ARTICOLI E
comunicati 2019 |
IL RITORNO DELLA BALENA BIANCA
articolo di Maurizio Eufemi sul giornalino "Democratici Cristiani" di dicembre 2019
apri "democraticicristiani" dicembre 2019 |
CINQUANTENARIO DELL'ASSOCIAZIONE: IL SALUTO DEL PRESIDENTE
MATTARELLA
Cinquantenario dell’Associazione: il saluto del Presidente Mattarella
Pubblichiamo il testo del telegramma inviato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Presidente Antonello Falomi in occasione dell'Assemblea generale del 17 dicembre :
L'anniversario del cinquantenario di fondazione dell'Associazione ex parlamentari della Repubblica è occasione per segnalare il servizio reso da quanti hanno servito la democrazia italiana svolgendo il mandato loro affidato dai cittadini.
L'identità dell'Associazione è segnata dal ruolo centrale che la Costituzione assegna al Parlamento, espressione della volontà popolare e di quella libertà, conquistata con coraggio e sacrificio nella lotta di liberazione e che ora è affidata alla responsabilità delle Istituzioni, alla partecipazione attiva dei cittadini, ai limiti che l'ordinamento pone a garanzia e tutela dei diritti di ciascuno.
Opportunamente l'attività dell'Associazione è orientata a rafforzare la relazione di fiducia tra cittadini e funzione parlamentare, una relazione che presuppone ed esige che le funzioni pubbliche siano sempre adempiute con disciplina, onore, per servire la comunità.
Il funzionamento e il futuro stesso delle Istituzioni democratiche sono necessariamente basati sulla dignità, il prestigio e al dedizione con cui gli eletti corrispondono alla responsabilità di cui la comunità li ha investiti.
A tutti i dirigenti e ai presenti alla assemblea generale dell'Associazione giungano i migliori auguri per i vostri lavori e per la vostra attività.
Sergio Mattarella
|
MES
Quel dicembre del 1978 dallo SME al MES.
Paragonare il M5S alla Democrazia Cristiana, seppure “con minore consapevolezza e ancora meno capacità di manovra”, come fa Marco Imarisio stamane sul Corriere appare un atto di eccessiva generosositá verso i grillini e una grave offesa alla Dc.
Quaranta anni fa, di questi giorni, il 12 dicembre del 1978 il Parlamento veniva chiamato ad una scelta difficile e di traguardo storico come era l’adesione allo SME. Dunque Mes come SME. quella decisione fu preceduta dal consiglio nazionale della Dc dell’1 e 2 dicembre. L’11 dicembre si riunisce il Direttivo Dc della Camera con il Presidente del Consiglio Andreotti che relaziona sullo SME, ma non anticipa la linea perché sono ancora in corso contatti. Galloni, presidente del Gruppo afferma:” Non illudersi che il non aderire si allontani il calice amaro dei sacrifici. Non vale la pena allontanarci dall’Europa”. Partendo da “una inflazione superiore a quella degli altri Paesi chiedevamo un margine non del 2,5, ma più largo; si é riusciti ad avere il 6 per cento non solo per noi ma per tutti i Paesi che lo chiedevano. Dalla riunione di Bruxelles emergeva una situazione di delusione, ma c’era il dato positivo di un prestito di 5 miliardi di dollari in cinque anni con la limitazione alle sole infrastrutture e non esteso alla riconversione industriale”. Andreotti replica agli intervenuti dicendo che i “contatti proseguiranno nella notte. Appartenere all’Europa di serie A o B non dipende dallo SME, ma dal tasso di deflazione che riusciremo a raggiungere”.
Del resto stare in Europa era inimmaginabile senza convergere sui minori tassi di inflazione delle altre economie così come richiamato dal Piano triennale Pandolfi, Ministro del Tesoro, titolato “una proposta per lo sviluppo, una proposta per l’Europa” con misure programmatiche volte a colmare il fabbisogno di investimenti e la riduzione dei lavori di lavoro con il Mezzogiorno.
Nei suoi diari Giulio Andreotti ricorda come il Partito di De Gasperi “non può mancare di coraggio di fronte a scelte europee”.
Rifiutare quella scelta avrebbe significato per la DC avrebbe significato andare contro la propria storia.
Il 12 dicembre 1978 l’adesione allo SME fu votata alla Camera, con un PCI ancorato ad una visione neutralista. Si aprirono profonde crepe sulla intesa politica DC-PCI.
Pandolfi non mancava di ricordare l’ammonimento di Guido Carli:”si ricordi il vero nemico è il populismo”.
Il 12 dicembre 1978 si va al voto e come affermerà poi Barca nella ricostruzione di quei giorni “senza che nulla ci venga comunicato da Andreotti su una mozione che prevede l’ingresso immediato e pieno”.
Una ricostruzione storica di Castronuovo portò a un giudizio severo per il quale “con il voto contro lo SME suonò come una conferma della immaturità del PCI sul terreno di una politica estera e del rapporto con l’Occidente”. Le vicende di quaranta anni fa pongono il problema di come muoversi nel processo di integrazione europea.
Dunque nei prossimi giorni si avrà la cartina di tornasole di chi vuole stare in Europa e di chi invece privo di cultura europeista spinge sulla paura e sul catastrofismo, per lo scivolamento su una posizione terzomondista carica di rischi e di pericoli.
La Dc seppe dimostrare coraggio nelle gradi decisioni politiche dalla CEE allo SME, dall’atto unico al trattato di Maastricht, dall’euro al fondo salva stati e a tanti altri passaggi che richiedono responsabilità piuttosto che populismo a basso costo.
Accostare il M5S alla DC è una offesa alla storia non solo di quel Partito, ma a quella del nostro paese per la straordinaria crescita economica, sociale e civile del Paese realizzata con il concorso rilevante dei democristiani.
Maurizio Eufemi
L'articolo è stato pubblicato sul giornale "Il domani d'Italia" ed è rintracciabile al seguente iindirizzo:
http://www.ildomaniditalia.eu/quel-dicembre-del-1978-dallo-sme-al-mes/ |
Quel che Conte non ha detto su Taranto.
Il presidente del consiglio è andato a Taranto a incontrare i cittadini, associazioni, sindacati, movimenti. È stato un gesto di umiltà apprezzato dai commentatori e dalla opinione pubblica. Non può però dire che non ha la soluzione e chiede che gli stessi Ministri gli offrano indicazioni. Di fronte alla situazione drammatica di Taranto con il rischio di chiusura e spegnimento degli altiforni del quarto centro siderurgico italiano un governo che nasce con la prospettiva della scadenza naturale della legislatura deve avere ben chiaro cosa deve fare. Avrebbe dovuto innanzitutto procedere con un consiglio dei ministri per rimettere d’urgenza lo scudo penale! Avrebbe eliminato immediatamente alibi ai gestori degli impianti. Pensare di ingaggiare una battaglia giudiziaria tra Stato e Ancelotti Mittal significa, con i tempi della giustizia italiana, vincere forse una battaglia tra chissà quanto tempo, ma perdere la guerra della siderurgia, mettendo in ginocchio non solo l’economia di Taranto, ma della intera filiera della meccanica che coinvolge numerosi distretti industriali.
Quello che Conte non ha detto è una rappresentazione della realtà che non sono solo i numeri del Pil in discussione ma il futuro degli impianti, la loro riconversione con fonti energetiche a gas piuttosto che a carbone, i volumi produttivi, sia per il mercato domestico che per quello internazionale soprattutto per l’area del mediterraneo e per le prospettive di ricostruzione in Mesopotamia e in Libia. Uno dei punti di forza della produzione di Taranto erano i tubi per oleodotti e gasdotti, proprio quelli che i sognatori della decrescita felice e della coltivazione delle cozze, vorrebbero impedire. !
Quello che Conte non ha detto è il futuro dell’area tarantina nella economia del Mezzogiorno e nel Paese. Cosa che fece magistralmente Aldo Moro che, da Presidente del Consiglio, presenzió alla inaugurazione del polo siderurgico di Taranto come riporta il Popolo il 20 novembre 1964, come strumento essenziale dello sviluppo meridionalistico. C’erano gli effetti moltiplicativi dello sviluppo, aumento della occupazione manifatturiera, crescita dei redditi. C’era un contesto fatto di impresa a partecipazione statale, la politica meridionalistica, la diffusione delle infrastrutture con la autostrada Adriatica Bologna - Bari,l’asse Bari Napoli, l’autostrada del Sole, un insieme integrato per ridurre il costo di trasporto e favorire gli scambi Nord - Sud sia dei prodotti industriali che di quelli agricoli. In quegli stessi anni nasce sempre lì, cementificio Cementir. Il polo siderurgico non nasce a caso. Trova ancoraggio nella legge per il mezzogiorno presentata da Antonio Segni e da tutti i Ministri, la 634 del 1957, approvata in pochi mesi, che offre gli strumenti con i consorzi e le direttive di sviluppo industriale. Relatore di maggioranza fu Michele Marotta mentre quello di minoranza Giorgio Napolitano che nella visione della sinistra, offrì un contributo di proposte positive nella elaborazione della legge.
Questo era il contesto. Poi la storia è stata demonizzata con la cancellazione delle politiche meridionalistiche e delle partecipazioni statali in nome della ideologia liberista. Oggi i post ideologici vorrebbero utilizzare la cassa depositi e prestiti senza neppure i controlli del Parlamento così come avveniva correttamente in presenza di intervento pubblico in economia. Ma mancano le idee e soprattutto una visione di insieme così come aveva indicato Moro per il
quale il “sistema economico meridionale non è più una appendice inerte da sollecitare con scelte per così dire “esogenere” al sistema stesso, ma, autopropulsivo, sempre più integrato nella economia nazionale”.
Non a caso quell’intervento di Aldo Moro fu titolato da Giuseppe Rossini nel volume terzo degli Scritti e Discorsi così: Democrazia e progresso sociale |
VIA ALLA FEDERAZIONE
POPOLARE DEI DEMOCRATICI CRISTIANI FIRMATO IERI L’ATTO
COSTITUTIVO DEL NUOVO POLO DI CENTRO TRA TUTTI GLI EREDI DELLA
DC
E’ stato firmato
ieri a Roma l’atto costitutivo della FEDERAZIONE POPOLARE DEI
DEMOCRATICI CRISTIANI. Per la prima volta i partiti, le
associazioni e i movimenti che si ispirano al valore primario
dell’umanesimo cristiano si uniscono in un comune progetto
politico. Con l’obiettivo di dare vita ad un partito centrista
che recuperi la cultura politica e l’identità che sono il
presupposto della democrazia.
Il nuovo soggetto
politico unitario punta a superare la diaspora e le divisioni
che in questi lunghi anni hanno compromesso una presenza
culturale e politica nel nostro Paese ed a costituire una vera
alternativa all’estremismo di destra e al populismo che si
impone per la mancanza di un riferimento valoriale forte come
quello del popolarismo.
Presieduta dall’on
Giuseppe GARGANI, l’assemblea ha approvato il documento con cui
nasce la federazione di centro sottoscritto dagli on. Lorenzo
CESA (UDC), Mario TASSONE (NCDU), Renato GRASSI (DC), Paola
BINETTI (Etica e Democrazia), Ettore BONALBERTI (associazione
liberi e forti) Maurizio EUFEMI (Associazione Democratici
Cristiani) unitamente a parlamentari, e 40 rappresentanti di
associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica, del
volontariato e della famiglia.
La nuova formazione
si ispira ai valori dell’umanesimo cristiano e vuole inserirsi a
pieno titolo nel PPE, in alternativa alla deriva nazionalista e
populista.
Nel deserto delle
culture politiche che caratterizzano la politica italiana,
prende finalmente avvio un progetto di ricomposizione dell’area
politica cattolica popolare, aperta alla più ampia
collaborazione con le forze disponibili alla difesa e integrale
attuazione della Costituzione repubblicana.
I firmatari del
documento costituiscono il Comitato provvisorio della
Federazione che è aperta all’adesione di movimenti, di
associazioni, che si ispirano al popolarismo. Nei prossimi
giorni verranno organizzate in tutta Italia iniziative regionali
e locali per presentare l’iniziativa e strutturarla sul
territorio, mentre i membri promotori lavorano ad un’ASSEMBLEA
COSTITUENTE che approverà il programma, il nome, il simbolo e
gli organi dirigenti della Federazione a conclusione delle
adesioni nazionali e territoriali.
“Solo se saremo
uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“ (Alcide
De Gasperi)
|
SIGLATO A ROMA IL PRIMO
PATTO FEDERATIVO TRA TUTTI GLI EREDI DELLA
DEMOCRAZIA CRISTIANA
ROTONDI,
BINETTI, GARGANI, TASSONE, GRASSI, BONALBERTI,
CESA E FIORI ANIMANO IL COMITATO PROVVISORIO
CHE LAVORA ALLA PRIMA ASSEMBLEA COSTITUENTE
DELLA FEDERAZIONE CHE SI ISPIRA
AI VALORI DELL'UMANESIMO CRISTIANO.
Centro di Cultura e di
Iniziativa Politica
“ Leonardo da Vinci”
Da: Centro Studi Leonardo da
Vinci
Via della Colonna Antonina
36, Roma
Tel 06.6794253
COMUNICATO STAMPA
VIA AL NUOVO POLO DI CENTRO,
SIGLATO A ROMA IL PRIMO PATTO FEDERATIVO TRA
TUTTI GLI EREDI DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA
Si è costituita ieri,
mercoledì 30 ottobre a Roma presso il Centro
studi Leonardo da Vinci la FEDERAZIONE
TRA I PARTITI E I MOVIMENTI CHE SI ISPIRANO
ALLA TRADIZIONALE POPOLARE DELLA DC:
hanno aderito 25 organizzazioni che si sono
dati come programma la preparazione di un
nuovo soggetto politico unitario per
superare la diaspora e le divisioni che in
questi lunghi anni hanno compromesso una
presenza culturale e politica nel nostro
Paese.
I firmatari del documento
come manifesto politico della federazione,
sono consapevoli della particolare
situazione politica che attraversa il paese
e della presenza di una destra estrema,
eversiva e xenofoba che si è sviluppata per
la crisi che ha attraversato il centro e la
sinistra.
Con l’incontro svoltosi si
mette la parola fine alla diaspora
democratico cristiana durata oltre
venticinque anni.
Presieduta dall’on Giuseppe GARGANI,
l’assemblea ha approvato il documento con
cui nasce la federazione di centro
sottoscritto dagli on. Lorenzo CESA (UDC),
Mario TASSONE (NCDU),
Renato GRASSI (DC),
Gianfranco ROTONDI (Forza
Italia), Publio FIORI (Rinascita
popolare), Paola BINETTI (Etica
e Democrazia), Ettore BONALBERTI (associazione
liberi e forti) unitamente a parlamentari, e
25 rappresentanti di associazioni, movimenti
e gruppi dell’area cattolica, del
volontariato e della famiglia.
La nuova formazione si ispira
ai valori dell’umanesimo cristiano e vuole
inserirsi a pieno titolo nel PPE, in
alternativa alla deriva nazionalista e
populista.
Nel deserto delle culture
politiche che caratterizzano la politica
italiana, prende finalmente avvio un
progetto di ricomposizione dell’area
politica cattolica popolare, aperta alla
partecipazione di movimenti, che si ispirano
al popolarismo per la difesa della
Costituzione.
I firmatari del documento
costituiscono il Comitato provvisorio della
Federazione. Nei prossimi giorni verranno
organizzate in tutta Italia iniziative
regionali e locali per presentare
l’iniziativa e strutturarla sul territorio,
mentre i membri promotori lavorano ad un’ASSEMBLEA
COSTITUENTE che
approverà il programma, il nome, il simbolo
e gli organi dirigenti della Federazione a
conclusione delle adesioni nazionali e
territoriali.
“Solo se saremo uniti saremo
forti, solo se saremo forti saremo liberi“
(Alcide De Gasperi)
Via Colonna Antonina,35 –
00186 – Roma
Tel. 06.6794253 – Fax
06.6790868
Testo del Patto
I sottoscritti
consapevoli
della particolare situazione
politica che attraversa il paese dopo la
costituzione di un governo di
emergenza tra due gruppi politici non
omogenei il PD e
cinque stelle e della
esigenza di superare il “nazionalismo” e
l’antieuropeismo che si
erano affermati dopo le
elezioni del 2018;
consapevoli
che la scomposizione dell’
attuale assetto politico possa portare alla
costituzione di nuovi
soggetti politici capaci di superare le
incertezze e le patologie che
abbiamo patito in questi
anni;
consapevoli
che la novità in Italia e in
altri paesi europei vi è la presenza di una
destra
eversiva e xenofoba che si è
sviluppata per la crisi del centro e della
sinistra;
consapevoli
che per queste ragioni è
urgente superare le attuali formazioni
politiche
che si richiamano alle
posizioni di centro politico per una nuova
aggregazione e quindi
un nuovo soggetto politico
RITENGONO
che nel ricordo di un monito
a tutti noto di Alcide De Gasperi “ solo se
saremo uniti
saremo forti, solo se saremo
forti saremo liberi“, si debba con urgenza
costruire un
nuovo centro politico
cristiano democratico, popolare, liberale e
riformista, come il
naturale argine alle
posizioni radicaleggianti di sinistra e alle
posizioni sovraniste e
populiste, per affermare i
valori democratici e liberali;
invitano
tutti coloro che si
riconoscono in questi principi e in questi
valori ad aderire al
costituendo “Polo di Centro”
per dar vita con urgenza ad un patto
federativo e per
seguire una comune linea
politica che sarà indicata dagli organi
della
federazione;
propongono
che le associazioni e i
partiti politici, che aderiscono alla
federazione,
possano conservare per
intanto la loro attuale individualità
giuridica e politica, restando
vincolati dal comune impegno
a rispettare le norme contenute nel patto
federativo e da
quelle che saranno approvate
dai costituenti organi della Federazione;
propongono
che le singole associazioni e
singoli partiti politici siano
rappresentati,
all’interno della
federazione, dai propri segretari politici e
responsabili delle associazioni,
o loro delegati, capaci di
esprimere, in seno all’organismo comune, la
volontà del proprio
gruppo;
propongono
in occasione della prima
riunione del consiglio della federazione,
che i
singoli aderenti esprimano la
loro proposta per la formazione di un
simbolo unitario da
adottare a maggioranza
qualificata e da presentare alle prossime
elezioni comunali
regionali e nazionali nel
quale tutti si possano riconoscere;
auspicano
che venga approvata una legge
elettorale proporzionale unica legge
democratica, che chiuderebbe
la lunga fase di transizione che ebbe inizio
negli anni 90
con la legge cosiddetta
“mattarellum”, e che oggi impone di ridare
identità ai gruppi
politici e protagonismo
all’elettore.
Letto, condiviso e
sottoscritto dal 24 /09/2019 al 15/10 /2019
Giuseppe Gargani (DC)
Filiberto Palumbo (ex comp.
C.C.)
Mario Tassone (NCDU)
Lorenzo Cesa (UDC)
Antonino Giannone (Circoli
Insieme)
Renato Grassi (DC)
Gianfranco Rotondi (FI)
Giuseppe Rotunno (Civiltà
dell’Amore)
Ettore Bonalberti (ALEF –
Associazione Liberi e Forti)
Publio Fiori (Rinascita
Popolare)
Maurizio Eufemi (Associazione
Democratici Cristiani)
Mauro Scanu (Iniziativa
Cristiana)
|
Sisma:
Ussita non può finire come il Belice
Sabato 5 ottobre ore 10,30
Dobbiamo ringraziare quanti
hanno voluto raccogliere il nostro invito per una riflessione libera,
senza condizionamenti sullo stato della ricostruzione nelle aree del
sisma del centro Italia e a Ussita in particolare.
Alcune considerazioni
introduttive.
Abbiamo fatto la nostra
parte anche manifestando a Montecitorio in una piovosa giornata di
maggio.
Dobbiamo vincere la
rassegnazione di chi non crede più a nulla, alle promesse ripetute.
Respingiamo le critiche di quanti ormai dicono non c’è più nulla da dire
e da capire, perché è chiara la strategia dell’abbandono. Non a caso
abbiamo richiamato il terremoto del Belice, per i ritardi cinquantennali
nella ricostruzione con le contraddizioni di anfiteatri e strade
inutili.
L’iniziativa è stata assunta
dalla lista Ussita insieme per la ricostruzione che ha tenuto sempre
alta l’attenzione sul post terremoto con una battaglia democratica,
nelle sedi istituzionali, nel consiglio comunale, con iniziative e
evidenziando lacune, contraddizioni. La stella polare è stata la
legalità e la trasparenza.
La politica non si fa con i
comunicati stampa. Si fa verificando i risultati giorno per giorno,
incontrando le persone, ascoltando anche quando questo è disagevole. Per
questo voglio ricordare i presenti che hanno sottratto tempo alla
famiglia a quasi tre anni dalla seconda grande scossa di fine ottobre
2016. Un pensiero va anche a quanti ci hanno lasciato, a quanti soffrono
disagi incalcolabili e a quanti sono stati colpiti nella malattia.
L’incontro fortemente voluto
perché a Ussita scelte incaute hanno portato al fallimento delle giunte
comunali. I risultati sono sotto i vostri occhi. Una ricostruzione che
non decolla. Né possiamo aspettarci molto da una gestione commissariale
in comune. Nei giorni scorsi è atterrato e passato il Presidente del
Consiglio, peraltro senza neppure fermarsi ad incontrare la popolazione
che vive nelle casette SAE, ma nell’incontro di Castello, molti comuni
hanno fatto sentire la loro voce, ma il Comune di Ussita era afono del
rappresentante della comunità. Non può essere un rappresentante
prefettizio capace di richiamare e risolvere i problemi che sono di
tutta evidenza.
Che dire poi di un incontro
che è stato silenziato, nel senso che la stampa non è stata ammessa ad
ascoltare le prese di posizioni dei sindaci, quali rappresentanti delle
comunità.
Sono molte le cose che non
vanno.
La nomina a Presidente del
Parco dei Sibillini di un docente universitario specializzato in
veterinaria non ci entusiasma, quasi che si volesse privilegiare
l’ambiente animale con lupi, orsi, cinghiali ad una visione
antropologica del parco favorendone uno sviluppo in cui la persona umana
sia protagonista. Siamo allo sviluppo imposto e non partecipato o
proposto. Si afferma la mera conservazione senza un nuovo sviluppo che
porti ad funzione razionale e antropologia delle risorse umane. Quale è
il ruolo delle comunità. Azioni utili tra chi vie in montagna, chi vive
di montagna e chi vive per la montagna.
E’ stata richiamata la legge
per la montagna del 94 che trova un ancoraggio nell’articolo 44 comma 2
della Costituzione per iniziativa di quel grande costituente che fu
Gortiani di Tolmezzo un geologo, passato alla storia non certo come
Farabollini che ha atteso 10 mesi per nominare della commissione di
esperti, il cts.
Per non parlare delle
ordinanze osservate dalla Corte dei conti, la 80, 84, 85,86 autentico
capolavoro della burocrazia, di cui sono state chieste modifiche tanto è
che il commissario ha dovuto sospendere. La ordinanza 80 modificava ben
14 ordinanze precedenti a cominciare dalla 4 del novembre 2016,
revisionata una decina di volte. Non stiamo scherzando. Questo è il
pasticcio cui di troviamo dinanzi. Dobbiamo ringraziare Mario Sensini e
Sibilla on line per l’accuratezza con cui indaga sul terremoto.
La zona franca va benissimo
ma è a un livello di governo nazionale e comunitario che finisce per
appartenere al libro dei sogni.
L’opacità del sito
dell’Ufficio Speciale Ricostruzione è di tutta evidenza. Non è stata
fatta una distinzione reale per province, ma dentro Macerata hanno
inserito Ancona e Pesaro Urbino e dentro Ascoli, la provincia di Fermo.
Quasi a volere nascondere qualcosa.
Non vengono indicati
quotidianamente i progetti approvati così da vedere il reale stato di
avanzamento. Perché non viene messo un contatore dinamico delle
pratiche, dei finanziamenti, del volume finanziario del validato e di
quanto resta.
Assistiamo al paradosso che
i comuni dell’area focale sono in forte ritardo. Tolentino ha avuto 58
milioni per la ricostruzione privata, con 128 pratiche di ricostruzione
pesante, 108 delocalizzazioni, 145 ricostruzione leggera, rispetto a
Caldarola 11 milioni, Matelica 16 milioni e San Severino 28 milioni. Non
vuole e non deve essere una guerra tra poveri, ma solo una verifica.
Da una analisi effettuata è
emerso che i più forti ritardi si registrano nelle aree più colpite dal
sisma:
fino a 10 km dall’epicentro
376 pratiche presentate e contributi erogati 10.817.306;
tra 10 e 25 km pratiche
1.495 e contributi 68.607.587
tra 26 e 42 km pratiche
2.961 e contributi per 169.734.092;
tra 43 e 55 km pratiche
2.217 e contributi 165.368.426;
tra 56 e 73 km pratiche 958
e contributi per 40.899.608; tra 74 e 95 km pratiche 117 e contributi
4.024.538; tra 96 e 12 km pratiche 4 e contributi erogati 0.
Abbiamo riscontrato
positivamente come il comune di Sarnano offra, a metà luglio, un
trasparente quadro delle pratiche di ricostruzione privata: 209 pratiche
presentate, 177 verificate, 32 in attesa di ammissibilità, e poi quelle
rigettate, quelle in istruttoria, i decreti di concessione, il totale
dei finanziamenti 8,206 milioni e le 54 pratiche all’u.s.r.
Quindi un plauso al sindaco
di Sarnano.
Al Presidente Pirozzi vorrei
segnalare una contraddizione della Regione Lazio. Lo sa Presidente che
nel Lazio si paga una tassa sismica per i loculi cimiteriali pur essendo
i cimiteri luoghi pubblici e la tassa viene fatta pagare anche se
l’indagine geologica è stata ormai acquisita? Forse questo balzello
andrebbe soppresso.
E’ semplice e facile
chiudere le zone rosse, ma la più coraggiosa avrebbe dovuto prevedere
una selezione, una accurata verifica della situazione. Forse ci si
illudeva che quello era il modo, un metodo vecchio, per avere più
risorse.
Poi ci sono le problematiche
delle chiese. Ma tutti noi sappiamo che non sono la priorità. Le chiese
delle 10 frazioni erano sostanzialmente chiuse. Quella autenticamente
attiva era la Pieve. I beni ecclesiastici hanno un percorso separato, ma
anch’esso irto di ostacoli. Scontano l’insufficienza del personale
preposto alla sovrintendenza di Macerata che si trova a gestire un
volume di pratiche superiore alle forze disponibili.
Per Ussita iI file dell’USR,
verificato al 20 settembre 2019 nelle sue 239 pagine presenta 2818
progetti approvati sui 5255 pari al 53, 62 per cento. Per Ussita 15
progetti approvati dei 67 presentati, di cui n. 6 categoria 9, n. 7
categoria 4 e n. 2 di categoria 19 per un finanziato di 2.892 milioni
praticamente quasi tre milioni di cui la metà vanno a due progetti.
Poi si potrebbe parlare di
tante altre cose, come lo stoccaggio delle macerie creando dei siti
intermedi rispetto all’area focale, il problema del calcolo dei
contributi rispetto alla superficie lorda e netta in conseguenza nei
nuovi materiali utilizzati, l’opportunità di dedicare personale della
USR alle aree focali e alle perimetrazioni, la sollecitazione agli
interventi a protezione delle frazioni a rischio, sia con mitigazioni
delle acque che con rimboschimenti e molto altro.
Credo che la mia
introduzione possa finire qui. Voleva essere solo una provocazione
suscitando le vostre riflessioni arricchendo il dibattito con ulteriori
stimoli a individuare quelle indicazioni utili a rimuovere le macerie di
una ricostruzione che non decolla.
Siamo troppo legati a questi
luoghi per appartenere al partito della strategia dell’abbandono. Fare
presto. Il meglio è nemico del bene.
Ussita 5 ottobre 2019
|
Commemorazione di Renzo Patria
Associazione degli
ex Parlamentari della Repubblica
IN RICORDO DI RENZO PATRIA
Giovedì, 17 ottobre 2019
Ore 15,30
Sala Aldo Moro
Piazza Montecitorio – Roma
Saluto dell’on. Gregorio Fontana Questore della Camera dei Deputati
Intervengono: on. Antonello Falomi Presidente dell’Associazione Ex
Parlamentari
Prof. Giulio Alfano
On. Gerardo Bianco
On. Maurizio Eufemi
Dott. Fabrizio Palenzona
Testimonianze
---------------------------------------------------
R.S.V.P: 06/67603170 – 3139
E mail: ass_ex_parlamentari@camera.it
L’accesso alla sala - con abbigliamento consono e, per
gli uomini, obbligo di giacca e cravatta - è consentito
fino al raggiungimento della capienza massima
-------------------------------------------------
Intervento del sen. Maurizio
Eufemi:
E’ difficile
ricordare in pochi minuti una amicizia lunga quaranta anni, fin da
quando, Renzo entrò a Montecitorio nel lontano 1979.
C’è il rischio che le
emozioni, i ricordi personali, i sentimenti prevalgano sulla ragione e
su una lettura meditata dei passaggi della vita, soprattutto se lo
facciamo in questa Sala per noi così carica di ricordi.
La vita parlamentare di
Renzo Patria si intreccia con la mia, che seguivo per il Gruppo
parlamentare l’area economica. Renzo Patria fu sempre componente della
Commissione Finanze e Tesoro, fino a diventarne Presidente nella XIV
legislatura.
Per quindici anni abbiamo
condiviso scelte politiche, avvenimenti di vita parlamentare e quelli
personali. Era una vita parlamentare intensa, fatta di tanti momenti di
vita comune che terminavano ben oltre gli orari delle sedute.
Aveva competenze specifiche
che gli venivano riconosciute e che venivano valorizzate nell’esame dei
provvedimenti in particolare sulla finanza locale, sul fisco, sulla
Amministrazione finanziaria, sui quali spesso veniva chiamato a svolgere
il ruolo di relatore, così come sul bilancio dello Stato dove non
mancava di intervenire. Era in fondo il riconoscimento della sua
specializzazione, delle sue competenze, delle sue relazioni e della sua
sensibilità in una Commissione dove era forte la professionalità dei
suoi componenti. Era la commissione per citare dei nomi, degli Usellini,
dei Citterio, dei Fiori, degli Azzaro, di De Cosmo, dei Rubbi, ma anche
di Felice Borgoglio, Spaventa, D’Alema padre, Sarti Armando, Vincenzo
Visco e tanti altri, dove il confronto delle posizioni era di alto
livello e dove la sensibilità politica doveva essere coniugata con la
competenza. Le sue iniziative legislative guardavano ai settori prima
ricordati, ma non mancava di porre attenzione al territorio dove il suo
legame era forte, sia con la previsione di sezioni distaccate delle
Corti di Appello, e per l’Università Sud Orientale, così come per i
compendi pubblici da destinare all’ente locale come l’ex ospedale
militare e l’ex caserma San Martino, valorizzando il decentramento e la
vicinanza su aspetti fondamentali come la giustizia e la Istruzione,
come esigenza dei giovani e dei cittadini rispetto alla “lontana
Torino”.
Nell’ambito fiscale
sottolineò con anticipo, anche per la sua esperienza di amministratore
locale la “spinta al riordino della imposizione del settore immobiliare
e norme severe in materia di responsabilità per il dissesto”. Ribadiva
come “la mancanza di autonomia impositiva e l’insoddisfacente impianto
normativo porta a difficoltà di gestione”. Era una risposta alla
esigenza e alle spinte che stavano maturando, anche con fratture
politiche, per l’autonomia sostanziale degli enti locali. Tutto questo
con largo anticipo rispetto alle concrete innovazioni nell’ordinamento.
Il suo impegno parlamentare sui problemi ambientali è contrassegnato
dalla lunga azione sull’Acna di Cengio e sulla Val Bormida che lo
coinvolgerà con numerosi atti di sindacato ispettivo nella decima
legislatura.
Soltanto alcuni anni dopo,
nel 1994, si arriverà alla istituzione della commissione monocamerale di
inchiesta.
Interpellanze, mozioni
parlamentari erano seguite passo dopo passo, non azioni estemporanee, ma
con la piena consapevolezza dell’obiettivo da raggiungere anche
attraverso un confronto duro con il suo partito la DC, con la stessa
maggioranza e con il Ministro dell’Ambiente Giorgio Ruffolo. Gerardo
Bianco in quel tempo Vicepresidente della Camera dovrebbe ricordare una
di queste sedute movimentate. Muovevano i primi passi le politiche di
compatibilità ambientali per l’assenza di controllo nei decenni nelle
produzioni inquinanti. Sottolineò la necessità di prevedere processi di
risanamento per rendere compatibili le produzioni con l’ambiente e di
istituire autorità ambientali, perché i rischi ambientali superano i
confini amministrativi delle provincie e delle Regioni e degli Stati. E’
stato così per Chernobil come per le fabbriche della Germania Est che
inquinavano le foreste della Baviera. Era così per la Val Bormida. In
una occasione la sua penetrante attenzione ai testi in discussione gli
fece scoprire che un punto del dispositivo della mozione Matulli, quindi
del responsabile Ambiente del suo partito, era scomparso nel testo in
votazione. Non era cosa di poco conto perché prevedeva di “assicurare
che nessuna attività produttiva sia avviata prima che venga attivato
integralmente il monitoraggio” ( di cui al punto 2). Un vero e proprio
giallo. La sua Mozione non fu approvata. Rimase fermo sulla sua
posizione, ma fu un alto momento tra i partiti e all’interno della
stessa DC dove il confronto democratico era un valore assoluto.
Lo studio di quei problemi
ambientali lo portò a presentare trenta anni or sono una iniziativa di
riforma della Costituzione per la tutela dell’ambiente, del paesaggio, e
il patrimonio storico della nazione per promuovere la collaborazione
internazionale per la salvaguardia dell’ecosistema. Sono questioni
recentemente richiamate dal Presidente del Consiglio Conte nelle recenti
dichiarazioni programmatiche di agosto. Metteva la persona umana al
centro degli interessi per la salubrità degli ambienti di vita e di
lavoro.
La sua iniziativa
costituzionale per la detrazione fiscale delle spese per l’istruzione
eliminando la sperequazione tra istituti pubblici e privati si muoveva
all’interno della cornice costituzionale degli articoli 33 e 34 della
Costituzione.
Ma è sul bilancio interno
che emergeva la sua sensibilità istituzionale. In un suo intervento del
1983 non v’era solo il riconoscimento formale della Presidenza Iotti,
per le grandi trasformazioni della Camera dei Deputati in atto come la
creazione dell’Ufficio di Bilancio, una innovazione specifica, come
strumento di valutazione della spesa e la creazione della struttura per
la redazione dei testi legislativi o come il trasferimento della
biblioteca e la sua trasformazione in Biblioteca di ricerca. Non mancava
di sottolineare la “urgenza di recuperare la centralità del Parlamento”.
Quel Parlamento che oggi si vuole limitare nelle sue funzioni di
rappresentanza e con idee strampalate sulla democrazia diretta.
Poi nell’ultima sua
legislatura quella dal 2001 al 2006 voglio ricordare la sua azione in
difesa del ruolo e della funzione delle Banche popolari e di credito
cooperativo, come fu attivo protagonista, quando il Paese fu
attraversato da scandali finanziari, nella indagine conoscitiva sui
rapporti tra le imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio
che portò alla definizione di una buona legge, la 262 del 2005, che
ancora oggi riscontra notevoli apprezzamenti, per le profonde
innovazioni nelle infrastrutture normative introdotte a tutela dei
risparmiatori.
Auspicò come “adempimento al
dovere del legislatore di accendere un faro che indichi la strada per la
ricostruzione di una etica finanziaria” come sollecitato da Ciampi, ma
al tempo stesso “la politica doveva recuperare un ruolo primario se non
vogliamo – disse – che la finanza e i poteri forti siano essi a dettare
l’agenda anche alle Istituzioni elettive”. Come sono attuali queste
parole!
Aveva la grande
preoccupazione di evitare il rischio di far ricadere sulle Istituzioni
la crisi che colpiva i partiti politici nei primi anni novanta “pena
l’irreparabile decadenza della nostra democrazia”. La tutela delle
condizioni di vita e di lavoro dei deputati non poteva, secondo Renzo
Patria, essere intesa “quale tutela di privilegi individuali e
corporativi, ma va ricondotta nell’ambito suo proprio e cioè di
garanzia della funzione di rappresentanza popolare che i membri del
Parlamento esercitano”. “Delegittimare il Parlamento significa
sconfiggere la sovranità popolare facendo prevalere con la piazza
minoranze velleitarie e violente ma non per questo meno pericolose per
le sorti della democrazia del nostro Paese.
Sapeva ascoltare i fermenti
della società civile. “Sarebbe semplicistico e colpevole - disse in Aula
- se ignorassimo le domande, e non ci accorgessimo della profondità
della crisi che è di identità e di credibilità dei nostri
comportamenti”.
Riteneva preminente
l’obiettivo di restituire le Assemblee legislative alle loro finalità
più vera, la sede nella quale si operano scelte nell’interesse dei
cittadini.
Nei suoi interventi sul
bilancio interno della Camera, per la sua sensibilità, poneva
particolare attenzione alla “condizione del parlamentare” per renderlo
sempre più libero dai condizionamenti dei partiti e dei Gruppi. Difese
l’autonomia amministrativa della Camera, esprimendo preoccupazione per
le insidie che si manifestavano verso il personale della Camera.
Rifiutava il concetto di
Camera come “azienda”.
Per Renzo
“l’amministrazione della Camera non è altro che uno degli strumenti
attraverso i quali l’ordinamento ha inteso garantire
all’Istituzione-Camera le condizioni necessarie di autonomia per il
pieno esercizio delle proprie funzioni costituzionali. Efficienza ed
economicità di gestione non possono costituire per la Camera dei valori
assoluti, ma vanno perseguiti entro i limiti dell’interesse generale al
complessivo funzionamento delle Istituzioni rappresentative”. L’Ufficio
di Presidenza e il Collegio dei Questori sono chiamati a svolgere nella
loro qualità di organi collegiali di direzione politica funzioni che
nulla hanno in comune con i consigli di amministrazione operanti nelle
realtà aziendali.
Nel suo agire quotidiano
portava avanti l’idea e i valori degasperiani della Democrazia
Cristiana. Forte era la sua Fede democratica. Sentiva profondamente il
contatto con il mondo cattolico da cui era stato formato. Ripeteva
“dobbiamo ripartire dagli oratori e dalla società civile”. Nella
diaspora non cancellò le amicizie, ma mantenne rapporti cordiali senza
rancori.
L’associazionismo nelle sue
varie forme e articolazioni era il momento per portare avanti insieme le
idee. Fino all’ultimo istante è stato protagonista nella Associazione
Democratici Cristiani dove mi volle fortemente.
Dopo le esperienze
parlamentari non abbandonò la politica ma si dedicò con impegno nella
vita degli ex parlamentari per tredici anni di cui otto anni con
responsabilità comuni con Gerardo Bianco e poi con Antonello Falomi.
Abbiamo avuto altri intensi momenti di vita vissuta. Nella Associazione
ha potuto traslare tutta la sua esperienza nella gestione quotidiana dei
problemi grandi e piccoli, anche rispetto all’ondata di populismo e
antipolitica, soprattutto nella valorizzazione di un corpo intermedio
con le sue regole ancorate ai valori costituzionali, che non erano un
retaggio del passato, ma la stella polare dell’agire quotidiano.
Ha partecipato con
entusiasmo alla promozione di iniziative su tutto il territorio
nazionale, da Napoli sui temi del Mezzogiorno e Milano per l’Expo, fino
a Torino per l’anniversario dei 150 anni della unità di Italia. Portava
la sua esperienza istituzionale, quindi con una conoscenza profonda
dell’Istituto parlamentare proprio mentre più forti si diffondevano i
germi dell’antipolitica e avanzava l’odio sociale contro il Parlamento
con una campagna antisistema volta a ridurne ruolo e funzione, Queste
erano preoccupazioni in lui ben presenti e non mancava di sottolinearle
quotidianamente.
Renzo Patria apparteneva
alla categoria dei parlamentari seri, fortemente impegnati nel duro
lavoro parlamentare sia d’ Aula che di Commissione, profondamente legato
al suo territorio, alla Sua Frugarolo, alla Sua Alessandria, al Suo
Piemonte; era una presenza quotidiana e costante perché legata ai
principi del “proporzionale” che non ammetteva fughe dagli elettori, ma
contatti quotidiani, permanenti.
In venti anni di presenza in
Parlamento, i numeri di Renzo Patria offrono un quadro rappresentativo
di 900 progetti presentati, di 692 atti di indirizzo e di 162
interventi in Aula e nelle Commissioni. La difesa del Parlamento era a
tutto tondo. Per Renzo Patria anche “il parlamentare che ha cessato la
funzione in considerazione dell’attività resa debba avere sempre il
rispetto del rango che gli compete nelle pubbliche manifestazioni, così
come peraltro accade quando responsabile della organizzazione è il
cerimoniale del Quirinale”.
Volle dotare la nostra
Associazione del proprio vessillo come simbolo di unità e di
rappresentanza perché nelle manifestazioni ufficiali fossimo presenti
con il coraggio e l’orgoglio della nostra storia senza distinzioni
partitiche.
Non si rassegnava alle
spinte verso la cancellazione della memoria e fino all’ultimo ha difeso
le proprie idee i valori per i quali ha lottato nella sua vita.
Roma, 17 ottobre 2019 -
Sala Aldo Moro - Montecitorio
----------------------------------------------------------------
|
Incontro - dibattito su USSITA
|
Una finta flat tax
Sta avanzando la proposta di una flat tax sui redditi incrementali.
Si tratterebbe di rispolverare una vecchia idea dei FdI. Del resto
questo partito è ormai stampella del governo. Ma evitino di
spacciarla per flat tax. È una cosetta molto mini che va nella
stessa direzione della flat fino a 65 mila euro per le le partite
iva. Anzi andrebbe ancora a loro perché la categoria del reddito
fisso, sia dipendenti che pensionati non ha, anno su anno, rilevanti
incrementi di reddito tali permettere grandi guadagni fiscali, così
da giustificare una flat tax che violerebbe il principio di
uguaglianza e di proporzionalità. Per i dipendenti c’è già la
tassazione per i premi di produttività. Sono riformicchie che
guardano a pezzi di elettorato delle forze di governo piuttosto che
alla generalità dei cittadini con un linguaggio di chiarezza e di
trasparenza come sarebbe necessario.
È solo un modo per poter dire che è stata introdotta la flat tax ad
uso dei social, dei Twitter e di Facebook, senza misurarne gli
effetti concreti e soprattutto senza rilevanza, con limitatissimi
effetti sulla finanza pubblica e quindi praticabile senza obiezioni
a Bruxelles. Con questa finta riforma i conti pubblici non vengono
messi a rischio.
Non è una riforma alla Vanoni, così per dire. |
Attualità del pensiero di Keynes
Pomeriggio letterario, ieri nella sede dell’Abi, con un
pubblico numeroso (docenti, parlamentari, servitori dello Stato,
amministratori, studiosi compreso il presidente della Consob Paolo
Savona) che ha sfidato il caldo torrido dell’estate romana. La
presentazione del recente libro di Giorgio La Malfa e Giovanni Farese è
stata l’occasione per un confronto pubblico, profondo e ricco di
aneddoti, sulla attualità del pensiero di Keynes. Ne hanno parlato gli
autori insieme al Professore Sabino Cassese e all’economista Pierluigi
Ciocca, giá Banca d’Italia.
Giorgio La Malfa ha confessato che con questa opera ha
voluto “pagare un debito alla formazione che ebbe Cambridge negli anni
sessanta” , quando frequentando quella università inglese frequentò gli
allievi di Keynes.
Si è certamente parlato della rivoluzione Keynesiana,
dell’attacco di Keynes alla cittadella della ortodossia, con un
assalto alla cittadella del pensiero classico, con la lunga genesi
della Teoria generale nel convincimento che il mercato da solo non ce la
fa e richiede azioni consapevoli ponendo alternative al capitalismo che
non ė capace di creare piena occupazione. Nel 1935 scriveva “ la
difficoltà non risiede nelle nuove idee ma nelle vecchie che risiedono
in ogni angolo della mente”. Prima del 1936, dunque prima di Keynes
prevaleva il convincimento che il sistema si autoregolasse e che i
governi dovevano astenersi dall’intervenire. Anche Von Hayek sosteneva
l’astensione e che ci sarebbe il lento riadeguamento della produzione
Il problema, nel secolo scorso fu purtroppo superato solo con il ricorso
alle guerre. Toccò alle guerre ridare lavoro. Certo la spesa pubblica ė
un oggetto pericoloso e va maneggiata con prudenza, soprattutto dai
responsabili politici.
Guardare all’oggi significa prendere coscienza che la
rivoluzione tecnologica porta a produzioni con pochissimo lavoro, con
il rischio di cattiva distribuzione della ricchezza e solo la mano
pubblica può correggere i livelli della occupazione e della
distribuzione del reddito. Purtroppo anche nelle università si è tornati
a diffondere ed insegnare teorie ottocentesche. Quindi oggi le teorie
di Keynes andrebbero maneggiate con prudenza pensando ai nuovi
protezionismi, alla sovranità limitata, ai minibot o a mini monete o a
quota cento e a quanti insidiano perfino il capitale della Banca
d’Italia. Keynes non era per lo Stato spendaccione; l’intero bilancio
deve essere in equilibrio se non in pareggio; agire sulla composizione
del bilancio e sulle infrastrutture produttive, che nulla hanno a che
vedere con il bilancio in deficit. La forza del moltiplicatore degli
investimenti è diversa da quello per le spese correnti.
Keynes propone di abbandonare lo stato ottocentesco per
entrare in un socialismo liberale, proteggendo l’individuo, la sua
iniziativa, la sua proprietá.
Lo Stato deve assumersi la responsabilità di intervenire.
Solo lo Stato può rimediare e può entrare in gioco come fattore
equilibratore, assumendo una responsabilità crescente negli
investimenti. Stato e mercato sono padre e madre dell’individuo.
Il libro di Giorgio La Malfa e Giovanni Farese per la
collana dei Meridiani dell’editore Mondadori con la ricchezza di un
saggio introduttivo di 100 pagine di Giorgio La Malfa e di 500 note
(bibliografiche, storiche, di relazione, biologiche o letterarie)
restituisce forma e sostanza al pensiero di Keynes per il quale
l’economia deve avere una importanza secondaria rispetto “all’arte della
vita”. Assume, oggi, un grande significato politico oltre e che
letterario soprattutto nel tempo della crisi dell’Unione Europea
sopraffatta dalla ventata di ordoliberismo che porta ai rischi della
deflazione, scoraggia la domanda privata, genera insicurezze,
disuguaglianze, risentimenti nei ceti medi e piccoli li borghesi. I
pericoli sono elevati è ancora non sufficientemente percepiti.
|
Servire
non servirsi
Dibattito all’Istituto
Sturzo promosso dall’isle su ”Servire non Servirsi “ la prima regola del
buon politico, con Il Prof.Traversa Pino Pisicchio, Gerardo Bianco,
Cesare Mirabelli, Mons Vincenzo Paglia e Luciano Violante.
Il
confronto è stato di alto livello. Ho preso un pò di appunti per non
smarrire interessanti considerazioni.
Si è tenuto nell’anno del centenario della fondazione del Partito
Popolare nella disattenzione degli organi di informazione come ha
sottolineato Pino Pisicchio illustrando la figura di Luigi Sturzo
politologo.
Gerardo Bianco si è soffermato sul pensiero sturziano partendo dalla
commemorazione di Sturzo fatta da Aldo Moro al Teatro Eliseo nel 1959
con il richiamo a Sturzo “ che ha scoperto nella autonomia dello Stato
la moralità della politica”, poi la battaglia contro la corruzione, la
riscoperta dei valori umani alla base del tessuto, la scelta in favore
dei Comuni piuttosto che verso le Province e i Comuni, e il ruolo delle
grandi forze politiche per il riscatto delle classi popolari, il PPI
sturziano che nasce come partito intransigente per usare na giudizio di
De Rosa , non moderato rispetto alle scelte Gentiloni anche quindi non
di supporto o di subordinazione alle classi dominanti. La lezione di
Sturzo come vademecum al servizio della Nazione. Un invito a leggere il
carteggio con il fratello con cui esamina l’illuminismo e le conseguenze
della secolarizzazione. Tu ciò ciò oggi sfugge alla cultura italiana. Il
Prof. Cesare Mirabelli si è soffermato sui valori etici in particolare
su Sturzo che rientra in Italia nel 1946 con la nascita della
Repubblica, l’attenzione verso il recupero della moralità non nelle
istituzioni pubbliche, ma anche nella comunicazione con la diffusione di
notizie false, il degrado non solo della classe politica ma anche di
altri settori che lascia oggi perplessi, il tradimento del giuramento
scritto nella Costituzione.
Per Mons Paglia oggi il bene comune non è più alla base della polis. Non
si parla più di bene comune.
La globalizzazione imperfetta non è governata. Ha creato un mondo unito
nella economia ma non è stato accompagnato nella solidarietà con
ingiustizie trasversali in tutti i Paesi specialmente nella egocrazia ,
una società liquida da si salvi chi può, un individualismo narcisistico
patologico. Il narcisismo ha preso il potere e non è sentito come una
colpa. Si è ferita a morte la dimensione di socialità alla base della
Polis. La Costituzione è una lingua comune. Oggi manca il sogno comune.
Ognuno pensa di essere il palatino del popolo che lo ha votato.
Ritessere un linguaggio comune è esigenza imprescindibile. Esprime
preoccupazioni per gli attacchi a Papa Bergoglio che assumo i caratteri
di attacco dottrinale. Luciano Violante dopo avere ripreso le
valutazioni di Mirabelli sull’articolo 54 della Costituzione ha ribadito
il dovere della competenza. La politica riguarda la organizzazione della
società ed è potere e servizio. Quale è l’interesse della società. Se
uno vale uno la mia ignoranza vale come la mia conoscenza. Richiama otto
principi che vanno nella direzione del principio sturziano “servirsi per
servire”.
L’altro potrebbe avere ragione;
La Repubblica Romana sapeva chiudere i conflitti;
Quale è la forza della politica: la credibilità la reputazione che è
come tu rispetti gli altri; la credibilità ci vuole molto a conquistarla
e si perde in un giorno;
la politica è una comunità di eguali; costruire la comunità; la morale
per costruire una comunità ;
Le persone vogliono un rapporto umano; conoscere il dolore della gente;
I leader del passato stavano dentro una comunità; il capo dipende da
come nasce.
Bisogna studiare; istruitemi ho bisogno della vostra intelligenza.
La politica deve risolvere i bisogni.
Non si può fare tutto quello che che si può fare. C’è un limite che deve
essere posto;
Guardare e studiare i fatti. Il politico spiega i fatti.
La considerazione finale di Violante è rivolta ad Aldo Moro con la sua
lettura del caso Lockheed laddove diceva di guardare ai fatti e che un
grande partito popolare non può essere condannato per la colpa di
qualcuno.
|
In
ricordo di Renzo Patria
L’Associazione Democratici
Cristiani piange la scomparsa del suo socio sostenitore Renzo Patria, e
si stringe al dolore della famiglia. Renzo Patria ha partecipato come
protagonista attivo al lavoro, alle iniziative e alle scelte di questa
piccola comunità di idee e di passione politica nata su impulso di Carlo
Alberto Ciocci insieme a Gaetano Morazzoni, Ivo Butini, Giorgio
Spitella, Lorenzo Cappelli, Danilo De Cocci, Emilio Neri, Mario Pedini,
Angelo Sanza, Michele Zolla , Giulio Alfano, Giovanni Maria Venturi, e
tanti altri che hanno voluto e vogliono difendere e tenere alta l’idea e
i valori degasperiani della Democrazia Cristiana.
Con Renzo Patria scompare
uno stimato parlamentare della DC, che dopo le esperienze nelle
amministrazioni locali viene eletto in Parlamento nel 1979 e nelle
successive elezioni fino al 1994. Tornerà poi in Parlamento nel 2001
nella lista di Forza Italia. In quella legislatura ricopri l’importante
ruolo di Presidente della Commissione Finanze e Tesoro, in un periodo
particolarmente delicato per il Paese, attraversato da scandali
finanziari che portarono dopo una importante e laboriosa indagine
conoscitiva sul sistema delle imprese e i mercati finanziari, alla
riforma del risparmio, una riforma positiva per adeguare le
infrastrutture normative alle esigenze del Paese. Dopo le esperienze
parlamentari non abbandonò la politica ma si dedicò con impegno alla
vita della Associazione ex parlamentari per 13 anni, di cui sette come
Vicepresidente Vicario della Presidenza di Gerardo Bianco con iniziative
su tutto il territorio nazionale, da Napoli sui temi del Mezzogiorno e
Milano, fino a Torino per l’anniversario dei 150 anni della unità di
Italia che fu un momento di particolare gratificazione per il successo
della manifestazione. Si trattava di un “volontariato istituzionale” di
cui Renzo Patria andava fiero portando la sua esperienza di 10 anni come
segretario di Presidenza della Camera e di 2 anni come Questore sotto la
Presidenza Napolitano, quindi con una conoscenza profonda dell’Istituto
parlamentare proprio mentre più forti si diffondevano i germi
dell’antipolitica e avanzava l’odio sociale contro il Parlamento. La
campagna antisistema era funzionale a ridurre il ruolo e la funzione del
Parlamento attraverso la esaltazione del populismo e del sovranismo.
Queste erano preoccupazioni in lui ben presenti e non mancava di
sottolinearle.
Renzo Patria apparteneva
alla categoria dei parlamentari seri, fortemente impegnati nel duro
lavoro parlamentare sia d’ Aula che di Commissione, profondamente legato
al suo territorio, alla Sua Frugarolo, alla Sua Alessandria, al Suo
Piemonte; era una presenza quotidiana e costante perché legata ai
principi del “proporzionale” che non ammetteva fughe dagli elettori, ma
contatti permanenti. Sul piano politico parlamentare era componente
della Commissione Finanze e Tesoro. Era un profondo conoscitore della
materia delle banche popolari, degli enti locali, delle dogane, dei
monopoli. Interveniva sul bilancio dello Stato e sulla finanza locale,
proprio perché sapeva che quello era il momento più alto del rapporto
tra Governo e Parlamento. L’attenzione al territorio è dimostrata dalle
iniziative parlamentari per il distacco delle sedi giudiziarie e per
l’Università Sud Orientale, così come per i compendi pubblici da
destinare all’ente locale come l’ex ospedale militare e l’ex caserma San
Martino. In venti anni di presenza in Parlamento, i numeri di Renzo
Patria offrono un quadro rappresentativo di 900 progetti presentati, di
692 atti di indirizzo e di 162 interventi in Aula e nelle Commissioni.
La difesa del Parlamento era a tutto tondo. Per Renzo Patria anche “il
parlamentare che ha cessato la funzione in considerazione dell’attività
resa debba avere sempre il rispetto del rango che gli compete nelle
pubbliche manifestazioni, così come peraltro accade quando responsabile
della organizzazione è il cerimoniale del Quirinale”. Non si rassegnava
alle spinte verso la cancellazione della memoria, ma fino all’ultimo ha
difeso le proprie idee i valori per i quali ha lottato nella sua vita.
Quando già le sue condizioni
di salute non gli permettevano di venire a Roma con l’intensità del
passato, mi ”costrinse” ad un impegno più forte nella nostra
Associazione. Non potei rifiutare di fronte a tanta sollecitazione,
nonostante i miei gravi problemi famigliari. Il nostro Segretario
Generale Giovanni Eurante ne è testimone.
Nei suoi interventi sul
bilancio interno della Camera, per la sua sensibilità, poneva
particolare attenzione alla “condizione del parlamentare”. Difese
l’autonomia amministrativa della Camera, esprimendo preoccupazione per
le insidie che si manifestavano verso il personale della Camera perché
secondo Renzo Patria “siamo chiamati a che responsabilità di gestire
parametri quantitativi sulla base di esigenze strettamente qualitative
come non possano essere considerate le decisioni di governo politico
della nostra Assemblea”. Rifiutava il concetto di Camera come “azienda”.
Per Renzo “l’amministrazione della Camera non è altro che uno degli
strumenti attraverso i quali l’ordinamento ha inteso garantire
all’Istituzione-Camera le condizioni necessarie di autonomia per il
pieno esercizio delle proprie funzioni costituzionali. Efficienza ed
economicità di gestione non possono costituire per la Camera dei valori
assoluti, ma vanno perseguiti entro i limiti dell’interesse generale al
complessivo funzionamento delle Istituzioni rappresentative”. Questo
bilanciamento tra le indicate esigenze e la ponderazione sotto il
profilo istituzionale delle scelte di gestione costituiscono la funzione
preminente che l’Ufficio di Presidenza e il Collegio dei Questori sono
chiamati a rivolgere nella loro qualità di organi collegiali di
direzione politica che nulla hanno in comune con i consigli di
amministrazione operanti nelle realtà aziendali.
L’Associazione ha già
assunto iniziative per ricordarne la figura a Roma, così come merita.
Maurizio Eufemi
Roma, 10 giugno 2019
|
Una ricostruzione a passo
di lumaca
Ieri in Senato si affrontava il decreto legge che nelle
aspettative del Governo del cambiamento dovrebbe rilanciare la crescita.
V’è l’illusione che intervenendo sul codice degli appalti con norme più
trasparenti, elevando l’affidamento diretto fino a 150 mila euro, con
nuovi limiti alle procedure negoziate o a quelli del subappalto. Sono
tutte cose fuorvianti rispetto alla posta in gioco. Forze di governo e
di opposizione contrapposte in una visione ideologica sganciata dalla
realtá, che richiederebbe un approccio più razionale. Le norme del
decreto incideranno anche sulla ricostruzione del centro Italia, ma
saranno marginali nella realtà operativa. Vi sono dei numeri che
determinano allarme e che avrebbero dovuto suscitare indignazione. Sono
quelli emersi per l’Umbria a tre anni dal sisma. L’ufficio speciale
ricostruzione ha lavorato 500 pratiche di cui 110 chiuse, 1200 sono
giacenti, quelle attese 8.000.!
Con i tempi di lavorazione registrati, in base alla
citazione di personale dell’USR per 136 comuni occorrerebbero sedici
anni.!
La riflessione dovrebbe coinvolgere i commissari
straordinari alla ricostruzione, passati e presenti.
Assistiamo ad un palleggiamento tra USR, Comuni e
Regioni, che sembra un gioco dell’oca, con tempi infiniti che portano ad
una strategia dell’abbandono.
Sono state fatte molte promesse, “ non vi lasceremo solo”
“ i soldi ci sono”, coperrtura totale per prime e seconde case, ma la
ricostruzione non parte. L’errore più grande è stato quello di non avere
sospeso i vincoli del Parco che non hanno senso in territori devastati e
che poi subiscono deroghe giuste e opportune come per le strutture
temporanee amovibili. Così come avere puntato nella ricostruzione
sismica con un utopistico livello di sicurezza con una eccessiva
presenza dell’intermediazione pubblica senza dare fiducia al privato con
un atteggiamento che puntasse più sui controlli successivi che su
paralizzanti vincoli preventivi, facendo prevalere un atteggiamento
parcellizzato da forze che esaltano il verticismo e il decisionismo.
Questo decreto è una occasione sprecata e dimostra la
incapacità di affrontare i reali problemi delle zone terremotate. |
L'elemosiniere elettricista
La
vicenda dell'elemosiniere della Santa Sede che con un gesto di
solidarietà restituisce la energia elettrica a un intero stabile, ci
riporta alla realtà del dramma umano dei senza casa che lottano per
vivere di fronte alle difficoltà economiche e sociali.
C’ė una
contraddizione feroce tra l'introduzione del reddito di cittadinanza e
di quota cento e rifiutare l'erogazione di energia elettrica a quasi 500
persone tra cui donne, bambini, disabili in uno stabile pubblico. C’è
indifferenza nelle autorità pubbliche che non si domandano le condizioni
di vita di quelle persone come se non fosse dovere dello Stato
assicurare una abitazione dignitosa alle famiglie in quello o in un
altro posto della città ma comunque prendendosi carico del problema,
affrontandoli, non facendolo marcire nella indifferenza. Il fatto che
l'immobile sia di proprietà pubblica ė ancora più grave perché non sono
stati lesi diritti di privati.
Il gesto
dell'elemosiniere ė stato un ammirevole atto di coraggio della società
moderna. Per chi ha conoscenza delle cose romane e vaticane sa che
l'elemosiniere aiutava e aiuta quotidianamente le famiglie in difficolta
con elargizioni in denaro per far fronte a ogni necessità: dai viveri
alle bollette. Si presentavano al portone di Sant'Anna e ricevevano il
dono dell'elemosiniere. Cinquanta anni fa quel ruolo lo ricopriva Mons
Venini. Ho ancora nella memoria dei ricordi giovanili quelle visioni. Le
disponibilità finanziarie provenivano dalle benedizioni apostoliche che
l'elemosiniere firmava con il bollo pontificio. Quindi tutti, i
pellegrini, i turisti, aiutavano indirettamente i fratelli in
difficoltà.
È uno splendido
momento di solidarietà.
l'elemosiniere ci
ha riportato a vedere le situazioni più difficili della società che
viviamo con lo sguardo caritatevole e solidale piuttosto che non quello
del rancore, dell'odio e della indifferenza. |
Elezioni regionali in
Piemonte: Mauro Carmagnola è candidato con lo scudo crociato
vedi articolo sul giornale
online: Civico 20 news:
http://www.bdtorino.eu/sito/articolo.php?id=33006
|
Il 4
marzo non c'è più
Il quadro politico uscito
dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018 è profondamente mutato.
Certo i numeri parlamentari
non sono cambiati, ma i rapporti di forza dopo la sequenza delle
elezioni regionali in Abruzzo, in Sardegna e in Basilicata, certamente
si.
È cambiata la rappresentanza
nella Conferenza Stato Regioni con tutto ciò che può determinare nei
confronti del Governo alla vigilia di importanti decisioni sulla
autonomia regionale.
In un solo la forza politica
del M5S è rapidamente evaporata. In modo repentino. Ha inciso in modo
profondo l’incapacità di governo e soprattutto la inadeguatezza di
affrontare i reali problemi del Paese a partire da una crescita
insufficiente.
Ora ci avviamo ad una
campagna elettorale per il rinnovo della rappresentanza al Parlamento
Europeo. Dopo la Brexit è tempo di aprire gli occhi e di non seguire
populismi dannosi e inconcludenti.
Le elezioni regionali in
Piemonte saranno il vero banco di prova per il centrodestra.
Resta da vedere se si
manterrà fede all’accordo sul candidato presidente di scelta Forza
Italia o se la Lega vorrà imporre il proprio candidato.
Per la Lega si porrà il
problema della autosufficienza o della politica delle alleanze. In
questo caso tutto verrebbe rimesso in discussione.
Di fronte a un delirio di
onnipotenza dalle urne potrebbero venire sorprese. Nulla è escluso.
Eppure la storia politica
del M5S e prima ancora quella di Renzi dovrebbero insegnare qualcosa. Il
voto in assenza di partiti, se resta affidato solo alle leadership
diventa fluido. I voti così come arrivano, possono andar via con la
stessa rapidità, perché gli errori sono dietro l’angolo e a volte
diventano irrimediabili.
Roma, 25 marzo 2019 |
Il Tatarellum, un sistema elettorale senza inganni
In Abruzzo i numeri sono lì. Si torna alle coalizioni
omogenee e sui programmi.
Non si possono fare contratti di governo, ma solo
contratti elettorali.
Un centro destra vincente con la Lega che fa il grande
gesto del cedere il candidato presidente alla lista di Fratelli d’Italia
che non ha l’effetto lista del Presidente basti pensare alla lista
Legnini che si cifra quasi al 10 per cento. La coalizione di
centrodestra avrebbe vinto con un Presidente di qualsiasi lista della
stessa aggregazione. La Lega paga bisogno della coalizione per governare
nelle Regioni non potendo andare da sola salvo forse in Veneto.
Resterebbe da sola come i Cinque Stelle. Il Pd ha tentato la via delle
liste di sostegno per aumentare i consensi. Il tentativo è stato in
parte premiato ma resta insufficiente senza la prospettiva di
individuare un alleato credibile che aumenti le potenzialità di sviluppo
successo che porti la coalizione al traguardo del 40 cento.
I Cinque stelle da soli, senza coalizione, non vanno da
nessuna parte. Pagano i risultati negativi del governo e l’incapacità di
affrontare i reali problemi del Paese sia a livelli nazionale che a
livello locale.
Il tatarellum ha contribuito a fare chiarezza tra
contratto di governo e contratto elettorale imponendo scelte preventive
e evitando inganni postumi.
Forse è il migliore omaggio per il parlamentare pugliese
nell’anniversario della scomparsa |
|