...verso il

Partito Popolare Europeo

MAURIZIO EUFEMI

è stato eletto al Senato  nella XIV^ e XV^ legislatura

già Segretario della Presidenza del Senato

nella XVa Legislatura

ARTICOLI E comunicati 2019

IL RITORNO DELLA BALENA BIANCA

articolo di Maurizio Eufemi sul giornalino "Democratici Cristiani" di dicembre 2019

 

apri "democraticicristiani" dicembre 2019

CINQUANTENARIO DELL'ASSOCIAZIONE: IL SALUTO DEL PRESIDENTE

 MATTARELLA

 

Cinquantenario dell'Associazione: il saluto del Presidente Mattarella

Cinquantenario dell’Associazione: il saluto del Presidente Mattarella

Pubblichiamo il testo del telegramma inviato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Presidente Antonello Falomi in occasione dell'Assemblea generale del 17 dicembre :

L'anniversario del cinquantenario di fondazione dell'Associazione ex parlamentari della Repubblica è occasione per segnalare il servizio reso da quanti hanno servito la democrazia italiana svolgendo il mandato loro affidato dai cittadini.

L'identità dell'Associazione è segnata dal ruolo centrale che la Costituzione assegna al Parlamento, espressione della volontà popolare e di quella libertà, conquistata con coraggio e sacrificio nella lotta di liberazione e che ora è affidata alla responsabilità delle Istituzioni, alla partecipazione attiva dei cittadini, ai limiti che l'ordinamento pone a garanzia e tutela dei diritti di ciascuno.

Opportunamente  l'attività dell'Associazione è orientata a rafforzare la relazione di fiducia tra cittadini e funzione parlamentare, una relazione che presuppone ed esige che le funzioni pubbliche siano sempre adempiute con disciplina, onore, per servire la comunità.

Il funzionamento e il futuro stesso delle Istituzioni democratiche sono necessariamente basati sulla dignità, il prestigio e al dedizione con cui gli eletti corrispondono alla responsabilità di cui la comunità li ha investiti.

A tutti i dirigenti e ai presenti alla assemblea generale dell'Associazione giungano i migliori auguri per i vostri lavori e per la vostra attività.

Sergio Mattarella 

 

MES

 

Quel dicembre del 1978 dallo SME al MES.

Paragonare il M5S alla Democrazia Cristiana, seppure “con minore consapevolezza e ancora meno capacità di manovra”, come fa Marco Imarisio stamane sul Corriere appare un atto di eccessiva generosositá verso i grillini e una grave offesa alla Dc.

Quaranta anni fa, di questi giorni, il 12 dicembre del 1978 il Parlamento veniva chiamato ad una scelta difficile e di traguardo storico come era l’adesione allo SME. Dunque Mes come SME. quella decisione fu preceduta dal consiglio nazionale della Dc dell’1 e 2 dicembre. L’11 dicembre si riunisce il Direttivo Dc della Camera con il Presidente del Consiglio Andreotti che relaziona sullo SME, ma non anticipa la linea perché sono ancora in corso contatti. Galloni, presidente del Gruppo afferma:” Non illudersi che il non aderire si allontani il calice amaro dei sacrifici. Non vale la pena allontanarci dall’Europa”. Partendo da “una inflazione superiore a quella degli altri Paesi chiedevamo un margine non del 2,5, ma più largo; si é riusciti ad avere il 6 per cento non solo per noi ma per tutti i Paesi che lo chiedevano. Dalla riunione di Bruxelles emergeva una situazione di delusione, ma c’era il dato positivo di un prestito di 5 miliardi di dollari in cinque anni con la limitazione alle sole infrastrutture e non esteso alla riconversione industriale”. Andreotti replica agli intervenuti dicendo che i “contatti proseguiranno nella notte. Appartenere all’Europa di serie A o B non dipende dallo SME, ma dal tasso di deflazione che riusciremo a raggiungere”.

Del resto stare in Europa era inimmaginabile senza convergere sui minori tassi di inflazione delle altre economie così come richiamato dal Piano triennale Pandolfi, Ministro del Tesoro, titolato “una proposta per lo sviluppo, una proposta per l’Europa” con misure programmatiche volte a colmare il fabbisogno di investimenti e la riduzione dei lavori di lavoro con il Mezzogiorno.

Nei suoi diari Giulio Andreotti ricorda come il Partito di De Gasperi “non può mancare di coraggio di fronte a scelte europee”.

Rifiutare quella scelta avrebbe significato per la DC avrebbe significato andare contro la propria storia.

Il 12 dicembre 1978 l’adesione allo SME fu votata alla Camera, con un PCI ancorato ad una visione neutralista. Si aprirono profonde crepe sulla intesa politica DC-PCI.

Pandolfi non mancava di ricordare l’ammonimento di Guido Carli:”si ricordi il vero nemico è il populismo”.

Il 12 dicembre 1978 si va al voto e come affermerà poi Barca nella ricostruzione di quei giorni “senza che nulla ci venga comunicato da Andreotti su una mozione che prevede l’ingresso immediato e pieno”.

Una ricostruzione storica di Castronuovo portò a un giudizio severo per il quale “con il voto contro lo SME suonò come una conferma della immaturità del PCI sul terreno di una politica estera e del rapporto con l’Occidente”. Le vicende di quaranta anni fa pongono il problema di come muoversi nel processo di integrazione europea.

Dunque nei prossimi giorni si avrà la cartina di tornasole di chi vuole stare in Europa e di chi invece privo di cultura europeista spinge sulla paura e sul catastrofismo, per lo scivolamento su una posizione terzomondista carica di rischi e di pericoli.

La Dc seppe dimostrare coraggio nelle gradi decisioni politiche dalla CEE allo SME, dall’atto unico al trattato di Maastricht, dall’euro al fondo salva stati e a tanti altri passaggi che richiedono responsabilità piuttosto che populismo a basso costo.

Accostare il M5S alla DC è una offesa alla storia non solo di quel Partito, ma a quella del nostro paese per la straordinaria crescita economica, sociale e civile del Paese realizzata con il concorso rilevante dei democristiani.

Maurizio Eufemi

L'articolo è stato pubblicato sul giornale "Il domani d'Italia" ed è rintracciabile al seguente iindirizzo:

http://www.ildomaniditalia.eu/quel-dicembre-del-1978-dallo-sme-al-mes/

Quel che Conte non ha detto su Taranto.

 

Il presidente del consiglio è andato a Taranto a incontrare i cittadini, associazioni, sindacati, movimenti. È stato un gesto di umiltà apprezzato dai commentatori e dalla opinione pubblica. Non può però dire che non ha la soluzione e chiede che gli stessi Ministri gli offrano indicazioni. Di fronte alla situazione drammatica di Taranto con il rischio di chiusura e spegnimento degli altiforni del quarto centro siderurgico italiano un governo che nasce con la prospettiva della scadenza naturale della legislatura deve avere ben chiaro cosa deve fare. Avrebbe dovuto innanzitutto procedere con un consiglio dei ministri per rimettere d’urgenza lo scudo penale! Avrebbe eliminato immediatamente alibi ai gestori degli impianti. Pensare di ingaggiare una battaglia giudiziaria tra Stato e Ancelotti Mittal significa, con i tempi della giustizia italiana, vincere forse una battaglia tra chissà quanto tempo, ma perdere la guerra della siderurgia, mettendo in ginocchio non solo l’economia di Taranto, ma della intera filiera della meccanica che coinvolge numerosi distretti industriali. 
Quello che Conte non ha detto è una rappresentazione della realtà che non sono solo i numeri del Pil in discussione ma il futuro degli impianti, la loro riconversione con fonti energetiche a gas piuttosto che a carbone, i volumi produttivi, sia per il mercato domestico che per quello internazionale soprattutto per l’area del mediterraneo e per le prospettive di ricostruzione in Mesopotamia e in Libia. Uno dei punti di forza della produzione di Taranto erano i tubi per oleodotti e gasdotti, proprio quelli che i sognatori della decrescita felice e della coltivazione delle cozze, vorrebbero impedire. ! 
Quello che Conte non ha detto è il futuro dell’area tarantina nella economia del Mezzogiorno e nel Paese. Cosa che fece magistralmente Aldo Moro che, da Presidente del Consiglio, presenzió alla inaugurazione del polo siderurgico di Taranto come riporta il Popolo il 20 novembre 1964, come strumento essenziale dello sviluppo meridionalistico. C’erano gli effetti moltiplicativi dello sviluppo, aumento della occupazione manifatturiera, crescita dei redditi. C’era un contesto fatto di impresa a partecipazione statale, la politica meridionalistica, la diffusione delle infrastrutture con la autostrada Adriatica Bologna - Bari,l’asse Bari Napoli, l’autostrada del Sole, un insieme integrato per ridurre il costo di trasporto e favorire gli scambi Nord - Sud sia dei prodotti industriali che di quelli agricoli. In quegli stessi anni nasce sempre lì, cementificio Cementir. Il polo siderurgico non nasce a caso. Trova ancoraggio nella legge per il mezzogiorno presentata da Antonio Segni e da tutti i Ministri, la 634 del 1957, approvata in pochi mesi, che offre gli strumenti con i consorzi e le direttive di sviluppo industriale. Relatore di maggioranza fu Michele Marotta mentre quello di minoranza Giorgio Napolitano che nella visione della sinistra, offrì un contributo di proposte positive nella elaborazione della legge. 
Questo era il contesto. Poi la storia è stata demonizzata con la cancellazione delle politiche meridionalistiche e delle partecipazioni statali in nome della ideologia liberista. Oggi i post ideologici vorrebbero utilizzare la cassa depositi e prestiti senza neppure i controlli del Parlamento così come avveniva correttamente in presenza di intervento pubblico in economia. Ma mancano le idee e soprattutto una visione di insieme così come aveva indicato Moro per il
quale il “sistema economico meridionale non è più una appendice inerte da sollecitare con scelte per così dire “esogenere” al sistema stesso, ma, autopropulsivo, sempre più integrato nella economia nazionale”. 
Non a caso quell’intervento di Aldo Moro fu titolato da Giuseppe Rossini nel volume terzo degli Scritti e Discorsi così: Democrazia e progresso sociale 

COMUNICATO STAMPA

 

Giovedi 14 novembre 2019

 

VIA ALLA FEDERAZIONE POPOLARE DEI DEMOCRATICI CRISTIANI FIRMATO IERI L’ATTO COSTITUTIVO DEL NUOVO POLO DI CENTRO TRA TUTTI GLI EREDI DELLA DC

 

E’ stato firmato ieri a Roma l’atto costitutivo della FEDERAZIONE POPOLARE DEI DEMOCRATICI CRISTIANI. Per la prima volta i partiti, le associazioni e i movimenti che si ispirano al valore primario dell’umanesimo cristiano si uniscono in un comune progetto politico. Con l’obiettivo di dare vita ad un partito centrista che recuperi la cultura politica e l’identità che sono il presupposto della democrazia.

Il nuovo soggetto politico unitario punta a superare la diaspora e le divisioni che in questi lunghi anni hanno compromesso una presenza culturale e politica nel nostro Paese ed a costituire una vera alternativa all’estremismo di destra e al populismo che si impone per la mancanza di un riferimento valoriale forte come quello del popolarismo.

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Presieduta dall’on Giuseppe GARGANI, l’assemblea ha approvato il documento con cui nasce la federazione di centro sottoscritto dagli on. Lorenzo CESA (UDC), Mario TASSONE (NCDU), Renato GRASSI (DC), Paola BINETTI (Etica e Democrazia), Ettore BONALBERTI (associazione liberi e forti) Maurizio EUFEMI (Associazione Democratici Cristiani) unitamente a parlamentari, e 40 rappresentanti di associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica, del volontariato e della famiglia.

La nuova formazione si ispira ai valori dell’umanesimo cristiano e vuole inserirsi a pieno titolo nel PPE, in alternativa alla deriva nazionalista e populista.

Nel deserto delle culture politiche che caratterizzano la politica italiana, prende finalmente avvio un progetto di ricomposizione dell’area politica cattolica popolare, aperta alla più ampia collaborazione con le forze disponibili alla difesa e integrale attuazione della Costituzione repubblicana.

I firmatari del documento costituiscono il Comitato provvisorio della Federazione che è aperta all’adesione di movimenti, di associazioni, che si ispirano al popolarismo. Nei prossimi giorni verranno organizzate in tutta Italia iniziative regionali e locali per presentare l’iniziativa e strutturarla sul territorio, mentre i membri promotori lavorano ad un’ASSEMBLEA COSTITUENTE che approverà il programma, il nome, il simbolo e gli organi dirigenti della Federazione a conclusione delle adesioni nazionali e territoriali.

“Solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“ (Alcide De Gasperi)

SIGLATO A ROMA IL PRIMO PATTO FEDERATIVO TRA TUTTI GLI EREDI DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA

ROTONDI, BINETTI, GARGANI, TASSONE, GRASSI, BONALBERTI, CESA E FIORI ANIMANO IL COMITATO PROVVISORIO CHE LAVORA ALLA PRIMA ASSEMBLEA COSTITUENTE

DELLA FEDERAZIONE CHE SI ISPIRA AI VALORI DELL'UMANESIMO CRISTIANO.

Centro di Cultura e di Iniziativa Politica

   “ Leonardo da Vinci”

 

Da: Centro Studi Leonardo da Vinci

Via della Colonna Antonina 36, Roma

Tel 06.6794253

 

COMUNICATO STAMPA

 

VIA AL NUOVO POLO DI CENTRO, SIGLATO A ROMA IL PRIMO PATTO FEDERATIVO TRA TUTTI GLI EREDI DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA

 

Si è costituita ieri, mercoledì 30 ottobre a Roma presso il Centro studi Leonardo da Vinci la FEDERAZIONE TRA I PARTITI E I MOVIMENTI CHE SI ISPIRANO ALLA TRADIZIONALE POPOLARE DELLA DC: hanno aderito 25 organizzazioni che si sono dati come programma la preparazione di un nuovo soggetto politico unitario per superare la diaspora e le divisioni che in questi lunghi anni hanno compromesso una presenza culturale e politica nel nostro Paese. 

 

I firmatari del documento come manifesto politico della federazione, sono consapevoli della particolare situazione politica che attraversa il paese e della presenza di una destra estrema, eversiva e xenofoba che si è sviluppata per la crisi che ha attraversato il centro e la sinistra.

Con l’incontro svoltosi si mette la parola fine alla diaspora democratico cristiana durata oltre venticinque anni.

 

Presieduta dall’on Giuseppe GARGANI, l’assemblea ha approvato il documento con cui nasce la federazione di centro sottoscritto dagli on. Lorenzo CESA (UDC), Mario TASSONE (NCDU), Renato GRASSI (DC), Gianfranco ROTONDI (Forza Italia), Publio FIORI (Rinascita popolare), Paola BINETTI (Etica e Democrazia), Ettore BONALBERTI (associazione liberi e forti) unitamente a parlamentari, e 25 rappresentanti di associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica, del volontariato e della famiglia.

La nuova formazione si ispira ai valori dell’umanesimo cristiano e vuole inserirsi a pieno titolo nel PPE, in alternativa alla deriva nazionalista e populista.

 

Nel deserto delle culture politiche che caratterizzano la politica italiana, prende finalmente avvio un progetto di ricomposizione dell’area politica cattolica popolare, aperta alla partecipazione di movimenti, che si ispirano al popolarismo per la difesa della Costituzione.

 

I firmatari del documento costituiscono il Comitato provvisorio della Federazione. Nei prossimi giorni verranno organizzate in tutta Italia iniziative regionali e locali per presentare l’iniziativa e strutturarla sul territorio, mentre i membri promotori lavorano ad un’ASSEMBLEA COSTITUENTE che approverà il programma, il nome, il simbolo e gli organi dirigenti della Federazione a conclusione delle adesioni nazionali e territoriali.

 

“Solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“ (Alcide De Gasperi)

 

Via Colonna Antonina,35 – 00186 – Roma                                                        Tel. 06.6794253 – Fax 06.6790868

 

Testo del Patto

 

I sottoscritti 

 

consapevoli della particolare situazione politica che attraversa il paese dopo la 

costituzione di un governo di emergenza tra due gruppi politici non omogenei il PD e 

cinque stelle e della esigenza di superare il “nazionalismo” e l’antieuropeismo che si 

erano affermati dopo le elezioni del 2018; 

consapevoli che la scomposizione dell’ attuale assetto politico possa portare alla 

costituzione di nuovi soggetti politici capaci di superare le incertezze e le patologie che 

abbiamo patito in questi anni; 

consapevoli che la novità in Italia e in altri paesi europei vi è la presenza di una destra 

eversiva e xenofoba che si è sviluppata per la crisi del centro e della sinistra; 

consapevoli che per queste ragioni è urgente superare le attuali formazioni politiche 

che si richiamano alle posizioni di centro politico per una nuova aggregazione e quindi 

un nuovo soggetto politico 

 

RITENGONO 

che nel ricordo di un monito a tutti noto di Alcide De Gasperi “ solo se saremo uniti 

saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“, si debba con urgenza costruire un 

nuovo centro politico cristiano democratico, popolare, liberale e riformista, come il 

naturale argine alle posizioni radicaleggianti di sinistra e alle posizioni sovraniste e 

populiste, per affermare i valori democratici e liberali; 

invitano tutti coloro che si riconoscono in questi principi e in questi valori ad aderire al 

costituendo “Polo di Centro” per dar vita con urgenza ad un patto federativo e per 

seguire una comune linea politica che sarà indicata dagli organi della 

federazione

propongono che le associazioni e i partiti politici, che aderiscono alla federazione, 

possano conservare per intanto la loro attuale individualità giuridica e politica, restando 

vincolati dal comune impegno a rispettare le norme contenute nel patto federativo e da 

quelle che saranno approvate dai costituenti organi della Federazione; 

propongono che le singole associazioni e singoli partiti politici siano rappresentati, 

all’interno della federazione, dai propri segretari politici e responsabili delle associazioni, 

o loro delegati, capaci di esprimere, in seno all’organismo comune, la volontà del proprio 

gruppo; 

propongono in occasione della prima riunione del consiglio della federazione, che i 

singoli aderenti esprimano la loro proposta per la formazione di un simbolo unitario da 

adottare a maggioranza qualificata e da presentare alle prossime elezioni comunali 

regionali e nazionali nel quale tutti si possano riconoscere; 

auspicano che venga approvata una legge elettorale proporzionale unica legge 

democratica, che chiuderebbe la lunga fase di transizione che ebbe inizio negli anni 90 

con la legge cosiddetta “mattarellum”, e che oggi impone di ridare identità ai gruppi 

politici e protagonismo all’elettore. 

 

Letto, condiviso e sottoscritto dal 24 /09/2019 al 15/10 /2019 

Giuseppe Gargani (DC) 

Filiberto Palumbo (ex comp. C.C.) 

Mario Tassone (NCDU) 

Lorenzo Cesa (UDC) 

Antonino Giannone (Circoli Insieme) 

Renato Grassi (DC) 

Gianfranco Rotondi (FI) 

Giuseppe Rotunno (Civiltà dell’Amore) 

Ettore Bonalberti (ALEF – Associazione Liberi e Forti) 

Publio Fiori (Rinascita Popolare) 

Maurizio Eufemi (Associazione Democratici Cristiani) 

Mauro Scanu (Iniziativa Cristiana) 

 

 

 

Sisma: Ussita non può finire come il Belice

Sabato 5 ottobre ore 10,30

 

Dobbiamo ringraziare quanti hanno voluto raccogliere il nostro invito per una riflessione libera, senza condizionamenti sullo stato della ricostruzione nelle aree del sisma del centro Italia e a Ussita in particolare.

Alcune considerazioni introduttive.

Abbiamo fatto la nostra parte anche manifestando a Montecitorio in una piovosa giornata di maggio.

Dobbiamo vincere la rassegnazione di chi non crede più a nulla, alle promesse ripetute. Respingiamo le critiche di quanti ormai dicono non c’è più nulla da dire e da capire, perché è chiara la strategia dell’abbandono. Non a caso abbiamo richiamato il terremoto del Belice, per i ritardi cinquantennali nella ricostruzione con le contraddizioni di anfiteatri e strade inutili.

L’iniziativa è stata assunta dalla lista Ussita insieme per la ricostruzione che ha tenuto sempre alta l’attenzione sul post terremoto con una battaglia democratica, nelle sedi istituzionali, nel consiglio comunale, con iniziative e evidenziando lacune, contraddizioni. La stella polare è stata la legalità e la trasparenza.

La politica non si fa con i comunicati stampa. Si fa verificando i risultati giorno per giorno, incontrando le persone, ascoltando anche quando questo è disagevole. Per questo voglio ricordare i presenti che hanno sottratto tempo alla famiglia a quasi tre anni dalla seconda grande scossa di fine ottobre 2016. Un pensiero va anche a quanti ci hanno lasciato, a quanti soffrono disagi incalcolabili e a quanti sono stati colpiti nella malattia.

L’incontro fortemente voluto perché a Ussita scelte incaute hanno portato al fallimento delle giunte comunali. I risultati sono sotto i vostri occhi. Una ricostruzione che non decolla. Né possiamo aspettarci molto da una gestione commissariale in comune. Nei giorni scorsi è atterrato e passato il Presidente del Consiglio, peraltro senza neppure fermarsi ad incontrare la popolazione che vive nelle casette SAE, ma nell’incontro di Castello, molti comuni hanno fatto sentire la loro voce, ma il Comune di Ussita era afono del rappresentante della comunità. Non può essere un rappresentante prefettizio capace di richiamare e risolvere i problemi che sono di tutta evidenza.

Che dire poi di un incontro che è stato silenziato, nel senso che la stampa non è stata ammessa ad ascoltare le prese di posizioni dei sindaci, quali rappresentanti delle comunità.

Sono molte le cose che non vanno.

La nomina a Presidente del Parco dei Sibillini di un docente universitario specializzato in veterinaria non ci entusiasma, quasi che si volesse privilegiare l’ambiente animale con lupi, orsi, cinghiali ad una visione antropologica del parco favorendone uno sviluppo in cui la persona umana sia protagonista. Siamo allo sviluppo imposto e non partecipato o proposto. Si afferma la mera conservazione senza un nuovo sviluppo che porti ad funzione razionale e antropologia delle risorse umane. Quale è il ruolo delle comunità. Azioni utili tra chi vie in montagna, chi vive di montagna e chi vive per la montagna.

E’ stata richiamata la legge per la montagna del 94 che trova un ancoraggio nell’articolo 44 comma 2 della Costituzione per iniziativa di quel grande costituente che fu Gortiani di Tolmezzo un geologo, passato alla storia non certo come Farabollini che ha atteso 10 mesi per nominare della commissione di esperti, il cts.

Per non parlare delle ordinanze osservate dalla Corte dei conti, la 80, 84, 85,86 autentico capolavoro della burocrazia, di cui sono state chieste modifiche tanto è che il commissario ha dovuto sospendere. La ordinanza 80 modificava ben 14 ordinanze precedenti a cominciare dalla 4 del novembre 2016, revisionata una decina di volte. Non stiamo scherzando. Questo è il pasticcio cui di troviamo dinanzi. Dobbiamo ringraziare Mario Sensini e Sibilla on line per l’accuratezza con cui indaga sul terremoto.

La zona franca va benissimo ma è a un livello di governo nazionale e comunitario che finisce per appartenere al libro dei sogni.

L’opacità del sito dell’Ufficio Speciale Ricostruzione è di tutta evidenza. Non è stata fatta una distinzione reale per province, ma dentro Macerata hanno inserito Ancona e Pesaro Urbino e dentro Ascoli, la provincia di Fermo. Quasi a volere nascondere qualcosa.

Non vengono indicati quotidianamente i progetti approvati così da vedere il reale stato di avanzamento. Perché non viene messo un contatore dinamico delle pratiche, dei finanziamenti, del volume finanziario del validato e di quanto resta.

Assistiamo al paradosso che i comuni dell’area focale sono in forte ritardo. Tolentino ha avuto 58 milioni per la ricostruzione privata, con 128 pratiche di ricostruzione pesante, 108 delocalizzazioni, 145 ricostruzione leggera, rispetto a Caldarola 11 milioni, Matelica 16 milioni e San Severino 28 milioni. Non vuole e non deve essere una guerra tra poveri, ma solo una verifica.

Da una analisi effettuata è emerso che i più forti ritardi si registrano nelle aree più colpite dal sisma:

fino a 10 km dall’epicentro 376 pratiche presentate e contributi erogati 10.817.306;

tra 10 e 25 km pratiche 1.495 e contributi 68.607.587

tra 26 e 42 km pratiche 2.961 e contributi per 169.734.092;

tra 43 e 55 km pratiche 2.217 e contributi 165.368.426;

tra 56 e 73 km pratiche 958 e contributi per 40.899.608; tra 74 e 95 km pratiche 117 e contributi 4.024.538; tra 96 e 12 km pratiche 4 e contributi erogati 0.

Abbiamo riscontrato positivamente come il comune di Sarnano offra, a metà luglio, un trasparente quadro delle pratiche di ricostruzione privata: 209 pratiche presentate, 177 verificate, 32 in attesa di ammissibilità, e poi quelle rigettate, quelle in istruttoria, i decreti di concessione, il totale dei finanziamenti 8,206 milioni e le 54 pratiche all’u.s.r.

Quindi un plauso al sindaco di Sarnano.

Al Presidente Pirozzi vorrei segnalare una contraddizione della Regione Lazio. Lo sa Presidente che nel Lazio si paga una tassa sismica per i loculi cimiteriali pur essendo i cimiteri luoghi pubblici e la tassa viene fatta pagare anche se l’indagine geologica è stata ormai acquisita? Forse questo balzello andrebbe soppresso.

E’ semplice e facile chiudere le zone rosse, ma la più coraggiosa avrebbe dovuto prevedere una selezione, una accurata verifica della situazione. Forse ci si illudeva che quello era il modo, un metodo vecchio, per avere più risorse.

Poi ci sono le problematiche delle chiese. Ma tutti noi sappiamo che non sono la priorità. Le chiese delle 10 frazioni erano sostanzialmente chiuse. Quella autenticamente attiva era la Pieve. I beni ecclesiastici hanno un percorso separato, ma anch’esso irto di ostacoli. Scontano l’insufficienza del personale preposto alla sovrintendenza di Macerata che si trova a gestire un volume di pratiche superiore alle forze disponibili.

Per Ussita iI file dell’USR, verificato al 20 settembre 2019 nelle sue 239 pagine presenta 2818 progetti approvati sui 5255 pari al 53, 62 per cento. Per Ussita 15 progetti approvati dei 67 presentati, di cui n. 6 categoria 9, n. 7 categoria 4 e n. 2 di categoria 19 per un finanziato di 2.892 milioni praticamente quasi tre milioni di cui la metà vanno a due progetti.

Poi si potrebbe parlare di tante altre cose, come lo stoccaggio delle macerie creando dei siti intermedi rispetto all’area focale, il problema del calcolo dei contributi rispetto alla superficie lorda e netta in conseguenza nei nuovi materiali utilizzati, l’opportunità di dedicare personale della USR alle aree focali e alle perimetrazioni, la sollecitazione agli interventi a protezione delle frazioni a rischio, sia con mitigazioni delle acque che con rimboschimenti e molto altro.

Credo che la mia introduzione possa finire qui. Voleva essere solo una provocazione suscitando le vostre riflessioni arricchendo il dibattito con ulteriori stimoli a individuare quelle indicazioni utili a rimuovere le macerie di una ricostruzione che non decolla.

Siamo troppo legati a questi luoghi per appartenere al partito della strategia dell’abbandono. Fare presto. Il meglio è nemico del bene.

Ussita 5 ottobre 2019

 

 

Commemorazione di Renzo Patria

Associazione degli ex Parlamentari della Repubblica

IN RICORDO DI RENZO PATRIA

Giovedì, 17 ottobre 2019
Ore 15,30
Sala Aldo Moro
Piazza Montecitorio – Roma

Saluto dell’on. Gregorio Fontana Questore della Camera dei Deputati
Intervengono: on. Antonello Falomi Presidente dell’Associazione Ex Parlamentari

Prof. Giulio Alfano
On. Gerardo Bianco
On. Maurizio Eufemi
Dott. Fabrizio Palenzona
Testimonianze

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R.S.V.P: 06/67603170 – 3139
E mail: ass_ex_parlamentari@camera.it

L’accesso alla sala - con abbigliamento consono e, per gli uomini, obbligo di giacca e cravatta - è consentito
fino al raggiungimento della capienza massima

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Intervento del sen. Maurizio Eufemi:
 

E’ difficile ricordare in  pochi minuti una amicizia lunga quaranta  anni, fin da quando,  Renzo entrò a Montecitorio nel lontano 1979.

C’è il rischio che le emozioni, i ricordi personali, i sentimenti prevalgano sulla ragione e su una lettura meditata dei passaggi della vita, soprattutto se lo facciamo in questa Sala per noi così carica di ricordi.

La vita parlamentare di Renzo Patria si intreccia con la mia, che seguivo per il Gruppo parlamentare l’area economica. Renzo Patria fu sempre componente della Commissione Finanze e Tesoro,  fino a diventarne Presidente nella XIV legislatura.

Per quindici anni abbiamo condiviso scelte politiche, avvenimenti di vita parlamentare e quelli personali. Era una vita parlamentare intensa, fatta di tanti momenti di vita comune che terminavano ben oltre gli orari delle sedute.

Aveva competenze specifiche che gli venivano riconosciute e che venivano valorizzate nell’esame dei provvedimenti in particolare sulla finanza locale, sul fisco, sulla Amministrazione finanziaria, sui quali spesso veniva chiamato a svolgere il ruolo di relatore, così come sul bilancio dello Stato dove non mancava di intervenire.  Era in fondo il riconoscimento della sua specializzazione, delle sue competenze, delle sue relazioni e della sua sensibilità in una Commissione dove era forte la professionalità dei suoi componenti. Era la commissione per citare dei nomi, degli Usellini, dei Citterio, dei Fiori, degli Azzaro, di De Cosmo,  dei Rubbi, ma anche di Felice Borgoglio, Spaventa, D’Alema padre, Sarti Armando, Vincenzo Visco e tanti altri, dove il confronto delle posizioni era di alto livello e dove la sensibilità politica doveva essere coniugata con la competenza. Le sue iniziative legislative guardavano ai settori prima ricordati, ma non mancava di porre attenzione al territorio dove il suo legame era forte, sia con la previsione di sezioni distaccate delle Corti di Appello, e per l’Università Sud Orientale, così come per i compendi pubblici da destinare all’ente locale come l’ex ospedale militare e l’ex caserma San Martino, valorizzando il decentramento e la vicinanza su aspetti fondamentali come la giustizia e la Istruzione, come esigenza dei giovani e dei cittadini rispetto alla “lontana Torino”.

Nell’ambito fiscale sottolineò con anticipo, anche per la sua esperienza di amministratore locale la “spinta al riordino della imposizione del settore immobiliare e norme severe in materia di responsabilità per il dissesto”. Ribadiva come “la mancanza di autonomia impositiva e l’insoddisfacente impianto normativo porta a difficoltà di gestione”. Era una risposta alla esigenza e alle spinte che stavano maturando, anche con fratture politiche, per l’autonomia sostanziale degli enti locali. Tutto questo con largo anticipo rispetto alle concrete  innovazioni nell’ordinamento. Il suo impegno parlamentare sui problemi ambientali è contrassegnato dalla lunga azione sull’Acna di Cengio e sulla Val Bormida che lo coinvolgerà con numerosi atti di sindacato ispettivo nella decima legislatura.

Soltanto alcuni anni dopo, nel 1994, si arriverà alla istituzione della commissione monocamerale di inchiesta.

Interpellanze, mozioni parlamentari erano seguite passo dopo passo, non azioni estemporanee, ma con la piena consapevolezza dell’obiettivo da raggiungere anche attraverso un confronto duro con il suo partito la DC, con la stessa maggioranza e con il Ministro dell’Ambiente Giorgio Ruffolo. Gerardo Bianco in quel tempo Vicepresidente della Camera dovrebbe ricordare una di queste sedute movimentate. Muovevano i primi passi le politiche di compatibilità ambientali per l’assenza di controllo nei decenni nelle produzioni inquinanti. Sottolineò la necessità di prevedere processi di risanamento per rendere compatibili le produzioni con l’ambiente e di istituire autorità ambientali, perché i rischi ambientali superano i confini amministrativi delle provincie e delle Regioni e degli Stati. E’ stato così per Chernobil come per le fabbriche della Germania Est che inquinavano le foreste della Baviera. Era così per la Val Bormida. In una occasione la sua penetrante attenzione ai testi in discussione gli fece scoprire che un punto del dispositivo della mozione Matulli, quindi del responsabile Ambiente del suo partito, era scomparso nel testo in votazione. Non era cosa di poco conto perché prevedeva di “assicurare che nessuna attività produttiva sia avviata prima che venga attivato integralmente il monitoraggio” ( di cui al punto 2). Un vero e proprio giallo. La sua Mozione non fu approvata. Rimase fermo sulla sua posizione, ma fu un alto momento tra i partiti e all’interno della stessa DC dove il confronto democratico era un valore assoluto.

Lo studio di quei problemi ambientali lo portò a presentare trenta anni or sono una iniziativa di riforma della Costituzione per la tutela dell’ambiente, del paesaggio, e il patrimonio storico della nazione per promuovere la collaborazione internazionale per la salvaguardia dell’ecosistema. Sono questioni recentemente richiamate dal Presidente del Consiglio Conte nelle recenti dichiarazioni programmatiche di agosto. Metteva la persona umana al centro degli interessi per la salubrità degli ambienti di vita e di lavoro.

La sua iniziativa costituzionale per la detrazione fiscale delle spese per l’istruzione eliminando la sperequazione tra istituti pubblici e privati si muoveva all’interno della cornice costituzionale degli articoli 33 e 34 della Costituzione.

Ma è sul bilancio interno che emergeva la sua sensibilità istituzionale. In un suo intervento del 1983 non v’era solo il riconoscimento formale della Presidenza Iotti, per le grandi trasformazioni della Camera dei Deputati in atto come la creazione dell’Ufficio di Bilancio, una innovazione specifica, come strumento di valutazione della spesa e la creazione della struttura per la redazione dei testi legislativi o come il trasferimento della biblioteca e la sua trasformazione in Biblioteca di ricerca. Non mancava di sottolineare la “urgenza di recuperare la centralità del Parlamento”. Quel Parlamento che oggi si vuole limitare nelle sue funzioni di rappresentanza e con idee strampalate sulla democrazia diretta.

Poi nell’ultima sua legislatura quella dal 2001 al 2006 voglio ricordare la sua azione in difesa del ruolo e della funzione delle Banche popolari e di credito cooperativo, come fu attivo protagonista, quando il Paese fu attraversato da scandali finanziari, nella indagine conoscitiva sui rapporti tra le imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio che portò alla definizione di una buona legge, la 262 del 2005, che ancora oggi riscontra notevoli apprezzamenti, per le profonde innovazioni nelle infrastrutture normative introdotte a tutela dei risparmiatori.

Auspicò come “adempimento al dovere del legislatore di accendere un faro che indichi la strada per la ricostruzione di una etica finanziaria” come sollecitato da Ciampi, ma al tempo stesso “la politica doveva recuperare un ruolo primario se non vogliamo – disse – che la finanza e i poteri forti siano essi a dettare l’agenda anche alle Istituzioni elettive”. Come sono attuali queste parole!

Aveva la grande preoccupazione di evitare il rischio di far ricadere sulle Istituzioni la crisi che colpiva i partiti politici nei primi anni novanta “pena l’irreparabile decadenza della nostra democrazia”. La tutela delle condizioni di vita e di lavoro dei deputati non poteva, secondo Renzo Patria, essere intesa “quale tutela di privilegi individuali e corporativi, ma va ricondotta nell’ambito suo proprio e cioè  di garanzia della funzione di rappresentanza popolare che i membri del Parlamento esercitano”. “Delegittimare il Parlamento significa sconfiggere la sovranità popolare facendo prevalere con la piazza minoranze velleitarie e  violente ma non per questo meno pericolose per le sorti    della democrazia del nostro Paese.

Sapeva ascoltare i fermenti della società civile. “Sarebbe semplicistico e colpevole - disse in Aula - se ignorassimo le domande, e non ci accorgessimo della profondità della crisi che è di identità e di credibilità dei nostri comportamenti”.

Riteneva preminente l’obiettivo  di restituire le Assemblee legislative alle loro finalità più vera, la sede nella quale si operano  scelte nell’interesse dei cittadini.

Nei suoi interventi sul bilancio interno della Camera, per la sua sensibilità,  poneva particolare attenzione alla “condizione del parlamentare” per renderlo sempre più libero dai condizionamenti dei partiti e dei Gruppi. Difese l’autonomia amministrativa della Camera, esprimendo preoccupazione per le insidie che si manifestavano verso il personale della Camera.

Rifiutava il concetto di Camera come “azienda”.

Per Renzo  “l’amministrazione della Camera non è altro che uno degli strumenti attraverso i quali l’ordinamento ha inteso garantire all’Istituzione-Camera  le condizioni necessarie di autonomia per il  pieno esercizio delle proprie funzioni costituzionali. Efficienza ed economicità di gestione non possono costituire per la Camera dei valori assoluti, ma vanno perseguiti entro i limiti dell’interesse generale al complessivo funzionamento delle Istituzioni rappresentative”.  L’Ufficio di Presidenza e il Collegio dei Questori sono chiamati a svolgere nella loro qualità di organi collegiali di direzione politica funzioni che nulla hanno in comune con i consigli di amministrazione operanti nelle realtà aziendali.

Nel suo agire quotidiano portava avanti l’idea e i valori degasperiani della Democrazia Cristiana. Forte era la sua Fede democratica. Sentiva profondamente il contatto con il mondo cattolico da cui era stato formato. Ripeteva “dobbiamo ripartire dagli oratori e dalla società civile”. Nella diaspora non cancellò le amicizie, ma mantenne rapporti cordiali senza rancori.

L’associazionismo nelle sue varie forme e articolazioni era il momento per portare avanti insieme le idee. Fino all’ultimo istante è stato protagonista nella Associazione Democratici Cristiani dove mi volle fortemente.

Dopo le esperienze parlamentari non abbandonò la politica ma si dedicò con impegno nella vita degli ex parlamentari per tredici anni di cui otto anni con responsabilità comuni con Gerardo Bianco e poi con Antonello Falomi. Abbiamo avuto altri intensi momenti di vita vissuta. Nella Associazione ha potuto traslare tutta la sua esperienza nella gestione quotidiana dei problemi grandi e piccoli, anche rispetto all’ondata di populismo e antipolitica, soprattutto nella valorizzazione di un corpo intermedio con le sue regole ancorate ai valori costituzionali, che non erano un retaggio del passato,  ma la stella polare dell’agire quotidiano.

Ha partecipato con entusiasmo alla promozione di iniziative su tutto il territorio nazionale, da Napoli sui temi del Mezzogiorno e Milano per l’Expo, fino a Torino per l’anniversario dei 150 anni della unità di Italia. Portava la sua esperienza istituzionale, quindi con una conoscenza profonda dell’Istituto parlamentare proprio mentre più forti si diffondevano i germi dell’antipolitica e avanzava  l’odio sociale contro il Parlamento con una campagna antisistema  volta a ridurne ruolo e funzione, Queste erano preoccupazioni in lui ben presenti e non mancava di sottolinearle quotidianamente.

Renzo Patria apparteneva alla categoria dei parlamentari seri, fortemente impegnati nel duro lavoro parlamentare sia d’ Aula che di Commissione, profondamente legato al suo territorio, alla Sua Frugarolo, alla Sua Alessandria, al Suo Piemonte; era una presenza quotidiana e costante perché legata ai principi del “proporzionale” che non ammetteva fughe dagli elettori, ma contatti quotidiani, permanenti.

In venti anni di presenza in Parlamento, i  numeri di Renzo Patria offrono un quadro rappresentativo di  900 progetti presentati, di 692 atti di indirizzo e di 162 interventi in Aula e nelle Commissioni. La difesa del Parlamento era a tutto tondo. Per Renzo Patria anche “il parlamentare che ha cessato la funzione in considerazione dell’attività resa debba avere sempre il rispetto del rango che gli compete nelle pubbliche manifestazioni, così come peraltro accade quando responsabile della organizzazione è il cerimoniale del Quirinale”.

Volle dotare la nostra Associazione del proprio vessillo come simbolo di unità e di rappresentanza perché nelle manifestazioni ufficiali fossimo presenti con il coraggio e l’orgoglio della nostra storia senza distinzioni partitiche.

Non si rassegnava alle spinte verso la cancellazione della memoria e fino all’ultimo ha difeso le proprie idee i  valori per i quali ha lottato nella sua vita.

Roma, 17 ottobre 2019 - Sala Aldo Moro - Montecitorio

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Incontro - dibattito su USSITA

Una finta flat tax

Sta avanzando la proposta di una flat tax sui redditi incrementali. Si tratterebbe di rispolverare una vecchia idea dei FdI. Del resto questo partito è ormai stampella del governo. Ma evitino di spacciarla per flat tax. È una cosetta  molto mini che va nella stessa direzione della flat fino a 65 mila euro per le le partite iva. Anzi andrebbe ancora a loro perché la categoria del reddito fisso, sia dipendenti che pensionati non ha, anno su anno, rilevanti incrementi di reddito tali permettere grandi guadagni fiscali, così da giustificare una flat tax che violerebbe il principio di uguaglianza e di proporzionalità. Per i dipendenti c’è già la tassazione per i premi di produttività. Sono riformicchie che guardano a pezzi di elettorato delle forze di governo piuttosto che alla generalità dei cittadini con un linguaggio di chiarezza e di trasparenza come sarebbe necessario.
 È solo un modo per poter dire che è stata introdotta la flat tax ad uso dei social, dei Twitter e di Facebook, senza misurarne gli effetti concreti e soprattutto senza rilevanza, con limitatissimi effetti sulla finanza pubblica e quindi praticabile senza obiezioni a Bruxelles. Con questa finta riforma i conti pubblici non vengono messi a rischio.
Non è una riforma alla Vanoni, così per dire.

Attualità del pensiero di Keynes


Pomeriggio letterario, ieri nella sede dell’Abi, con un pubblico numeroso (docenti, parlamentari, servitori dello Stato, amministratori, studiosi compreso il presidente della Consob Paolo Savona) che ha sfidato il caldo torrido dell’estate romana. La presentazione del recente libro di Giorgio La Malfa e Giovanni Farese è stata l’occasione per un confronto pubblico, profondo e ricco di aneddoti, sulla attualità del pensiero di Keynes. Ne hanno parlato gli autori insieme al Professore Sabino Cassese e all’economista Pierluigi Ciocca, giá Banca d’Italia.
Giorgio La Malfa ha confessato che con questa opera ha voluto “pagare un debito alla formazione che ebbe  Cambridge negli anni sessanta” , quando frequentando quella università inglese frequentò gli allievi di Keynes. 
Si è certamente parlato della rivoluzione Keynesiana, dell’attacco di  Keynes alla cittadella della  ortodossia, con un assalto alla cittadella del pensiero classico,  con la lunga  genesi della Teoria generale nel convincimento che il mercato da solo non ce la fa e richiede azioni consapevoli ponendo alternative al capitalismo che non ė capace di creare piena occupazione. Nel  1935 scriveva “ la difficoltà non risiede  nelle nuove idee ma nelle vecchie che risiedono in ogni angolo della mente”. Prima del 1936, dunque  prima di Keynes prevaleva il convincimento che il sistema si autoregolasse e che i governi dovevano astenersi dall’intervenire. Anche Von Hayek sosteneva l’astensione e  che ci  sarebbe il lento riadeguamento della produzione  Il problema, nel secolo scorso fu purtroppo superato solo con il ricorso alle guerre. Toccò alle guerre ridare lavoro.  Certo la spesa pubblica ė un oggetto pericoloso e va maneggiata con prudenza, soprattutto dai responsabili politici. 
Guardare all’oggi significa prendere coscienza che la rivoluzione tecnologica porta a produzioni con pochissimo lavoro,  con il rischio di cattiva distribuzione della ricchezza  e solo la mano pubblica può correggere i livelli della occupazione e della distribuzione del reddito. Purtroppo anche nelle università si è tornati a diffondere ed insegnare teorie ottocentesche.  Quindi oggi le teorie di Keynes andrebbero maneggiate con prudenza pensando ai nuovi protezionismi, alla sovranità limitata, ai minibot o a mini monete  o a quota cento e a quanti insidiano perfino il capitale della Banca d’Italia.  Keynes non era per lo Stato spendaccione; l’intero bilancio deve essere in equilibrio se non in pareggio; agire sulla composizione del bilancio e sulle infrastrutture produttive, che nulla hanno a che vedere con il bilancio in deficit. La forza del moltiplicatore degli investimenti è diversa da quello per le spese correnti. 
Keynes propone di abbandonare lo stato ottocentesco per entrare in un socialismo liberale, proteggendo l’individuo, la sua iniziativa, la sua proprietá. 
Lo Stato deve assumersi la responsabilità di intervenire. Solo lo Stato può rimediare e può entrare in gioco come fattore equilibratore, assumendo una responsabilità crescente negli investimenti. Stato e mercato sono padre e madre dell’individuo. 
Il libro di Giorgio La Malfa e Giovanni Farese per la collana dei Meridiani dell’editore Mondadori  con  la ricchezza di un saggio introduttivo di 100 pagine di Giorgio La Malfa e  di 500 note (bibliografiche, storiche, di relazione, biologiche o letterarie) restituisce forma e sostanza al pensiero di Keynes per il quale l’economia deve avere una importanza secondaria rispetto “all’arte della vita”. Assume, oggi,  un grande significato politico oltre e che letterario soprattutto nel tempo della crisi dell’Unione Europea sopraffatta dalla ventata di ordoliberismo che porta ai rischi della deflazione, scoraggia la domanda privata, genera insicurezze, disuguaglianze,  risentimenti nei ceti medi e piccoli li borghesi. I pericoli sono elevati è ancora non sufficientemente percepiti. 

 

    

Servire non servirsi

 

Dibattito all’Istituto Sturzo promosso dall’isle su ”Servire non Servirsi “ la prima regola del buon politico, con Il Prof.Traversa Pino Pisicchio, Gerardo Bianco, Cesare Mirabelli, Mons Vincenzo Paglia e Luciano Violante.

Il confronto è stato di alto livello. Ho preso un pò di appunti per non smarrire interessanti considerazioni.
Si è tenuto nell’anno del centenario della fondazione del Partito Popolare nella disattenzione degli organi di informazione come ha sottolineato Pino Pisicchio illustrando la figura di Luigi Sturzo politologo.
Gerardo Bianco si è soffermato sul pensiero sturziano partendo dalla commemorazione di Sturzo fatta da Aldo Moro al Teatro Eliseo nel 1959 con il richiamo a Sturzo “ che ha scoperto nella autonomia dello Stato  la moralità della politica”, poi la battaglia contro la corruzione, la riscoperta dei valori umani alla base del tessuto, la scelta in favore dei Comuni piuttosto che verso le Province e i Comuni, e il ruolo delle grandi forze politiche per il riscatto delle classi popolari, il PPI sturziano che nasce come partito intransigente per usare na giudizio di De Rosa , non moderato rispetto alle scelte Gentiloni anche quindi non di supporto o di subordinazione alle classi dominanti. La lezione di Sturzo come vademecum al servizio della Nazione. Un invito a leggere il carteggio con il fratello con cui esamina l’illuminismo e le conseguenze della secolarizzazione. Tu ciò ciò oggi sfugge alla cultura italiana. Il Prof. Cesare Mirabelli si è soffermato sui valori etici in particolare su Sturzo che rientra in Italia nel 1946 con  la nascita della Repubblica, l’attenzione verso il recupero della moralità non nelle istituzioni pubbliche, ma anche nella comunicazione con la diffusione di notizie false, il degrado non solo della classe politica ma anche di altri settori che lascia oggi perplessi, il tradimento del giuramento scritto nella Costituzione.
Per Mons Paglia oggi il bene comune non è più alla base della polis. Non si parla più di bene comune.
La globalizzazione imperfetta non è governata. Ha creato un mondo unito nella economia ma non è stato accompagnato nella solidarietà con ingiustizie trasversali in tutti i Paesi specialmente nella egocrazia , una società liquida da si salvi chi può, un individualismo narcisistico patologico. Il narcisismo ha preso il potere e non è sentito come una colpa. Si è ferita a morte la dimensione di socialità alla base della Polis. La Costituzione è una lingua comune. Oggi manca il sogno comune. Ognuno pensa di essere il palatino del popolo che lo ha votato. Ritessere un linguaggio comune è esigenza imprescindibile. Esprime preoccupazioni per gli attacchi a Papa Bergoglio che assumo i caratteri di attacco dottrinale. Luciano Violante dopo avere ripreso le valutazioni di Mirabelli sull’articolo 54 della Costituzione ha ribadito il dovere della competenza. La politica riguarda la organizzazione della società ed è potere e servizio. Quale è l’interesse della società. Se uno vale uno la mia ignoranza vale come la mia conoscenza. Richiama otto principi che vanno nella direzione del principio sturziano “servirsi per servire”.
L’altro potrebbe avere ragione;
La Repubblica Romana sapeva chiudere i conflitti;
Quale è la forza della politica: la credibilità la reputazione che è come tu rispetti gli altri; la credibilità ci vuole molto a conquistarla e si perde in un giorno;
la politica è una comunità di eguali; costruire la comunità; la morale per costruire una comunità ;
Le persone vogliono un rapporto umano; conoscere il dolore della gente;
I leader del passato stavano dentro una comunità; il capo dipende da come nasce.
Bisogna studiare; istruitemi ho bisogno della vostra intelligenza.
La politica deve risolvere i bisogni.
Non si può fare tutto quello che che si può fare. C’è un limite che deve essere posto;
Guardare e studiare i fatti. Il politico spiega i fatti.
La considerazione finale di Violante è rivolta ad Aldo Moro con la sua lettura del caso Lockheed laddove diceva  di guardare ai fatti e che un grande partito popolare non può essere condannato per la colpa di qualcuno.

In ricordo di Renzo Patria

 

L’Associazione Democratici Cristiani piange la scomparsa del suo socio sostenitore Renzo Patria, e si stringe al dolore della famiglia. Renzo Patria ha partecipato come protagonista attivo al lavoro, alle iniziative e alle scelte di questa piccola comunità di idee e di passione politica nata su impulso di Carlo Alberto Ciocci insieme a Gaetano Morazzoni, Ivo Butini, Giorgio Spitella, Lorenzo Cappelli, Danilo De Cocci, Emilio Neri, Mario Pedini, Angelo Sanza, Michele Zolla , Giulio Alfano, Giovanni Maria Venturi, e tanti altri che hanno voluto e vogliono difendere e tenere alta l’idea e i valori degasperiani della Democrazia Cristiana.

Con Renzo Patria scompare uno stimato parlamentare della DC, che dopo le esperienze nelle amministrazioni locali viene eletto in Parlamento nel 1979 e nelle successive elezioni fino al 1994. Tornerà poi in Parlamento nel 2001 nella lista di Forza Italia. In quella legislatura ricopri l’importante ruolo di Presidente della Commissione Finanze e Tesoro, in un periodo particolarmente delicato per il Paese, attraversato da scandali finanziari che portarono dopo una importante e laboriosa indagine conoscitiva sul sistema delle imprese e i mercati finanziari, alla riforma del risparmio, una riforma positiva per adeguare le infrastrutture normative alle esigenze del Paese. Dopo le esperienze parlamentari non abbandonò la politica ma si dedicò con impegno alla vita della Associazione ex parlamentari per 13 anni, di cui sette come Vicepresidente Vicario della Presidenza di Gerardo Bianco con iniziative su tutto il territorio nazionale, da Napoli sui temi del Mezzogiorno e Milano, fino a Torino per l’anniversario dei 150 anni della unità di Italia che fu un momento di particolare gratificazione per il successo della manifestazione. Si trattava di un “volontariato istituzionale” di cui Renzo Patria andava fiero portando la sua esperienza di 10 anni come segretario di Presidenza della Camera e di 2 anni come Questore sotto la Presidenza Napolitano, quindi con una conoscenza profonda dell’Istituto parlamentare proprio mentre più forti si diffondevano i germi dell’antipolitica e avanzava l’odio sociale contro il Parlamento. La campagna antisistema era funzionale a ridurre il ruolo e la funzione del Parlamento attraverso la esaltazione del populismo e del sovranismo. Queste erano preoccupazioni in lui ben presenti e non mancava di sottolinearle.

Renzo Patria apparteneva alla categoria dei parlamentari seri, fortemente impegnati nel duro lavoro parlamentare sia d’ Aula che di Commissione, profondamente legato al suo territorio, alla Sua Frugarolo, alla Sua Alessandria, al Suo Piemonte; era una presenza quotidiana e costante perché legata ai principi del “proporzionale” che non ammetteva fughe dagli elettori, ma contatti permanenti. Sul piano politico parlamentare era componente della Commissione Finanze e Tesoro. Era un profondo conoscitore della materia delle banche popolari, degli enti locali, delle dogane, dei monopoli. Interveniva sul bilancio dello Stato e sulla finanza locale, proprio perché sapeva che quello era il momento più alto del rapporto tra Governo e Parlamento. L’attenzione al territorio è dimostrata dalle iniziative parlamentari per il distacco delle sedi giudiziarie e per l’Università Sud Orientale, così come per i compendi pubblici da destinare all’ente locale come l’ex ospedale militare e l’ex caserma San Martino. In venti anni di presenza in Parlamento, i numeri di Renzo Patria offrono un quadro rappresentativo di 900 progetti presentati, di 692 atti di indirizzo e di 162 interventi in Aula e nelle Commissioni. La difesa del Parlamento era a tutto tondo. Per Renzo Patria anche “il parlamentare che ha cessato la funzione in considerazione dell’attività resa debba avere sempre il rispetto del rango che gli compete nelle pubbliche manifestazioni, così come peraltro accade quando responsabile della organizzazione è il cerimoniale del Quirinale”. Non si rassegnava alle spinte verso la cancellazione della memoria, ma fino all’ultimo ha difeso le proprie idee i valori per i quali ha lottato nella sua vita.

 

Quando già le sue condizioni di salute non gli permettevano di venire a Roma con l’intensità del passato, mi ”costrinse” ad un impegno più forte nella nostra Associazione. Non potei rifiutare di fronte a tanta sollecitazione, nonostante i miei gravi problemi famigliari. Il nostro Segretario Generale Giovanni Eurante ne è testimone.

Nei suoi interventi sul bilancio interno della Camera, per la sua sensibilità, poneva particolare attenzione alla “condizione del parlamentare”. Difese l’autonomia amministrativa della Camera, esprimendo preoccupazione per le insidie che si manifestavano verso il personale della Camera perché secondo Renzo Patria “siamo chiamati a che responsabilità di gestire parametri quantitativi sulla base di esigenze strettamente qualitative come non possano essere considerate le decisioni di governo politico della nostra Assemblea”. Rifiutava il concetto di Camera come “azienda”. Per Renzo “l’amministrazione della Camera non è altro che uno degli strumenti attraverso i quali l’ordinamento ha inteso garantire all’Istituzione-Camera le condizioni necessarie di autonomia per il pieno esercizio delle proprie funzioni costituzionali. Efficienza ed economicità di gestione non possono costituire per la Camera dei valori assoluti, ma vanno perseguiti entro i limiti dell’interesse generale al complessivo funzionamento delle Istituzioni rappresentative”. Questo bilanciamento tra le indicate esigenze e la ponderazione sotto il profilo istituzionale delle scelte di gestione costituiscono la funzione preminente che l’Ufficio di Presidenza e il Collegio dei Questori sono chiamati a rivolgere nella loro qualità di organi collegiali di direzione politica che nulla hanno in comune con i consigli di amministrazione operanti nelle realtà aziendali.

L’Associazione ha già assunto iniziative per ricordarne la figura a Roma, così come merita.

 

Maurizio Eufemi

Roma, 10 giugno 2019

 

Una ricostruzione a passo di lumaca 

Ieri in Senato si affrontava il decreto legge che nelle aspettative del Governo del cambiamento dovrebbe rilanciare la crescita. V’è l’illusione che intervenendo sul codice degli appalti con norme più trasparenti, elevando  l’affidamento diretto fino a 150 mila euro, con nuovi limiti alle procedure negoziate o a quelli del subappalto. Sono tutte cose fuorvianti rispetto alla posta in gioco. Forze di governo e di opposizione contrapposte in una visione ideologica sganciata dalla realtá, che richiederebbe un approccio più razionale. Le norme del decreto incideranno anche sulla ricostruzione del centro Italia, ma saranno marginali nella realtà operativa. Vi sono dei numeri che determinano allarme e che avrebbero dovuto suscitare indignazione. Sono quelli emersi per l’Umbria a tre anni dal sisma. L’ufficio speciale ricostruzione ha lavorato 500 pratiche di cui 110 chiuse, 1200 sono giacenti, quelle attese 8.000.! 
Con i tempi di lavorazione registrati, in base alla citazione di personale dell’USR per 136 comuni occorrerebbero sedici anni.! 
La riflessione dovrebbe coinvolgere i commissari straordinari alla ricostruzione, passati e presenti. 
Assistiamo ad un palleggiamento tra USR, Comuni e Regioni, che sembra un gioco dell’oca, con tempi infiniti che portano ad una strategia dell’abbandono. 
Sono state fatte molte promesse, “ non vi lasceremo solo” “ i soldi ci sono”,  coperrtura totale per prime e seconde case, ma la ricostruzione non parte. L’errore più grande è stato quello di non avere sospeso i vincoli del Parco che non hanno senso in territori devastati e che poi subiscono deroghe giuste e opportune come per  le strutture temporanee amovibili. Così come avere puntato nella ricostruzione sismica con un utopistico livello di sicurezza con una eccessiva presenza dell’intermediazione pubblica senza dare fiducia al privato con un atteggiamento che puntasse più sui controlli successivi che su paralizzanti vincoli preventivi, facendo prevalere un atteggiamento parcellizzato da forze che esaltano il verticismo e il decisionismo. 
Questo decreto è una occasione sprecata e dimostra la incapacità di affrontare i reali problemi delle zone terremotate.

L'elemosiniere elettricista

La vicenda dell'elemosiniere della Santa Sede che con un gesto di solidarietà restituisce la energia elettrica a un intero stabile, ci riporta alla realtà del dramma umano dei senza casa che lottano per vivere di fronte alle difficoltà economiche e sociali. 
C’ė una contraddizione feroce tra l'introduzione del reddito di cittadinanza e di quota cento e rifiutare l'erogazione di energia elettrica a quasi 500 persone tra cui donne, bambini,  disabili in uno stabile pubblico. C’è indifferenza nelle autorità pubbliche che non si domandano le condizioni di vita di quelle persone come se non fosse dovere  dello Stato assicurare una abitazione dignitosa alle famiglie in quello o in un altro posto della città ma comunque prendendosi carico del problema, affrontandoli,  non facendolo marcire nella indifferenza. Il fatto che l'immobile sia di proprietà pubblica ė ancora più grave perché non sono stati lesi diritti di privati. 
Il gesto dell'elemosiniere ė stato un ammirevole atto di coraggio della società moderna. Per chi ha conoscenza delle cose romane e vaticane sa che l'elemosiniere aiutava e aiuta quotidianamente le famiglie in difficolta con elargizioni in denaro per far fronte a ogni necessità: dai viveri alle bollette. Si presentavano al portone di Sant'Anna e ricevevano  il dono dell'elemosiniere. Cinquanta anni fa  quel ruolo lo ricopriva  Mons Venini. Ho ancora nella memoria dei ricordi giovanili quelle visioni. Le disponibilità finanziarie provenivano dalle benedizioni apostoliche che l'elemosiniere firmava con il bollo pontificio. Quindi tutti, i pellegrini,  i turisti,  aiutavano indirettamente i fratelli in difficoltà. 
È uno splendido momento di solidarietà. 
l'elemosiniere ci ha riportato a vedere le situazioni più difficili della società che viviamo con lo sguardo caritatevole e solidale piuttosto che non quello del rancore, dell'odio e della indifferenza.

Elezioni regionali in Piemonte: Mauro Carmagnola è candidato con lo scudo crociato

vedi articolo sul giornale online: Civico 20 news: http://www.bdtorino.eu/sito/articolo.php?id=33006

 

Il 4 marzo non c'è più

 

Il quadro politico uscito dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018 è profondamente mutato.

Certo i numeri parlamentari non sono cambiati, ma i rapporti di forza dopo la sequenza delle elezioni regionali in Abruzzo, in Sardegna e in Basilicata, certamente si.

È cambiata la rappresentanza nella Conferenza Stato Regioni con tutto ciò che può determinare nei confronti del Governo alla vigilia di importanti decisioni sulla autonomia regionale.

In un solo la forza politica del M5S è rapidamente evaporata. In modo repentino. Ha inciso in modo profondo l’incapacità di governo e soprattutto la inadeguatezza di affrontare i reali problemi del Paese a partire da una crescita insufficiente.

 

Ora ci avviamo ad una campagna elettorale per il rinnovo della rappresentanza al Parlamento Europeo. Dopo la Brexit è tempo di aprire gli occhi e di non seguire populismi dannosi e inconcludenti.

 

Le elezioni regionali in Piemonte saranno il vero banco di prova per il centrodestra.

Resta da vedere se si manterrà fede all’accordo sul candidato presidente di scelta Forza Italia o se la Lega vorrà imporre il proprio candidato.

Per la Lega si porrà il problema della autosufficienza o della politica delle alleanze. In questo caso tutto verrebbe rimesso in discussione.

Di fronte a un delirio di onnipotenza dalle urne potrebbero venire sorprese. Nulla è escluso.

Eppure la storia politica del M5S e prima ancora quella di Renzi dovrebbero insegnare qualcosa. Il voto in assenza di partiti, se resta affidato solo alle leadership diventa fluido. I voti così come arrivano, possono andar via con la stessa rapidità, perché gli errori sono dietro l’angolo e a volte diventano irrimediabili.

 

Roma, 25 marzo 2019

Il Tatarellum, un sistema elettorale senza inganni

In Abruzzo i numeri sono lì.  Si torna alle coalizioni omogenee e sui programmi.

Non si possono fare contratti di governo, ma solo contratti elettorali.

Un centro destra vincente con la Lega che fa il grande gesto del cedere il candidato presidente alla lista di Fratelli d’Italia che non ha l’effetto lista del Presidente basti pensare alla lista Legnini che si cifra quasi al 10 per cento. La coalizione di centrodestra avrebbe vinto con un Presidente di qualsiasi lista della stessa aggregazione. La Lega paga bisogno della coalizione per governare nelle Regioni non potendo andare da sola salvo forse in Veneto. Resterebbe da sola come i Cinque  Stelle. Il Pd ha tentato la via delle liste di sostegno per aumentare i consensi. Il tentativo è stato in parte premiato ma resta insufficiente senza la prospettiva di individuare un alleato credibile che aumenti le potenzialità di sviluppo successo che porti la coalizione al traguardo del 40 cento. 
I Cinque stelle da soli, senza coalizione, non vanno da nessuna parte. Pagano i risultati negativi del governo e l’incapacità di affrontare i reali problemi del Paese sia a livelli nazionale che a livello locale. 
Il tatarellum ha contribuito a fare chiarezza tra contratto di governo e contratto elettorale imponendo scelte preventive e evitando inganni postumi. 
Forse è il migliore omaggio per il parlamentare pugliese nell’anniversario della scomparsa

 

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