comunicati 2019 |
Il 4
marzo non c'è più
Il quadro politico uscito
dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018 è profondamente mutato.
Certo i numeri parlamentari
non sono cambiati, ma i rapporti di forza dopo la sequenza delle
elezioni regionali in Abruzzo, in Sardegna e in Basilicata, certamente
si.
È cambiata la rappresentanza
nella Conferenza Stato Regioni con tutto ciò che può determinare nei
confronti del Governo alla vigilia di importanti decisioni sulla
autonomia regionale.
In un solo la forza politica
del M5S è rapidamente evaporata. In modo repentino. Ha inciso in modo
profondo l’incapacità di governo e soprattutto la inadeguatezza di
affrontare i reali problemi del Paese a partire da una crescita
insufficiente.
Ora ci avviamo ad una
campagna elettorale per il rinnovo della rappresentanza al Parlamento
Europeo. Dopo la Brexit è tempo di aprire gli occhi e di non seguire
populismi dannosi e inconcludenti.
Le elezioni regionali in
Piemonte saranno il vero banco di prova per il centrodestra.
Resta da vedere se si
manterrà fede all’accordo sul candidato presidente di scelta Forza
Italia o se la Lega vorrà imporre il proprio candidato.
Per la Lega si porrà il
problema della autosufficienza o della politica delle alleanze. In
questo caso tutto verrebbe rimesso in discussione.
Di fronte a un delirio di
onnipotenza dalle urne potrebbero venire sorprese. Nulla è escluso.
Eppure la storia politica
del M5S e prima ancora quella di Renzi dovrebbero insegnare qualcosa. Il
voto in assenza di partiti, se resta affidato solo alle leadership
diventa fluido. I voti così come arrivano, possono andar via con la
stessa rapidità, perché gli errori sono dietro l’angolo e a volte
diventano irrimediabili.
Roma, 25 marzo 2019 |
Il Tatarellum, un sistema elettorale senza inganni
In Abruzzo i numeri sono lì. Si torna alle coalizioni
omogenee e sui programmi.
Non si possono fare contratti di governo, ma solo
contratti elettorali.
Un centro destra vincente con la Lega che fa il grande
gesto del cedere il candidato presidente alla lista di Fratelli d’Italia
che non ha l’effetto lista del Presidente basti pensare alla lista
Legnini che si cifra quasi al 10 per cento. La coalizione di
centrodestra avrebbe vinto con un Presidente di qualsiasi lista della
stessa aggregazione. La Lega paga bisogno della coalizione per governare
nelle Regioni non potendo andare da sola salvo forse in Veneto.
Resterebbe da sola come i Cinque Stelle. Il Pd ha tentato la via delle
liste di sostegno per aumentare i consensi. Il tentativo è stato in
parte premiato ma resta insufficiente senza la prospettiva di
individuare un alleato credibile che aumenti le potenzialità di sviluppo
successo che porti la coalizione al traguardo del 40 cento.
I Cinque stelle da soli, senza coalizione, non vanno da
nessuna parte. Pagano i risultati negativi del governo e l’incapacità di
affrontare i reali problemi del Paese sia a livelli nazionale che a
livello locale.
Il tatarellum ha contribuito a fare chiarezza tra
contratto di governo e contratto elettorale imponendo scelte preventive
e evitando inganni postumi.
Forse è il migliore omaggio per il parlamentare pugliese
nell’anniversario della scomparsa |
comunicati 2018 |
Presentazione patto federativo
programmatico - 19 dicembre 2018
tra partiti e movimenti di
ispirazione democratico-cristiana in vista delle elezioni europee
Comunicato Stampa
Si terrà mercoledì 19 dicembre ore 17.30
presso la sala stampa della Camera dei Deputati,
In vista
delle elezioni europee, la conferenza stampa di
presentazione del patto federativoprogrammatico tra partiti
e movimenti di ispirazione democratico-cristiana
che si richiamano all'area del popolarismo
europeo.
È questo il primo passo essenziale verso l'impegno
a ricomporre l'unità dei democratici cristiani
aperti alla collaborazione con altre componenti
politico culturali che condividono i principi
dell'Umanesimo cristiano, alternativi alle chiusure di
quanti, guidati da logiche sovraniste e
nazionaliste, intendono distruggere quanto di positivo
ha rappresentato e ancora potrà
rappresentare l'Unione europea riformata sui valori
dei padri fondatori. L'appello è rivolto a tutte
le associazioni, movimenti, gruppi dell'area cristiana
e popolare, affinché contribuiscano a
sostenere una nuova classe dirigente sotto le
insegne del PPE.
Tra gli altri, hanno sottoscritto il patto : il
Dott. Renato Grassi, ( Democrazia Cristiana), l'On.le
Gianfranco Rotondi (Rivoluzione Cristiana), l'On.le
Mario Tassone (nuovo CDU), On. le Mario
Mauro (Popolari per l’Italia), Dott. Giorgio Merlo
(Rete Bianca), Sen. Maurizio Eufemi
(Ass..Democratici Cristiani), Sen. Ivo Tarolli (Costruire
Insieme),On.le Carlo Senaldi (Ass. Rinascita
Cristiana), Dott. Pietro del Re (Partito Cristiano
Sociale), Dott. Matungulu Isang (Coordinatore
Associazioni tra Immigrati) Ing. G. Rotunno (Civiltà
dell’Amore), Dott. Adriana Quattrino (NPP con
PPE), Dott. Ettore Bonalberti (D.C.), On.le Vitaliano
Gemelli ( nuovo CDU), Avv. Anton Francesco
Venturini (Popolari per l’Italia).
(a cura dell’Ufficio Stampa della Democrazia
Cristiana)
|
25-11-2018 10:42 (dal sito www.youtvrs.it)
Dopo aver ricevuto un defibrillatore dall'Anioc,
l'associazione Nazionale Insigniti Onorificenze
Cavalleresche di Chieri, in provincia di Torino, il
Presidente del Visso Calcio, Quinto Mattioli che
aveva lanciato l'allarme perchè la squadra rischiava
di non partecipare al campionato dilettanti per
mancanza di campo di calcio, dopo il sisma
del 2016, ha annunciato che il Visso Calcio ha
ripreso la propria attività quando appena pochi mesi
era addirittura a rischio, causa i numerosi problemi
causati dal terremoto, la partecipazione al
campionato di Seconda Categoria, garantita grazie
alla disponibilità dello stadio universitario “Livio
Luzi” messo a disposizione dal Cus Camerino'.
''Un sentito ringraziamento al Presidente
dell'Anioc nella persona del Commendatore Dott.
Marco Ruffino ed ai suoi iscritti - ha commentato
Gianni Marronaro, consigliere di minoranza del
vicino comune di Ussita che fortemente si
era battuto per dare la possibilità al Visso Calcio
di giocare almeno nel campo sportivo di Ussita - che
si sono fortemente impegnati attraverso una serata
di beneficenza, per un contributo utile alla
collettività di un’area gravemente danneggiata dal
sisma nel mese di ottobre del 2016''. La
donazione è stata recapitata mediante il
coordinamento del Dott. Maurizio Eufemi già senatore
della Repubblica nel collegio di Torino-Chieri, il
quale ha ritenuto di contattare il Consigliere del
Comune di Ussita Giovanni Marronaro, rappresentante
del gruppo “Ussita 2018 Insieme per la
Ricostruzione”, entrambi hanno portato a
termine un grande gesto di solidarietà dell’ANIOC ad
una società sportiva ,che a seguito del terremoto
nel cratere del centro Italia, pur non avendo la
disponibilità del campo di calcio a Visso (MC) , con
tanti sacrifici tutto lo staff dirigenziale è
riuscito a mantenere l’attività sportiva del calcio
nell’alto maceratese. ''L’ANIOC - ha detto ancora
Marronaro - e tutti gli associati, con la donazione
del defibrillatore hanno contribuito a dare
un’incoraggiamento ad andare avanti , nonostante le
difficoltà da affrontare quotidianamente, per
disputare gli allenamenti e la partita domenicale
del campionato dilettanti di seconda categoria , per
non avere la disponibilità di un campo di calcio
nella località che rappresenta, a causa della
costruzione delle SAE (Soluzioni Abitative di
Emergenza) nell’impianto sportivo del Comune di
Visso. ''La speranza - hanno commentato Maurizio
Eufemi e Giovanni Marronaro - è che entro breve
tempo si possa ospitare l’Associazione Sportiva
Dilettanti VISSO CALCIO presso l’impianto sportivo
di Ussita, in modo da poter dare la disponibilità
del defibrillatore anche ai cittadini di Ussita,
data la mancanza ad oggi di un ambulatorio medico''
.
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ACLI GROSSETO: PRESENTAZIONE DEL
LIBRO: PAGINE DEMOCRISTIANE
26-11-2018 09:57 - NEWS ACLI TOSCANA - territorio
Nessuna nostalgia, ma una rivisitazione del
periodo post bellico e fino ai primi anni novanta, con
la ricostruzione del Paese ed il boom economico, per una
effettiva operazione di giustizia storica
Acli e Fap, associazione cristiana lavoratori
italiani e loro federazione pensionati continuano a
patrocinare convegni storici, culturali, di
attualità.
Un contributo al dibattito, come hanno ribadito i
dirigenti Luigi Fanciulli, Vittorio Giovani e Pier
Carlo Pennacchini. L'ultima occasione, nella
affollata sala convegni del centro “ Don Pietro
Fanciulli” di Porto Santo Stefano, è stata la
presentazione del libro del senatore Eufemi “ Pagine
Democristiane”, ovvero la ricostruzione dei venti
anni di economia che hanno costruito il boom
economico e riportato la pace sociale in Italia dopo
le divisioni create dalla guerra. Lavori introdotti
dal sindaco di Monte Argentario, Franco Borghini e
dal presidente del centro culturale Gualtiero Della
Monaca. Sala come detto affollata, fra i presenti
Achille Giusti, Alessandro Andrei, GianFranco
Chelini, Franco Sordini, Alessandra Fanciulli,
Luciano Manganelli. Il senatore Eufemi ha spiegato i
contenuti del volume, le richerche fatte insieme
all'Istituto Sturzo, seguito dalle relazioni di
Hubert Corsi, già sindaco argentarino e di Gerardo
Bianco, già ministro, parlamentare italiano ed
europeo, capo gruppo al senato, segretario del
partito popolare italiano.
“Anche se nella DC ad inizio degli anni novanta
esistevano alcuni problemi con dirigenti non
perfettamente in linea e logorati dalla gestione del
potere, erano invece attivisti migliaia e migliaia
in tutta Italia fra parlamentari, amministratori
pubblici ai vari livelli, dirigenti locali che ogni
giorno facevano il proprio dovere con serietà ed
onesta. E' una questione di giustizia storica ha
detto ancora Gerardo Bianco e nessuno può non
riconoscere quanto fatto per far ripartire il Paese.
Oggi i segnali che arrivano non sono invece
positivi, vedi l'economia in crisi, il ristagno
economico ed occupazionale, l' isolamento europeo,
la crisi dei titoli di Stato. “
Occorre, hanno concluso i relatori, ripartire dal
pensiero di Ezio Vanoni ed operare per riaggregare
un soggetto politico che ricostruisca l'impegno
unitario dei cattolici democratici in politica.
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(articolo tratto da "La Toscana oggi" del 2 dicembre
2018)
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alcune foto
dell'evento:
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Pagine democristiane - recensione di Petro Rende
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Lettera aperta a Sergio Rizzo
- La Repubblica
Sergio Rizzo, deve avere
avuto una forte irritazione nel leggere le dichiarazioni di Di Maio dopo
la approvazione della delibera sui vitalizi e dopo avere visto forse le
immagini gaudenti della festa in piazza Montecitorio.
Probabilmente anche Rizzo
dopo le sue forsennate campagne sull’anticasta non avrebbe potuto
immaginare che la deriva potesse assumere questi sviluppi. Ricordo
ancora quando in occasione di un civile confronto politico alla sua
presenza unitamente a quella di Stella, nella sala delle Colonne a
Palazzo Marini, questi affermò che quando sarebbe stato messo in
discussione ”il Parlamento” non avrebbe esitato a difenderlo con la
“resistenza”, come i Partigiani.
Fa piacere leggere le
critiche e le obiezioni di Rizzo alle disinvolte dichiarazioni di Di
Maio e fa bene Rizzo a rettificarle soprattutto quando si riscontrano
errori storici così grossolani. Certamente la questione è più complessa
perché supera una vicenda, quella dei vitalizi, che va oltre
l’intervento finanziario che finisce per investire la funzione
parlamentare, il ruolo del Parlamento nell’equilibrio dei poteri.
Quello che ė intollerabile è
il volere cancellare la storia democratica del Paese con tutti i pregi e
i difetti. La storia del Paese non comincia con l’entrata in scena del
comico genovese e del suo movimento, nè sono sessanta anni che si
vogliono cancellare i vitalizi.
Il giá questore Fraccaro,
ora Ministro ha ricordato piu volte che i vitalizi furono istituiti con
seduta segreta alla vigilia di Natale del 1954. Dimentica di ricordare
che l’annualità del bilancio andava dal 1 luglio al 30 giugno dunque
era metà esercizio. La seduta si tenne il 20 maggio 1954. Ricorda
altresì che il deputato di Rovereto, Veronesi espresse rilievi e
perplessità. Unico tra i 264 deputati Dc rispetto al totale di 590
deputati. È vero, ma questo fa parte del pluralismo, ed è un merito.
C’era rispetto per la libertà di espressione dei parlamentari. Non si
firmavano obbligazioni pecuniarie preventive. Il dissenso era
consentito, non c’erano le espulsioni per le opinioni espresse, come
registriamo nel MoVimento.
Ma v’è un aspetto
preoccupante in questo atteggiamento di Fraccaro che assume i toni del
radicalismo khomenista, della affermazione dello Stato etico, quello di
assumere la posizione del deputato Veronesi come quella giusta è quella
di tutti gli altri 629 come sbagliata da cancellare, da rimuovere. E
questo deve fare sobbalzare chi ha a cuore i valori della nostra
democrazia.
Quella decisione maturò in
Parlamento in modo convinto. Venne dato il riconoscimento anche ai
costituenti e ai deputati della prima legislatura con effetto
retroattivo, ma con il pagamento del relativo riscatto.
Il capogruppo della DC era
Aldo Moro, Vice presidenti Scalfaro e Zaccagnini, segretario per l’Aula,
la ferrea Elisabetta Conci, anch’essa di Trento, membri del direttivo
tra gli altri, il caposcuola del diritto penale Giuseppe Bettiol, e
Ludovico Montini. Non si può negare che la Dc avesse in quegli anni un
altissimo consenso elettorale e le maggioranze non fossero più solide di
quelle attuali.
Dunque le dichiarazioni di
Di Maio sono assolutamente sbagliate e ha fatto bene Rizzo a farle
rilevare, ma anche Rizzo parte dagli anni sessanta, tralasciando le
decisioni degli anni cinquanta. Anche negli anni cinquanta ci furono
quelle decisioni che ho ricordato così come ci furono tensioni sociali
manifestazioni operaie, contadine, studentesche, per le questioni
agrarie, per Trieste etc. Se volessi allargare la polemica potrei
soffermarmi sugli anni successivi.
Vogliamo forse dimenticare
che Presidenti della Camera sono stati personaggi come Pertini e Nilde
Iotti, e al Senato Fanfani e Spadolini.
Ed è proprio durante la
presidenza di Pertini che avviene la trasformazione del vecchio fondo
comune deputati e senatori, peraltro in attivo, nel nuovo istituto di
previdenza domestica. La storia è un pochino più complessa e richiede
una lettura più attenta di quanto facciano i nuovi giacobini, presi da
furore che forse neppure Rizzo potesse prevedere.
Lo dimostra la arbitrarietà
della cornice giuridica di applicazione così come per i calcoli sia
nella retroattività che nei coefficienti di trasformazione che vanno
oltre qualunque fantasioso esercizio.
Maurizio Eufemi
Roma, 20 luglio 2018 |
Attualità del popolarismo
Nell’ambito delle
celebrazioni sturziane si è svolta a Palazzo Baldassini una interessante
iniziativa culturale sull’attualità del popolarismo, come riflessione su
una esperienza importante del passato, come ha sottolineato Nicola
Antonetti, Presidente dell’Istituto, nella sua introduzione ai lavori,
laddove la concezione del popolarismo contrasta con quella del popolo,
se non in modo negativo, amorfo.
Per Sturzo il popolo “è una
nebulosa numerica”, un “soggetto collettivo senza anima” il popolo è
facilmente utilizzabile in battaglie eterodirette. Per Sturzo lo Stato è
attivo, è forte, non quello minimo di impronta liberale, ma quello
capace di regolare e il partito è quello che coniuga gli interessi
frazionistici con quelli collettivistici e i parlamentari non sono gli
ambasciatori degli interessi.
Sturzo aveva i fondamentali
dei grandi giocatori e li declinava in ogni azione, intrisi di eticità.
Certo oggi sono cambiati i
paradigmi della vita politica. Prevalgono teorie giustificazioniste che
ritengono che il populismo sia l’evoluzione del popolarismo. Non è così.
Basti pensare alla Carta costituzionale laddove i populisti si fermano
alla lettura dell’articolo 1 primo periodo del comma due per il quale la
sovranità appartiene al popolo, tralasciando “ che la esercita nelle
forme e nei limiti della Costituzione”, come sostiene Sturzo con forza.
Non è stato tralasciato il ruolo di Sturzo nella costruzione dell’Europa
- la grande eredità politica del secolo scorso - come protagonista del
pensiero politico del cattolicesimo, nella affermazione dell’ideale
federale dell’Europa. Sturzo lo fa nel 1918; lo fa a Napoli nel 1923,
quando parla di Unione economica e doganale; lo fa a Londra nel 1928,
quando parla di accordi economici finalizzati a Unione politica fino a
ritenere che gli Stati Uniti dell’Europa non sono una utopia.
Tutto ciò ben prima del
Manifesto di Ventotene.
Come non ricordare la
lungimiranza sulla questione tedesca laddove nel 1922 sostenne che la
Germania deve essere aiutata perché se prevale lo spirito nazionalista
di destra si preparerebbe una catastrofe!.
V’ un punto sul quale è
necessario soffermarsi. Oggi il popolarismo può essere una risposta alle
linee demagogiche, soprattutto in ragione delle spinte alla democrazia
diretta, quando invece il pensiero sturziano poggia sulle comunità
intermedie protagoniste insieme alle formazioni sociali, ai partiti
attivi sui territori, con il riconoscimento delle funzioni essenziali
delle comunità intermedie, così come sancito dagli articoli 2 e 5 della
Costituzione, prevalendo una visione poliedrica della democrazia come ha
ricordato Gian Candido De Martin. I ruoli delle comunità intermedie sono
stati inattuati, - nonostante la riforma del titolo V - spingendo verso
finte autonomie spesso eterodirette da spinte centralistiche con una
progressiva disattenzione verso i livelli essenziali delle prestazioni
soprattutto nella tutela della salute.
La risposta alla deriva
populista sta nel riprendere la formazione per innervare le prospettive
di autonomie responsabili perché la dottrina del popolarismo poggia
sulla articolazione della società, sulla famiglia, sull’autonomia
territoriale in contrapposizione all’atomismo liberale e al
collettivismo statale.
Il popolo di Sturzo – ha
ricordato Dessì – non è il popolo di Rousseau. E’ un popolo autentico;
non c’è leader; c’è articolazione, c’è pluralismo della società e
soprattutto c’è un rapporto tra libertà e istituzioni e la libertà
individuale che senza Istituzioni non esiste.
Agostino Giovagnoli, storico
della Università Cattolica, si è soffermato lungamente sulla nascita del
Partito Popolare lumeggiando il diciannovismo come fenomeno complesso
(biennio rosso, occupazione delle fabbriche, società terrorizzata, anno
della pace, vittimismo italiano della vittoria mutilata, Italia
attaccata dagli altri paesi europei, la marcia su Fiume) di eventi
successivi sulla spinta di disoccupazione, riconversione industriale.
Oggi l’articolo 1 della Costituzione è un presidio rispetto ad ogni
violazione.
Alternative democratiche
alla democrazia rappresentativa non ve ne sono. L’attualità del
popolarismo sta nel tirare fuori le energie sane del mondo cattolico,
dalle reti, dai corpi intermedi, dalle formazioni sociali come ha fatto
Sturzo con il partito Popolare.
Dunque è stato analizzato il
rapporto popolo – populismo e il pensiero sturziano rispetto a quello di
Rousseau. Dunque siamo nella attualità delle vicende di questi giorni.
Come non ricordare le parole
di Gabriele De Rosa che scrisse “Moro ha adoperato infinite volte il
termine popolo nei suoi discorsi”. Una tale insistenza ha nella sua
concezione una precisa ragione: lo Stato e le Istituzioni devono essere
permanentemente rinsanguate sul consenso popolare. Ma il popolo presente
nella visione dello statista non è quello scheletrico ed opaco di certa
sociologia, né quello esigente e vociante di talune scomposte lotte
classiste.
Egli pensa , come scrive in
uno dei suoi ultimi scritti, al popolo del personalismo: all’immensa
trama d’amore che unisce il mondo ad esperienze religiose autentiche a
famiglie ordinate, a slanci generosi di giovani a forme di operosità, a
comunità sociali, al commovente attaccamento al proprio lavoro.
E’ il popolo di Maritain e
di Sturzo.
Roma, 6 luglio 2018
|
La Costituzione del
1948, il contratto e Rousseau
In questi giorni
di avvio della legislatura, con un Parlamento sostanzialmente inattivo
per mancanza di provvedimenti legislativi affiorano preoccupazioni sulla
azione del Governo. L’assenza di iniziativa legislativa viene
giustificata come miglioramento della vita dei cittadini! La strana
alleanza viene giustificata da teorie politiche nuove. Nuovo-vecchio
viene contrapposto a destra-sinistra. Si tratta di rimozioni troppo
semplicistiche che servono ad avallare scelte che mettono in discussione
gli orientamenti elettorali che poggiavano su programmi alternativi.
Ciò finisce per
giustificare non il singolo cambio di casacca, ma quello di un intero
blocco parlamentare, che ha avuto consensi elettorali su un programma
condiviso dall’intero schieramento di centrodestra sia nella espressione
di voto uninominale che in quello proporzionale. Si è giunti ad un
accordo tra due schieramenti contrapposti che convergono su un
“contratto” di programma, prendendo pezzi dell’uno e dell’altro in una
sintesi difficilmente compatibile con i Trattati Internazionali.
Lo schema
Destra-Sinistra riflette però in sé importanti riferimenti culturali che
non possono essere sottaciuti, come conservazione-riformismo all’interno
dei quali operano forze politiche, sociali, sindacali, culturali,
formazioni sociali, corpi intermedi che nella loro specificità guardano
alla crescita e al dinamismo del Paese.
Dentro lo schema
Destra-Sinistra si ritrovano, nelle varie articolazioni, le forze della
Conservazione come mantenimento dell’ordine esistente, posti di
privilegio o restaurazione di posizioni passate da cui trarre vantaggi
in contrapposizione alle forze del progresso e del cambiamento per
rimuovere l’ordine esistente con gradualità nel rifiuto della
radicalità.
Tutto ciò non può
essere cancellato in nome del “Contratto” dando esaltazione alle teorie
politiche che vendono nella società e il fondamento del potere
politico, appunto nel “contratto” per fondare il potere sul consenso
che per Rousseau è la sola forma di progresso.
E qui sorgono i
problemi: quale è la funzione e il ruolo del potere legislativo?
E’ forse il popolo
stesso ad autogovernarsi senza mediazione dei rappresentanti, mentre il
governo ha il mero compito di applicare le leggi e quindi dà forza a una
volontà altrui?.
Del resto avere
costruito da parte del M5S, la piattaforma Rousseau come luogo del
consenso dovrebbe fare riflettere. Rousseau era contrario a qualsiasi
forma di governo rappresentativo in quanto sostenitore della democrazia
diretta, quale Costituzione in cui la legge può essere formulata
unicamente dal corpo politico cioè dai cittadini!.
Questa sarebbe
solo la prima parte rispetto ad una concezione della democrazia in cui
i magistrati, i componenti del governo, i parlamentari sarebbero solo
incaricati del popolo.!. La Chiesa ridotta ad Associazione di fedeli! I
partiti, poi, devono essere banditi dalla democrazia Rousseauviana per
l’affermazione della democrazia totalitaria.
Del resto un primo
assaggio lo abbiamo avuto con la trasformazione dei parlamentari in
impiegati, sostituendo il principio di funzione in impiego. Un secondo
assaggio lo abbiamo avuto con la presentazione al Capo dello Stato del
Presidente del consiglio esecutore del contratto. Tutto avallato dalla
piattaforma Rousseau per il M5S e dai Gazebo. Il terzo assaggio lo
abbiamo avuto con la strampalata idea del comico genovese di nominare
per sorteggio i senatori. Poi abbiamo il Ministro per i rapporti con il
parlamento e la democrazia diretta che vuole introdurre il referendum
propositivo abolendo il quorum di partecipazione! . E’ questa la
democrazia se non lo stravolgimento della denocrazia parlamentare e
delle regole costituzionali dell’equilibrio dei poteri della
Costituzione del 1948 compresi quelli del Presidente della Repubblica?
Dunque viene
presentata la cancellazione dello schema Destra-Sinistra, ma Di Maio
secondo taluni farà le cose di sinistra (reddito di cittadinanza) e
Salvini quelle di Destra (Immigrazione Flat tax).
Allora lo schema
non è cancellato, ma semplicemente e utilmente nascosto. Serve a
giustificare il “Contratto” serve a nascondere il trasformismo
politico, ma dietro quell’accordo c’è qualcosa di più profondo, che quei
corpi intermedi, in particolare Associazioni e fondazioni culturali,
dovrebbero scorgere e affrontare senza indugi se non voglio essere
risucchiati e cancellati dalla democrazia totalitaria.!
Roma, 3 luglio
2018 |
Oltre il
capitalismo
"Oltre il capitalismo macchine lavoro proprietà" è l’ultimo bel
libro di Giulio Sapelli presentato nei giorni scorsi all’Istituto Sturzo
da Nicola Antonetti, Fausto Bertinotti e Giuseppe De Lucia Lumeno,
autore anche della prefazione al volume.
Giulio Sapelli non
guarda al presente, ma volge lo sguardo al futuro con una riflessione
intellettuale acuta. Lo fa con la competenza dello storico dell’economia
e dunque con l’attenzione sui grandi cicli economici.
Sapelli va controcorrente
rispetto al pensiero dominante che finisce per trasformarsi in pensiero
unico, dominante nell’ultimo trentennio, con una distorsione narrativa
della realtà che ha finito per inaridire la nostra umanità.
La fragilità dell’economia,
anche per l’affermazione di dogmi, richiede risposte di tipo nuovo,
rifuggendo da logiche matematiche distanti dall’Uomo, senza alcun
principio di responsabilità.
Sapelli vede con
preoccupazione la deriva di modelli di capitalismo finanziario
neomercantile che non spiegano una società nella quale lo 0,1 per cento
della popolazione possiederà le macchine, lo 0,9 per cento le gestirà e
il restante 99 per cento “giacerà nell’abisso della disoccupazione”.
Pone una critica forte al nuovo ciclo economico politico ancorato al
capitalismo anglosassone e renano, soprattutto nell’Unione Europea per
la quale la lotta alla inflazione e al debito pubblico e quindi il
rigore economico costituiscono i fattori fondamentali della crescita
mondiale fino a diventare un nuovo totalitarismo per affermare il
mercato in democrazia, disvelando un volto poliarchico e non democratico
dell’assetto capitalistico mondiale. Tutto è stato imposto da poteri
situazionali di fatto che si sottraggono alla visibilità. Avere posto al
centro della organizzazione il denaro anziché il lavoro ha avuto
conseguenze devastanti.
L’auspicio e la speranza di
Sapelli sono quelli di un mercato sempre più temperato, di un nuovo
ruolo dello stato imprenditore, della creazione di nuove forme di
allocazione dei diritti di proprietà e in una riforma dei corpi
intermedi e della organizzazione dei lavoratori. La deflazione ė stato
il suggello monetario.
L’austeritá ha prodotto
deflazione, disuguaglianze, esclusioni sociali, attacco alle conquiste
sociali del Welfare.
Una indignazione attenuata
della cultura capitalistica si è registrata verso gli interventi per le
banche responsabili di dissesti finanziari. Esprime forti critiche al
capitalismo finanziario che alla libera concorrenza sostituisce con un
sistema di potenza imponendo bassi salari, abbassamento della spesa
pobblica, distruzione di Welfare, controllo delle istituzioni europee.
Sapelli affronta con grande
capacità di analisi il problema del lavoro qualificato in un sistema
nuovo e complesso, stratificato dall’impatto delle tecnologie, di
intelligenze artificiali come propagazione di un nuovo ciclo di
Kondratief, di un nuovo corso della storia mossa da una onda
propagatrice con effetti di decentralizzazione produttiva e distributiva
su scala planetaria e l’affermazione della manifattura innovativa e dal
controllo dei nuovi materiali, delle leghe e della metallurgia delle
polveri. Il libro affronta la nuova filiera scientifico-tecnologica la
contaminazione tra lavoro e tecnologia che porta inevitabilmente alla
revisione della categoria dei lavoratori della conoscenza.
Nel capitalismo delle nuove
macchine, il sindacato dei lavoratori rischia la decomposizione se non
affronta la sfida della nuova frontiera.
Sapelli offe un messaggio di
speranza laddove ritiene che l’unico modo per rispondere ai problemi del
mondo industrializzato sia quello di ricostituire l’unita dell’uomo tra
azione pensiero e spiritualità creando comunità a misura d’uomo.
E qui Sapelli affonda il
pensiero personalista cristiano in Mounier Maritain e in quello
comunitario concreto di Adriano Olivetti.
Di fronte ad un cambiamento
antropologico del mondo industriale, la società della intelligenza
richiede il personalismo comunitario puntando sul valore della persona e
recuperando il legame tra intellettuali e popolo.
Roma, 22 Giugno 2018
|
NOTA
PER IL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ON. ROBERTO FICO
(le domande del
Presidente Falomi al Presidente della Camera dei Deputati on. Fico)
A più riprese abbiamo
inviato note, documenti e rapporti che illustrano con chiarezza la
nostra posizione a proposito dell’’idea che si possano ridurre in modo
consistente e permanente i vitalizi degli ex-parlamentari.
Abbiamo avanzato
obiezioni sullo strumento
scelto per
disciplinare la materia.
Abbiamo illustrato
dettagliatamente tutte le violazioni della
legalità e dei
principi costituzionali a
cui si andrebbe incontro ove si volesse insistere sulla proposta di
ricalcolo retroattivo con metodo contributivo degli attuali assegni
vitalizi.
Abbiamo
sottolineato l’impossibilità tecnica di applicare al
passato regole fatte successivamente.
Abbiamo messo in
guardia da operazioni che, fatte in nome della riduzione dei costi della
politica finirebbero per far spendere
di più di quanto non facciano risparmiare.
Poiché non auspichiamo che
questo incontro sia, come quelli che lo hanno preceduto con i Collegi
dei questori di Camera e Senato, che purtroppo non hanno consentito
un reale confronto tra i nostri diversi punti di vista, vorremmo porre
alcune domande su cui ci aspettiamo che vengano delle risposte.
Prima, però, ci preme
mettere in chiaro due questioni.
Ci rendiamo, innanzitutto,
conto della impopolarità di una posizione che sfida il “pensiero unico”
che domina da anni i potenti e invasivi processi di costruzione
dell’opinione pubblica.
Se sfidiamo l’impopolarità è
perché al centro della nostra battaglia non c’è l’entità del nostro
vitalizio.
La nostra sfida al “pensiero
unico”, è sfida ai ricorrenti tentativi di mettere in discussione valori
e principi della nostra Carta costituzionale.
Quali siano questi valori e
questi principi, lo abbiamo chiarito con dovizia di argomentazioni nelle
note che vi abbiamo inviato.
Se in Italia non esiste un
solo italiano o una sola italiana a cui sia stata tagliata in modo
permanente e consistente la pensione che ritira ogni mese, è perché i
valori e i principi della nostra Costituzione lo impediscono.
Tutti i tentativi di
tagliare permanentemente pensioni già maturate sono stati dichiarati
illegittimi e non si capisce perché si voglia creare un precedente
pericoloso che finirà inevitabilmente per autorizzare a mettere le mani
nelle tasche dei pensionati italiani.
Interventi sui trattamenti
previdenziali si possono fare solo per periodi limitati e non
reiterabili di tempo, per scopi di solidarietà interna al sistema
previdenziale, nel rispetto del principio del legittimo affidamento e in
modo ragionevole.
A proposito di
ragionevolezza, vorrei che qualcuno ci spiegasse cosa c’è di
ragionevole nel colpire pesantemente molti ex-parlamentari - ne abbiamo
calcolati almeno 65 - molto anziani, con età compresa tra 85 e 100
anni, riducendo il loro vitalizio da 2000 a 340 euro mensili.
Che cosa racconterete a
quell’ex deputato che facendo leva sul suo vitalizio, lo ha impegnato
per ottenere un prestito per far aprire una azienda al proprio figlio o
a quanti si sono assunti obbligazioni finanziarie offrendo in garanzia
l’ammontare del vitalizio?
Come risponderete ai tanti
ex-parlamentari che facendo affidamento sulle regole previdenziali
allora esistenti hanno rinunciato a carriere professionali assai lucrose
per mettersi al servizio del loro Paese?
C’è
un altro tema importante che ci spinge a sfidare l’impopolarità che è
stata costruita sui vitalizi.
È la sfida a qualunque
misura che direttamente o indirettamente miri a svuotare di significato
la centralità del Parlamento, la sua autonomia e la sua libertà.
L’umiliazione della funzione
parlamentare, privandola dellegaranzie anche economiche stabilite
dalla Costituzione, è una di queste misure.
Garanzie che, peraltro, sono
previste in tutti i Parlamenti democratici del mondo.
Quando si colpisce
l’autonomia e la libertà del parlamentare, si colpisce l’autonomia e la
libertà del Parlamento.
È difficile non vedere
l’elemento umiliante e punitivo della funzione parlamentare di
misure retroattive che non sono mai state applicate a nessun cittadino
italiano.
Nel “contratto” posto alla
base della nascita del nuovo Governo, si propongono tagli a pensioni
definite “d’oro” perché superiori a 5.000 euro netti mensili.
Come mai non si applica
questo stesso criterio ai vitalizi percepiti dagli ex-parlamentari che,
come è noto, si attestano mediamente attorno ai 3.100-3.200 euro
mensili?
C’è una evidente
discriminazione a danno della funzione parlamentare che tradisce una
volontà punitiva che non ha nulla a che fare con la giustizia e l’equità
sociale.
In un Paese democratico se
si vuole punire una classe politica esiste una sola arma: quella del
voto.
Se invece si vogliono
punire comportamenti illegali esistono tribunali e processi.
Solo nelle logiche
totalitarie si colpiscono persone che non hanno commesso
nessun reato, il cui solo torto è quello di aver fatto parte di una
classe politica.
La seconda questione che
vogliamo premettere alle nostre domande riguarda la nostra piena
disponibilità a metterci intorno a un tavolo per discutere di misure che
siano coerenti con i valori e i principi della nostra Costituzione.
Non ci fanno paura i
sacrifici e lo abbiamo ampiamente dimostrato negli anni.
Lo abbiamo sempre detto e
scritto: l’unica forma legittima di intervento in materia di vitalizi e
di pensioni è quella dei contributi di solidarietà, nelle forme e nei
limiti molto chiari stabiliti dalla Costituzione.
Su questo terreno, ferma
restando l’autonomia delle Camere, siamo pronti a confrontarci.
Veniamo, adesso,
alle domande su cui auspichiamo chiarezza nella risposta:
1. Considerato che il
Senato, attraverso i suoi Uffici competenti, ha messo in evidenza
non pochi profili di incostituzionalitàdell’ipotesi di ricalcolo
retroattivo dei vitalizi, da parte della Camera dei deputati c’è
l’intenzione di tenerne conto o, invece si sceglierà la strada di andare
comunque avanti senza nessun accordo con il Senato?
2. Si vuole procedere con
delibera dell’Ufficio di Presidenza o si vuole, invece, come noi
riteniamo più giusto, con un provvedimento legislativo, anche in
considerazione del fatto che il “contratto” di Governo parla di
interventi riguardanti il Parlamento, le Regioni e gli organi
costituzionali?
3. Nelle diverse ipotesi di
ricalcolo di cui abbiamo letto sulla stampa, quale Coefficiente di
trasformazione applicate agli ex-deputati che hanno cessato il loro
mandato prima del 1996, prima, cioè, che entrasse in vigore il metodo
contributivo?
4. Non pensate che
“inventare” coefficienti di trasformazione inesistenti per periodi
antecedenti al 1° gennaio 1996, sia non solo illegittimo ma apra la
strada a mettere in discussione il sistema pro-rata e ad estendere a
tutti i pensionati italiani il ricalcolo retroattivo delle pensioni
degli italiani, come propone esplicitamente il Presidente dell’INPS
Boeri?
5. Come pensate di risolvere
il problema della restituzione delle tasse pagate dagli ex-parlamentari
sui contributi previdenziali versati?
6. I contributi per la
reversibilità vengono conteggiati nella contribuzione previdenziale
complessiva o vengono restituiti?
7. I contributi di
solidarietà pagati dal 2011, non coperti da leggi dello Stato, vengono
restituiti?
8. Ieri il Presidente
dell’INPS ha parlato di “dialogo proficuo”con il Presidente della
Camera. Quali sono stati i termini di questo dialogo? Vi siete avvalsi
di personale dell’INPS? Quale documentazione avete loro fornita?
9. Sempre ieri, il
Presidente dell’INPS ha dichiarato di aver passato all’Ufficio di
Presidenza delle “note metodologiche”. È possibile, in omaggio a un
principio di trasparenza, avere copia delle suddette note?
Roma, 4 giugno 2018 |
Presentazione libro
"Pagine democristiane" a CARMAGNOLA (TO)
8 giugno 2018 ore 20.30 -
Biblioteca - via Valobra 102
Alcune foto dell'evento:
|
Gli Stati Generali della Cultura
Ieri una affollatissima
Assemblea Generale della Associazione degli ex parlamentari (oltre 500
partecipanti) si ė tenuta a Roma nell’Auletta dei Gruppi parlamentari
per gli adempimenti statutari e per valutare la gestione della
dirigenza. I corpi intermedi vivono di partecipazione reale. Non basta
un click per esprimere un orientamento su questioni complesse che
richiedono ragionamenti e motivazioni.
Constatare una così elevata
partecipazione è motivo di soddisfazione. Tutto si è volto nel segno
della libertà e della trasparenza. Le porte erano aperte ai giornalisti,
agli inviati delle principali agenzie di stampa, ai grandi quotidiani
nazionali e a quelli delle trasmissioni televisive. La diretta streaming
era possibile. Tutti hanno potuto constatare la serietà degli argomenti
posti dalla ampia relazione introduttiva ed esaustiva del Presidente
Antonello Falomi. Così come la profondità del dibattito, la serietà
delle argomentazioni, la complessità delle questioni che non possono
essere risolte con disprezzo populistico.
Non c’era solo la questione
dei vitalizi con tutte le problematiche connesse in uno Stato di diritto
(diritti acquisiti, principi di affidamento, sentenze costituzionali) ma
qualcosa di più e più profondo. C’era una riflessione sulla
Costituzione, sul ruolo del Parlamento, sull’equilibrio dei poteri
costituzionali, sul degrado delle Istituzioni, sulle conseguenze del
contratto Di Maio Salvini, sulla tenuta del sistema. C’era quello che è
stato definito un “impoverimento dei poteri delle Istituzioni
democratiche e il sistema democratico” di fronte alla introduzione del
vincolo di mandato per qualsiasi decisione è l’istituzione del comitato
di riconciliazione con conseguente abrogazione dell’articolo 67 della
Costituzione. Ne deriva che il comitato di riconciliazione rimette a
sedi estranee alla Istituzione le decisioni che invece dovrebbero stare
“dentro” come ha fatto rilevare Paolo Maddalena. Tutto ciò finisce per
annullare la funzione decisoria del Parlamento ed è una via
antidemocratica.!
Del resto che la situazione
sia di particolare gravità è dimostrato dalla polemica odierna tra
Giuliano Ferrara e Ernesto Galli della Loggia su “pessimismo
apocalittico” che va oltre le questioni personali tra i due
editorialisti- intellettuali, perché affonda su vicende tragiche come la
uccisione di Aldo Moro e riflette sulla crisi delle classi dirigenti,
che trova il punto di arrivo nella “farsa del contratto e la scomparsa
della Istituzioni e della loro autoritá”.
Dunque il problema è più
serio e va oltre la questione banalizzante dei vitalizi se ridotta a
questione sindacale; c’è invece un cortocircuito culturale che non si
riesce a bypassare.
Non v’è stata una risposta
culturale adeguata delle élites - sempre più ripiegate su se stesse -
rispetto alla forzatura istituzionale nella gestione della crisi di
governo, in nome della democrazia diretta rispetto alla democrazia
rappresentativa. Hanno preferito non mettersi in gioco prendendo
posizione su pericolosi sentieri innovativi che rischiano di portare il
Paese su un terreno scivoloso.
Le stessa prese di posizione
sulla collocazione internazionale dell’Italia nel quadro Atlantico e
nell’Unione Europea e sui Trattati europei avrebbero dovuto allarmare
ben più di quanto è timidamente apparso sulla stampa.
Nel dibattito di ieri, alla
Assemblea degli ex parlamentari, abbiamo avuto la conferma di come
personalità che hanno avuto un ruolo istituzionale nel Paese e lo hanno
servito con responsabilità sentano la gravità della situazione. Lo
abbiamo sentito in una pluralità di interventi, di persone di vario
orientamento politico, di diversa sensibilità culturale, di matrice,
laica, socialista, cattolica, liberale, radicale, sempre avversari, ma
mai nemici, abbiano sentito il bisogno di levare la loro voce in difesa
dei principi costituzionali. V’è la dimostrazione che nel Paese vi sono
energie e forze in grado di dare un contributo positivo alla crisi. Una
classe dirigente che vuole scendere in campo, che non si arrende alla
deriva. Lo hanno fatto in molti e tra gli altri merita di essere
richiamata la proposta avanzata con grande intelligenza da Gerardo
Bianco di una urgente riflessione culturale di altissimo livello
affinché l’Associazione ex parlamentari della Repubblica proponga la
convocazione degli Stati Generali sul declino della Costituzione della
democrazia Italiana. Dovrebbe essere una grande mobilitazione aperta a
tutto il mondo della cultura italiana, ai sindacati, agli ordini
professionali, alle formazioni sociali, agli amministratori, ai sindaci,
ai rappresentanti delle comunità locali, ai corpi intermedi.
La proposta è stata
condivisa ed apprezzata e ci auguriamo possa essere realizzata al più
presto e diventi l’occasione per smuove le coscienze, per mobilitare le
energie, affinché non si assista passivamente alla deriva delle
Istituzioni ma si ritrovi la via del riscatto e della più ampia
partecipazione.
Roma, 19 maggio 2018 |
Libri: Eufemi difende
la Dc, non fu partito spesa
L'economista ed ex
senatore esamina gli anni dal '78 al '94 (ANSA) - ROMA, 6 APR - Il
debito pubblico italiano e' arrivato a 2300 miliardi e continua a
crescere: un recente studio calcolava che l'incremento e' di 4500 euro
al secondo. Come si sa queste cifre record vengono da lontano, dagli
anni della spesa facile durante la prima Repubblica, quando non c'erano
ancora i vincoli europei. Sul banco degli imputati e' finita la Dc, il
partito di maggioranza relativa nei primi cinquanta anni di storia
repubblicana e architrave di tutti i governi fino al 1994. Secondo
critici e studiosi sarebbe colpa del partito fondato da De Gasperi e
della politica che incarnava se l'Italia si e' incamminata sulla deriva
di una spesa pubblica fuori controllo.
Ora pero' un libro
dell'economista ed ex senatore Maurizio Eufemi cerca
di dimostrare che la vecchia Dc non e' stata il partito della "finanza
allegra". Lo fa esaminando quindici anni di politica economica, dal 1978
al 1994, dall' adesione allo Sme all'adesione al trattato di Maastricht,
con un'analisi di atti parlamentari, documenti e verbali di riunioni dei
gruppi parlamentari dello Scudo Crociato. "Pagine democristiane -
orgoglio di una grande storia" (edito da Il Laboratorio) ripercorre le
grandi scelte degli anni '70 e '80: le leggi sul credito, sulle piccole
e medie imprese, le concentrazioni bancarie, le privatizzazioni.
Le ricostruzioni
della politica economica dei governi democristiani, scrive Eufemi,
sono spesso "fuorvianti", "parziali" e "incomplete". La sua missione e'
quella di sradicare i "luoghi comuni", come li definisce l'ex ministro
democristiano Gerardo Bianco nella prefazione, che addebitano alla Dc la
malattia dei conti pubblici italiani. Il libro di Eufemi,
scrive ancora Bianco, "e' una risposta alla damnatio memoriae della
Democrazia Cristiana e alla demonizzazione del termine 'democristiano'".
Passo dopo passo, l'autore sviluppa la sua tesi: la Dc non e' come la si
dipinge, ha sempre avuto a cuore "un'equilibrata gestione della finanza
pubblica". E se a volte la spesa correva era per decisioni prese in
altre sedi, come quelle sindacali, della magistratura e della Corte
Costituzionale.
E comunque,
sottolinea Eufemi,
chi critica oggi la democrazia cristiana "spesso dimentica che con la Dc
si e' operata la piu' grande, straordinaria ridistribuzione del reddito,
portando al benessere vasti strati sociali". |
10 aprile 2018 - Presentazione libro
"Pagine democristiane" a ROMA
La S.V. è
invitata
alla presentazione del libro
Pagine Democristiane
idee,uomini,vicende,testimonianze
di Maurizio Eufemi
martedì 10 aprile 2018
ore 16,30
Istituto Luigi Sturzo
Saluto
Antonello Falomi, Presidente Associazione ex parlamentari
Introduce e modera
Mario Pendinelli
Intervengono
Nicola Antonetti, Gerardo Bianco, Pellegrino Capaldo, Piero Craveri,
Adriano Giannola
Palazzo Baldassini - Sala Perin del Vaga R.S.V.P.
Via delle Coppelle,30 - Roma Tel. 06-6840421 -
e-mail:seminari@sturzo.it
Il video della conferenza sul sito di Radio Radicale
Alcune foto dell'evento:
|
Intervento
di Guido Bodrato alla presentazione
del libro "Pagine democristiane" di Maurizio Eufemi
Chieri –
Sala della Conceria – 17 marzo 2018
Partirei da
qualche riflessione su questo libro. E’ l’occasione di incontro e che
quindi richiede qualche riferimento al tempo che Eufemi affronta e alle
valutazioni che esprime in questo libro, evidentemente ponendosi
esplicitamente - credo che questo vada detto e riconosciuto perché ci
possano certamente ci possono essere delle diverse interpretazioni -
dalla parte della Democrazia Cristiana.
Non è un
libro di critica, ma non è nemmeno libro che si possa prendere come
libro di propaganda postuma su quello che è stato il ruolo e le scelte
che questo partito ha fatto in un tempo che è ormai è abbastanza
lontano.
Dicevo
prima a qualche amico poco fa. Ho fatto il liceo a Brà che era il
collegio elettorale di Giolitti. Ho fatto il liceo nei primissimi anni
cinquanta, tra il 1949 e il 1952. E che era esistito Giolitti non che
era stato Giolitti, ma che era esistito lo ho imparato qualche anno dopo
all’Università. Erano passati 24 - 25 anni da quando Giolitti aveva
ceduto il passo alla marcia su Roma, eppure quella immagine era stata
non dimenticata, cancellata. Non c’era più.
Che la
Democrazia Cristiana non c’è più è dal 1993-1994. Non sono 25 anni, ma
poco ci manca. E che è morto, ucciso dalle Brigate Rosse, l’Onorevole
Moro lo sappiamo, perché è in questi giorni che se ne parla, sono
passati quaranta anni. Quindi dobbiamo fare i conti con il tempo che
passa, con le nuove generazioni che di quegli anni lontani non sanno
assolutamente nulla o meglio sanno quello che a loro raccontano i
giornali e la televisione e chi ha vissuto quegli hanno sa che non
sempre quello che si racconta è la verità e le verità sono tante. Però
ce ne sono alcune di più credibili e altre meno credibili. Quindi
ricostruire un tempo che è passato, darne una valutazione corretta che
può essere anche base di discussione non è cosa facile. Credo che Eufemi
abbia scelto una strada giusta. Anche se ripeto è una lettura di parte,
non è una lettura del tutto neutrale, ma è una lettura di chi ha seguito
quelle vicende e il suo racconto non è fondato solo sulla sua memoria o
sul suo giudizio, ma è fondato sui documenti su ciò che è accaduto ed è
registrato nelle decisioni che il dibattito parlamentare ha portato in
qualche modo a delle conclusioni. C’è una sua fondamentale verità che
può essere contestata, ma partendo, come ha fatto l’autore del libro,
dalle documentazioni verificabili. La prima osservazione che farei a chi
ha interesse a leggere questo documento: la narrazione parte da una data
significativa della storia nazionale. Parte dal 1978. C’è tutta una
parte precedente che è anche quella storia del paese, storia della
Democrazia Cristiana e che è storia delle scelte che sono state fatte e
che hanno portato dopo il disastro della guerra ad una realtà nella
quale c’è stato addirittura un tempo che ci sembra quasi una favola
nella quale la lira ha avuto il Nobel delle monete perché era diventata
la moneta più forte del mondo occidentale, anche questa è storia.
Non è in
questo libro, così come un tema che questo libro affronta che è quello
del percorso politico che ci ha portato ad essere paese fondatori della
Comunità europea è una storia che comincia prima, che inizia negli anni
cinquanta, che inizia con De Gasperi. Oggi tutti riconoscono che De
Gasperi è stato uno statista. Quando si vuole indicare tra gli italiani
uno statista si dice De Gasperi. Addirittura e questo accade anche in
questi giorni per Moro, se si riconosce che quello è stato uno statista,
ma era democristiano si cerca subito di dire lui si, ma il suo partito
no. Si cerca di contrapporre una immagine a quella del partito a cui lui
apparteneva. Non c’è dubbio che è stato il migliore della Democrazia
Cristiana De Gasperi, ma è difficile immaginare che De Gasperi avrebbe
potuto fare quello che ha fatto se fosse stato in contrasto radicale,
come si intende a presentare, con il suo partito. La stessa cosa accade
un po’ con Moro. Si tende addirittura qualche volta a immaginare che
Moro sia stato ucciso fisicamente dalle Brigate Rosse, ma quasi spinto a
questa conclusione dal partito al quale lui apparteneva che lo avrebbe
abbandonato condannandolo così a una morte cruenta. Quindi bisogna
collocare meglio nella storia le cose che sono accadute. Il cammino
verso l’Europa, in questo momento lo vediamo meglio se guardiamo a
quello che sta accadendo nel mondo, è iniziato tra sei paesi che in
quegli anni appartenevano nelle loro maggioranze politiche tutte a
partiti democratico cristiani. Infatti i primi storici che ne hanno
parlato dell’Europa hanno detto si è realizzato questo passo
fondamentale perché erano tutte persone che avevano due caratteristiche:
la prima erano tutti di ispirazione cristiana e la seconda parlavano
tutte tedesco, perché De Gasperi veniva da una regione che fino al 1918
era una regione dell’Austria, anche se lui rappresentava nel parlamento
austriaco gli italiani dell’Alto Adige. Quindi la storia è molte volte
più complicata di come la raccontano e se non si capisce che complicata,
non si capisce la storia. Noi siamo indotti molte volte a credere che
sia tutto semplice e invece è tutto complicato.
C’è qualche
cosa che capita in questi giorni che ci fa riflettere sul passato.
Trump sta
dichiarando una guerra commerciale. Se non avessimo avuto l’Europa
avremmo vissuto in Europa in un clima di guerre commerciali. I paesi che
pagano il prezzo più alto dalle guerre commerciali sono i paesi più
deboli. L’Italia che aveva nel 1947 – 1948, il 42 per cento della
popolazione che viveva in campagna sarebbe diventata un sistema
industriale con la guerra commerciale con gli altri paesi europei?
Ma poniamo
anche quest’altra riflessione.
Quelli che
definiscono sovranisti in contrasto con quelli che sono definiti
comunitari quelli che vogliono un ritorno alla nazione, alla Italia da
sola, “ prima l’Italia”. Uber allen era uno slogan nazista.
Uber
Allen prima che si dicesse “prima l’America” per qualche anno In
Europa e poi è finita con una guerra mondiale; si diceva Uber Allen
prima la Germania, se in Italia e in Europa torniamo al nazionalismo,
torniamo ai dazi, torniamo alla guerra commerciale e la guerra
commerciale precede altre situazioni più difficili e sanguinose.
Non a caso
l’Europa si regge sul rapporto tra Francia e Germania cioè fra due paesi
che sono stati all’origini delle guerre mondiali, per il carbone e per
l’acciaio. E con l’Europa hanno capito che sul carbone e sull’acciaio
bisogna essere europei cioè fare un accordo. Tornare a prima non
significa tornare all’età dell’oro. Le persone più anziane sanno che non
era l’età dell’oro e sanno anche che – frequentemente cito queste due
persone – Revelli e Giacomo Olivi, due che erano andati in guerra
volontari, per una guerra di civiltà, sono tornati dal fronte russo e
sono diventati poi capi partigiani. Il loro antifascismo non è nato nel
bolscevismo, è nato per il rifiuto di una politica di potenza che era
finita in un disastro. Riflettiamo su questi ritorni al passato.
L’Europa è
nata per evitare che si ripetessero i conflitti del passato, le
competizioni economiche del passato, per evitare quindi di ricadere
negli gli errori che avevano segnato la storia, non soltanto italiana,
ma anche di altri paesi. E quella scelta è andata poi avanti come
inevitabilmente deve andare avanti una scelta che metta insieme delle
realtà diverse; se non si riconosce che l’Europa è fatta di realtà
diverse, ma che l’obiettivo è di metterle insieme e di evitare che
essendo diverse diventino nemiche, ma per cercare di farle sulla base di
una diversità che deve essere riconosciuta e rispettata, però un punto
di convergenza e di collaborazione, non si va molto lontano. Non è stato
facile in Europa. Gli anni a cui si riferisce questo libro erano gli
anni in cui l’Europa andata molto avanti molto. C’era già il mercato
comune. Non era ancora mercato Unico. Anche qui le parole hanno un
significato, ma non sottilizziamo su questo. Ci si rendeva conto che per
reggere un mercato comune, farlo diventare un soggetto nella economia
mondiale era necessario che dietro questo mercato unico ci fosse un
riferimento economico concreto che si chiama: moneta.
Quando si
dice Stati Uniti d’Europa e si dice come gli Stati Uniti, bisogna
riconoscere che negli Stati Uniti è vero che hanno una lingua unica
anche se che fra dieci anni la lingua prevalente per gli americani sarà
lo spagnolo, quindi non avranno più una lingua unica, ma hanno una
moneta unica che è il dollaro con il quale si fanno gli scambi mondiali,
con il quale si valuta quanto costa l’energia, quanto costa il petrolio
e l’Europa tutto questo non l’aveva.
Quindi la
strada era giusta, starei per dire inevitabile. Qualche paese europeo
non l’ha accettata. La Gran Bretagna è entrata in Europa, ma ha
mantenuto la sterlina. Non è che la situazione economica è andata meglio
solo perché aveva la sterlina come quando qualche volta si dice torniamo
alla lira. La lira era diventata, dopo un exploit degli anni
sessanta, una moneta debole.
Quelli che
non volevano l’euro era quelli che avevano il marco tedesco, perchè era
il marco tedesco che era la moneta forte. E chi ha convinto i tedeschi
ad accettare l’euro è stato Kohl. Contro la banca tedesca, non a favore
della banca tedesca, perché Kohl era un europeista. Lo ha fatto quando
la Germania era ancora divisa e Kohl è la stessa persona che, come è
caduto il muro di Berlino, ha riunificato la Germania, non per un
referendum, ma perché ha capito che quella era la storia.
E la
Germania unita è entrata nell’Europa ed è diventata il paese più forte
dell’Europa perché era un paese unito. Quindi è stato un percorso
difficile e complicato anche con delle contraddizioni e in quegli anni -
questo libro lo documenta - c’è stato il sistema monetario europeo che
non era ancora l’euro, ma era già un modo per raccordare e dare un peso,
che le mettesse in stretta relazione tra di loro, alle diverse monete
per favorire il commercio, per favorire il sistema economico, non per
danneggiarlo, per favorirlo e infatti poi qualche tempo dopo ma la
Democrazia Cristiana non c’era più, c’è stata l’adesione all’euro; non
più un atto della DC ma le basi, lo ricorda questo libro, sono state
nelle scelte che sono state fatte allora. Notate che all’inizio del
percorso europeo alcuni paesi del nord Europa tentarono un alternativo
al mercato comune europeo, l’Efta, fu il tentativo di una
alternativa e fallì e c’erano paesi ricchi: l’Inghilterra, la Danimarca,
la Svezia, allora anche la Norvegia che è poi rimasta fuori da tutto per
un atto di egoismo perché avendo scoperto nel suo mare dei giacimenti
immensi di petrolio li ha voluti considerare una sua ricchezza
nazionale, quindi un atto di egoismo, però l’Efta che era fatta
dai paesi più ricchi è fallita e la Comunità Europea è andata avanti.
Poi vedete
c’è, e anche questa l’ultima riflessione che sto facendo, non è in
questo libro, viene dopo, c’è stato l’allargamento dell’Europa;
l’allagamento dell’Europa ad Est una delle ragioni per le quali l’Europa
oggi è in difficoltà. Ma era possibile dire no all’Europa dell’Est che
stava uscendo dall’imperialismo sovietico e che aveva sempre la minaccia
di tornare indietro come c’è adesso, quando – fate questa riflessione -
tutti i paesi dell’ ex Patto di Varsavia erano entrati già nella Nato e
gli Stati Uniti spingevano perché anche la Turchia, che era già nella
Nato prima, entrasse nell’Europa. Allora quelli che sono incerti tra
essere amici della Russia o essere amici dell’America devono rispondere
a questo problema se no, le loro sono chiacchiere senza nessun
riferimento alla realtà nella quale noi viviamo e i rapporti economici
che abbiamo, perché l’Italia è un paese che se non esporta,
economicamente muore. Non basta il turismo per reggere l’economia
italiana. Non solo perché Il turismo è stagionale; il turismo al mare è
stagionale, anche quello ai monti è stagionale. Non solo per questo, ma
perché nessun paese che non sia una piccola isola dei caraibi vive sul
turismo. E ancora, se non esporta se l’economia italiana non è fondata
sul lavoro, l’illusione di fondarla sui consumi interni è suicidio.! Non
ci può essere nessun economista serio che sostenga il contrario. Se
questo nostro paese consuma quasi il 40 per cento importandolo e vende
più il 50 per cento esportandolo, come fa ad isolarsi dal resto del
mondo e dal resto dell’Europa. Evidentemente è un problema molto serio.
Probabilmente è stato affrontato con eccessivo entusiasmo senza rendersi
conto che c’erano grandi paesi come la Cina il Brasile e l’India in
particolare che erano concorrenti del resto del mondo industriale e
dell’Europa. A differenza dell’Europa non avevano lo Stato Sociale, cioè
non avevano le pensioni e la istruzione pubblica, non avevano i
sindacati, non avevano le leggi sull’ambiente. Quindi avevano per
ragioni di loro arretratezza una capacità di competizione enorme nei
nostri confronti. Erano concorrenti fortissimi perché l’intelligenza la
avevano, qualche volta anche superiore alla nostra, la capacità di
organizzarsi la avevano; la economia di comando la avevano. La Cina è
una economia di comando.
Lentamente
avrà dei costi di lavoro che cresceranno, e in qualche modo stanno
crescendo, ma lentamente.
La politica
è governo della transizione. Non è governo sulla realtà immobile. E’
sempre governo di una realtà che cambia. Dobbiamo fare i conti con la
transizione, con i passaggi, con i cambiamenti.
Il libro
nel tempo che considera nei quindi anni dimostra che c’è stata questa
attenzione.
Sono stato
ministro che ha approvato la legge 317 sulle piccole medie imprese. E’
stata la prima legge che ha cercato di porsi il problema della
innovazione tecnologica generale. Se vi raccontassi i contrasti che ho
avuto con un grande ministro che era Carli, ma che rappresentava la
grande industria e diceva quei 1.500 miliardi di lire, non di euro, è
meglio darli alla grande industria che non alle piccole; la grande
impresa fa ricerca, le piccole non la fanno. La competizione è delle
grandi industrie non delle piccole. Ci sono anche questi problemi
interni.
Il nostro
paese ha delle situazioni di contrasto oggettive, non legate alla
cattiva volontà, alla insensibilità, ma alla situazione oggettiva.
Quando partecipavo a un convegno di industriali del nord si parlava di
competitività, quando partecipavo ad incontri con gli industriali del
sud si parlava di incentivi, di aiuti. L’ultimo voto elettorale vi dice
che l’Italia non è la stessa cosa al Nord e al Sud. Non voglio entrare
nella polemica di oggi. Vi dice queste cose. Non sono la stessa cosa.
Quello che si attendono dalle promesse elettorale gli elettori del sud
sono altra cosa da quelle che si attendono gli elettori del nord. E
questo lo si vede nei contrasti che ci sono stati. Qui si fa riferimento
a una finanziaria quella che registrò una polemica violentissima. Il
linguaggio di quella polemica ricorda quello delle ultime elezioni tra
Andreatta e Formica. In genere il linguaggio era diverso, ma quella
volta fu come quello di adesso molto più spregiudicato e molto più
diretto. Andreatta che era Ministro del Bilancio difendeva il
risanamento; Formica invece difendeva la spesa facile. Ed è per questo
che nel libro, una delle tesi sostenute, guardate che non è vero che la
Democrazia Cristiana sia stata il partito della spesa facile. E dà una
serie di documentazioni che dimostrano l’opposto. Ci fu un aumento del
debito pubblico, ma fu molto più contenuto da chi era al governo
rispetto a quello che ci sarebbe stato se si fosse fatto quello che
chiedeva si facesse l’opposizione. Era il risultato di un contrasto.
Faccio una osservazione ancora più generale. La mia è una posizione di
parte. E’ legittimo che esistano posizioni diverse. Il debito pubblico,
quando è nata la democrazia, il peso del bilancio dello stato sul PIL
era una cifra metà di quella che è oggi perché lo stato predemocratico
si occupava di Giustizia, Difesa, Sicurezza. Punto e basta. Lo stato
Democratico si è occupato di Pensioni ,di Istruzione, di Sanità, di
Casa, piano Fanfani. E’ chiaro che ci sono stati dei costi in più,
quindi una pressione fiscale che è cresciuta. Saremmo disponibili a
rinunciare alla spesa pubblica della Istruzione, saremmo disponibili a
rinunciare al sistema pensionistico. ? Perché di questo si tratta. Se si
vuole colpire fino in fondo.
C’è stato
un periodo in cui il debito pubblico è cresciuto perché si sono fatte
delle riforme sociali . Per quel periodo si può giustamente anche dire
che c’è stato una spesa di cattivo governo, una spesa elettorale. Si
deve riconoscere che è stato anche così. Ma la Cassa per il Mezzogiorno
ha cambiato il Sud. Non fino al punto di farlo diventare come la
Lombardia e il Veneto. Però l’ha cambiato radicalmente. Senza quelle
riforme non ci sarebbe stato il debito pubblico, ma non ci sarebbe stata
neppure l’Italia moderna. Poi ha continuato a crescere. La cosa strana è
il debito pubblico è cresciuto ancora di più negli ultimi trenta anni
quando si sono state fatte qualche volta in nel modo sbagliato delle
privatizzazioni che hanno avuto due effetti che non però registriamo nel
debito pubblico la prima di ridurre dei vuoti perché si finanziava l’Iri
l’Eni, il panettone di stato, questi privatizzando sono costi che sono
stati cancellati, ma si è anche venduto qualche cosa di serio: la Seat
si è venduta ma era una cosa seria , le Autostrade erano una cosa seria
che continuano a rendere. Dove sono andati questi soldi che avrebbero
dovuto ridurre il debito pubblico?. Il debito pubblico è continuato a
crescere. Guardando i numeri si dovrebbe dire che se prima c’erano degli
sprechi ma c’era anche un risultato di riforme reali, dopo ci sono stati
solo gli sprechi. Addirittura non ridotti nemmeno dai vantaggi che
avrebbero dovuto derivare dalle privatizzazioni.
Le cose che
si sono fatte negli anni a cui si riferisce questo libro sono frutto di
contrasto e di qualche errore ma non permettono un giudizio distruttivo
che in genere sentiamo riferire a questo periodo. Queste sono le
riflessioni che io faccio e che questo libro documenta . Si parte dal
1978 che è un anno di svolta nella storia di questo Paese. Quasi tutti
gli storici e le posizioni politiche prevalenti riconoscono che una
politica che tendeva ad arrivare, a quella che in modo estremamente
sintetico è definita la democrazia compiuta cioè non più la continuità
eterna delle stesse maggioranze e dello stesso governo, ma la
possibilità di una alternanza, è venuta meno perché quel filo di dialogo
che era stato avviato che aveva i suoi punti di riferimenti personali in
Moro e Berlinguer è stato interrotto, troncato dal terrorismo e non si è
più riusciti a recuperare un discorso che fosse un discorso preoccupato
del futuro del Paese. Non perché sia finita la democrazia. Ho fatto una
intervista qualche giorno fa. Il fatto che sia entrata in crisi una
certa politica non significa che sia stata cancellata la democrazia.
Infatti la democrazia ha continuato c’è anche adesso.
Non credo
si possa dire che viviamo in un sistema non democratico. Si è perso quel
senso del rapporto concreto con la realtà del Paese e anche con le sue
difficoltà che c’era ed è diventato tutto più legato al contingente,
alla oscillazione, alla incertezza.
La
propaganda c’era anche prima ma oggi c’è il rischio che la politica sia
solo più propaganda, non una propaganda al servizio della politica, ma
una politica che si dissolva nelle posizioni propagandistiche senza la
possibilità di un riferimento concreto. Se no non ci spiegheremmo un più
del trenta per cento di italiani che non vota, che non trova più sulla
scheda elettorale un partito che corrisponda alle sue aspettative. Non
perché ci siano meno partiti, ma perché ce ne sono di più. Quando
sembrava che il sistema fosse troppo chiuso in se stesso in definitiva i
partiti erano 6 – 8 al massimo sulla scheda.
Adesso se
andiamo alle elezioni comunali sono 15, 20. Qui ci sono amministratori
lo sanno perché. Se il sindaco conta più di tutto consiglio comunale
messo insieme, cosa che per la continuità delle amministrazioni è giusto
, ma cosa produce elettoralmente. ? Se uno vuole diventare consigliere
comunale deve candidarsi sindaco e poi inventarsi una lista. La lista
non andrà in consiglio comunale, ma lui si. In questo modo le ambizioni
personali contano molto più delle posizioni politiche. Questo non
riguarda tutti i candidati sindaci, riguarda il proliferare delle
candidature. Il nascere come funghi e poi scomparire dopo però uno è
entrato in consiglio comunale.
Chieri,
Sala della Conceria 17 marzo 2018
Testo
dell’intervento dell’On. Guido Bodrato, non rivisto dall’autore |
Presentazione libro "Pagine democristiane" a
Torino e Chieri
Torino
16 marzo 2018 - presso il Centro Studi "Il Laboratorio" - via
Carisio 12
CHIERI 17 marzo 2018
Chieri
17 marzo 2018 - presso "Sala Conceria" via Conceria 2
|
Il partito che si sacrificò per far nascere
l'Europa
articolo di Angelo Picarello dal giornale "Avvenire" del 9 marzo 2018
|
Il
terremoto politico del 2018
La consultazione elettorale
del 4 marzo ha determinato un sisma politico di elevata intensità con
una sostanziale ingovernabilità. I tre poli (Centrodestra a trazione
leghista, movimento cinque stelle a propulsione meridionale e partito
democratico ridimensionato nei numeri e nella rappresentanza) sono
alternativi a se stessi con nessuna possibilità di avvicinamento
politico salvo la possibilità di una intesa su una nuova legge
elettorale di cui si sono constatati i paradossi.
La rappresentanza ha
prevalso sulla governabilità per l’ibrida miscela di uninominale e di
proporzionale, senza possibilità di voto disgiunto e neppure quella di
indicare la preferenza sui listini bloccati.
La libertà di scelta è stata
soffocata dalla legge elettorale pensata per compromessi divenuti
irrealizzabili.
Molte formazioni non hanno
raggiunto la soglia del 3 per cento. Eppure molti elettori non hanno
voluto rinunciare alla possibilità di scelta fuori dai blocchi delle
coalizioni, per dare un segnale rispetto a valori e convincimenti.
Questo è il caso del Popolo della Famiglia che pure oscurato dai mezzi
di comunicazione ha canalizzati voti su principi irrinunciabili.
Una riflessione a parte
merita il cartello elettorale Noi per l’Italia che ha pagato la
contraddizione di usare il simbolo dello scudo crociato dando spazio e
rappresentanza a personaggi lontani dalla cultura democristiana. È stata
di fatto una operazione teleguidata che è naufragata sui territori. Il
risultato è stato di un totale fallimento del progetto, una modestissima
composita rappresentanza parlamentare. In Parlamento oggi gli eredi del
simbolo sono ora Paola Binetti, che peraltro viene da un tortuoso
percorso parlamentare, e Antonio De Poli.! Questo è il risultato delle
scelte operate negli anni da Rocco Buttiglione, Pierferdinando Casini e
Lorenzo Cesa di cui portano appieno le responsabilità storiche.
Tutto ciò conferma il
disastro politico ed elettorale di dirigenti che hanno privilegiato
egoismi e interessi personali rispetto ad un progetto che avrebbe
richiesto ben altra piattaforma politica e culturale. Richiederebbe
leader politici credibili e capaci di fare battaglie politiche nella
società e nel Paese.
Roma, 6 marzo 2018 |
Pagine democristiane
Il senatore
Maurizio Eufemi presenterà il suo libro "Pagine democristiane.
Orgoglio di una grande storia"
il
16 marzo 2018 alle ore 18.00 in via
Carisio 12 a Torino
nell'ambito del
ciclo di Incontri di Studio de "Il Laboratorio"
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COMUNICATO CDU PIEMONTE SULLE ELEZIONI DEL 4
MARZO
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CDU le 40 idee sulla politica
Nella mattinata di ieri, sabato 13 gennaio 2018, il Cdu ha chiamato
a raccolta quadri e simpatizzanti per esporre le 40 idee sulla
politica e per la politica che il partito di Tassone ha predisposto
per le prossime elezioni politiche.
Sotto la regia di Marco Margrita, direttore de "Il Monviso", il
senatore Maurizio Eufemi ed il coordinatore regionale Mauro
Carmagnola hanno illustrato i punti forza di questo documento
preparatorio della prossima campagna elettorale.
Come ha detto Carmagnola, quattro sono i pilastri di questa
proposta: una analisi degli ultimi 20 anni di storia e politica
italiana, le vicende del mondo cattolico dopo l'ultimo papa
italiano, il disastro ereditato dai governi a guida Pd, i progetti
per l'immediato futuro di un auspicato governo a compartecipazione
cristiano democratica.
Eufemi, alla luce della sua esperienza parlamentare, ha sottolineato
l'importanza delle battaglie per il lavoro sul territorio, contro il
fisco rapace e per una politica economica realistica e concreta cui
lo scudo crociato si richiama da sempre.
Anche nelle prossima competizione elettorale. Fabrizio Leotta di
Forza Italia e Giampiero Leo, amministratore torinese di lungo
corso, hanno sottolineato da un lato la coerente collocazione del
Cdu nel centro destra e dall'altro la consonanza con il mondo
cattolico e l'esperienza interconfessionale in corso a Torino.
Un
dibattito aperto, nel corso del quale sono emersi forti elementi
identitari per un partito di ispirazione cristiana, ha concluso i
lavori.
da
"Torino Oggi" di domenica 13 gennaio
SCARICA IL DOCUMENTO :40 IDEE
del CDU sulla politica e per la politica
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