagli attacchi di chi ci vuole farci  tornare indietro cancellando i corpi intermedi, ed esaltando il potere prefettizio come emanazione dell'Esecutivo.

 

 

Nord e Sud d’Italia alla sfida dello sviluppo e della promozione umana

Siamo chiamati, qui a Milano, a una riflessione sul nostro Paese, un paese diviso, spezzato, come ci dicono i drammatici numeri della Svimez in una soffocante caduta di interesse con la complicità dei mezzi di informazione. Numeri che suscitano sdegno per chi ha sempre guardato al Mezzogiorno in una visione unitaria del Paese, come questione nazionale e occasione di crescita e di un equilibrato sviluppo economico e sociale.

Non apparteniamo né al partito del rimorso né a quello del rimpianto. Guardiamo al presente e al futuro. Non abbiamo visto scelte conseguenti all’annunciato masterplan di agosto e alla scadenza del 16 settembre.

Il Mezzogiorno vive il profondo squilibrio tra demografia e base economica, che genera disoccupazione strutturale. E’ quel “vaso bucato” bene rappresentato da Giannola, dalla virgola di Ponente che riversa la domanda effettiva verso le altre regioni e verso l’estero.

I divari, non solo quelli economici, si sono allargati nella istruzione, nella giustizia civile, nella sanità, negli asili, nella assistenza sociale, nei trasporti locali, nella gestione dei rifiuti.

Non solo il livello della disoccupazione ma anche la dinamica degli investimenti fissi lordi scesi dal 20,2 al 16,9 come quota del pil. Sono aumentate le nuove sofferenze rettificate soprattutto per le imprese da 4,89 a dal 4,89 del 2010 al 6,27 del 2014. Sono peggiorate le condizioni di accesso al credito e del costo dei finanziamenti. Mancano le strutture e gli strumenti. Come la legge Colombo del 1959 n. 623 per le pmi.

Non si possono orientare nuove scelte se non si guarda a ciò che è successo negli ultimi trenta anni.

Oggi non è il caso di tornare sulla storia economica del Paese, con i suoi traguardi raggiunti e con gli errori compiuti. Mi preme sottolineare come nel momento delle crisi più acute quella degli anni settanta quella della industrializzazione forzata e quella degli anni novanta, quella del risanamento della prospettiva europea il Mezzogiorno sia stato strangolato, togliendoli l’ossigeno nella forma delle risorse necessarie al completamento dei programmi e al raggiungimento degli obiettivi. La fotografia è quella delle attuali 868 opere incompiute in gran part e nel Mezzogiorno.

Sono stati criminalizzati i 30 mila miliardi della fiscalizzazione degli oneri sociali della legge 64 dimenticando il riequilibrio verso il nord della sommatoria di cassa integrazione per 20 mila md e dei prepensionamenti per 25 mila md, quindi con un saldo negativo per il sud. La linea di Maastricht è stata portata avanti senza una nuova politica economica. L’esaltazione di un astratto mercato e delle regole della concorrenza delle imprese è apparso spesso in contraddizione con una linea di coesione e economica e sociale. Alla chiusura del ciclo dell’intervento straordinario non si è fatto fronte con una politica per le aree svantaggiate e delle aree depresse e di riequilibrio. Alla chiusura delle strutture specializzate non hanno corrisposto adeguati istituti per i compiti di produzione orientamento e incentivazione. Si è fatto leva su un regionalismo incapace di affrontare le sfide della progettazione e della realizzazione di programmi. Le pratiche relative all’utilizzo dei fondi strutturali europei richiedono 60 passaggi anziché 4 o 5 come sarebbe necessario.

Non possiamo dimenticare che la legislazione industriale con agevolazioni creditizie fu dirottata al nord. Si potrebbe fare l’elenco: legge 346/1982, legge 696/1983 solo 0,5 al sud; 399/1987 9 md su 55 stanziati; la legge 317 del 1991 sulle pmi solo 7 per cento dei 1114 md di incentivi.

Può una area di 14 milioni di abitanti senza quindi le isole può pensare ad una rinascita senza una grande banca lega al territorio per usare le parole di Giannola se perfino al nord il merito del credito si scontra con i parametri dei controlli della vigilanza europea?

Se nei quaranta anni prima della chiusura avessimo tenuta ferma la natura degli interventi agevolativi è probabile che la risposta sarebbe stata maggiore.

L’abbandono dell’intervento straordinario ha accentuato i divari nord sud, la frattura si è allargata, allontanando l’obiettivo della unità del Paese. Al momento della chiusura c’erano 36.000 pratiche. Dei 120 mila md della legge 64 erano stati erogati 37 mila rispetto ai 71 mila impegnati.

Si è dimenticato con troppa disinvoltura che la legge sulla riserva degli investimenti articolo 3 legge 634 del 1957, poi art. 5 legge 717 del 1965, poi art 7 legge 853 del 1971 , poi art. 17 c 6 della legge 64 del 1986 è stata disapplicata con una circolare del tesoro interpretandola come programmi generali e non specifici. Potenzialità considerevoli sono restate inespresse.

Nino Andreatta nel marzo 1993 ricordava come il livello di convergenza dei diversi pezzi di economia del Paese è stato minore di altri paesi in cui modesti erano stati gli aiuti alle politiche regionali, la metà di quella degli Stati Uniti.

Le esperienze ci dicono che non è la via delle politiche regionale la più idonea per affrontare la gravità dei problemi, ma quella generale la via dello sviluppo. Ma il ragionamento di Andreatta è rimasto incompiuto perché al momento della chiusura dell’intervento prevedeva la costituzione di una grande società dell’acqua per conferire dighe lavori finanziamenti know how per il completamento delle opere. Così come prevedeva una agenzia di controllo parlamentare per un azione di sorveglianza sulle decisioni del cipe sul Bilancio, sugli appalti e tuteli ogni cittadino. Vedeva questo strumento come controllo sull’esecutivo, sulla discrezionalità, sul clientelismo.

Quale è la via per invertire la rotta e determinare investimenti e occupazione con un recupero dei divari economici e sociali. Non può che essere quella di un piano di investimenti pubblici anche se mancano gli economisti dello sviluppo, una categoria ormai fuori moda, se non vogliamo permanere in un ciclo di sottosviluppo permanente di cui il crollo delle nascite è un indicatore più evidente.

Marcata contrazione degli investimenti.

Spesa pubblica decentrata e politiche di coesione dimostra come in alcune regioni come Campania, Sicilia Calabria gli investimenti infrastrutturali hanno attuazione più lenta rispetto al resto del Paese.

Il mezzogiorno chiude il 2014 con un pil negativo di 1,9 rispetto a - 0,4 Italia

Pil pro capite di 16,1 (migliaia di euro) contro una media nazionale di 25,3 determinata da 29,9 del NE 31,9 del NO e da 27,9 del centro.

Gli investimenti 1,4 rispetto a 5,3 Italia

La vulnerabilità delle famiglie è più accentuata perché è 8,6 rispetto a 6 Italia L’export -4,7 rispetto a 2 Italia Solo Abruzzo Molise e Basilicata hanno segno positivo, per peso del settore automotive per le lungimiranti scelte del passato con le localizzazioni della legge 64.

 

I tassi di interesse sono di quasi due punti più alti del resto del Paese. Tutte le regioni sopra il 4 ad esclusione dell’Abruzzo.

C’è un dato su cui riflettere i numeri rischiano di essere fuorvianti, perché la media nazionale è falsata da un nord che cresce e un Sud a due facce che arretra con una ulteriore frattura longitudinale in cui Puglia e Basilicata registrano demografia più leggera e migliore capacità istituzionale e Calabria e Campania eccesso di popolazione, base economica efficace molto ridotta, larga disoccupazione e lavoro nero. Siamo in presenza di due Italie. Viene da domandarsi se è stato fatto il possibile modificare una tale situazione; se le scelte di governo siano state quelle giuste o meno. Ritengo che avere puntato sulle esportazioni piuttosto che sulla domanda sia stato un errore di fondo. Si è finito per privilegiare il nord.

I dati degli ultimi quattro trimestri confermano una crescita del pil trainata dall’export, ma con investimenti -0,4 e domanda nazionale +0,4.

L’errore del regionalismo nell’intervento straordinario, spingeva per un localismo senza orizzonti quando ancora era necessaria una strategia globale. Poi accordi di programma, programmazione negoziata, nuova programmazione intese istituzionali di programma, programma quadro, pic, pit, priu, proust, acronimi per sociologi.

Negli anni scorsi il Mezzogiorno è stato il Bancomat per lo stato che ha utilizzato i fondi assegnati per altre destinazioni.

Unico dato positivo il risparmio: 232 md, superiore al centronord, 186 al Nordest mentre al Nordovest è 273. Sia famiglie che imprese crescono del 2,7 per cento. Il fenomeno può essere interpretato come risultato di lavoro sommerso, come minori consumi rispetto alla capacitá di spesa, a maggiore prudenza rispetto alla crisi economica.

Il risparmio del mezzogiorno non viene canalizzato nell’area di riferimento. Viene meno di conseguenza la mission delle fondazioni bancarie, nei settori di intervento previsti dalla legge Ciampi con obiettivi di utilità sociale e promozione dello sviluppo economico.

Pochi dati. Se il 61 per cento delle erogazioni è localizzato nella provincia sede della Fondazione che cosa può andare al Mezzogiorno senza banche e senza fondazioni? Poco più di 2 md mezzi patrimoniali rispetto ai 40 complessivi. Al sud va il 4, 7 per cento del totale di 888 milioni di erogazioni al netto del volontariato.

Al Mezzogiorno vengono negate le tre S: sussidiarietà, solidarietà e sviluppo. Non trovano applicazione perché i soggetti sociali non sono nelle condizioni di creare valore sociale, promozione, il solidarismo innovativo, il Welfare di comunità, essenziale nella situazione attuale, per lo sviluppo e la valorizzazione della persona nella sua autonomia e responsabilità.

 

Occorre un approccio nuovo. Le scelte si fanno sulla legge di stabilità. L’operazione sulla spending review e quella sulla riduzione della pressione fiscale devono guardare ad allargare il mercato domestico, riducendo lo scarto tra i livelli dei redditi e la spesa del sud rispetto al nord. Nel mezzogiorno si apre una questione nuova lo squilibrio tra demografia e capacità di produrre del settore manifatturiero che è caduto del 35 per cento rispetto ai volumi del 2007. E’ questa la drammaticità della situazione.

Far aumentare il processo di convergenza è questa la sfida che il governo ha di fronte. Individui i grandi settori di intervento nelle infrastrutture nella logistica, nei trasporti, nella comunicazione nella energia costringendo le regione a stare dentro un progetto di sviluppo. Ridurre le differenze è l’obiettivo per far crescere l’Italia.

Paolo Savona nei giorni scorsi ha posto il Ministro Padoan e il Governatore della Banca di Italia di fronte alle loro pesanti responsabilità perchè non si può immaginare che non comprendano la situazione.

Le politiche di coesione europea non dovrebbe avere programmi di cofinanziamento perché nella situazione di difficoltà economica dell’Unione impediscono allo Stato di incidere più efficacemente.
 

Per quanto attiene alla promozione umana occorre ridurre il gap sociale nell’ associazionismo che necessita anche di sostegni che ci riportano alle fondazioni bancarie e dunque all’ossigeno per vivere e crescere e che alimentano lo sviluppo dell’associazionismo positivo.

La copertina dell’Espresso che cancella dalla rappresentazione dell’Italia il Mezzogiorno è la dimostrazione che la questione settentrionale si è riproposta sotto altre vesti e fino a quando non si accenderà il dibattito sulla questione meridionale, il Sud non si risolleverà senza una politica nazionale.

In un tempo in cui si cancella il bicameralismo per realizzare un astratto, confuso, contraddittorio monocameralismo forse occorrerebbe recuperare i principi del titolo primo della Carta costituzionale recuperandone il significato più autentico come quelli consacrati e dimenticati negli articoli 1: L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, appunto il lavoro come caratterizzazione economica e sociale ma anche giuridica, lavoro di tutti (Ruini), come espressione della comunità popolare solo quando ogni uomo avrà realizzato nella pienezza del suo essere il massimo contributo alla prosperità comune (Fanfani) o l’articolo 3, comma 2, per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese; l’articolo 4 quello che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro con l’indicazione programmatica al legislatore per rimuovere gli ostacoli perché la disoccupazione è ostacolo alla libertà di eguaglianza e alla libertà dei cittadini per il pieno sviluppo e la piena affermazione della persona umana, perché il lavoro si collega allo sviluppo della società.

 

Che fare?

 

Servirebbe una grande banca di sviluppo regionale costruita dalle regioni meridionali e in grado di promuovere sviluppo anche con i paesi mediterranei.

Servirebbe riaprire una discussione sul modello di struttura per riattivare la crescita.

Servirebbe una riflessione a livello istituzionale non limitata a odg, ma con scelte chiare valorizzando il processo di integrazione interregionale perché solo da condivisione degli obiettivi consente di superare le difficoltà aggravate dalle contrapposizioni.

Servirebbe canalizzare i rilevanti risparmi privati verso investimenti privati con nuovi strumenti finanziari e soprattutto agendo con la leva fiscale.

Servirebbe affrontare il problema della legalità sul territorio con azioni concrete straordinarie.

Servirebbe accentuare la promozione umana come sviluppo, come progresso, come sviluppo dell’uomo nelle sue dimensioni socio-politiche, come risposte a bisogni e diritti se si vuole che l’uomo sia uomo.

Dobbiamo allora domandarci a quale crescita, a quale sviluppo, a quali valori, a quale uomo?

L’incontro odierno non sarà stata una occasione vana se riusciremo a muovere le coscienze.

 

Bibliografia essenziale

Adriano Giannola, Sud d’Italia, una risorsa per la ripresa Salerno editrice, 2015

Massimo LoCicero, Sud a perdere, Rubbettino Editore, 2010

Stefania De Simone, Francesco Saverio Matteo, il Sud in bilico, Rubbettino editore, 2008

Banca d’Italia L'economia delle regioni italiane nel economie 2014, 26 giugno 2015, www.bancaditalia.it

Banca d’Italia, Economia in breve, www.bancaditalia.it

Camera dei Deputati, Intervento nel Mezzogiorno e politiche regionali, 1994

Acri, ventesimo rapporto sulle fondazioni di origine bancaria, www.acri.it

 

 

La costituzione, il lavoro e il Mezzogiorno

Mentre il Senato vota la riforma costituzionale che cancella il bicameralismo perfetto per introdurre un caotico, conflittuale bicameralismo differenziato ero a Milano al convegno promosso dalla Associazione ex parlamentari per esaminare i drammatici numeri del Mezzogiorno nel complice silenzio dei mezzi di informazione.
Adriano Giannola presidente della Svimez ha illustrato con la rappresentazione grafica sottostante ha ancora una volta dedicato le sue energie intellettuali ad indicare i drivers dello sviluppo che non può non tenere conto di una area di 20 milioni abitanti rispetto ai profondi divari che non sono solo quelli economici, ma anche quelli sociali e civili.
Da parte mia ho sottolineato che prima di cambiare il titolo secondo della Costituzione occorrerebbe rispettare e valorizzare gli articoli relativi al lavoro come l'articolo 1 l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro, appunto il lavoro come caratterizzazione economica e sociale, ma anche giuridica, lavoro di tutti. L'articolo 3 comma 2 al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese. L'articolo 4, quello che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro con l'indicazione programmatica al legislatore per rimuovere gli ostacoli perchè la disoccupazione è ostacolo alla libertá di eguaglianza e alla libertá dei cittadini per il pieno sviluppo e la piena affermazione della persona umana. Non va mai dimenticato che il lavoro si collega allo sviluppo della societá. E ciò ha maggiore valore se si pensa al Mezzogiorno, al Pil pro capite, alla situazione occupazionale e a quella dei suoi giovani costretti ad una nuova ondata migratoria.

 

I voli acrobatici di Anna Finocchiaro

 

I voli acrobatici di Anna Finocchiaro sulla riforma costituzionale

Non vi è dubbio che la Sen. Anna Finocchiaro abbia avuto un ruolo rilevante nella elaborazione e nella gestione in Assemblea della riforma, pur privata del ruolo di relatrice in conseguenza della scelta della maggioranza di forzare i tempi di approvazione.

Oggi ha provveduto ad illustrare sapientemente il suo emendamento che disciplinava la futura elezione dei consiglieri senatori. E in ragione dei problemi che sono emersi tra articolo 2 e articolo 39 relativamente alle norme transitorie ha voluto giustificare la fase attuale che necessita di un periodo transitorio, paragonandola alla Costituente. Ci è sembrato un volo acrobatico per una serie di ragioni.

Lo ha fatto con queste parole:

"Vi è anche da dire, però, che molte obiezioni sollevate in quest'Aula trovano piena soddisfazione nella disciplina transitoria dettata dalla legge.

Vorrei fare solo altre due notazioni. Talvolta camminiamo pensando un po' al mito di ciò che è stato alle nostre spalle. Facciamo bene, perché questo non può essere altro che uno stimolo a fare meglio. Vorrei però ricordare ai colleghi che il passaggio da un sistema all'altro è sempre costoso e faticoso. Rileggevo proprio ieri la III disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica italiana, di cui vi cito soltanto la prima parte del primo comma, che è molto lungo: «Per la prima composizione del Senato della Repubblica sono nominati senatori, con decreto del Presidente della Repubblica, i deputati dell'Assemblea Costituente che posseggono i requisiti di legge per essere senatori». Tra questi requisiti ne vorrei rileggere uno, che a me pare significativo: «che... hanno scontato la pena della reclusione non inferiore a cinque anni, in seguito a condanna del tribunale speciale fascista per la difesa dello Stato». Cosa voglio dire? Anche di fronte all'epos rappresentato dal nostro ricordo della Costituzione e della sua approvazione, non possiamo dimenticare la fatica e quella che oggi, se leggessimo senza nulla sapere, ci potrebbe sembrare una contraddizione: il primo Senato fu un Senato di nominati, che erano centosei. (Commenti del senatore Candiani). Certo, noi non siamo Terracini, non siamo Calamandrei, non siamo Mortati, non siamo Ruini, non siamo Togliatti, non siamo De Gasperi: su questo non c'è dubbio alcuno e non dobbiamo continuare a darne prova. (Applausi dal Gruppo PD. Applausi ironici dal Gruppo M5S)."

 

La senatrice Finocchiaro ha fatto una citazione parziale, molto parziale, perchè le disposizioni transitorie all'articolo 139 della Costituzione erano XVIII, perchè quelle al punto III comprendevano 8 commi. Per la prima composizione del Senato erano nominati senatori con DPR i deputati de'Assemblea Costituente che posseggono i requisiti di legge per essere senatori e che:

Sono stati presidenti del Consiglio dei Ministri o di assemblee legislative;

Hanno fatto parte del disciolto Senato;

Hanno avuto almeno tre elezioni, compresa quella all'Assemblea Costituente;

Sono stati dichiarati decaduti nella seduta della Camera dei deputati del 9 dicembre 1926;

Hanno scontato la pena della reclusione non inferiore a cinque anni in seguito a condanna del tribunale fascista per la difesa dello Stato;

Sono nominati altresì senatori, con decreto del Presidente della Repubblica, i membri del disciolto Senato che hanno fatto parte della Consulta Nazionale.

Al diritto di essere nominati senatori si può rinunciare prima della firma del decreto di nomina. L'accettazione della candidatura alle elezioni politiche implica rinuncia al diritto di nomina a senatore.

Questa è la norma completa che ha ben altro significato perche voleva recuperare altissime personalitá, così come i deputati aventiniani e comunisti vittime del regime fascista dopo la legge Acerbo.

Di seguito viene citata la ricostruzione di quella seduta del 1926. ...

il deputato Augusto Turati aveva presentato la famigerata mozione, il cui testo recitava: «La Camera, considerato che i deputati sotto nominati nel giugno del 1924, pretestando una questione morale nei confronti del Capo del Governo e di questa Assemblea fecero atto esplicito e pubblico di secessione; considerato che tali deputati continuarono a svolgere, da allora ad oggi, usando delle prerogative e delle immunità parlamentari, opera di eccitamento contro i poteri dello Stato; ritenendo che essi siano venuti meno alla prescrizione precisa dell'articolo 49 dello Statuto: quella di esercitare la funzione di deputati col solo scopo del bene inseparabile del Re e della Patria; dichiara tali deputati decaduti dal mandato parlamentare». La mozione si concludeva con l’elenco sia degli aventinisti che dei comunisti (per un totale di 123 nomi)19 ed era firmata da Augusto Turati, Farinacci, Starace, Renato Ricci, Vaccari, Limongelli, Leone, Ceci, Pierazzi, Chiostri ed Aldi-Mai20. ...

 

Il primo emendamento a firma Giovanni Leone fu sottoscritto da ben 218 deputati e votato a scrutinio segreto, dunque in piena libertá.

Nobile presentò l'emendamento relativo ai condannati del tribunale speciale.

La norma relativa ai deputati decaduti nel 1926 fu proposta da Giannini.

La questione di fondo è che quella era una Assemblea Costituente, il senato di oggi non può essere considerato tale perchè usa lo strumento del 138 per la revisione del titolo II

La norma transitoria attuale non può essere un alibi per aggirare il principio elettivo del futuro Senato e il significato della disposizione all'articolo 2 approvata oggi.

La riforma Boschi non può essere paragonata alla Costituzione del 1948.

Altea situazione, altri personaggi, altro momento storico.

Evitiamo voli pindarici, please.

Le violenze costituzionali

Le violenze costituzionali nel giorno dei funerali di Pietro Ingrao

Mentre al mattino partecipavano si funerali di Pietro Ingrao per rispetto verso l'uomo politico, il presidente del Gruppo del PCI della riforma del Regilamento del 1971 con Andretti, il presidente della Camera del 1976-1979 e anche per ricordo personale del fratello, grande pneumologo che curò mia madre, nel pomeriggio al Senato andava in onda lo strappo sulla Costituziine. 

In Senato infatti si sta esaminando la riforma della Costituzione in un clima niente affatto costituente. 
La logica dei trucchetti regolamentari sta prendendo il sopravvento rispetto ad un confronto sereno e costruttivo. 
È in atto un braccio di ferro tra la posizione del governo che vuole imporre il Suo testo forzando le regole del gioco. 
In questo scenario è venuta meno la figura di garanzia del Presidente del Senato che sulla applicazione del voto segreto rispetto a norme su materie eticamente sensibili come quelle sulla famiglia e sulla sanitá, si è rimesso al voto dell'Aula quindi al volere della maggioranza. 
Era invece nei poteri del presidente decidere la parte di emendamento su cui applicare il voto segreto. 
È un gravissimo errore procedurale.
Non parliamo poi dell'emendamento canguro, quello che cancella ogni tipo di confronto serio. 
Dal canguro del sen Esposito siamo passati al cangurone del Sen Colancich. 
Sono emendamenti firmati da sconosciuti e hanno il significato di tenere nell'ombra la trappola costituzionale. 
La politica seria non si affida a questi espedienti e mezzucci per approvare una riforma che modifica gli assetti costituzionali del Paese. 
Lo fa con le firme dei capigruppo proprio a sancire la solennitá di una eventuale intesa politica. 
Di fronte ad uno spettacolo così deprimente ci sono i silenzi di chi dovrebbe parlare e sta zitto. Tra questi la minoranza de PD ormai coventrizzata e ancora più grave gli esponenti del centro che fu, ormai abbagliati dal renzismo privilegiando assetti di poteri a qualsiasi difesa dei valori costituzionali. 

Roma, 1 ottobre 2015

Al Senato si naviga a vista

Al Senato si naviga a vista, perchè l'ordine di scuderia è non votare sulle questioni a rischio. 

Oggi il Presidente del Senato ha rivisto una decisione precedentemente assunta sulla ammissibilitá degli emendamenti. La ammissibilitá colpiva emendamenti su cui era richiesto il voto segreto. 
Un fatto grave che ha portato a tensioni tra le stesse opposizioni e la Presidenza del Senato, lasciata sola perfino dal suo partito, il PD. 
Solo Chiti con fiuto e saggezza politica ha saputo cogliere il momento difficile solidarizzando con Grasso e tentando di dividere il fronte delle opposizioni separando M5S da Forza Italia e dalla Lega. 
Ormai la battaglia non è più sui contenuti ma sulle procedure e se si procede a colpi di Regolamento è il Presidente del Senato e la Istituzione Senato, di riflesso, che vengono colpiti e feriti. Le tensioni anzichè stemperare in Giunta del Regolamento vengono scaricate in Assemblea. 
Tutto ciò sta accadendo per la ragione semplicissima che il Governo vuole portare a casa la riforma costi quel che costi, purchè non si voti sui punti più delicati, quelli che possono mettere a rischio la tenuta della maggioranza. Si vogliono evitare soprattutto i voti segreti! Quelli che possono mettere a nudo la maggioranza. È giá accaduto sull'articolo 1 sulle funzioni del Senato. Si sta tentando di farlo sull'articolo 2 sulla composizione del Senato. 
In soccorso è venuto l'emendamento canguro Covancich. Un altro emendamento canguro di Covancich è previsto all'articolo 21 relativo alla elezione del Presidente della Repubblica uno dei punti sui quali la minoranza del PD voleva significative modifiche, che andranno deluse. 
Da questo stato di cose uscirá una pessima riforma perchè si perderà l'occasione di migliorarla su punti nodali che avrebbero richiesto un clima più sereno e soprattutto una guida dei lavori parlamentari assolutamente neutrale.

La riforma costituzionale sbagliata

In questi giorni le riforme costituzionali sono al centro del dibattito politico, caricate di un significato fuorviante rispetto alla posta in gioco. Purtroppo chi si accorge solo ora dell'inadeguatezza del quadro normativo ha anche la responsabilitá degli errori sia sul piano tattico che sui contenuti. Avere scoperto solo ora che la miscela della legge elettorale unita alla marginalizzazione del Senato, privato di legittimitá e di poteri legislativi. Si afferma una nuova centralizzazione, svuotando i principi del federalismo e del regionalismo che dovevano essere corretti e non mutilati.
Mi riferisco sia alla minoranza del PD che a Forza Italia. Quel che si va delineando è un compromesso pasticciato che recuperi l'unitá del PD e faccia salvare la faccia al Governo e alla minoranza stessa.
Dunque la questione della eleggibilitá diretta dei futuri senatori diventa un falso problema se si perdono di vista il ruolo, le funzioni, i poteri del senato rispetto al sistema delle garanzie costituzionali e alla conseguente alterazione dell'equilibrio dei poteri che diventeranno troppo sbilanciati verso il partito pigliatutto in virtù di una legge elettorale maggioritaria.
L'ipotesi di accordo viene vista come una liberazione rispetto alle possibili conseguenze politiche.
In questi giorni si sono mosse le forze invisibili per evitare qualsiasi tipo di voto - a cominciare dalla commissione Affari Costituzionali - che potesse far esprimere liberamente il parlamento evitando ogni tipo di rischio rispetto al percorso parlamentare della riforma stessa. Potemmo dire di avere visto un Senato giá sotto tutela per evitare di disturbare i manovratori.
È per questo che nonostante il possibile accordo sull'articolo 2 non riteniamo che siano stati risolti i problemi di una riforma che riteniamo profondamente sbagliata nelle scelte di fondo, perchè utile solo alla facile propaganda a spese dei valori costituzionali fondati sulla partecipazione.

Il sindaco ombra non eletto 

Dunque a Roma avremo un sindaco ombra non eletto. 
Una innovazione profonda sul piano istituzionale. Dopo le vicende di mafia capitale anzichè scegliere la strada lineare delle elezioni anticipate il governo Renzi Alfano si sta orientando nell'affidare i poteri sul Giubileo e sulle opere pubbliche al prefetto Gabrielli con il commissariamento di Marino che resterá come sindaco di facciata demansionato, ma senza un opportuno sbocco elettorale. Si vuole evitare lo scioglimento per mafia nonostante i gravissimi casi riscontrati dalla magistratura. Come se quanto registrato negli uffici e nei municipi non facesse parte dell'unicum che è il comune di Roma. Dunque una situazione ibernata nel tentativo di recuperare consensi elettorali. Tutto ciò mentre la giunta Marino ha in organico un magistrato un assessore alla legalitá e si farebbe rientrare tra i tutori della giunta Marino un ex assessore al bilancio dimessosi per contrasti con il sindaco! 
Nuove figure di controllori sui controllori avanzano nel panorama cittadino. 
Come si può vedere una autentica confusione istituzionale che glissa sui problemi veri della capitale. A questo punto il destino di Roma capitale è nelle mani di Marino. Accetterá di finire sotto tutela o avrá l'orgoglio e la dignitá di dimettersi?

Roma, 27 agosto 2015 

La illusione renziana sulla Tasi e IMU

Il premier parlando a Pesaro da segretario del PD ha lanciato il programma elettorale del 2016 con la cancellazione della Tasi e dell'Imu. È partito l'effetto promessa-illusione perchè non vengono indicate le coperture finanziarie necessarie stante la situazione della finanza pubblica e del debito pubblico, di cui il premier evita di parlare. Se quelle imposte saranno cancellate, dovranno necessariamente essere colpiti i servizi locali. Il governo di fará bello con i soldi degli altri, in questo caso i comuni che si vedranno tagliate le compensazioni attuali. La mossa sulla Tasi e sull'imu serve ad acquisire unicamente consenso. Non c'ė infatti una politica adeguata sulla fiscalitá immobiliare che richiederebbe, per rimettere in moto il mercato di una revisione delle imposte di registro sui trasferimenti ancora particolarmente onerosi soprattutto sulla seconda casa, il settore che più soffre in conseguenza di scelte scellerate che hanno penalizzato il patrimonio immobiliare delle famiglie italiane costrette a vendere e svendere per il peso degli oneri fiscali. 
Una azione decisa su tributi di competenza dello Stato consentirebbe di rimettere in moto un mercato asfittico che di bisogno di misure concrete, dirette, responsabili piuttosto che la illusione di di vedere cancellate imposte che sarebbe sostituite da tagli sulle agevolazioni fiscali per le famiglie.

Roma, 26 agosto 2015 

La disinformazione televisiva 

C'è un aspetto preoccupante dei tempi che viviamo: una informazione massificata diventa spesso disinformazione di cui sono complici gli stessi mass media. Stamane in un confronto su La7 un giornalista di unitátv si è lasciato andare a giudizi profondamente errati proprio sul piano storico. 
Prendendo spunto da una provocazione del direttore leghista della Padania che lamentava i disagi ferroviari sulla tratta Pescara Roma è caduto nella trappola con tutte le scarpe. Il discorso è inevitabilmente scivolato prima sull'alta velocitá, poi sulla Cassa del Mezzogiorno poi sulla DC cui ha imputato tutti i mali della storia. 
Ora se c'è un partito che ha posto il Mezzogiorno come questione centrale per uno sviluppo non duale è stato la DC. 
Se c'è un partito che ha portato l'Abruzzo a un elevato livello di sviluppo ben più elevato di altre regioni meridionali è stato la DC. 
Se c'è un partito che fa realizzato due autostrade: la Roma l'Aquila Teramo e Roma Pescara è stato la DC. Ciò ha favorito le comunicazioni, il pendolarismo, l'affermazione del modello Adriatico con i cosiddetti operai contadini che hanno mantenuto non uno sradicamento, ma il mantenimento di un legame profondo con il proprio territorio, con la propria comunitá. La industrializzazione ha permesso la creazione di poli produttivi nell'automotive che rappresenta il 20 per cento del Pil manifatturiero regionale nel chietino, il tessile nel teramano, le telecomunicazioni nell'aquilano. 
Al giovane che lamentava l'assenza di un treno rapido Pescara Roma sarebbe stato sufficiente ricordare che tutte le Regioni dell'Italia Centrale offrono servizi di autolinea rapidi per raggiungere la capitale o viceversa. Molte volte le stesse ferrovie dello stato di servono di servizi di autolinea a completamento di alcune tratte ferroviarie. 
È preoccupante la superficialitá con cui i media affrontano problemi di attualitá senza una adeguata valutazione del contesto socio economico e soprattutto senza i necessari approfondimenti. 
La polemica politica non può sfociare nella ignoranza.

Roma 25 agosto 2015 

No alle riforme tanto per fare 
Fermare la deriva autoritaria 

Il Presidente del Consiglio è tornato a parlare della riforma costituzionale. Lo ha fatto alla Festa dell'Unitá sicuro di avere i numeri. Dunque una riforma senza badare alla qualitá del prodotto. Che riforma può mai essere quella che dipende da voti raccogliticci e dunque dalla incertezza del risultato sul Tabellone elettronico del Senato? Il PD commetterebbe lo stesso errore del 2001 quando approvò una riforma con soli 4 voti di maggioranza. 
Dunque la partita che si sta giocando è sulla pelle della architettura costituzionale del Paese e sui relativi equilibri. 
Ancora più preoccupante è sentire esponenti del PD affermare che in caso di bocciatura della riforma costituzionale, il governo Renzi per andare alle elezioni anticipate interverrebbe con decreto per aggirare la clausola di salvaguardia dell'italicum applicando anche al senato la legge elettorale della Camera.

Roma 14 agosto 2015 

CDU: dal 1995

Paradossalmente, l’atto di nascita del CDU non è il 23 luglio 1995, ma l’11 maggio 1955, giorno in cui Giovanni Gronchi fu eletto Presidente della Repubblica. Candidato della Democrazia Cristiana per il Quirinale era Cesare Merzagora, liberale.
A spuntarla, però, non fu il designato dal partito, ma quello della sinistra DC.
Analoga situazione si sarebbe ripetuta l’indomani delle dimissioni di Antonio Segni, nel 1964, quando fu Giuseppe Saragat a prevalere su Amintore Fanfani: il primo voluto anche dalla sinistra interna, il secondo espressione del resto del partito, stoppato dalla minoranza interna. Pure Giovanni Leone sarebbe passato, nel 1971, grazie al voto determinante della destra, a compensazione delle defezioni provenienti dalla sinistra DC.
Non si intende ripercorrere la vicenda delle elezioni del Capo dello Stato.
Si vuole, piuttosto, sottolineare come la divisione interna al partito democristiano tra la componente centrista ed i gruppi di sinistra fosse già consolidata a metà degli anni Cinquanta. E come la disciplina di partito fosse difficilmente imponibile nei confronti di una minoranza interna, che godeva di un diritto di interdizione, fondato su una presunta primazia culturale ancorata ad una serrata
interlocuzione con spezzoni di mondo cattolico.
Se fosse accaduto il contrario, si sarebbe gridato allo scandalo ed alla scorrettezza.

 

IL CENTRISMO
Il centrismo, che aveva offerto all’Italia una stagione esaltante sul piano delle realizzazioni e dei risultati, fu frettolosamente accantonato, scordando troppo presto la ricostruzione realizzata da De Gasperi, la concretezza della sua politica e l’assegnazione alla lira dell’Oscar della moneta nel 1960. Certo, il mancato scatto del premio di maggioranza nel 1953 costrinse a numeri risicati nel corso della legislatura successiva, ma la presenza di due minoranze non assommabili, una sulla sinistra ed una sulla destra, rendeva difficile l’alternativa al quadripartito DC-PSDI-PRI-PLI. Il desiderio della sinistra DC di aprire ai socialisti rese precario un assetto di governo congeniale all’elettorato centrista.


L’APERTURA AI SOCIALISTI
L’apertura ai socialisti assurse a garanzia di crescita democratica e di sviluppo sociale, oscurando la fisionomia di una Democrazia Cristiana quale polo autonomo e propositivo, fautore di politiche liberali e sociali.
L’esordio del governo di centro-sinistra coincise con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, causa diretta, come avrebbero documentato Scalfari e Turani, della nascita di una “razza padrona”, espressione non del mercato ma del capitalismo di Stato.
Non fu un caso che la caduta del primo governo organico di centro-sinistra sia avvenuta sul tema del sostegno alle scuole private.
Nei decenni successivi si sarebbe scontato l’accantonamento della sussidiarietà a vantaggio dell’intervento pubblico.
Per non parlare della deriva assistenzialistica e della pianificazione economica considerati, da economisti della sinistra DC come Pasquale Saraceno al convegno di San Pellegrino del 1961, strumento per un intervento maggiore ed una localizzazione diversa da quella che il mercato, lasciato a sé stesso, avrebbe mostrato conveniente. Si preferì l’ipertrofia delle partecipazioni statali alla specificità cristiano-sociale, secondo il modello renano di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, invisa tanto al capitalismo familiare che al sindacalismo rosso.
Queste scelte svuotarono la DC. L’apertura a sinistra nella seconda fase della vita repubblicana ebbe facile gioco perché la prospettiva
dell’allargamento della base dello Stato, col pieno inserimento dei socialisti tra i partiti democratici, aveva un fondamento ed un raffinato interprete: Aldo Moro.
Essa durò dal primo governo Fanfani del 1961, attraverso il primo Moro organico di centro-sinistra ed i successivi DC-PSI-PSDI-PRI, sino al quinto Moro del 1976.
Ma se questa opzione di fondo avesse goduto della solidità proclamata all’inizio degli anni Sessanta, ilsuo epilogo non sarebbe stato il più forte Partito Comunista del mondo non sovietico ed il più virulento terrorismo di matrice comunista di tutto l’Occidente.
Questo percorso fallì per inconsistenza ideale e per limiti gestionali destinati a condurre, al contrario, all’assedio dello Stato.
Rivendicando con più forza la propria visione di società, la Democrazia Cristiana avrebbe potuto ridurre il prezzo pagato alla mediazione, evitando le ambiguità di un consenso di natura liberal-democratica giocato in chiave social-democratica.
Del pari, la DC avrebbe dovuto assumere senza ambiguità una vigorosa caratterizzazione culturale che, come emerse durante il convegno di Lucca del 1967, voluto dal segretario Mariano Rumor e coordinato dal filosofo Augusto Del Noce, puntasse ad elevarne il profilo culturale in alternativa al neo-marxismo ed alla sua camaleontica ideologia della rivoluzione, destinata, in un primo momento, a soccombere e, poi, a riciclarsi negli pseudo-valori della società radicale.
Anche in quell’occasione la contrapposizione con gli intellettuali della sinistra cattolica fu netta, perché essi conducevano questa cultura alla subalternità, anche sulla base di una strumentale e parziale lettura del Concilio.
In questa divaricazione c’erano già tutte le ragioni del CDU, che avrebbe dovuto attendere la stagione della diaspora (e quella del nuovo ordine internazionale succeduto al crollo del comunismo) per manifestarsi con pienezza e distinguersi dai fautori della confluenza nella sinistra.
Paradossalmente, se il CDU si fosse già costituito negli anni Sessanta avrebbe evitato l’annacquamento dell’identità della DC, troppo remissiva nel favorire l’ascesa della società radicale di massa sul modello americano – come ammoniva Gianni Baget Bozzo – e troppo accondiscendente nei confronti di un’economia di mercato con troppi elementi di socialismo – come puntualizzava Carlo Donat-Cattin.

LA TERZA FASE
Esauritasi la formula del centro-sinistra, nel 1976 si aprì la terza fase, quella dell’accordo col Partito Comunista.
In questo passaggio Aldo Moro antepose l’unità del partito a qualsiasi scelta: solo se unita la DC avrebbe potuto avviare la stagione della solidarietà nazionale.
La preoccupazione morotea di salvaguardare l’unità del partito si rivelò una profonda intuizione, che i successivi eventi della storia avrebbero confermato, ma fu condizionata dalla prospettiva della consunzionedella presenza politica dei cattolici in nome di una visione progressiva della storia. Al Consiglio Nazionale della DC del 20 luglio 1975 egli affermò che l’avvenire non era più, in parte,nelle mani dei democratici-cristiani e che qualche cosa era accaduto ed avrebbe pesato su di loro, perché, lo aveva detto prima, erano stati più pronti i partiti di sinistra ad incanalare il processo di liberazione della condizione giovanile e della donna, della nuova realtà del mondo del lavoro e della ricchezza della società civile.
Così non rimaneva, siamo al testamento di Moro all’assemblea dei gruppi parlamentari DC del 28 febbraio 1978, che camminare insieme perché l’avvenire apparteneva in larga misura ancora ai democratici- cristiani.
Un futuro, però, scandito dai processi di liberazione. Dove si era paghi della presenza e privi del progetto.
La terza fase non si riduceva all’incontro tra DC e PCI, ma comportava, dopo il fallimento dell’allargamento delle basi dello Stato promesso dal centro-sinistra, anche il superamento della funzione stessa dei cattolici in politica, perché la società italiana, ormai democraticamente compiuta, decretava l’esaurimento della loro missione.
Perché diventava possibile la loro eutanasia?
Perché la DC non si consolidò come partito liberale e sociale forte di un’ispirazione cristiana non accessoria, ma perno di un progetto politico ancorato alla società, che stava superando l’ubriacatura contestatrice.
Paradossalmente, se il CDU si fosse costituito negli anni Settanta, la contrapposizione culturale nei confronti della sinistra e dei suoi falsi miti sarebbe stata più ferma e visibile ed avrebbe permesso di evidenziarne la debole consistenza, favorendo l’affermazione dei valori di libertà e di responsabilità.


IL PREAMBOLO
La Democrazia Cristiana ritornò alla collaborazione col PSI ed i partiti laici dopo il Congresso del febbraio del 1980, quello del Preambolo.
Esso rilanciò la riedizione di un’alleanza in linea con la collocazione internazionale dell’Italia, a favore del rafforzamento europeo (creazione dello SME) e del contenimento dell’espansionismo sovietico (installazione di Cruise e Pershing) cui il PCI si oppose.
Ma il pentapartito si limitò alla difesa di interessi consolidati. Se l’inizio degli anni Ottanta costituì il momento apicale per la quinta potenza industriale del mondo, il futuro non poteva che portare ad un calo di certezze ed aspettative.
Così a partire dal 1990 le leghe (poi unificate nella Lega Nord) e settori significativi del mondo cattolico (coagulatisi nella Rete) erosero il consenso democristiano nelle aree bianche del Nord e del Nord-Est e diedero inizio alla diaspora cattolica. Esse rispondevano a due logiche diverse, ma sbagliate: la prima egoistica e fautrice di una crescita non più riproponibile, la seconda moralistica e funzionale ad una sinistra destinata non a moralizzare la vita pubblica, ma ad infarcirla di disvalori.
La DC subì questa offensiva.
Si illuse che il suo rinnovamento passasse attraverso la concessione di quote agli “esterni” e permiseche la sintesi fosse affidata alla sua componente più tecnocratica, quella della sinistra di Base di DeMita ed Andreatta. Incidentalmente, ma significativamente, il Segretario irpino considerò superato persino il giornale del partito, tanto otteneva su La Repubblica di Scalfari tutto l’appoggio, di cui necessitava.
Meno partito, più influenze esogene.
Il vero rinnovamento sarebbe consistito nell’agganciare il vento liberista ed antistatalista, che soffiava dall’America e dall’Inghilterra, coniugandolo ad una visione sociale. Sull’onda di quella stagione della storia, si sarebbero potuti ridurre rendite e sprechi, razionalizzare la macchina statale, espandere la democrazia economica e non favorire solamente il grande capitale, come è accaduto.
Si poteva, insomma, restare più vicini al proprio elettorato, praticando una politica propositiva e dinamica non intimidita dai “poteri forti”.
Paradossalmente, se il CDU si fosse costituito negli anni Ottanta si sarebbe potuta intraprendere quella rivoluzione liberale e sociale nel momento più opportruno, diminuendo il peso dello Stato, incrementando quello della società, sbarazzandosi dei fardelli inutili del pubblico senza alienare i gioielli di famiglia.


IL BIPOLARISMO DI PLASTICA
La Lega scosse l’albero e Berlusconi ne raccolse i frutti.
Il Cavaliere scese in campo occupando lo spazio politico del pentapartito liquidato dalla magistratura e preferì, come la Lega Nord, guardare indietro e non avanti, esorcizzando un comunismo che non c’era più senza combattere le vere inadeguatezze della sinistra, promettendo un impraticabile ritorno ai fasti degli anni Sessanta (piena occupazione, sviluppo tumultuoso, bassa pressione fiscale) ed amalgamando una compagine politico-elettorale populista e retrò.
La Democrazia Cristiana si trasformò, il 18 gennaio 1994, nel secondo Partito Popolare Italiano, quello di Martinazzoli e Buttiglione.
Fu una scelta coraggiosa, indebolita dalla corsa del CCD verso Berlusconi e dalla propaganda debordante del magnate televisivo.
Alle facili promesse non seguì un’adeguata azione di governo, sia quando al potere andò Berlusconi, sia quando fu il turno di Prodi.
Entrambi fallirono nella stagione del bipolarismo forzoso cui il PPI tentò di sottrarsi, riuscendoci fino al 1995 e costituendo un autonomo polo centrista, attaccato in ogni modo dal propagandismo, dagli inciuci bipolari e dalle defezioni interessate.
Che cosa accadde tra il 10 maggio 1994 ed il 16 novembre 2011, inizio e fine del percorso di Berlusconi?
Per meglio comprenderlo giova tracciare un parallelismo tra la Germania e l’Italia.
La Germania alla fine degli anni Novanta fu indebolita dalle politiche socialdemocratiche assimilabili a quelle di Berlusconi e Prodi.
Con l’avvento al governo della CDU tedesca e di Angela Merkel s’intrapresero le riforme necessarie a competere sul mercato globale.
Cambiamenti profondi nel sistema scolastico, nel mercato del lavoro, negli ammortizzatori sociali, nellaformazione professionale e nelle pensioni permisero alla Germania di riaprire un ciclo positivo.
Nulla di questo fu fatto in Italia, al punto che toccò a Monti e Renzi, privi di un mandato popolare minato dalla demagogia elettoralistica, recuperare, in modo discutibile, il tempo perso e le occasioni mancate. Intanto era passato un ventennio.
Quello del bipolarismo inutile e velleitario, che registrò una progressiva decadenza del Paese, forse irreversibile.
Al degrado economico si accompagnò quello morale. Se Mario Chiesa fu il simbolo di un’idea deprimente di politica, nella seconda repubblica i Mario Chiesa si moltiplicarono con cadenze ancora più ravvicinate, senza lasciare nemmeno le briciole al finanziamento
della politica, dei partiti o delle correnti. Interessavano solo le proprie tasche, i propri familiari e, al massimo, il proprio clan.
Paradossalmente, se il CDU si fosse costituito prima della discesa in campo di Berlusconi avrebbe attenuato le seduzioni di un messaggio confusamente popolare e liberale, rivelatosi incosistente sul terreno delle realizzazioni.
A lavori avviati, l’opinione pubblica, che, in fondo, chiedeva più società e meno Stato, un fisco meno rapace ed una nomenklatura in congedo, avrebbe preferito un rinnovamento credibile ad un confuso nuovismo.


IL CDU
Alle elezioni regionali del 1995 il Partito Popolare, nel pieno dell’offensiva mediatica a favore del bipolarismo,favorito anche da artefatte leggi elettorali capaci di trasformare la competizione elettorale italiana in un enorme caucus, dovette scegliere entro quale campo schierarsi. Il Segretario Buttiglione confermava un PPI alternativo alla sinistra, anche se i compagni di strada non erano del tutto compatibili con la storia e la prassi del cattolicesimo politico.
La sinistra interna non accettò l’alleanza con il centro-destra e provocò la scissione, mantenendo il nome di Partito Popolare, poi divenuto Popolari, quindi Margherita, infine componente del Partito Democratico insieme alla parte più consistente della sinistra storica italiana, quella post-comunista, dopo l’esperienza dell’Ulivo.
Era il coronamento del percorso iniziato l’11 maggio 1955, anche se lo strappo avvenne l’11 marzo 1995. Il 23 luglio 1995 si costituirono i Cristiani Democratici Uniti, cui rimase il glorioso simbolo dell’impegno dei cattolici in politica: lo Scudo Crociato.
L’orizzonte euro-popolare del CDU spinse a ricercare aggregazioni più ampie rispetto ad un’esperienza ancora capace di raccogliere significativi consensi.
Prima l’UDR e, poi, l’UDC rappresentarono gli approdi di questa tendenza all’inclusione. Se fugace fu l’esperienza del movimento di Cossiga, l’UDC seppe suscitare forti aspettative. Resistette al bipolarismo forzoso nelle elezioni generali del 2008, dimostrando che si poteva incidere senza piegarsi al berlusconismo o alla sinistra.
Il suo patrimonio di credibilità venne disperso dalle ambizioni personalistiche e da una sorta di debolezza identitaria: proiettati verso un indefinito partito della nazione, timidi nel rivendicare i connotati cristianodemocratici (diventati neo-centristi), appaltata la voce ufficiale al Liberal del laicista Adornato (si superava così l’opzione demitiana a favore di Scalfari, beffando ancora una volta la memoria dell’esule Donati, direttore de Il Popolo antifascista) i vertici dell’UDC portarono alla consunzione novanta anni di storia gloriosa confluendo nell’effimero raggruppamento tecnocratico di Mario Monti.
Nessuno li capì, tanto meno gli elettori. Paradossalmente, se il CDU, costituitosi negli Novanta, avesse proseguito il suo percorso autonomo, sarebbe potuto diventare punto di riferimento delle istanze serie e non demagogiche. Le riforme erano indispensabili allora come oggi. Il lavoro, l’immigrazione, il welfare, la salvaguardia dell’ambiente, la formazione non sono un problema di pancia, ma di testa, mancata alla classe dirigente del bipolarismo di plastica.
L’etica pubblica ed il bene comune possono albergare soltanto all’interno di esperienze politiche non personalistiche, fondate su grandi valori condivisi, difese da un’esperienza organizzativa forte e capace di autogovernarsi e di selezionare i gruppi dirigenti. Invece ci si è annullati in un progetto incomprensibile, lontanissimo dalla storia dei cristianidemocratici.
Ed anche dalle scelte degli elettori.


IL NUOVO CDU
Il CDU ha ripreso così il suo percorso, celebrando il IV Congresso, a Roma, il 15 marzo 2014. Esso ha recuperato integralmente la sua identità e le ragioni di un percorso prolungato nel tempo, che rifiuta di subordinare il pensiero sociale e la prassi politica dei cristiani-democratici a forze esterne ed estranee.
Ha ripristinato la propria organizzazione autonoma, fondata sul metodo democratico e sulla partecipazione degli associati alla vita ed alle scelte del partito. Mantiene come orizzonte ideale quello tracciato dall’insegnamento sociale della Chiesa e si impegna a
concretizzarlo, nell’ambito dell’autonomia consentita ai laici impegnati in politica. Auspica la convergenza di quanti condividono una comune prassi politica, sorretta da un orizzonte valoriale e programmatico.
È proiettato a declinare la sua fisionomia attraverso le sfide del XXI secolo che sono:


1. La difesa della scelta democratica nella risoluzione delle questioni politiche, mentre sembrano prevalere
le tentazioni semplificatrici e tecnocratiche;
2. La realizzazione di un rinnovato ordine economico, capace di coniugare efficienza di sistema e soddisfazione dei concreti bisogni delle popolazioni;
3. La promozione integrale dell’uomo, del quale vanno soddisfatte le esigenze materiali ed esaltate le aspirazioni spirituali;
4. Il rifiuto delle ideologie totalitarie e fondamentaliste, negatrici dell’autentica natura umana;
5. L’affrancamento dalla massificazione e dall’individualismo, riedizioni di ideologie riduttive contro cui sorse il movimento cattolico;
6. L’affermazione di una visione comunitaria, solidale e sussidiaria della società, rispondente ad un impegno di cittadinanza attiva;
7. La costruzione di una rete di relazioni che favorisca comportamenti tolleranti e collaborativi, tra gli stati e le comunità non statuali, sanciti da regole condivise;

8. L’opposizione alla manipolazione determinata da un distorto e strumentale sviluppo del progresso tecnologico;
9. La salvaguardia della pace e della tutela ambientale quali impegni assoluti nei confronti delle generazioni future;

10. La consapevolezza di abitare una casa comune da rendere sempre più serena e vivibile per tutti i suoi abitanti.


Paradossalmente, il Nuovo CDU è costretto ad un percorso impegnativo ed imprevisto per riaffermare
la forza delle buone idee.
Lo fa con entusiasmo per scrivere una nuova pagina della presenza politica dei cristiani-democratici.
Ancorata ai valori di sempre, ma proiettata a cogliere le sfide della società contemporanea.

Non è partecipazione quella di Marchionne

 

Alcune questioni economiche che si sono aperte nel Paese meritano qualche approfondimento: la vicenda degli esuberi Whirpool nel comparto del bianco e il “bonus” Fiat ai dipendenti.

L’annuncio di chiusura dello stabilimento produttivo di Caserta e del centro di ricerca e sviluppo in provincia di Torino per Whirpool, con complessivo l’esubero di ben 1.340 lavoratori, ha evidenziato la criticità del nostro apparato industriale rispetto spinte della globalizzazione.

Tutto ciò è avvenuto nonostante il precedente accordo siglato con il Ministero dello Sviluppo.

Se guardiamo al passato, quaranta anni fa, il 21 agosto del 1974 ben seimila lavoratori Indesit, i due terzi dell’organico, furono posti in CIG a 26 ore settimanali e a tempo indeterminato. L’aumento dei costi e il forte calo della domanda imposero una pesante riorganizzazione produttiva. La settimana lavorativa fu ridotta a 24 ore lavorative. Ogni lavoratore perdeva sedici ore di lavoro settimanali, di cui dieci venivano coperte dalla indennità integrativa, quindi con conseguenze contenute sotto l’aspetto salariale, perché v’era una perdita di 18 mila lire al mese su un salario di 160 mila lire di allora.

E’ illusorio pensare che il recente Job act, con i contratti a tutele crescenti possa salvare da decisioni che appartengono a logiche meramente capitalistiche. Per fortuna che ancora interviene l' istituto della vecchia Cassa Integrazione a ridurre le difficoltà e i disagi economici dei lavoratori e delle loro famiglie.

V’è però una differenza tra quella situazione degli anni settanta ed ora. Si è passati dalla fase della dimensione nazionale a quella continentale e poi mondiale. V’è stata la ricerca progressiva di economie di scala con l’obiettivo di costruire sempre nuove masse critiche. Le politiche offertiste e l’eccesso di capacità produttiva si sono scontrate però con un ciclo deflattivo, con un calo della domanda anche per la saturazione dei mercati del vecchio continente.

Eppure i problemi non sono scomparsi di fronte all’esplodere e all’aggravarsi della crisi economica.

E’ semmai aumentata la difficoltà di trovare soluzioni idonee perché, soprattutto per le grandi imprese, il capitalismo familiare che stava sul territorio e dentro la comunità si è reso invisibile, trasformato e mimetizzato nei fondi di investimento, quotato in listini di borse lontane. Né va dimenticato come grandi aziende industriali storiche pubbliche come Ansaldo e Breda Ferroviaria e private come Pirelli ed altre sono state rilevate da gruppi esteri con garanzie per gli azionisti, a volte con il mantenimento della direzione, ma senza impegni e garanzie per il Paese e i lavoratori. Lo stesso avverrà per quote rilevanti di banche popolari e nel settore del credito. Tuttavia attrarre nuovi investimenti diretti è cosa ben diversa dal favorire shopping industriale. Al fenomeno non sono estranee medie imprese, né storici marchi italiani. Ve né un elenco infinito e preoccupante nell’agroalimentare, valutato in 10 miliardi di euro di valore. V’è il rischio che dopo la acquisizione di pezzi di apparato industriale si realizzi la fase successiva della ulteriore delocalizzazione produttiva. Il disastro sarebbe allora completo. Manca allora una risposta di politica industriale che non può essere quella meramente finanziaria portata avanti dalla Cassa Depositi e Prestiti. Manca un progetto paese a medio termine capace di indirizzare politiche di investimenti pubblici verso i settori che sono stati capaci più dinamici, di resistere alla crisi, di essere”vivi”, soprattutto nei comparti che incorporano più alto valore aggiunto o a strategie meramente difensive dei tavoli di crisi. Sarebbe illusorio fare affidamento al solo piano Junker per eccesso previsivo del moltiplicatore, per la esiguitá delle risorse messe in camoi e per la limitatezza dei progetti.

Di converso l’amministratore della FCA, azienda ormai fuori da Confindustria, annuncia un bonus legato al piano industriale basato su contratti aziendali di produttività, ancorati a produttività aziendale e dell’area mediterranea. Su questa decisione ha manifestato contrarietà il sindacato metalmeccanico guidato da Landini che vede in questa operazione una azione di marginalizzazione del sindacato. Mentre da parte di Confindustria v'è stato silenzio.

Da parte nostra, anche insieme a Riccardo Pedrizzi, Giampiero Cantoni, Giorgio Costa un decennio fa, sostenemmo con forza l’affermazione dei principi della share economy. Riuscimmo ad introdurre nella legge delega sulla riforma del sistema fiscale fin dal 2003. Con rammarico ed amarezza va detto che quei principi di quella delega affidata a Tremonti fu abbandonata e non è stata esercitata nei termini previsti.

Purtroppo da parte di Marchionne la share economy viene vista né come partecipazione dei lavoratori alla vita e ai destini della impresa, né come esaltazione della economia sociale di mercato, ma come rivincita del capitale rispetto al lavoro, non come riconoscimento di una conquista sociale, ma come "concessione" unilaterale, non come superamento del conflitto, ma esasperazione dello stesso attraverso una progressiva compressione dei diritti e relativa monetizzazione.

Ecco perché sarebbe stata opportuna una disciplina generale che attraverso la via fiscale potesse determinare una spinta a tutto il settore industriale come risposta alla sfida della concorrenza mondiale che richiede sforzi coraggiosi e capaci di ricollegare il lavoro dipendente ai problemi strategici delle unità produttive.

Una visione che metta l’Uomo al centro del modello di sviluppo. Una visione che metta i corpi intermedi, anche il sindacato, al centro di una fase di corresponsabilizzazione di fronte alle sfide dei tempi nuovi.

 

Sullo sfondo infine registriamo una grande opacità sul trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti dopo quello gemello transpacifico. V’è infatti il rischio che la lezione della crisi che ancora viviamo non sia stata appresa. È noto il ruolo decisivo svolto dalle multinazionali durante le negoziazioni per rimuovere ostacoli a libero commercio che si traducono nel ridurre regole a tutela dei consumatori, lavoratori, ambiente e salute come ha ricordato Joseph Stiglitz sul NYT. Prevale ancora una volta la logica del profitto ad ogni costo. Ecco perché occorre perseguire un nuovo modello di sviluppo che non è quello degli Stati Uniti come ha affermato il Premier Renzi durante il suo viaggio negli Stati Uniti.

Non può essere un modello con così vistose disuguaglianze come quello in cui vi è la concentrazione della metà della ricchezza nell’1 per cento della famiglie, e del dominio delle grandi banche d’affari, ma in un modello che recuperi la centralità della persona per lo sviluppo della società.

L'Unione Europea prima di procedere sul Trattato cerchi di risolvere prioritariamente i suoi problemi istituzionali e di governance evitando che le contraddizioni attuali si traducano in ulteriori debolezze economiche e sociali che mettano a rischio il modello sociale europeo.

 

Maurizio Eufemi


 

Ps. Dopo la chiusura di questo articolo sono accaduti alcuni fatti nuovi:

Il 2 luglio è maturata una intesa governo - sindacati sulla vicenda whirpool che sposta al 2018 gli esuberi e di ciò siamo soddisfatti.

Sull'accordo Ttip il parlamento europeo l'8 luglio, a Strasburgo sinè fatto carico delle perplessitá approvando il testo Lange contenente alcuni punti fermi da non superare sulla protezione dei consumatori, della salute e della sicurezza, nonché sulla protezione geografica e della politica agricola, anche se permangono capoversi controversi in materia di energia, telecomunicazioni e appalti.

Nei giorni scorsi anche l'ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi ha manifestato forti perplessitá sul trattato.

 

Tito Boeri novello Robin Hood

Dunque non abbiamo un presidente dell'INPS ma un novello Robin Hood.
Si è spinto e avventurato fuori del perimetro dell'INPS per invadere terreni estranei ai suoi compiti istituzionali. Un pericoloso sconfinamento.
Leggiamo sul fatto quotidiano un titolo categorico, inequivocabile "darli (i vitalizi) solo a chi è senza lavoro o ai redditi bassi" . Non nascondo che sono sobbalzato. In un colpo solo il prof Boeri cancella i principi costituzionali dell'equilibrio dei poteri per avventurarsi in pericolose dissertazioni. È sorpreso che vi siano le reversibilitá alle vedove dimenticando che è un principio di solidarietá. Le caratteristiche dell'istituto sono state espressamente chiarite dalla Corte Costituzionale con la sentenza 289 del 1994.
Tutto il ragionamento di Boeri gioca intorno al concetto di reddito dimenticando che l'istituto nasce come principio di libertá al fine di rendere libero il voto parlamentare rispetto a qualsiasi condizionamento. Si confonde uno stipendio con una indennitá e un vitalizio con una pensione.!
Vorrebbe introdurre requisiti di accesso cosicchè di fatto si ritornerebbe ad una rappresentanza parlamentare per censo impedendo a persone di qualsiasi categoria sociale di svolgere attivitá politica. Ci vorrebbe far tornare indietro di 100 anni. Per la stessa ragione sostenuta da Boeri la funzione di Presidente dell'inps dovrebbe essere onorifica. E invece è giusto che vi siano corrispondenti emolumenti.
Per quanto attiene alle regole il Prof. Boeri sollecita una operazione di trasparenza dimenticando che è tutto pubblico, tutto in rete, tutto sui siti di Camera e Senato. Basta un click.
Il prof. Boeri dovrebbe preoccuparsi di una operazione trasparenza sulla separazione assistenza - previdenza.
Dovrebbe tenere in debita considerazione le sentenze della Corte Costituzionale che ha fissato con chiarezza il principio riguardo ad interventi su situazione soggettive pregresse relativamente a stipendi, pensioni e indennitá solo se temporanei, generali, ragionevoli e indispensabili per coprire la spesa pubblica.

Renzi1 Renzi2 il renzismo e la vendetta dell'Italicum 

 

Dunque il Premier Renzi vuole tornare al Renzi1 dissociandosi dalle scelte del Partito come se il gruppo dirigente Guerini, Serracchiani e Orfini fossero un'altra cosa e non la proiezione dello stesso premier nel PD. 
 

La dissociazione appare tardiva soprattutto se v'è sovrapposizione totale tra governo e partito. Nei momenti deliberativi di Direzione non vi è mai stata da parte del gruppo dirigente nè difformitá nè dissenso sulle scelte strategiche. Le candidature regionali e comunali erano il frutto delle primarie strumento esaltato dal coro renziano. Di fa dunque fatica a vedere un Renzi2 diverso dal Renzi1. 
 

L'analisi di Renzi sul risultato elettorale non affronta i problemi veri della sconfitta politica che risiedono nell'assenza di risposte alla crisi economica e alla disoccupazione, alla crisi sociale di sicurezza dei cittadini, alla immigrazione incontrollata senza controllo del controllo di gestione e senza regole, alla questione morale esploda con le vicende dell'Expo prima, di Mose poi, è in ultimo di mafia capitale. 
 

Il PD paga la scelta di avere privilegiato le scelte di riforma costituzionale ed elettorale ai problemi reali del Paese. 
Avere puntato all'italicum e al partito della Nazione, naturale corollario di quel paradigma, dopo la illusione del 40,8 per cento alle europee, svuotando elettoralmente gli alleati di governo è stato un grave errore politico. 
Avevamo sottolineato per tempo che nel caso di scuola di un PD alla 39,9 per cento con passaggio al secondo turno, Renzi avrebbe trovato difficoltá a superare una lista in grado di coagulare l'opposizione al renzismo. Ciò si è puntualmente verificato alle recenti elezioni comunali. 


È la premessa di ciò che potrá accadere con l'Italicum che va pertanto corretto con il premio alla coalizione e non alla lista. 
Non si può pensare di portare il Paese all'avventura.

Riflessioni dopo una visita all'Expo 2015

Non mi sono mai tanto amaramente pentita di aver pensato "devo esserci anch'io" e  ieri sono andata con un gruppo di amici a EXPO.

Il pullman parcheggia in uno spiazzo assolato dal quale ti separano a piedi 2 km e mezzo tra prati sempre assolati e con poche panchine (forse non sarebbe stato cosi', se avessero messo le piante quando il progetto era stato assegnato all'Italia senza litigare) attraversando un ponte bianco che riflette tutto il sole perche'solo parzialmente coperto.

Una volta dentro i tanti decantati cardo e decumano   (non so se hai gia' avuto esperienza)  un incrocio di due grosse strade di cemento con padiglioni nemmeno tanto belli come dicono.

Bello solo padiglione Italia e pochi altri. Ma Padiglione Italia si visita stando in fila al sole (i volonterosi distribuiscono ombrelli o bianchi o rossi o verdi) e un signore in fila molto dietro di me e' svenuto. I pannelli che coprono i decumano etc non alleviano l'effetto di riflesso e caldo. I ristoranti sono presi d'assalto e i posti all'ombra si esauriscono subito. Per trovare i bagni (che sono mal indicati e si raggiungono con ascensori spesso rotti) devi provare.

Il tema poi e' la cosa che piu' e' stata tradita. Nutrire il pianeta, energia per la vita: e' evidente: come si faccia, in assenza di politiche demografiche drastiche e in taluni luoghi inapplicabili, a far mangiare una popolazione che vedra' due miliardi in piu' di individui entro il 2050.
Li' dovevano misurarsi tutti i know how migliori. E non c'era bisogno di una esposizione universale dal titolo tanto suggestivo che e' stata scambiata per una rassegna enogastronomica turistica solo per "promuovere". Bastava mettere seriamente a confronto le migliori soluzioni. Invece hanno tirato in ballo anche chi produce energia: ma li' si doveva parlare solo dell'energia che promuove la vita umana e semmai che non la distrugge: quindi cibo ed ecologia: idee mai cosi' lontane dalle politiche di business di un po' tutti.

Per non parlare del risotto stilistico ed urbanistico. Quindi a me e' sembrato un paesaggio da day after in una landa sconfinata e assolata. Anche la frequentazione non mi e' sembrata delle migliori come sempre succede quando si punta sulla quantita': molta gente anche da dopolavoro. Abbiamo speso moltissimo per infilare la gente in un un parco tematico tutt'altro che rilassante, non molto qualificato e con poche novita'. Vedere poi' l'albero della vita che ogni tanto ti presenta una "fioritura" di fiori di plastica e circondato da spruzzi d'acqua che si innalzano tanto piu' quanto piu' sono elevati i decibell della musica che suona?!?!  

Pensavo che nel nostro paese ci fossero risorse intellettuali migliori. O almeno si doveva assegnare ad ogni acquirente di spazi espositivi una consegna drastica. Invece molto e' stato fatto in modo dilettantesco.

LETTERA APERTA

 

AL PRESIDENTE DEL 

SENATO DELLA REPUBBLICA

SEN. PIETRO GRASSO

 

ALLA PRESIDENTE DELLA

CAMERA DEI DEPUTATI

ON. LAURA BOLDRINI

 

Signori Presidenti,

abbiamo sentito l’orgoglio di essere rappresentanti della Nazione, abbiamo difeso, nelle convulsioni della Repubblica, la Costituzione e il Parlamento, oggi siamo trattati, da un certo giornalismo e da certa televisione, compreso il servizio pubblico, che aizzano l’opinione pubblica, come cittadini di serie b.

Le “liste di proscrizione”, apparse su alcuni quotidiani, con l’accusa ai già parlamentari di essere percettori di vitalizio non commisurato ai contributi versati, con l’aggiunta di insultanti epiteti, mirano a gettare discredito su tutta una classe dirigente che ha guidato l’Italia nel diventare la quinta nazione sviluppata del mondo, che ha vinto la sfida   feroce del terrorismo, che ha condotto il Paese nel gruppo di testa dell’Europa.

Con il pretesto di eliminare presunti privilegi si punta a offuscare la nostra storia parlamentare che è la storia  della costruzione democratica dell’Italia. 

Noi non intendiamo trincerarci dietro queste pur legittime considerazioni, vogliamo invece entrare nel merito della questione sollevata. 

Cerchiamo chiarezza.

 

Vorremmo innanzitutto che fosse spiegata “al colto e all’inclita” la natura del vitalizio che, pur avendo carattere previdenziale, non è una pensione, come l’indennità parlamentare, prevista dall’art. 69 della Costituzione, non è uno stipendio. Su questo aspetto giuridico le sentenze della Corte Costituzionale hanno messo un punto fermo.

L’indennità parlamentare e il connesso vitalizio hanno il valore di una garanzia assicurativa per il parlamentare al fine di «garantire il libero svolgimento del mandato» (art. 1 legge 31 ott. 1965 n. 1261) 

L’istituto, che ha origini nell’antica Grecia, fu introdotto in Italia come conquista democratica nel primo Novecento. Esso consentiva, così, il superamento del Parlamento degli aristocratici, dei possidenti, dei notabili e l’ingresso dei ceti popolari, a lungo esclusi dalla vita politica del Paese.

La Costituzione italiana del 1948 ha recepito questo principio, regolandone l’esercizio soprattutto con la legge sopra citata.

Il trattamento economico dell’indennità con il connesso vitalizio fu rapportato a quello del 96 % dei Presidenti di Sezione di Cassazione. Negli anni, con successive riduzioni, quel rapporto si è via via ridotto di oltre 30 punti percentuali.

Ora pongo una prima domanda: «È improprio e smisurato porre sullo stesso piano di dignità sociale i rappresentanti della Nazione e i magistrati? » 

A partire dagli anni ’70 sono stati molteplici i provvedimenti rivolti a cancellare odiose situazionicome quella del vitalizio ottenuto anche per breve permanenza in Parlamento.

baby vitalizi non esistono più da oltre 30 anni. Perché allora insistere se non per discreditare la classe politica e parlamentare, disorientando l’opinione pubblica?

Si imputa, nei lunghi elenchi “di proscrizione degli ex parlamentari”, di godere di un vitalizio calcolato con il metodo retributivo. Ma quale pensionato in Italia, fino alla riforma del sistema contributivo (che pure suscita altri problemi) non gode del sistema retributivo, compresa una tredicesima mensilità che non viene erogata ai già parlamentari?

Quel sistema retributivo, che permetteva di tutelare i ceti meno abbienti, consentiva anche, in modo non sempre misurato, di andare in pensione con un calcolo basato sull’ultimo stipendio, di ottenerela pensione di anzianità e perfino azzardate baby pensioni e l’allineamento delle pensioni ai nuovi contratti, derivava dall’ottimismo di una crescita continua che si aggirava intorno al 5%.  Esso mirava a favorire i consumi , mantenendo alto lo sviluppo del Paese.  Si può oggi discutere sulla bontà di questi indirizzi ma è indubbio che il Paese cresceva e si sviluppava. Cosa si chiede oggi all’economia se non quello che ieri  fu deciso, sia pure, talvolta, con troppo ottimismo? È dunque in quel contesto storico ed economico che va inquadrata la scelta del metodo adottato per i vitaliziparlamentari che seguivano la logica del retributivo per tutti gli italiani.

Oggi, le cose sono cambiate e anche i vitalizi dei nuovi parlamentari sono stati agganciati al metodo contributivo. Quale senso politico, allora, ha questa  campagna denigratrice se non la diffamazione ?  

Ma veniamo ora al calcolo del rapporto tra i contributi versati e il vitalizio percepito dagli ex parlamentari.

In tutte le amministrazioni pubbliche e private c’è una parte dei  loro versamenti da calcolare per la pensione; perché allora non tenere conto delle quote spettanti alle Camere ?

In ogni caso un calcolo corretto per la valutazione dei vitalizi andrebbe fatto anche sulla base delle rivalutazioni del capitale versato, in rapporto agli interessi maturati, come avviene per ogni fondo di previdenza, e come accade, per esempio, per i vitalizi del Parlamento Europeo.

I conti sarebbero ben diversi dalle approssimative tabelle pubblicate da  alcuni giornali  e riprese in alcune sciatte trasmissioni televisive anche pubbliche. 

Ma considerando che si guarda indietro per intorbidare le acque, mi pare “cosa  buona e giusta “ricordare anche che c’è stato un tempo della Repubblica nel quale uomini e donne dedicarono la loro vita all’azione politica, rinunciando ad altri più remunerativi percorsi.       

Il vitalizio, ripeto, era la garanzia per il futuro per agire con indipendenza in Parlamento. Non è questione di diritti acquisiti (peraltro intaccati), ma di semplice giustizia la tutela di quel diritto.

Si può obiettare che non tutti sono in questa condizione e che molti godono di altri redditi. I modi per affrontare questo aspetto ci sono: dalle misure fiscali ai contributi di solidarietà, per noi  già da tempo operanti. Nessuno ha sollevato obiezioni su questo punto, né ha fatto ricorso come, invece, altre categorie che hanno trovato ascolto nella Corte Costituzionale.

Ma veniamo anche alla questione dell’ammontare dei vitalizi bollati come rapina e con termini offensivi.

È facile dedurre proprio dagli elenchi pubblicati che i vitalizi parlamentari rientrano nella fascia delle pensioni erogate agli alti funzionari della Pubblica Amministrazione, a quelle dei professori universitari e di alcune fasce di giornalisti, restando al di sotto di quelle dei magistrati,dell’Avvocatura generale dello Stato, dei funzionari degli organi costituzionali, e a notevole distanza dalle cifre dei managers pubblici e non.

Noi siamo consapevoli che questa nostra condizione è comunque favorevole e ci pone nell’obbligo di tenere conto della posizione di chi vive in gravi difficoltà economiche. 

Noi siamo disposti a continuare a fare la nostra parte nei modi che ci saranno richiesti. Ciò che respingiamo è di essere considerati dei privilegiati come la “casta” che lucra di risorse indebite e immeritate.

V’è in questa concezione profonda ingiustizia e un grumo di anti-politica e di anti-parlamentarismo che ricorda le campagne giornalistiche e partitiche contro  il Parlamento che aprirono la strada al fascismo.

Ci amareggia che il Presidente del Consiglio abbia usato termini sprezzanti nei nostri confronti, sbrigativamente liquidando una delicata questione che riguarda lo status degli ex parlamentari.

Chiediamo almeno le buone maniere, ma soprattutto ricordiamo che l’indennità parlamentare e i vitalizi non sono materia del governo, sono anzi la garanzia per la indipendenza del parlamentare anche nei confronti del governo. Ne va, appunto, della distinzione tra i poteri dello Stato.

Signori Presidenti, noi desideriamo che si faccia definitiva chiarezza su questi temi, anche attraverso un confronto con gli altri Parlamenti europei.

La questione, in sé, è pressoché ininfluente sui problemi aperti nell’economia del Paese, che richiedono ben altre misure che siamo in grado di suggerire, ma essa investe principi che riguardano la dignità dei già parlamentari, ma anche dello stesso Parlamento, insostituibile presidio della libertà e della democrazia italiana.

Ecco perché chiediamo un intervento chiarificatore istituzionale, che fissi un punto fermo che non può non giovare al prestigio del Parlamento.

 

Con deferente ossequio

 

Gerardo Bianco

Inviperiti perché, in occasione del ricordo dell'assassinio di Moro, sono stati tenuti lontani

Vecchi dc e la memoria di Moro

Denunciano il carattere sbrigativo della manifestazione
 

 di Franco Adriano (su Italia Oggi)

I cittadini tenuti dietro una transenna lontanissima dalla lapide. I rappresentanti storici della Dc, ex deputati e senatori che contarono qualcosa, come per esempio Gerardo Bianco, Enzo Carra, Mario Tassone, Maurizio Eufemi e Lorenzo Cesa, tutti costretti ad un umiliante trattativa con gli uomini della sicurezza per restare almeno vicino al blocco, a debita distanza dalle autorità perché, a loro dire l'accesso era riservato agli uomini delle istituzioni graditi al Pd vincente. 

Sabato scorso, in via Caetani, la commemorazione di Aldo Moro, da parte del presidente Sergio Mattarella, ha fatto inviperire i solitamente prudentissimi vecchi democristiani, inducendoli ad affidare ai social network tutta la propria amarezza per una cerimonia così diversa nei toni e nei modi rispetto a quella che celebrava Giorgio Napolitano. 

Il dirigente di uno degli innumerevoli spezzoni della Dc, Attilio Lioi, descrive così il film dell'evento che sembrerebbe svelare l'intenzione di Mattarella di non stringere le mani di certi vecchi «amici», ma nemmeno quelle della gente comune: «La commemorazione in via Caetani con l'algido presidente della repubblica» dice magari un po' sopra il rigo, Lioi «con i cittadini tenuti dietro una transenna lontanissima dalla lapide, impediti ad accedere e partecipare per ragioni incomprensibili di cerimoniale del Quirinale, sono il chiaro segnale del degrado democratico e del distacco chirurgico delle Istituzioni dal corpo vivo della popolazione civile». La conclusione è una doccia gelata: «I rappresentanti del Pd sono stati capaci di scippare anche questo ricordo, appropriandosene indebitamente quasi in esclusiva, alterando la memoria e la storia stessa. Un film freddo di una commemorazione liturgica anaffettiva, non vissuta e dovuta, per rituale di calendario!».

L'ex moroteo Mario Tassone ha sfogato la sua rabbia facendo un chiaro riferimento alla presenza del presidente della commissione parlamentare su Moro, ossia Beppe Fioroni, in rappresentanza della Camera al posto della presidente Laura Boldrini (il presidente del Senato Pietro Grasso invece era presente) invitandolo ad andare a vedere quali furono i partiti della fermezza e quali quelli della trattativa in quei giorni drammatici. «Le istituzioni hanno inteso seguire un canovaccio di un apparire fugace. E poi i soliti tentativi di alcune forze politiche di occupare la scena», ha scritto, «Tutto si può fare ma non alterare la storia e non è consentito nemmeno ai nuovi arrivati, forti nel potere ma non altrettanto nel pensiero e nei ricordi. La nuova Commissione su Moro può essere fruttuosa nella ricerca della verità se riuscirà a far luce sui motivi reali che videro contrapposti i partiti della fermezza e della trattativa».

Su questa vicenda è stato pizzicato anche l'ex ministro berlusconiano (e orgogliosamente democristiano) Gianfranco Rotondi, il quale ha avuto l'ardire di dichiarare alle agenzie che «Il 9 maggio è sempre un giorno cupo per la repubblica, ma quest'anno si colora di un significato diverso: la presenza di Mattarella al Quirinale dice che le ragioni della libertà e della democrazia sono prevalse trionfalmente su quelle del terrorismo e della illibertà». Perciò è stato redarguito dall'ex senatore e suo amico personale Maurizio Eufemi: «Caro Gianfranco non basta un bel comunicato per stare su pezzo. A volte bisogna essere presenti e fare un piccolo sacrificio per interpretare il profondo disagio che i democristiani veri hanno vissuto oggi, dove i freddi rituali scanditi dall'orologi, prevalgono sui sentimenti popolari. Non v'è mai stata dal 1978 una distanza così forte tra le autorità e i presenti. Solo la preghiera di monsignor Leuzzi, prima e il coro della parrocchia di Ostia ci hanno confortati e abbiamo ritrovato, quando finalmente le autorità se n'erano andate, la nostra meditazione su Moro».

Eufemi ha anche scritto ad Ambra Minervini, figlia del giudice Girolamo Minervini ammazzato dalle Br a Roma il 18 marzo del 1980, che ha deciso di non partecipare alla giornata della memoria perché «stanca di ascoltare discorsi di circostanza che offendono vedove, figli, genitori, fratelli e la memoria dei nostri morti». Ambra Minervini ha ricordato che per ottenere la medaglia alla memoria per suo padre, sua madre «ha dovuto scrivere 15 lettere di sollecito, per vedersela consegnare in un'anonima saletta della prefettura» e che dietro la cerimonia del 9 maggio «c'è il vuoto più assoluto».

Eufemi, che si battè in Senato per dare la medaglia d'oro alle vittime del terrorismo, ammette con lei che «oggi tutto si traduce in qualcosa di burocratico per trasformare in solo evento mediatico ciò che dovrebbe avere bel altro significato». «Non sono mai stato invitato alle cerimonie ufficiali, ma non me ne dolgo perché so di avere fatto il mio dovere di parlamentare per una causa giusta; piuttosto», ha concluso, «come possiamo avere memoria senza memoria?»

Vai al video dell'evento

 

 
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M.Tassone: il ricordo di Moro

 

Sabato scorso abbiamo vissuto una giornata importante a Via Caetani per ricordare l'assassinio di Aldo Moro. Fu la tragedia non solo della famiglia Moro e della scorta, ma di tutto il Paese. Si ricorda non per adempiere ad un rituale, ma per un’intima ed umana esigenza. La memoria serve a rafforzare un sentimento di solidarietà e a guidare il nostro cammino verso sbocchi di civile convivenza, di sviluppo, di giustizia. Non c'è sviluppo se tutto è lasciato ad un tecnicismo arido delle gestione dove si restringe l'area della partecipazione. Le grandi pagine di storia l'hanno scritte i popoli. Il terrorismo è stato sconfitto da una grande mobilitazione e da una diffusa presa di coscienza. Bene ieri a Via Caetani. Toccante il coro di Ostia e la preghiera di Mons. Leuzzi. Le istituzioni hanno inteso seguire un canovaccio di un "apparire" fugace. E poi, i soliti "tentativi" di alcune forze politiche di occupare "la scena". Tutto si può fare, ma non alterare la storia e non è consentito nemmeno ai nuovi egemoni forti nel potere ma non altrettanto nel pensiero e nei ricordi. La nuova Commissione su Moro può essere fruttuosa nella ricerca della verità se riuscirà a far luce sui motivi reali che videro contrapposti i "partiti" della fermezza e della trattativa. Molti dei protagonisti di allora possono oggi dare un contributo per diradare le tante nebbie che hanno impedito di far chiarezza. E' una sfida. Ma per questo il Parlamento ha inteso istituire l'ennesima Commissione, altrimenti sarebbe un ennesimo "contributo" a ulteriori, inutili protagonismi.

Mario Tassone - 11/5/2015

 
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ALCUNE FOTO DELL'EVENTO

Solidarietà Popolare sulle orme di chi di ha servito 


Incontro con Francesca Romana De Gasperi

 

Ringraziamo Gianni Fontana per questa occasione di incontro e per l’impegno profuso nella disamina delle radici della nostra storia e dei suoi protagonisti di cui De Gasperi ne è il più grande testimone.


De Gasperi è un esempio di virtù e tutti noi ci siamo abbeverati nei suoi discorsi, nei suoi scritti, nelle sue prove di vita. Solo un breve ricorso personale. Da bambino andando a scuola negli anni cinquanta, al Pio IX in Via della Conciliazione passavo quotidianamente sotto quella che era stata la casa di De Gasperi in Via Bonifacio VIII e il mio sguardo si volgeva a quel portone che ne ricordava il passato. Mio padre ha avuto il privilegio di essere iscritto nella stessa sezione DC di De Gasperi a Borgo Cavalleggeri. 
E’ difficile poi farlo oggi quando le parole di De Gasperi sulla legge elettorale sono state strumentalizzate in modo indecoroso, una legge che premiava la coalizione non una lista che garantiva la governabilità per chi avesse raggiunto la maggioranza assoluta dei voti in un tempo in cui v’era una grandissima partecipazione superiore al 90 per cento del corpo elettorale. O quando si ricorda De Gasperi europeista con una inserzione sul Corriere della Sera dimenticando la scelta atlantica che fu una sceltà di libertà o le scelte riformiste e ricostruttrici in contrapposizione al PCI di Togliatti.


C’è un episodio che voglio qui rammentare per sottolineare la grande umiltà di De Gasperi allorquando De Gasperi scrive a Sergio Paronetto persona competente e preparata dicendogli “continua a consigliarmi con la tua illuminazione dalla realtà”. Questa era la grande umiltà di De Gasperi.


Ma siamo qui come attori di solidarietà e voglio ricordare alcuni scritti che dimostrano la continuitá del suo pensiero sul solidarismo e sul popolarismo. 
De Gasperi nell’intervento al Teatro San Carlo al V congresso della DC il 27 giugno 1954 dopo avere fatto la fotografia analitica del corpo elettorale tra agricoltura, commercio, industria, servizi, PA affermò che nessun settore può fare una politica autonoma e prevalente di gruppo che si manifesta inaccettabile contro un altro gruppo. Analizzò i risultati della inchiesta sulla miseria e sulla disoccupazione, con dovizia di dati, quasi un trattato sociologico sulle classi miserabili, disagiate, medie e elevate.
La giustizia sociale cioè la solidarietà popolare tende ad elevare le classi più povere e raccorciare le differenze delle classi e soprattutto ad abolire le più misere e le più disagiate.


Era in continuità con il discorso anche quello alla città universitaria in occasione del primo congresso del 1946 quando sostenne che non eravamo né socialisti né comunisti , ma solidaristi: solidarietà di gruppi e di interessi: contributo di tutte le forze politiche produttive in un sistema in cui il lavoro abbia la preminenza su tutti.
O ancora il discorso pronunciato a Messina al congresso regionale del 29 dicembre 1953 quando disse " v’è una parola che abbiamo usato che è bene ripetere spesso: solidarismo. Solidarismo vuol dire essere solidali; collaborazione di classi. La teoria economia del solidarismo pone nel centro il fattore personale dinamico, il lavoro”

 

Dunque per noi Popolarismo è combattere le ingiustizie, è difendere le libertà, è partecipazione.


Un uomo, De Gasperi che ha vissuto nella modestia e nella semplicità. Visse a Castel Gandolfo dal 1931 nel villino Hoerner, messo a disposizione dal facoltoso ingegnere ebreo per sottrarre l'esponente del Partito popolare alle persecuzioni fasciste. Nel 1951, in occasione del settantesimo compleanno con una sottoscrizione pubblica tra gli iscritti promossa dal partito della Democrazia Cristiana, fu fatto dono di un villetta che non voleva neppure accettare. Questo era Alcide De Gasperi. Una storia di limpidità. 
Ci piacerebbe che la fondazione che porta il suo nome possa essere rappresentata, soprattutto nel vertice di rappresentanza, da interpreti più autentici del pensiero degasperiano.

 

Ecco il riferimento al link:

http://solidarietapopolare.blogspot.it/2015/05/la-semplicita-dei-grandi-alcide-de.html

in cui si potranno trovare, foto, video, anche degli interventi, circa l’evento svolto da Solidarietà Popolare : “Sulle orme di chi ha Servito: ALCIDE DE GASPERI”.

Voto palese o crisi di governo

Era il leitmotiv dell'ottobre 1988, quando il PSI, durante il governo De Mita  voleva imporre il voto palese su tutto. Furono due settimane di aspro confronto parlamentare,  sapientemente guidato da una grande Presidente d'Assemlea, come Nilde Iotti, sulla riforma dell'articolo 49 del Regolamento.  Rileggendo  quelle pagine di storia parlamentare si ritrova il senso di una battaglia che a volte vale la pena di combattere. Una parte consistente della DC impose alla maggioranza della DC di De Mita  e  del PSI di Craxi, importanti modifiche sui principi emendativi che innovavano sulle materie disciplinate dall'articolo 49 del regolamento, sulla disciplina del voto palese o meno, distinguendo opportunamente sulle materie come le  leggi di spesa e i principi di libertá.
Si registrarono sconfitte per la maggioranza.
Quell'articolo 49 ci riporta alle vicende dei giorni di oggi, sull'utilizzo del voto segreto sulla legge  elettorale, perchè  fu appunto salvaguardato.  C'è solo da augurarsi che gli eroi del nostro tempo ne sappiano fare un buon uso.
La sostituzione di 10 commissari in Commissione Affari Costituzionali operata dalla Presidenza del Gruppo PD è una decisione abnorme, perchè cancella il dissenso interno, impedisce un corretto lavoro istruttorio della Commissione, scarica sull'aula tutte le tensioni politiche, soffoca  il libero confronto parlamentare fino a coinvolgere il Governo su decisioni che dovrebbero appartenere unicamente al  parlamento.
Alcune frasi pronunciate in quel contesto dai protagonisti di quelle giornate parlamentari  meritano di essere ricordate perchè danno il senso della posta in gioco.

Bianco " si tratta delle regole del gioco e ritengo che niente più delle regole del gioco debba essere sottratto al sequestro di maggioranze occasionali e anche politiche"
Russo Spena " se questa vicenda si chiudesse amaramente  con il raggiungimento della quota fatidica dei 316 voti ottenuti con ricatti, pressioni, minacce di scioglimento del Parlamento (come sappiamo essere avvenuto) essa costituirebbero nostro avviso uno strappo allo stato di diritto e alla idea stessa della politica"

Adalberto Minucci " si è voluta scatenare una campagna ingiuriosa e mistificatrice in luce falsa, come degli "incappucciati" dei cecchini e quant'altro; qualche collega ha mostrato più sdegno contro il voto segreto che contro le logge segrete!"
Martinazzoli " ho qualche difficoltà a credere che le biografie  di De Mita e di Donat Cattin siano il segno di un martirologio democristiano" . "Nel regolamento è scritta una regola in base alla quale nessun deputato può essere sanzionato per le posizioni espresse nel corso nel corso dei lavori dell'assemblea e della Commissione".
"Credo onorevole Bassanini che questa sará un'altra storia che confermerá il suo incubo , quello che qualcuno fuori di qui imponga, mandi e costruisca prigioni e recinti."
Pannella " dobbiamo applaudire il coraggio dell'amico Biondi ma anche certamente quello del Vicepresidente Bianco e di Mario Usellini. "
Parabola dì Andreotti " gli estintori non si usano mai, ma è bene averne nel momento in cui dovesse scoppiare un incendio."
Violante " in Italia si può votare segretamente tutto tranne la fiducia che è palese, in Germania si vota palesemente tutto tranne la fiducia al cancelliere che è segreta."
"Il voto palese potrá diventare, se non cambierá lo status del parlamentare nel Parlamento,  la sanzione notarile della intesa segreta tra vertici e lobbies."
"Vi sono le intimidazioni e i ricatti che si fanno pesare sui parlamentari della maggioranza per indurli a subire passivamente soluzioni che non sono condivise."
" ad un giornalista del Giornale di Montanelli  che gli chiedeva che cosa avrebbe fatto se una volta approvata la disciplina del voto palese un deputato del suo gruppo avesse votato contro le direttive Egli rispose che il "bastian contrario" non sarebbe stato ripresentato nelle elezioni politiche e La  Malfa non è certo il dirigente di un partito leninista. "
Bassanini " quanti potranno assumersi la responsabilitá di votare contro - come sarebbe molto coraggioso fare - in presenza di una possibile crisi di governo o magari di un eventuale scioglimento della Camera? "
Rodotá cita una vignetta di Altan su Panorama "voteremo a voto palese leggi segrete"
Pajetta Giancarlo " in Germania non si vota la fiducia al Governo con il voto segreto? Allora non è un argomento inconsistente, è una menzogna!. "
Labriola " abbiamo sentito parlare di Tucilide, sia consentito a un laico, accanto a Tucilide di ricordare Giuda."
Pannella " senza il deterrente dello scrutinio segreto avremmo avuto per Diktat di un segretario, di un oligarca di partito o la crisi di governo imposta o una camera che meccanicamente avrebbe  dovuto  sottomettersi per non dimettersi, votando tutto palese. "
"In nome delle nostre idee noi laici, noi socialisti, noi radicali ci aggiungeremo ai colleghi democristiani che con tanta onestá intellettuale e devo dire con tanto coraggio ci hanno dato un pò tutti  quanti un esempio in questi giorni, come hanno fatto Usellini e tanti altri."

Usellini "le regole del gioco sono anzitutto lo strumento di difesa delle minoranze"
Biondi " non intendevamo assumere la difesa degli incappucciati del voto segreto, di quelli che usano il pugnale corto nelle lotte politiche, ma dichiarando apertamente la loro opinione. Volevamo solamente dire che per quello che riguarda gli aspetti elettorali e costituzionali non ci dovevano mettere nessuna camicia di forza ma assumere liberamente e liberalmente le nostre determinazioni."
"Non ci siamo sentiti i "ribelli della montagna". "
nel corso del dibattito viene anche ripresa la parabola andreottiana "gli estintori non si usano mai, ma è bene averne nel momento in cui dovesse scoppiare un incendio."


Ps. Saprà la minoranza PD agire  come fece la minoranza DC.?
Avranno    gli oppositori dell'Italicum  la forza e la determinazione di non disperdere i valori di quelle battaglie del 1988 sulle regole?
Quella vicenda dimostrò che il Parlamento è in grado di trovare le soluzioni giuste attraverso il dialogo.

I pericoli dell'Italicum

 

Il Governo vuole imporre la legge elettorale nonostante tutto. Il tutto sta nel dissenso interno del PD, sta nel restringimento dell'area delle forze che ne sostengono contenuti e finalitá, sta nello squilibrio tra consenso elettorale effettivo del 2013 e rappresentanza elettorale; sta nella rottura di quella coalizione formata da PD e Sel che aveva determinato il premio sul Porcellum. Tutto è dunque mutato e di ciò occorre prendere atto. Le modifiche apportate all'italicum sulle soglie di ingresso in Parlamento e per il premio di maggioranza non risolve il nodo di fondo relativo al principio di rappresentanza deformato da collegi troppo grandi e da candidature plurime. Non si vuole prendere in considerazione neppure la possibilitá di ridurre da 10 a tre le pluricandidature come era nella legge elettorale del 1957. Nè si vuole tenere in considerazione la opportunitá di dare il premio di maggioranza alla coalizione piuttosto che al singolo partito, dimenticando che vi potrebbe essere il rischio non sottovalutabile che al secondo turno possa vincere il partito perdente al primo turno, coagulando le forze elettorali eterogenee, le più disparate, determinando non stabilitá del sistema, ma una pericolosa fragilitá.

La sinistra definì “legge truffa”, quella proposta da De Gasperi, nonostante il leader democristiano avesse ottenuto il 48,5 per cento alle elezioni politiche del 1948 e disponesse di una maggioranza parlamentare del 60 per cento di voti veri, proporzionali, con un corpo votante del 92 per cento.

Domenica scorsa anche Scalfari ha ammesso che non fu legge truffa. " Fu chiamata legge truffa, ma non lo era affatto; dava un premio al partito o alla coalizione che aveva ottenuto il 50,1 per cento dei voti. Con l'Italicum c'è proprio il rischio paventato da De Gasperi di trasformare la minoranza in maggioranza. Sarebbe appunto un tradimento della democrazia.

C'è da solo da sperare che nei prossimi giorni, le forze di più forte soliditá e cultura democratica sappiano con senso di responsabilitá, mettere in campo le azioni politiche e parlamentari per impedire l'approvazione di una legge elettorale che non guarda al funzionamento del sistema istituzionale del Paese, ma ai benefici di una singola forza politica. L'accordo tra PD e Ncd non ha quella soliditá indispensabile a dar vita a una nuova legge elettorale.

Non v'è neppure tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, quel fruttuoso compromesso realizzato sul Mattarellum così come ha ricordato Giorgio Napolitano proprio oggi.

 

Roma, 13 aprile 2015 Maurizio Eufemi

Il DEF in due tempi

Ormai siamo al Def in due tempi: prima l'annuncio, poi l'approvazione. Con un intervallo che serve a capire le reazione dei soggetti più direttamente coinvolti, dei media per capire l'umore della stampa così da correggere eventuali errori o la rotta che si voleva intraprendere.

Si fa dunque in cinque giorni ciò che avrebbe dovuto essere fatto ben prima in una logica preparatoria e programmatoria che porti il governo ad assumere scelte precise su cui si assume responsabilitá ben definite. Nel caso specifico si scaricano sui sindaci e sui comuni gli interventi più dolorosi che riguardano il Welfare sociale e locale. 
Invece tutto viene lasciato nella incertezza. 


C'era infatti da prendere posizione sulle clausole di salvaguardia relative all'aumento dell'IVA e ciò non è stato fatto. Il Def serve proprio a questo, a programmare le scelte di politica economica e finanziaria. 
Non si può rinviare questa scelta alla legge di stabilitá, quindi alla sessione autunnale di bilancio. 
La vicenda del Def dimostra che il governo naviga a vista sperando nello stellone, ma non vi può essere ripresa se aumenta la pressione fiscale come è stato certificato dall'Istat. 


Non vi possono essere aspettative di fiducia se le questioni di fondo vengono sistematicamente allontanate preferendo il giorno per giorno.

Riforme che colpiscono l'equilibrio costituzionale

 

Il governo Renzi procede a strappi sulle riforme sia costituzionale che elettorale, anche per le incertezze determinate dalla rottura del Patto del Nazzareno. Sembra profilarsi una fase di maggioranze variabili a seconda degli argomenti all'ordine del giorno, con tutte le conseguenze possibili, perchè riforme di così vasta portata richiedono larghe convergenze e soliditá di intenti che non si ritrovano nell'attuale quadro politico.

 

Prosegue l'azione del governo nell'imporre al Parlamento una linea improntata all'uso sistematico della delega, dei decreti legge e del ricorso al voto di fiducia. L'equilibrio dei poteri e di sistema così come costruito dalla Carta Costituzionale viene ferito mortalmente e il colpo di grazia sará dato dalla Riforma istituzionale che determinerá un nuovo modello di governo con un premierato spinto, senza contrappesi e pericolosi effetti sul principio di rappresentanza e sul sistema delle garanzie. Restano da sciogliere nodi ancora difficili quali una più puntuale definizione della rappresentanza delle autonomie che non può essere la duplicazione di quella esistente e la integrazione della funzione della Camera politica.

 

Di fronte a tutto ciò sono poche le voci che si sono levate per esprimere un dissenso netto di fronte a scelte così gravi è come sarebbe stato auspicabile da parte di chi viene da una tradizione democristiana, con una forte cultura e sensibilitá istituzionale.

Vediamo infatti i pericoli di uno strisciante autoritarismo che non viene bilanciato da forti poteri di controllo. Si sta profilando una riforma sbagliata che non risolverá i problemi istituzionali del Paese, accentuando la frammentazione politica con il voto di lista anzichè alla coalizione e le spinte a posizioni più radicali come la Lega lepenista. Giá gli strumenti attuali consentono all'Esecutivo di realizzare il proprio programma di governo come dimostrano i provvedimenti relativi al Jobs Act, agli ottanta euro, alle banche, etc. Ulteriori progressi potrebbero essere raggiunti mettendo mano seriamente ai regolamenti parlamentari.

 

Sullo sfondo resta una situazione economica estremamente grave sia per i forti livelli di disoccupazione, soprattutto giovanile, sia per scelte economiche sbagliate che giocano tutto sulla favorevole congiuntura economica in conseguenza del più favorevole rapporto euro-dollaro, sul minore costo dell'energia e sulla compressione dei salari. Tutto ciò può favorire la domanda estera con maggiori quote di export, ma non stimola la domanda interna per consumi che può essere generata solo dalla fiducia dei cittadini e soprattutto da un intervento qualitativamente e quantitivamente più efficace sulla pressione fiscale. Questo è il vero nodo irrisolto così come quello di non avere posto in Europa la rivisitazione delle regole che hanno prodotto soltanto deflazione. Non basta l'azione della BCE. C'è bisogno di una nuova politica europea che vada oltre i parametri di Maastricht ancorata al controllo dei bilanci, ma anche ai principi di sussidiarietá e di solidarietá.

 

Maurizio Eufemi

Roma, 6 aprile 2015

I funerali di Gustavo Selva 

Oggi ho partecipato ai funerali di Gustavo Selva nella chiesa di San Lorenzo in Lucina dove si può ammirare uno splendido dipinto sacro di Guido Reni. Hanno partecipato, numerosi, quelli hanno voluto testimoniare la loro amicizia nel momento del trapasso dalla vita terrena. Si è ricongiunto all'amato figlio Lorenzo, brillante giornalista del Pais prematuramente scomparso. Un dolore per lui insopprimibile. Stava lavorando a un libro filosofico. Aveva scritto 600 pagine sull'uomo. Mons Fisichella ha officiato la funzione religiosa ricordando il viaggio insieme nel Sinai, difficoltoso sia per la sua etá che per le precarie condizioni di salute, ma volle esserci, quasi come scelta finale, come ultimo desiderio di morire lassù. Potrei andare nei ricordi personali lontani nel tempo. Mi fermo qui. 


P.s. 
Ho trovato sgradevole che la Rai non abbia mandato una troupe per ricordare il giornalista, il corrispondente dalla Germania, il direttore del GR2. Una rai senza memoria che smarrisce giorno dopo giorno la sua identitá di servizio pubblico.

Brevi riflessioni sull’incontro odierno a San Sisto

Oggi a San Sisto, a Caracalla, si sono ritrovati i rappresentanti di tantissime Associazioni che ritengono sia giunto  il momento di partecipare  alla costruzione di un nuovo largo  movimento capace riprendere un impegno diretto in politica. Gianni  Fontana ha svolto ampia  relazione introduttiva ai lavori  con una riflessione profonda sul ruolo dei cattolici, sulle esperienze postconciliari, sul vuoto di rappresentanza, su riforme istituzionali inaccettabili, sulle nuove modalità di presenza e partecipazione. Ha sollecitato a riprendere un impegno diretto con un partito comunità rispetto alla negatività dei partiti leaderistici e personali. Si deve andare in soccorso della crisi perché c’è un diffuso analfabetismo politico. Ciò deve spingerci a   tenere le radici in  profondità.  I molti intervenuti ritengono che sia finito il tempo delle deleghe in bianco e che sia necessario scendere nuovamente  in campo per difendere i valori in cui fermamente si crede.   
La federazione è lo strumento per far ritrovare su un percorso comune la variegata complessità dell’associazionismo che guardi  a  un trittico su cui far camminare: il cristiano, il cittadino, il politico. 
Viene respinta la proposta di assetti istituzionali che consolidano i poteri forti e le tecnocrazie con finta libertà e finta democrazia. Il sistema necessita di una forte rigenerazione. E tutti noi siamo chiamati a dare il nostro contributo senza necessariamente dovere sottostare  in logiche bipolari, privilegiando esclusivamente il bene comune. 
Noi del CDU, nella impossibilitá di Mario Tassone di essere a Roma, con Paolo Voltaggio, Renato Grassi e Floris,  abbiamo partecipato con interesse ai lavori, condividendo il percorso di riaggregazione che partito da Sant’Anselmo è proseguito a Corso Rinascimento e San Sisto, per far uscire dal prepolitico quel vastissimo mondo dell’associazionismo che non può assistere passivamente alla partita che altri giocano. E’ il momento di entrare in campo per contarsi per contare. E’ finito il tempo delle deleghe in bianco.
Roma, 7 marzo 2015

La mancanza di coraggio degli alleati del PD.

Dopo l'abbandono dell'Aula da parte delle opposizioni l'iter della riforma costituzionale ė diventato di colpo spedito, senza ostacoli. Abbiamo assistito al festival della ipocrisia tra esponenti del PD e alleati di governo. 
Ciascuno cercava di addossare all'altro la responsabilitá della frattura parlamentare. Si stavano accorgendo con grande ritardo dell'errore politico ormai compiuto e le future conseguenze. 
Nessuno ha però compiuto il passo necessario per impedire di procedere ad ogni costo. Le votazioni si susseguivano sistematicamente con risultati sotto i 315 e il risultato veniva garantito dalle generose missioni che alla ripresa del lavori di venerdì erano ben 91! Dunque numeri precari rispetto a quelli necessari per una riforma di 40 articoli della Carta. Chissá quali impegni istituzionali dovessero mai assolvere i 91 nella notte tra venerdì e sabato. Ad ogni modo sarebbe stato sufficiente che il centro democratico o NCD avessero sollevato con forza la richiesta della sospensione come questione politica per indebolire il PD, isolandolo sulle scelte operate. Ciò non è stato fatto perchè quelle forze hanno fatto prevalere il vincolo di maggioranza ad un progetto di riforma che altera gli equilibri costituzionali.

E quando Dellai con il suo intervento cerca di giustificare dicendo: "ciò che può apparire una forzatura da parte della maggioranza, cioè la decisione di procedere comunque con i lavori anche dopo l'abbandono da parte delle opposizioni, è la via stretta, in realtà, per evitare un'eutanasia che sarebbe certificata dall'inagibilità e dall'incapacità del Parlamento a decidere, magari è quello che si vuole, tuttavia noi riteniamo che, se si uccide la democrazia parlamentare, l'alternativa non è la democrazia diretta, ma una post democrazia autoritaria", dimostra piena arrendevolezza. 

Di fronte a queste preoccupazioni non c'era che una sola via, quella di fermare tutto. Altrimenti non si è alleati di governo, ma complici di uno scempio.

Per impedirlo c'era però bisogno di coraggio: quello che è mancato ieri a Montecitorio. 

Roma, 14 febbraio 2015

Non c'è più tempo da perdere.


Ieri a Corso Rinascimento, dai Missionari del Sacro Cuore,  dopo gli incontri di Sant'Anselmo e San Sisto, Gianni Fontana ci ha  generosamente offerto un'altra occasione di confronto per riprendere  un cammino comune, per ricostruire un movimento più largo in cui ritrovare i caratteri della laicitá, del popolarismo, dell'europeismo, del solidarismo  con una visione della politica incarnata nella comunitá e nella societá.
Riscoprire il popolarismo significare rivitalizzare innanzitutto il principio di rappresentanza, sconfiggendo il fenomeno dell'assenteismo, mortificato e distrutto dal voto utile, esaltato dal leaderismo e dal personalismo.
Ricomporre oggi una area composita  che recuperi un mondo vasto che si sente oggi estraneo alle scelte politiche è certo compito faticoso e difficile, ma non va sprecato. Ciò è tanto più  necessario quanto più si manifesta  insensibilitá nei diversi schieramenti politici rispetto al perdurare del ciclo lungo della crisi economica, a scelte di politica economica sbagliate, alla macelleria sociale, ai disagi delle famiglie numerose, ai problemi delle nuove periferie,  ai giovani senza lavoro e senza prospettive, ai ritardi del Mezzogiorno e alla nuova emigrazione intellettuale che ne impoverisce la societá civile.
Si rende necessario procedere attraverso una forte  mobilitazione dell'associazionismo così numeroso  sul territorio, creando un network di intelligenzedi presenze vive. È poi necessario superare il microleaderismo del mondo cattolico per una nuova  grande sfida capace di affrontare le disuglianze, gli accresciuti divari economici e sociali, le spinte perverse della finanziarizzazione economica. Dobbiamo perciò lavorare su un Manifesto di principi, con una sintesi di valori in cui si delinei  un programma fondato sulla ricerca del bene comune attraverso la dottrina sociale. Va superata la scontentezza della politica provocata dalla diaspora, dallo spaesamento, dall'assenteismo.
Tante istanze vanno ricomposte, perchè se restano isolate sono vanificate, evitando prospettive solitarie.
Nell'immediato occorre definire regole semplici, comportamenti rigorosi, un programma di azione essenziale, recuperando valori umanistici, persone libere e coraggiose che si mettano in gioco.
Non c'è più tempo da perdere.!  Ieri il nuovo Cdu ha portato la sua presenza e la sua disponibilitá a creare più ampie convergenze per ritrovare il senso di un ruolo e di una presenza più forte nella societá e nelle Istituzioni.

Roma, 10 febbraio 2015

Non siamo surfisti della politica 

La vicenda di Scelta Civica deve fare riflettere. Alcuni senatori dopo avere cavalcato l'onda dell'antipolitica, espressione acuta del montismo hanno deciso di tornare nel PD che avevano lasciato non molto tempo fa. Al Nazareno hanno installato porte girevoli. Ora ritrovano entusiasticamente in quel partito progetti e valori, perfino quelli che si consideravano tecnici prestati alla politica. Immaginiamo la sofferenza e il travaglio interiore. !!! 
Tutto ciò non è senza significato perchè conferma la bontá delle scelte operare da Mario Tassone che contestò apertamente la fallimentare operazione di Casini che ha consentito a Scelta Civica di raggiungere il quorum rinunciando alla identitá dell'UDC. 
Dietro il montismo si nascondeva la opacitá di quei poteri che vogliono restare al comando sempre e comunque. Oggi se ne vedono le conseguenze disastrose senza neppure un cenno di autocritica. I surfisti della politica tradiscono il voto degli elettori del 2013 e sono pronti a nuovi trasformismi così come coloro che assumeranno le vesti di nuovi responsabili del mercato nero di Palazzo Madama. 
Noi del Cdu non siamo surfisti, abbiamo ancoraggi forti, quelli dei valori sturziani e degasperiani, della buona politica, su cui intendiamo andare avanti. Il tempo sará galantuomo. 

Roma, 7 febbraio 2015

Sergio Mattarella, le radici nel popolarismo più autentico.

Un articolo di Chiara Geloni su Huffington Post che ha voluto dire sei cose con scarsa diplomazia su Mattarella presidente, mi offre lo spunto per alcune considerazioni. La notista scrive: " 1) Tra prima e seconda repubblica. Li hanno intervistati tutti, i campioni della prima repubblica, ma io non sono mica tanto d'accordo con questa narrazione di Mattarella come campione della prima repubblica. Nella prima repubblica Mattarella c'era e faceva il ministro, per carità, ma è della nascita della seconda repubblica che Mattarella diventa un protagonista."

C'è in questa affermazione il tentativo di distinguere il "dopo" con il "prima", come se non vi fosse continuitá. Perchè questo vale per taluni e non per altri? C'è invece un "prima" che è importante, solido e che fa parte della grande storia della DC e che non può essere archiviato con disinvoltura come si tende a fare. Mattarella arriva in parlamento nel 1983. Diventa subito un protagonista della prima commissione Affari costituzionali dove trova per la Dc, Giovanni Galloni, Ciso Gitti, Gianni Fontana, Adriano Ciaffi, e per gli altri partiti, deputati come Stefano Rodotá, Zangheri, Sterpa, Fini, Pazzaglia, Labriola. Nella legislatura successiva diventa immediatamente ministro dei Governi Goria, De Mita e Andreotti fino al 27 luglio 1990, quando si dimise per le ragioni che tutti sappiamo. Poi diventa vicesegretario della Dc e ha un ruolo di rilievo al grande convegno organizzativo di Assago del 29 novembre 1991 sul tema Partito Popolare storia, presenza progetto. Il Prof. Gabriele De Rosa si sofferma nella sua relazione sul primato della politica perchè "è sempre stata una tentazione interna al movimento cattolico la separazione del politico dal sociale per sostenere una sorta di autonomia del sociale con qualunque stato e qualunque politica. Sono spinte che in alcuni casi vengono dalla degenerazione della lotta politica, ma in altri casi, e sono inquietanti, vengono da settori forti della societá che dalla separazione dal politico al sociale si ripromettono di imporre al politico e al sociale la logica di loro strategie di espansione e di rafforzamento. De Rosa si interrogava su come rispondere a queste spinte ricordando il pensiero sturziano per il quale "la politica è sintesi di teorie e di interessi, di principi e di fatti, la politica è vita nel senso più completo della parola".

Sergio Mattarella in quella sede si interrogò se la Dc avesse esaurito la sua funzione. Si interrogò sul senso del popolarismo, riallacciandosi alla relazione di De Rosa, e il valore su come realizzare la partecipazione sia dei singoli che delle formazioni sociali. Manifestò preoccupazione sulla "maturazione della crescita complessiva della societá che rischia di essere incompatibile con la natura popolare del partito, che occorresse uscire da una falsa dicotomia che è un modo di falsamente contrapporre modernitá e solidarietá, che il moltiplicarsi degli interessi non potesse essere lasciato al libero gioco per non destinarlo alla prevaricazione degli interessi più forti" Auspicava il partito aperto di Zaccagnini, con un "pluralismo dinamico laddove la partecipazione si traduce in una capacitá di esprimere valori comuni di progettare iniziative che se realizzate sono destinate a soddisfare non questa o quella parte, ma alla radice, la persona umana, nella sua stessa consistenza di soggetto chiamato a una libertá che è innanzitutto responsabilitá". E sulle riforme istituzionali disse che "sono decise per il sistema politico ma sono destinate a restare un guscio vivo se i partiti non riaffermano e non realizzano un forte recupero di centralitá". Manifestò preoccupazione per la protesta, (avanzava il fenomeno della Lega n.d.r.) per l'insofferenza, per l'insoddisfazione pur legittime e comprensibili possono avere esiti pericolosi dal qualunquismo in giù. "La strada della ragione è più ardua e impegnativa che non quella della emotivitá". Invitò a rileggere l'ecclesiaste quando afferma " c'è un tempo per gettare i sassi e un tempo per raccoglierli" e che " c'è un tempo per tacere è un tempo per parlare". Concluse citando un passo di una lettera di Benigno Zaccagnini al figlio nel '68 ..." Non si può fuggire da noi stessi... " "bisogna imparare ad avere pietá e comprensione anche di se stessi e con pazienza molta è lunga modificarci, riformarci, migliorarci e lentamente, ricadendo e ricominciando ogni giorno, sempre insoddisfatti di sè, ma anche sempre o aumenti e pietosi verso se stessi e con i nostri simili che sono tutti gli altri".

Questo è Sergio Mattarella, nella sua storia politica è parlamentare, con una continuitá e coerenza di pensiero e di azione politica, campione della prima e della seconda Repubblica e speriamo della terza, perchè non ci può essere un "dopo" senza un "prima", non ci può essere storia senza preistoria! Perchè, cara Geloni, non ci sarebbe il Partito Democratico senza i Ds, la Margherita, il Pds, i popolari, il Pci.

P.s. Bianco Gerardo non è un preambolista perchè non ha votato il preambolo di Donat Cattin.

Tassone: per un ritorno alla politica
 

M.Tassone: Il Consiglio nazionale del CDU rivendica un ritorno alla politica

Il Consiglio nazionale del CDU che si è svolto il 24 a Roma sarà ricordato come uno dei momenti più significativi per il livello del dibattito (fra giorni sul sito CDU verrà riportata la sintesi dei lavori). Quando si rivendica il ritorno alla politica significa uscire dall'astrattezza delle formule e ricercare nel comune sentire le soluzioni più idonee. La convivenza civile deve essere vera e non forzosa e i diritti non dispersi nel crogiolo di "doveri" sempre ampi fino a divenire una sottomissione.

 

Il Consiglio nazionale ha ascoltato la relazione di Paolo Voltaggio sulla legalità che ha offerto spunti di riflessione importanti. L'impegno per la legalità non è solo l'aumento delle pene ma è soprattutto la crescita culturale di un popolo. Criminalità, corruzione non si debellano, quindi solo con le armi della sanzione ma operando per la giustizia in tutti i sensi e garantendo la libertà, la democrazia come condizione importante per lo sviluppo ordinato del Paese. Legalità significa porre al centro la persona umana e le istituzioni debbono essere fattori di riequilibrio e di sintesi fra gli interessi contrapposti. Le istituzioni vanno in crisi e non c'è politica quando vengono meno le garanzia della divisione dei poteri e tutto è vissuto in un indefinito orizzonte dove non c'è certezza nelle regole. E se le regole vengono meno un Paese finisce di essere comunità. La nostra sfida è richiamare altre formazioni per portare avanti un disegno autentico di sviluppo e smarcarsi dalla pletora dei nuovi nobili che producono progetti in serie.

Ma i progetti in serie non possono comprendere la varietà delle attese (come le prospettive per i giovani, servizi più efficienti, la difesa dell'ambiente, la qualità della vita, il sostegno alle famiglie, la tutela delle fasce più deboli, una giustizia vera) ma solo alcune e non sempre le più rilevanti perché riguardano categorie sempre più "tutelate".

L'impegno per la legalità è vivere un tempo dove si intreccino gli interessi veri in una società che ritrovi la forza di andare avanti con le proprie idee senza farsi condurre docilmente per mano da chi pretende di imporre le sue.

Mario Tassone

 

28/01/2015

Le mani sulle banche popolari

Il governo Renzi vuole mettere le mani sulle banche popolari. Lo fa con un intervento sul tuf testo unico di finanza, cancellando il principio fondamentale del voto capitario e con la trasformazione in SPA. Lo fa con motivazioni risibili come l'eccessivo numero dei banchieri e la scarsa erogazione del credito. Lo fa in contraddizione con la recente introduzione del voto plurimo che consente nelle societá quotate di accrescere il peso degli azionisti stabili, tutelando il capitalismo nostrano. La veritá è che si vogliono mettere le mani sulle banche popolari che sono quelle che rappresentano un quarto del sistema del credito e che hanno garantito in questi anni difficili lo stesso credito ai territori con la loro presenza di prossimità, capillare. 
Ė scandaloso il silenzio dei grandi organi di informazione, ma sappiamo bene a chi appartengono e gli interessi che intendono tutelare. Il governo Renzi si appresta dunque a compiere una manovra che i poteri forti in questi anni hanno sempre tentato senza riuscirci, perchè l'abbiamo respinta e la respingiamo con vigore. 
Con il governo Renzi in un Parlamento distratto sará evidentemente la
‪#‎voltabuona‬
. !!!

Roma, 18 gennaio 2015

Per un progetto politico nel segno del popolarismo

Creare una alternativa allo stato attuale delle cose nella linea del popolarismo che significa innanzitutto ascoltare la gente. Esistere con il popolo come scriveva Maritain, perchè il popolo c'è. Non avere il timore di difendere i valori fondamentali della vita, della famiglia che non devono risiedere solo nelle coscienze, ma anche nei programmi e  nella azione politica quotidiana.
Avere una visione progettuale chiara perchè la coerenza spinta fino in fondo può portare successi, dunque presentarsi alternativi con una distinzione chiara. Questa è una esigenza del Paese che richiede  un progetto politico alternativo con una vocazione al governo.
La ispirazione cristiana è fondamentale per rivendicare una cultura politica del popolarismo che non si confonde con il socialismo.
In una fase come questa il primo passo è ripresentarci con una federazione ricca di sensibilitá diverse. Anche il PPE si dimostra insufficiente rispetto  ad una rappresentanza dei valori più compiuti del popolarismo più autentico e della solidarietá dei popoli europei.
Riscoprire la politica come alto atto di amore per il prossimo.

P.S
Sono alcune delle linee di azione emerse nell'incontro del convento di San Sisto dedicato a San Domenico perchè lì operò. Mentre svolgevamo le nostre riflessioni le suore domenicane nel silenzio mediatico distribuivano  ai poveri il pane quotidiano come missione di amore verso chi soffre.
Nella cappella della chiesa c'è una bellissima immagine dell'abbraccio tra  San Francesco insieme a San Domenico, simbolo di vera fraternitá,  un tesoro nascosto della Roma cristiana.

Roma, 10 gennaio 2015

Intervento di Mario Tassone  

Abbraccio tra San Francesco e San Domenico la vera fraternitá

On. Mario Tassone  

Intervento al convento San Sisto con Filippo Peschiera

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