...verso il

Partito Popolare Europeo

MAURIZIO EUFEMI

è stato eletto al Senato  nella XIV^ e XV^ legislatura

già Segretario della Presidenza del Senato

nella XVa Legislatura

ARTICOLI E comunicati 2020

Il Parlamento sotterraneo di Mario Nanni

 

Mario Nanni, una vita in Parlamento come cronista parlamentare  della Agenzia Ansa  ci ha deliziato con ricordi che in noi hanno suscitato altri ricordi. Attraverso i personaggi della Prima Repubblica Mario Nanni racconta il Parlamento che era e che non è più, così come i protagonisti coinvolti nella vita parlamentare e il mondo di allora. Lo fa attraverso aneddoti personali che diventano però momenti storici incancellabili. Ne viene fuori un senso di rammarico,  di disagio, di sofferenza  per la situazione attuale che ha finito per ferire, lacerare, indebolire la sede più alta della rappresentanza popolare. 

Cinquanta anni di vita parlamentare sono raccontati con scrittura agile da Mario Nanni che ha riversato  ricordi del suo cassetto della memoria.

C’è un invito, una esortazione ai giovani cronisti che si tuffano in questa professione a darsi un  metodo di lavoro ad un sacrificio ulteriore in difesa della “memoria” per non disperdere la conoscenza dei fatti che nella società liquida e nella velocità del progresso tecnologico rischiano di diventare una perdita irrecuperabile. Il passaggio dalla nota cartacea al post di fb non è senza conseguenze.

Oggi, attraverso le piattaforme tecnologiche di istituti di cultura o di Fondazioni,  noi ritroviamo le note stampa di Giulio Andreotti che aveva il metodo dell’archivio e del diario, consentendo di ricostruire il percorso dalla fase di elaborazione a quella della pubblicazione sui quotidiani del tempo. Oggi tutto  annega in un eccesso di comunicazione di difficile ricostruzione. Le note dei diversi leader politici erano poi più pensate, più accurate nella forma e nel linguaggio perché frutto di maggiore meditazione e di confronto. L’aspetto più preoccupante è il venire meno della figura centrale del cronista che in piena libertà elaborava la notizia dopo averla cercata e trovata dando spazio alle diverse opinioni,  consacrando una piena libertà di stampa che oggi appare compromessa da una verticalità che limita il confronto relegando la figura del cronista impossibilitato agli accertamenti doverosi dalla compressione dei movimenti interni al Palazzo. Nel periodo di Mario Nanni il cronista, con intelligenza e determinazione, poteva trovare la notizia. Oggi gli resta solo la condivisione. !

Mario Nanni affronta i  temi dell’antiparlamentarismo come fenomeno degenerativo più recente partendo dal qualunquismo di Giannini. Vengono ricordati i momenti del decisionismo craxiano che era sottostante alla idea di una grande riforma che portò alla abolizione del voto segreto per le leggi di spesa e a successivi processi di  delegificazione e semplificazione più di facciata che reali; così come la progressiva crisi nella selezione delle classi dirigenti, fino al ventennio del  giustizialismo.  Nanni riconosce la cristallina chiarezza e semplicità lessicale della Costituzione rispetto agli eccessi di tecnicismi, alle citazioni, ai rinvii come “catene di Sant’Antonio” che fanno perdere il filo al cittadino.

Lo fa attraverso episodi che riguardano grandi personaggi Craxi Spadolini Andreotti Berlinguer, De Mita, Cossiga, Violante, Leone, Togliatti, Tatarella, Almirante, Sciascia Pochetti,  Pecchioli,  Pertini,  Prodi,  Martelli,  Berlusconi,  Conte e tanti altri. Lo fa attraverso il Transatlantico il luogo politico per eccellenza, la Commissione di Inchiesta, perché le “vasche” consentono di farsi vedere, di dimostrare la tua amicizia il tuo interlocutore, l’argomento della conversazione che il cronista attento cercherà di sviluppare per trovare la “notizia”. Lo fa attraverso luoghi del potere come lo studio di Andreotti o lo studio di Moro in Via Savoia lontano dai Palazzi del Potere, la residenza di Craxi sia il Raphael che Hammamet. Lo fa attraverso episodi e vicende collegati ai delfini politici di De Martino, di Craxi, di Berlusconi,

Il libro di Nanni è una difesa del Parlamento nel suo decoro, nel suo linguaggio, nell’abbigliamento rispetto a quello d’oggi e dei nuovi  protagonisti. 

Le riflessioni di Nanni affrontano anche le fasi del passaggio dalla velina al retroscenismo e soprattutto un tema spinoso come la commistione tra comunicazione e informazione, due mondi che dovrebbero restante distinti e che invece rischiano di distorcere il sistema informativo, anche per i riflessi delle fonti di finanziamento dirette e indirette come i veicoli pubblicitari. La crisi della informazione è dimostrata dalle conferenze stampa senza domande, che sono la rappresentazione plastica della crisi e della progressiva disintermediazione informativa. 

La risposta di Nanni è di puntare ad una informazione di qualità. 

Il libro di Mario Nanni, sulla scia del precedente come “il curioso giornalista”, è una lezione di giornalismo con una etica del dovere cioè quella di dare notizie vere, verificate.

Articolo di Maurizio Eufemi pubblicato sul giornale online "Il Domani d'Italia"

PANDEMIA: Lo Stato tra sussidi e sviluppo

 

 

 

articolo comparso sul giornale online "democraticicristiani"

La Federazione di Centro, un passo avanti nella ricomposizione


La pregevole, articolata relazione del Presidente della Federazione di Centro, Giuseppe Gargani, messa in rete anticipatamente ha permesso di determinare un confronto più compiuto tra i partecipanti alla video discussione.

Sono stati affrontati i temi centrali e le relative criticità che colpiscono il Parlamento, la Magistratura e il pericoloso conflitto istituzionale tra Stato e Regioni conseguenza della avventata riforma del Titolo V della Costituzione.

V’è stato un generale apprezzamento per una riflessione profonda, ad ampio spettro, che ha posto nel preambolo una strategia culturale prima che politica.

Personalismo ed individualismo come cause della crisi con perdita di identità e di moralità.

Oggi, Gargani, proprio nel suo articolo sul Dubbio pone l’accento sul metodo democratico dei Congressi DC, sulla partecipazione viva. Un partito che fa Congressi con il metodo democratico, non con il sorteggio degli oratori che si confrontano con la videocamera piuttosto che con le persone.

Dunque non possiamo essere alleati neppure con quanti si alleano con chi rifiuta lo Stato di diritto.

Perché qui è in gioco il Parlamento e la sua funzione, che é stato progressivamente demolito attraverso i suoi istituti vivi, poi delegittimato con la campagna mediatica anti casta, fino alla riduzione della rappresentanza.

Dunque l’esigenza è ripartire da quel trenta per cento che ha rifiutato slogan propagandistici e vuole affrontare i reali problemi del Paese con serietà e rigore. È da lì che si deve ricomporre e riaggregare.

Gargani faceva riferimento a Montesquieu che non è una firma fantasiosa, ma un civil servant che difende i principi della divisione dei poteri in contrapposizione a Rousseau che non è solo una piattaforma, ma un pensiero populista e giacobino.

Gargani ha affrontato anche il deterioramento della funzione giudiziaria, ma aggiungo anche quello degli organi di garanzia come la Corte Costituzionale con sentenze opache e contraddittorie che alimentano dubbi e incertezze senza dire quelle parole chiare che sarebbero necessarie.

È stato molto significativamente fatto riferimento alla questione morale posta da Enrico Berlinguer negli anni settanta e alla deriva giustizialista degli anni novanta con Tangentopoli che portò alla delegittimazione del Parlamento di partiti storici e di una intera classe dirigente.

Siamo in una fase storica in cui i desideri sono diventati realtà; la uguaglianza é diventata una pretesa. Si utilizza il Covid per realizzare uno Stato dove prevalgono protezioni, garanzie e politiche di sussidi senza anticorpi. Ciò produrrà cicatrici profonde nel tessuto economico e sociale se contestualmente non si fa una operazione di verità sui conti pubblici e non si affronta il problema del debito pubblico generato da uno Stato mamma, uno Stato Protettore.

Il siamo tutti uguali porta all’appiattimento, alla mediocritá, alla assenza di competizione, a scelte di basso profilo.

È stato approvato un documento per verificare entro il 15 dicembre i risultati delle riflessioni interni dei singoli partiti e delle associazioni. La piattaforma programmatica è quella formulata dalla Fondazione delle idee elaborate dal Prof. Giannone.

La spinta è quella - pur avendo la storia e gli ideali nel cuore - verso un soggetto nuovo, con un simbolo nuovo, per porsi come novità nella credibilità per dialogare con quanti si riconoscano in questi ideali senza pregiudiziali.

Nessuno pensi di fare una M&A con prelievo di sangue fresco di Associazioni e corpi vitali.

È stato compiuto un deciso passo in avanti nella ricomposizione, nella riaggregazione di forze che si ispirano alla dottrina sociale, al personalismo mounieriano e mariteniano, ai valori costituzionali, all’europeismo e alle scelte di progresso green.

Siamo allo snodo di un percorso difficile. Forse ci è di aiuto rileggere le parole scritte da Aldo Moro su Vita e Pensiero proprio 76 anni fa, il 25 novembre del 1944 sul “dinamismo del centro” tra Camaldoli e le idee ricostruttive di De Gasperi.

Il centro non è una posizione per nulla comoda e facile, non è di riposo... il vecchio si adatta e si rinnova ed il nuovo si svolge in collegamento continuo e fecondo con il passato.... Il centro non è un punto immobile, ma un processo, faticoso, impegnativo e ricco di incognite...

...Si tratta di assicurare la continuità del processo e perciò accelerare il nuovo, potenziarlo nel suo vigore, ma controllarlo al tempo stesso. ...Si tratta di educare generazioni nuove e classi che accendono in modo confuso verso il potere.


Roma, 26 novembre 2020

In ricordo di Bruno Lazzaro

 

Ieri nella chiesa di San Gregorio Nazianzeno  in Vicolo Valdina abbiamo ricordato i nostri colleghi defunti nell’anno 2020. Un lungo elenco di nomi, di uomini e donne, personaggi della prima Repubblica, ciascuno di loro con una storia imponente, straordinaria. 

Lo abbiamo fatto per rispettare una tradizione e dare continuità tra passato e presente, proprio quello che taluni vorrebbero cancellare. Ci siamo stretti insieme al celebrante don Francesco Pesce che ha avuto parole significative per tutti noi. L’elenco era interminabile e ogni figura, nota e meno nota, ha svolto un ruolo significativo nelle Istituzioni democratiche.

 

La pandemia ha impedito che questi nostri defunti potessero avere la larga partecipazione di quanti ne hanno apprezzato le virtù e le opere. 

 

Nel leggere i nominativi l’attenzione mi è caduta su Bruno Lazzaro di cui non sapevo della scomparsa il mese scorso. Era una persona gioviale, comunicativa al tempo stesso riservata. Lo incontravo quasi quotidianamente perché abitava a pochi passi dal Senato e dalla Camera che continuava a frequentare con altri colleghi come Riccardo Triglia, già presidente dell’Anci, Alberto Spigaroli, il repubblicano Claudio Venzanzetti. Non era un tavolo di reduci ma di uomini  che avevano servito le Istituzioni  con disciplina ed onore. 

Bruno Lazzaro era un esponente della Dc del Lazio che aveva maturato la ricchezza della conoscenza dei problemi. Era stato eletto sindaco di Nettuno a 28 anni. In quella consiliatura aveva un Eufemi, non del ramo democristiano, ma laico, come assessore. Aveva affrontato i problemi dello sviluppo economico impetuoso con scelte lungimiranti, tra queste vanno ricordate l’idea del Porto turistico  di Nettuno, costruito non senza difficoltà da Impregilo dell’ing. Gilardini e il Piano Regolatore comunale. Il ministro dei LLPP  Fiorentino  Sullo garantì la prima tranche di finanziamenti statali. Nettuno anticipò con quella scelta la soluzione delle problematiche che sarebbero emerse su vasta scala con la  forte diffusione della nautica da diporto. Pose attenzione alla realizzazione di infrastrutture primarie come le fognature e i servizi di pubblica utilità. 

Dopo la guida del Comune entrò  nella neonata Assemblea Regionale del Lazio dove fu eletto per tre legislature con importanti incarichi negli assessorati al Bilancio, alla Pubblica Istruzione e alla Sanità e in ultimo alla Presidenza del Consiglio Regionale. Candidato alle elezioni europee del 1989 pur prendendo oltre 120 mila voti di preferenza, fu primo dei non eletti. 

Poi l’elezione al Senato e l’esperienza della legislatura breve, quella della cancellazione della Dc. Rimase orfano, ma il suo cuore era sempre per lo scudo crociato. È in quella fase che i nostri rapporti furono più stretti perché si interfacciava con  la Camera sui problemi quotidiani. Seguiva la Commissione di inchiesta su bnl Atlanta. 

Eppure su Wikipedia di Bruno Lazzaro non troverete nulla, se non scarne notizie. Eppure Bruno Lazzaro insieme a tanti validi amministratori rappresentava il cuore pulsante della Dc quello che portava esperienza, sensibilità, saggezza nella risoluzione dei problemi della Regione e del Territorio. Quella classe dirigente,  oltre i grandi leader,  è stata la forza di un partito la Dc che portava nelle Istituzioni persone, competenti e valide, ricche di passione, capaci di affrontare la decisione politica dopo avere ascoltato gli iscritti nelle sezioni la sera, e affrontato il confronto delle correnti di partito. Era una escalation di competenze nei diversi gradi di governo locale e nazionale. 

Bruno Lazzaro anche dopo l’esperienza parlamentare, abitando a due passi dai Palazzi, della Politica voleva ancora stare dentro i problemi, viverli, parteciparli. Apparteneva a quelle persone che nella riservatezza trovavano il modo per operare concretamente come era nello stile della originaria  corrente fanfaniana.

 

 

Maurizio Eufemi

 

Articolo tratto dal giornale "Il domani d'Italia"

http:://www.ildomaniditalia.eu/In ricordo di Bruno Lazzaro

Oggetto: Riflessioni sulla federazione di centro

Federazione di centro

Cari amici per l’incontro di oggi 20 ottobre c.a. avevo predisposto questo breve intervento che sottopongo alla vostra cortese attenzione solo per non disperderlo.
Lo avevo scritto domenica mentre il mio amico Flavio Felice pubblicava una bellissima nota su Röpke, e questo aveva stimolato ancora di più la mia riflessione. La grandezza di Röpke è sconosciuta ai nostri giovani eppure é stato ispiratore di Adenauer e di Erhard nella ricostruzione della Germania. Era grande amico di Einaudi e ammiratore  di De Gasperi. i suoi scritti sono straordinari soprattutto sul rapporto tra economia e politica. Sostenitore dei corpi intermedi e critico verso Rousseau, per stare nella attualità. Ha offerto una lettura interessantissima della Enciclica Mater er Magistra.
E allora,  fatta questa premessa,  ecco cosa avevo meditato.

Sarò breve.
Questo incontro si colloca a cento anni dal famoso discorso di Sturzo del 1 ottobre 1920 a Milano,  quello sulla crisi economica e crisi politica. Rifletteva la situazione di rifiutare l’alleanza con i liberali affiancati ai fascisti. Anche allora uscivamo da 90 miliardi di debiti.

Siamo chiamati ad un passaggio credo scontato: la presa d’atto di un fallimento, fallimento politico e culturale.
Abbiamo assistito ai soliti giochetti, alle solite furbizie, non da prima Repubblica,  ma da bassa Repubblica.
La Federazione é morta nella culla dell’atto costitutivo a cui hanno purtroppo creduti quanti come voi che siete qui rappresentanti di Associazioni culturali e del terzo settore e del volontariato che sentivano la esigenza di riaggregare nel solco di un filone culturale quello spazio politico oggi negato e potersi contare per contare.
Quale prospettiva di Congresso si può avere se in questi mesi abbiamo assistito al tradimento dell’idea di quanti con il retro pensiero hanno privilegiato la scelta egoistica rivelatasi fallimentare  raggiungendo percentuali tali da assicurare piccole rendite di posizione e di potere locale. È inutile portare casi specifici.
La idea della Federazione è stata tradita non presentando il simbolo con meschine giustificazioni. È stata negata la speranza a quanti di Voi non credono alle porte girevoli, a chi entra ed esce dalle alleanze indifferentemente di destra o di sinistra pur di conquistare qualcosa ma  senza alcuna credibilità.
Voi volevate la affermazione di una cultura, di una idea senza baratti senza compromessi presenti e futuri.
Oggi é il momento di fare chiarezza. Oggi dobbiamo dare risposte credibili ripartendo da zero, con nuovi uomini, nuove idee, nuovo simbolo gettando pesanti zavorre compromettenti.
Non voglio ripetere quanto ha detto in modo puntuale ed apprezzato Mario Tassone sia nei giorni scorsi che a   Saint Vincent.
Oggi è in discussione la democrazia parlamentare vulnerata nella rappresentanza e nella funzione con la rottura dell’equilibrio del rapporto con il Governo fissato nella Carta.
Oggi va combattuto il centralismo propagandistico di Conte. Altro che illusione di partecipare alla creazione del partito contiano!
Oggi sono in discussione con l’alibi del Covid le libertà fondamentali con i tentativi di comprimerle con i DPCM.
E veniamo alle alleanze.
C’è uno spostamento verso il Centro senza alcuna coerenza. Lo abbiamo visto nelle giunte rinnovate. Nessun riconoscimento a forze moderate forti nei valori.
E sposto in ultimo quello che nelle riunioni Dc era al primo punto: la politica estera. Si partiva da lì per inquadrare la presenza dell’Italia nel panorama internazionale.
Oggi invece è tutto precario. Sembriamo collocati sui non allineati, senza prese di posizione sul Venezuela, sulla Armenia, ondeggiando tra Cina e Stati Uniti.
C’è il fatto nuovo della scelta di Salvini su suggerimento di Pera di avvicinarsi al PPE. Sarebbe una soluzione numerica e non politica. Sorprende che  non sia stato fatto rilevare il problema della democrazia interna e l’adesione non dovrebbe maturare sui programmi e sugli ideali del PPE?
Non viene forse replicato l’errore fatto con Berlusconi quando aderì al PPE con sommo rammarico del pentito Buttiglione che si è sentito tradito più volte ! Chi si sentirà tradito da Salvini?
Salvini ha la grande responsabilità di avere fatto il governo con i cinque stelle con Di Maio, Toninelli, illudendosi di guidare l’agenda.
Dovrebbe cedere sovranità all’Europa non solo a istituzioni democratiche ma questo dovrebbe valere per tutti i partiti personali: Salvini Meloni Berlusconi e Casini

Assisteremo al paradosso di un Salvini dentro il PPE e e noi europeisti da sempre popolari della migliore  tradizione in continuità con gli ideali degasperiani   fuori dalla porta senza possibilità di incidere il corso della storia.
Non basta peró  passare disinvoltamente da Peron a Pera...
come direbbe Bartali l’l’è tutto sbagliato l’è tutto da rifare.
La federazione se vuole nascere deve farlo con uomini nuovi credibili. Dunque senza Cesa e senza Rotondi che hanno altri obiettivi e altri interessi.
Con un simbolo nuovo, con un programma innovativo, ma un programma politico non si inventa si vive come direbbe  Sturzo ma  con  i contrasti e le lotte nella audacia delle affermazioni e nella fermezza delle negazioni.
Gli avvoltoi della Dc ancora volteggiano su brandelli del partito e della sua storia per un pasto a basso costo. Forse c’è ancora qualcosa di nascosto su cui volteggiare impedendo la ricomposizione dell’unità e nell’oblio  del testamento politico di

Aldo Moro.
Scusate il disturbo.

Maurizio Eufemi
20 ottobre 2020

In ricordo di Vittorio Mathieu

È deceduto Vittorio Mathieu nella sua casa di Castiglione.Un filosofo, un pensatore straordinario, professore di filosofia a Torino. Maestro di generazioni di studenti. Ricordo la sua eleganza e la sobrietà. Amava e viveva in campagna dove trovava ispirazione. Ho  avuto la fortuna di conoscerlo negli anni ottanta quando scrisse “la filosofia del denaro” per i tipi di Armando,l’editore che ha diffuso in Italia con successo il pensiero di Popper, presentandolo in un istituto culturale sul Gianicolo vicino a Porta San Pancrazio, oggi quell’edificio è stato  trasformato in un albergo stellato.
Poi altre occasioni di incontro con la Rivista Fondamenti guidata da Gerardo Bianco Valerio Verra e Massimiliano Pavan per cui scrisse un saggio su una monografia dedicata ai Principi dell’economia che vedeva tra gli altri gli scritti di Lawrence Klein, pimpante Nobel, Sergio Ricossa Henri Lepage Bernard Schmitt Antonio Fazio.
Per Mathieu il denaro non è altro che libertà quantificata. Portava l’esempio delle api che non scelgono il loro comportamento in vista del proprio vantaggio e in funzione del comportamento altrui. Per loro sceglie la natura.Nel rapporto economico ciascuno sceglie ciò che vuole fare del proprio vantaggio. Ciò connette l’economia al diritto privato: la libertà contrattuale.
Manifestava delusione per i modelli macroeconomici che derivavano da confusioni concettuali sua per l’economia keynesiana che per quella monetarista per le difficoltà di prevedere il futuro ma anche il passato.
Perché le formule matematiche sino meccanismi che elaborano ciò che uno gli mette dentro: da sole non bastano, nè a produrre concetti, nè tanto meno a correggerli.
Poi ci sarebbe molto altro, soprattutto il richiamo ad occuparsi dell’uomo , rimuovendo teorie che hanno portato trincerandosi dietro sofismi alla spoliazione del risparmio e del lavoro.
L’estremo saluto alla Gran Madre di Torino.

Si allarga lo Schieramento del NO

Se si vuole arginare la deriva anti casta e antiparlamentare c’è una sola via

 

Oggi con un lungo articolo sul messaggero anche Romano Prodi si schiera sul fronte del No.

 

È una scelta significativa per l’autorevolezza della persona che dal 1996 ha caratterizzato la fase del sistema elettorale maggioritario e della contrapposizione con la leadership di Silvio Berlusconi.

 

Oggi anche Romano Prodi, alla vigilia di un referendum costituzionale che riduce gli eletti in nome di un furore antiparlamentare riconosce i limiti di un sistema che non garantisce la libertà di scelta dei cittadini dei propri rappresentanti. Questa libertà di scelta è stata soffocata attraverso le candidature multiple, con le liste bloccate esaltando la negatività dei nominati e comprimendo il libero esercizio della funzione parlamentare.

 

Anche Renato Brunetta richiama aspetti sottovalutati come il maggiore peso del nord rispetto al Mezzogiorno e al resto del Paese come pure il rafforzamento dei poteri forti. Si tratterebbe di un clamoroso autogol di chi ha fatto nascere un governo in opposizione a Salvini che sarebbe beneficiario di scelte contraddittorie e paradossali.


La riforma costituzionale determina una rottura degli equilibri costituzionali subordinandola ad una legge elettorale che dovrebbe avere il consenso largo delle forze politiche.

 

Gli equilibri vengono rotti sul voto del Presidente della Repubblica, sugli organi costituzionali, sulle autorità di garanzia.

 

Il Pd ha compiuto un grave errore politico senza via di uscita. Non ci sarà compromesso accettabile per uscire dall’angolo, neppure un voto in commissione sulla legge elettorale a ridosso del referendum. La legge elettorale richiede consenso e tempi di maturazione che non possono essere i pochi giorni che ci separano dalla data della celebrazione del referendum confermativo.

 

Se si vuole arginare la deriva anti casta e antiparlamentare c’è una sola via: quella di una legge elettorale proporzionale con una soglia di sbarramento sufficientemente alta, con principi che rispettino la rappresentanza territoriale, il pluralismo culturale del Paese, e sopratutto la reintroduzione delle preferenze cioè il momento più alto della libertà di scelta.

Solo così si potrà ricreare un nuovo rapporto tra cittadini e Istituzioni facendoli ridiventare arbitri, per citare il libro di Roberto Ruffilli, delle loro scelte.

 

Maurizio Eufemi, Mario Tassone

http://www.ildomaniditalia.eu/si-allarga-lo-schieramento-del-no/

La rete unica nelle telecomunicazioni

In una esaustiva intervista al quotidiano La Stampa, Vito Gamberale, affronta i problemi della rete unica nelle Telecomunicazioni con uno sguardo al presente ma anche con obiettivi giudizi sugli errori del passato.
La questione di fondo che Gamberale pone senza pregiudizi è l’assetto proprietario della ex Telecom che ha avuto un assetto diverso dal modello perseguito con Eni e con Enel con OPV laddove la presenza dello Stato è stata garantita con una quota inferiore al trenta percento, tale da aprire significativamente ai privati, ai fondi di investimento, ad investimenti di lungo periodo, mantenendo la guida operativa, le scelte operative e la strategicitá.
Vito Gamberale per il ruolo di protagonista avuto nella storia di Telecom ripercorre i momenti storici, in particolare quelli del 1994 e del 1998. Lo fa senza sconti anche nei confronti dell’uomo di governo Ciampi, presidente del Consiglio e Ministro del Tesoro protagonista di precise scelte politiche, distinguendo dal Ciampi apprezzato Presidente della Repubblica.
Nel marzo del 1994, infatti, nella fase finale del governo Ciampi, la licenza del secondo gestore delle telecomunicazioni fu assegnata senza gara.
Nel processo di privatizzazione del 1998 fu decisa l’uscita della presenza dello Stato dalle Telecomunicazioni con la formula del nucleo stabile o nocciolino duro che portò alla scalata a debito di Telecom con tutto le conseguenze che abbiamo registrato compreso il depauperamento del poderoso patrimonio immobiliare che fu polverizzato.
Dunque la strada indicata è quella di una forte presenza dello Stato nella costruzione e gestione della rete unica delle telecomunicazioni ioni. Ciò richiede manager di livello a garanzia degli investimenti e dei risultati gestionali.
Pur nelle difficoltà politiche del 1992 - 1994 la Dc ebbe il coraggio di guardare oltre il presente e in una lettera al Presidente Ciampi, Bianco, come capogruppo alla Camera, d’intesa con Martinazzoli, ribadiva l’adozione di provvedimenti in linea con il parere parlamentare delle tre commissioni riunite Bilancio Tesoro e Attività produttive, sul riordino delle PpSs con scelte in materia di azionariato diffuso e di voto di lista, tutela degli azionisti di minoranza, regime fiscale per favorire la destinazione del risparmio verso il capitale di rischio. Tutto ciò era in coerenza con l’affermazione di una democrazia economica partecipativa.
Del resto Romano Prodi nel suo libro “missione incompiuta” riconobbe che il suo ruolo era chiaramente quello di chi deve smontare il motore. L’Iri andava smantellata perché erano maturati gli ultimatum europei e sul modo di privatizzare il dibattito era aperto, golden share, nocciolo duro, elenco dei settori da conservare.
Dunque la navigazione fu a vista con tutte le conseguenze che vediamo sotto i nostri occhi. Ecco interrogarsi come fa Gamberale su questi trenta anni di politica economica non è un esercizio retorico, ma una operazione di verità di cui abbiamo bisogno e che non dovrebbe riguardare solo manager affermati ma anche esponenti politici di tutte le forze politiche.
Cinque stelle per l’ignoranza

Geografia
Storia
Diritto
Economia
Lingue 

Brillano le stelle dell’ignoranza in geografia scambiando Il Venezuela con il Cile, il Libano con la Libia, Matera come provincia della Puglia; collocano la Russia nel Mediterraneo; in Storia non va meglio definendo la Francia una democrazia millenaria; fanno combattere Napoleone a Auschwitz invece che ad Austerlitz; i Mille sbarcano a Quarto! il leader cinese chiamato per nome invece che per cognome; in economia per l’ex ministro del Mezzogiorno  il pil sarebbe cresciuto  per consumo di Energia dei condizionatori; scambiano il latino con l’inglese.
Bilancio alla mano volevano dare 5.000 euro a pensionato!
Infine per combattere la casta scomodano anche i morti di percepire il Vitalizio.

E queste stelle dell’ignoranza vogliono fare la riforma costituzionale del Parlamento! La lista potrebbe essere infinita, ma per dirla a cinque stelle sono stato breve e circonciso!

Recovery fund e controllo parlamentare

"Non c’è bisogno di inventarsi delle nuove cose, basta applicare il buonsenso e le regole che già abbiamo”.

Così afferma L’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, in Parlamento dal 1983. Tutto vero se il Parlamento funzionasse come dovrebbe e svolgesse le funzioni di indirizzo e di controllo.
La questione è stata posta rispetto all’utilizzo del Recovery fund, con l’accentramento di tutto alla presidenza del consiglio, tagliando anche le funzioni proprie del  Dicastero del Tesoro.
Eppure l’idea della commissione bicamerale non è peregrina. Quando fu emanata la legge sulla ristrutturazione e riconversione industriale la cosiddetta legge 675 , fu costituita una commissione  di controllo ad hoc proprio per valutarne la applicazione insieme ai programmi per le partecipazioni statali. La presidenza fu affidata ad un senatore del PCI Milani. Era la fase della solidarietà nazionale.
In quella commissione furono designati autorevoli rappresentanti dei partiti: da La Malfa a Napoleoni, da Barca a Colajanni da Grassini a Merloni, da Eugenio Peggio a Mario Ferrari Aggradi.
Eppure Casini é lo stesso che nella scorsa legislatura si è dimesso da Presidente della Commissione Esteri per andare a presiedere la commissione di inchiesta sulle banche. Quella azione di indagine avrebbe potuto farla benissimo la commissione Finanze!
Per non parlare di quando nella decima legislatura ha rivestito la carica di vicepresidente della commissione Stragi, presieduta da Gualtieri. Anche quel lavoro avrebbe potuto svolgerlo la commissione Affari Costituzionali.
Ah la coerenza! A giorni alterni, anzi a legislature alterne!

Maurizio Eufemi e Mario Tassone: Esiste ancora lo Stato di diritto?

È tempo di perseguire i veri trafugatori dei malloppi!

A leggere le prese di posizioni di esponenti grillini, anche di quelli con responsabilità istituzionali e di governo sembrerebbe di No!
Tutto diventa un optional che può essere preso a piacimento! Non v’è rispetto per le Istituzione che rappresentano.
Tutto può e deve essere cancellato in nome del populismo e della demagogia!
Come se il Coronavirus possa diventare un utile alibi per sospendere la democrazia prima e i diritti dei cittadini poi!
Facciamo il punto. I cinque stelle hanno tenuto una manifestazione il 15 febbraio a Piazza Santi Apostoli in piena emergenza sanitaria! Hanno impedito il funzionamento corretto della Commissione contenziosa con le dimissioni di una loro rappresentante, alla vigilia della sentenza con pretestuose motivazioni politiche e non giuridiche; poi il blocco del Coronavirus ha impedito il normale svolgimento delle attività che sono riprese in Senato come nel resto del Paese.
Hanno preteso di utilizzare il percorso della Autodichia perché i componenti rispecchiavano lo stesso orientamento del’Ufficio di Presidenza! Quindi la pretesa di imporre una decisione di maggioranza. Come se vi potesse essere un automatismo politico sganciato da ogni responsabilità giuridica. Poi con il risultato negativo pretendono di mettere tutto in discussione in nome del giacobinismo grillino piuttosto che di uno stato di diritto!
C’è da preoccuparsi per il livello di ignoranza che possono e potranno utilizzare nell’agire quotidiano. Poi abbiamo il responsabile politico protempore Vito Crimi nella doppia funzione di viceministro degli Interni, quella si immorale che accusa gli ex parlamentari di “avere preso il malloppo! “ con il significato spregiativo che ne sottintende.
Ci piacerebbe conoscere il tasso di presenza del viceministro al Ministero degli Interni!
Tutto ciò dopo la sentenza di una articolazione di un organo costituzionale dello Stato.
Una tale dichiarazione rappresenta qualcosa di eversivo che dovrebbe far sobbalzare commentatori televisivi, e della carta stampata non solo persone di buon senso!
Ecco allora che tutta la vicenda assume un problema più vasto e profondo che non quello del ricorso di ex parlamentari in età avanzata che hanno servito con onore e dignità le istituzioni e che qualcuno vorrebbe infangare e bruciare nel falò della storia.
Non lo permetteremo costi quel che costi.
Crediamo nello Stato di diritto e faremo tutti i passaggi che l’ordinamento prevede per difendere lo Stato di diritto. !
Se Crimi, Di Maio, Taverna non sono in grado di capire i principi del diritto possono sempre chiedere aiuto ai collaborazionisti o ai Cozzoli di turno!

Articolo comparso sul giornale online Il domani d' italia

http://www.ildomaniditalia.eu/esiste-ancora-lo-stato-di-diritto/

Gli Stati generali dell’economia e la palazzina Algardi.

Immaginate la contentezza dei romani per la location di Conte per gli Stati generali dell’economia per un tempo così lungo: ben 10 giorni.
La Palazzina Algardi con lo splendore dei suoi giardini si trova all’interno di Villa Pamphili ormai parco pubblico con unico ingresso stradale su via Aurelia Antica, la strada che unisce il Gianicolo e Porta San Pancrazio e la Via olimpica passando con via Piccolimini, un balcone sulla Basilica di San Pietro.

 

È una bretella lunga e stretta con alti muri ai lati. Non lontano dall’ingresso della residenza di rappresentanza del Governo ci sono gli ingressi pedonali dei visitatori che  vanno nel parco con i bambini oppure a correre. Immaginate le misure di sicurezza cosa hanno comportato.? Poi verso porta San Pancrazio si trova Villa Abemeleck, meravigliosa residenza dell’ambasciatore prima delle repubbliche Socialiste Urss e poi della Federazione russa a Roma, con un grandissimo parco di decine di ettari che costeggia via delle Formaci e arriva fino a Porta Cavalleggeri. Poi prima di arrivare a Porta San Pancrazio si trova il Vascello la sede del Grande Oriente d’Italia.  Tutta quell’area fu luogo della guerra per la Repubblica Romana tra i garibaldini e i repubblicani guidati da Giacomo Medici del Vascello e le truppe pontificie con l’ausilio dei francesi. Senza dimenticare poi sulla destra lo storico ristorante lo Scarpone, antica trattoria romana nata con la Repubblica Romana celebrata da Petrolini e Trilussa.


Sono luoghi densi di significati storici che non possono essere banalizzati.
Oggi quel quadrante è una area di collegamento tra i quartieri di Trastevere Monteverde, Aurelio, e il non distante Stato del Vaticano.
La Palazzina  Algardi diventa da oggi la sede degli stati generali dell’economia, ma i primi a domandarsi cosa sta succedendo saranno i romani abituati a passare distrattamente su Via Aurelia Antica mentre li si sta discutendo su come impegnare i programmi di sussidio e di debito con risorse europee, vedendo straordinarie misure di sicurezza in una zona lontana dai clamori della politica.

Attualità politica e metodo Ciampi

 

Oggi Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di fronte alla attualità politica con Stati generali, piani di rinascita , libri dei sogni, ha ricordato il metodo Ciampi.
Forse è bene rileggere uno dei due interventi che Ciampi fece da senatore a vita nel 2006, uno in Commissione Finanze è quello successivo in Aula a distanza di pochi giorni sulla Legge Finanziaria.
Ebbi il privilegio di parlare prima del Presidente Ciampi e di osservare e ascoltare le Sue parole che restano scolpite.

Seduta del 26 novembre 2006 commissione Finanze sede consultiva  sulla Legge Finanziaria 2007. Tabelle 1 e 2

CIAMPI (Misto). Signor Presidente, l’ambiente confidenziale mi induce ad una riflessione sui lavori della Commissione, di oggi e dei giorni prossimi, e sul futuro della discussione del disegno di legge finanziaria nell’Aula del Senato. Sono argomenti sui quali ho impegnato una vita di lavoro e credo di conoscere abbastanza la loro evoluzione storica.
La prima considerazione si ricollega a quanto detto dal senatore Eufemi sulla procedura di bilancio. Ritengo che sia ora, anche in base ad un’esperienza ormai decennale, di ripensare e di riconsiderare la procedura attuale: dal DPEF di primavera si arriva fino agli ultimi giorni dell’anno per approvare la legge finanziaria, evitando così l’esercizio provvisorio.

Questa procedura va rivista.
Nel rivederla, per semplificarla, forse sarebbe necessario porre l’attenzione anche sul momento della realizzazione. Anche se non mancano gli elementi conoscitivi, non c’e` un momento in cui si faccia il punto su quanto si proponeva la legge finanziaria; su quali provvedimenti siano stati realizzati, su quali abbiano raggiunto gli obiettivi e su quali invece non ci siano riusciti. Cio` e` particolarmente importante adesso che i Governi, piu` di una volta, sono governi di legislatura (prima poiche ́ ogni anno il Governo cambiava, il rendiconto in qualche misura non avveniva piu` con l’Esecutivo in carica). Il Governo in carica dovrebbe essere tenuto a presentare al Parlamento, che dovrebbe prenderne atto, una relazione chiara e conclusiva su quanto realizzato.

Per quanto riguarda la manovra in atto, noi ereditiamo questo disegno di legge dalla Camera dei deputati. In occasione della discussione in Assemblea del decreto fiscale e` gia` stata evidenziata la necessita` di approvare qualche emendamento, di comune intesa tra Governo ed opposizione.
Mi permetto di suggerire, nel fare questo, di orientarsi verso due criteri. L’economia italiana ha bisogno di crescere e tale obiettivo e` il principale. Per troppi anni abbiamo registrato una crescita bassa, tanto che oggi gli stessi modelli per il potenziale di crescita (siccome sono fatti in base al passato) estrapolano per l’Italia tassi di crescita potenziale inferiori alla media europea.
Non capisco perche ́ l’Italia debba essere condannata a crescere meno della media europea, quando invece dovrebbe essere in condizioni di crescere quanto, e forse di piu`, di tale media. Infatti, essa ha un potenziale, a cominciare dalla manodopera, per avere uno sviluppo maggiore.
Senza crescita, l’equita` fiscale non puo` essere realizzata facilmente, anche perche ́ cio` avviene piu` facilmente lavorando sull’addizionale. Se cresce la torta, come suol dirsi, la parte aggiuntiva di tale torta puo` essere ridistribuita secondo le occorrenze sociali; se la torta non aumenta, la ridistribuzione del reddito diventa piu` difficile dal punto di vista economico, influendo sulla pace sociale.
Per realizzare la crescita, bisogna riequilibrare i conti dello Stato, che indubbiamente hanno subito un peggioramento, come dimostra l’andamento negativo del rapporto debito/PIL, che avrebbe dovuto ridursi gradualmente fino a raggiungere il «mitico» 60 per cento, al quale siamo moralmente impegnati. Invece, tale rapporto ha cominciato a risalire.
L’equilibrio dei conti dello Stato ha un significativo, oltre che obiettivo, elemento di segnalazione nell’avanzo primario. Come tutti sappiamo, l’avanzo primario e` rappresentato dalla differenza fra entrate e spese al netto degli interessi. Noi ci eravamo impegnati, quando abbiamo aderito alla moneta unica europea, a mantenere mediamente l’avanzo primario sopra il 5 per cento. Oggi l’ avanzo primario e` al di sotto del 2 per cento. L’avanzo primario rappresenta una sorta di assicurazione al fine della ri- duzione del rapporto debito/PIL.
Il risanamento operato in occasione dell’adozione della moneta unica ha portato un beneficio enorme. Di interessi pagavamo mediamente, dato il rischio Italia, il doppio rispetto agli altri Paesi europei, con un notevole danno sul bilancio dello Stato e per le imprese che si indebitavano ai tassi di mercato. I tassi di interesse sono diminuiti in maniera rilevante non solo per la riduzione dei tassi europei ma perche ́, praticamente, si e` annullato il differenziale dei tassi fra Italia e gli altri Paesi. Faro` un esempio in cifre. Nella prima meta` degli anni 90, pagavamo di interessi una percentuale del prodotto interno lordo superiore al 10 per cento. Nel 1996, quando ero Ministro del tesoro, e` stato pagato per interessi un importo pari all’11,5 per cento del PIL (pari a 113 miliardi di euro).
Oggi, per l’annullamento del rischio Italia, il differenziale con gli altri Paesi europei e` di pochi decimali (mediamente circa lo 0,20), mentre prima era di 600 punti base. Oggi, noi paghiamo per interessi il 5 per cento del prodotto interno lordo; il sottosegretario al Tesoro potra` fornire l’importo esatto. L’anno scorso abbiamo pagato di interessi circa 65-70 miliardi di euro, non piu` i 113 miliardi di euro del 1996, anche se il debito e` aumentato.
Questo e` stato il grande vantaggio del risanamento e dell’adozione della moneta unica europea. Se noi avessimo un avanzo primario non dico del 5 per cento, ma di 4 punti percentuali, avremmo un bilancio pubblico con un disavanzo complessivo non superiore dell’1-2 per cento.
A questo dobbiamo mirare, perche ́ ci consente di addivenire ad una riduzione del rapporto debito/PIL. Se si riduce il disavanzo e al tempo stesso c’e` un incremento del reddito nazionale (cioe` aumenta il denominatore del rapporto) il rapporto debito/PIL torna a diminuire.
Questo, secondo me, e` importante: la crescita economica ed il riequilibrio dei conti pubblici. Gli emendamenti dovrebbero essere volti proprio al raggiungimento di questi obiettivi e, facendo gli interessi del Paese, dovrebbero registrare la convergenza di ogni parte politica.
Concludo, scusandomi per queste mie «divagazioni», in gran parte dovute ai miei precedenti professionali.

Ex DC insorgono contro trasmissione Atlantide, insulta storia 

Ex DC insorgono contro trasmissione Atlantide,insulta storia Cirino Pomicino, non era partito mafia, La7 deve ora ascoltarmi (ANSA) -

ROMA, 21 MAG - "Ieri sera sulla rete 7 e' andata in onda una trasmissione pensata e condotta da Andrea Purgatori ingiuriosa e calunniatrice della storia della Democrazia Cristiana indicata come il partito della mafia con la quale avrebbe fatto un patto scellerato insultando cosi' tutti i suoi uomini compreso l'attuale presidente della repubblica Sergio Mattarella, leader indiscusso della democrazia cristiana siciliana". Lo afferma Paolo Cirino Pomicino ex ministro e storico esponente della DC a proposito della trasmissione andata in onda ieri su La7. "Bugie ed omissioni - prosegue - si sono susseguiti ininterrottamente durante tutta la trasmissione falsificando cosi' la storia repubblicana senza alcuna impudenza. Chiedero' alla cortesia della direzione della rete 7 di ospitarmi per una intervista con giornalisti indipendenti per evidenziare i grossolani falsi di una trasmissione che tenta di riscrivere la Storia del paese con la penna di quelli che furono vinti dalla politica democratica del cattolicesimo politico". Dello stesso avviso anche altri due ex DC Mario Tassone,e Maurizio Eufemi: "Durante la trasmissione di Andrea Purgatori - scrivono in una nota congiunta - su La7 sono state fatte ieri sera ricostruzioni e affermazioni sulla opacita' della azione della Democrazia Cristiana nel contrasto alla mafia che vanno fermamente respinte. Si tratta di volgari falsi storici! Purgatori nel rispetto della correttezza della informazione e della deontologia professionale dovrebbe sentire il dovere di aprire un confronto su un tema cosi' delicato, che non puo' essere manipolato violando Verita' e Storia! Siamo pronti a confrontarci in qualsiasi sede per riaffermare la verita'! Si rimuova finalmente il fango su cui molti hanno costruito le loro fortune!". (ANSA). IRA-COM 21-MAG-20 12:08 NNNN

Dichiarazione on. Mario Tassone, ex Vicepresidente della commissione Antimafia e Maurizio Eufemi ex senatore

Durante la trasmissione di Andrea Purgatori su La7 sono state fatte ieri sera ricostruzioni e affermazioni sulla opacità della azione della Democrazia Cristiana nel contrasto alla mafia che vanno fermamente respinte.
Si tratta di volgari falsi storici!

Andrea Purgatori nel rispetto della correttezza della informazione e della deontologia professionale dovrebbe sentire il dovere di aprire un confronto su un tema così delicato, che non può essere manipolato violando Verità e Storia!
Siamo pronti a confrontarci in qualsiasi sede per riaffermare la Verità!
Si rimuova finalmente il fango su cui molti hanno costruito le loro fortune!

Roma, 21 maggio 2020

Il decreto rilancio,  tardivo e inutilmente complicato.

Abbiamo già detto detto della montagna di articoli e di pagine del decreto cosiddetto rilancio. Rischia di alimentare illusioni per la complessità delle norme re il Governo non ha colto  l’occasione per sburocratizzare,  accentuando la complessità e le difficoltà.
Il Governo ha puntato sulla dimensione e sulla dimensione delle risorse per battere record del debito inutili piuttosto che sulla qualità degli interventi. Non vale neppure il confronto con la manovra Amato perchè quella era di contenimento e di riduzione del deficit!
Il governo ha puntato sul tutto compreso piuttosto che ad un esame parlamentare costruttivo con le opposizioni come la gravità della situazione richiederebbe.
In caso contrario avrebbe perseguito una strada diversa come quella di più provvedimenti incrociati tra Camera e Senato consentendo di approfondire le questioni nelle commissioni di merito così come avrebbero meritato distinguendo tra sanità e sicurezza, aiuti ai lavoratori  e al lavoro, sostegno alle imprese e alla economica, enti locali, Fisco e tutela del risparmio, turismo ed editoria, infrastrutture e trasporti, sport giustizia, istruzione e Universitá e innovazione tecnologica, personale pubblica amministrazione.
Ce n’è per tutti. Quale sarà la commissione di merito chiamata a esaminare gli oltre 250 articoli. La Bilancio? E allora tutte le altre saranno espropriate della loro competenza specifica sulla materia.
La marmellata legislativa serve solo al Governo ad imporre senza approfondire!
Ed é un gravissimo errore di metodo e di merito! Mai come in questo momento ci sarebbe stato bisogno di un salto di burocrazia e di semplificazione.


Una occasione sprecata.

Articolo tratto dal giornale "Il domani d'Italia" del 30 aprile 2020

Il risveglio del Parlamento

Ieri in Senato si è levata alta la voce di Luigi Zanda. È stato un intervento che è andato al di lá dei contenuti pur rilevanti in esame che non dimentichiamo riguardavano i numeri del Def e lo scostamento del Bilancio. Sono previsioni drammatiche rispetto al Pil, alla mortalità delle aziende, ai consumi delle famiglie, alla occupazione, alla tenuta sociale del Paese. Ha opportunamente sottolineato le parole di Marta Cartabia, presidente della Corte Costituzionale.
Luigi Zanda, per cultura e per esperienza parlamentare ha voluto richiamare il ruolo del Parlamento rispetto alle scelte debordanti del Governo Conte che ha provocato una rottura nell’equilibrio di poteri sui principi delle libertà costituzionalmente garantite.
Lo ha fatto con toni fermi ma preoccupati, difendendo la storia del Parlamento di fronte a campagne populiste denigratorie che hanno finito per delegittimarlo progressivamente. L’intervento di Zanda era anche rivolto al suo partito il PD a prendere coraggio, a uscire dalle secche, a ritrovare il sentiero della sua storia che ha guardato al Parlamento come luogo della centralità politica sulle grandi scelte politiche, economiche e costituzionali.
Zanda ha gettato un sasso nelle acque stagnanti che si sono mosse con una piccola onda provocando iniziali apprezzamenti. C’è da augurarsi che l’onda si alzi e che possano suscitare ancora più larghi consensi affinché i decreti all’esame del Parlamento possano essere corretti adeguatamente recuperando l’indispensabile riequilibrio tra potere legislativo ed Esecutivo.
Non basta l’emendamento Ceccanti con il pallido parere preventivo su DPCM. C’è bisogno di qualcosa di più! Forza Zanda.

Articolo tratto dal giornale "Il domani d'Italia" del 26 aprile 2020

La polemica sul 25 aprile

Cirino Pomicino ha sollevato una opportuna e vivace polemica sullo speciale sulla ricorrenza del 25 aprile per avere l’autore del servizio Rai fatto scomparire dalla ricostruzione ogni voce sul ruolo del cattolicesimo democratico. Una storia scritta dai vinti!

Dunque un problema di pluralismo informativo e culturale che non può essere sottaciuto soprattutto se avviene nel servizio pubblico!
L’autore del servizio si è giustificato dicendo che lo speciale partiva da una intervista ad una storica di matrice cattolica: Lucetta Scaraffia.

Basta essere solo un docente di storia contemporanea per garantire il pluralismo o forse è richiesta una forte specializzazione sui temi della Resistenza e sulla storia del Movimento Cattolico? Si è preferita una scelta più legata al femminismo, forse distorsiva conoscendo le recenti polemiche tra la stessa studiosa e l’Osservatore Romano piuttosto che la ricerca di un equilibrato giudizio sulle vicende della Liberazione.

Dunque il problema non è avere garantito una presenza purchessia – ma quale presenza! Una presenza per garantire il pluralismo o per determinare una linea editoriale? Questo è il punto.

Non c’erano altre figure per divulgare una raffigurazione autenticamente pluralista delle vicende legate alla Liberazione, sul ruolo fondamentale dei partigiani cristiani e dei volontari della libertà, da Luigi Bignotti a Enrico Mattei a Mario Ferrari Aggradi, da Paolo Emilio Taviani a Gian Luigi Rondi?

Non c’erano forse storici come Nicola Antonetti presidente dell’Istituto Sturzo o Francesco Malgeri? Ci saremmo accontentati di Piero Craveri che pur laico sarebbe stata una voce autenticamente libera ed obiettiva per la ricostruzione di vicende complesse che richiedono la presenza di studiosi piuttosto che di divulgatori.

Dichiarazione di Gerardo Bianco e Maurizio Eufemi

Ritrovare uno slancio vitale e uno spirito ricostruttivo

C’è bisogno di un risveglio delle coscienze e di spirito vitale, come accadde nel secondo dopoguerra per ritrovare un nuovo spirito ricostruttivo - come ha ricordato saggiamente Giuseppe De Rita - per reagire alla profonda crisi economica e sociale.

Non ci si può infatti illudere che il Paese possa ritrovare la via della ripresa dello sviluppo se si affida all’assistenzialismo di Stato. Sarebbe una Italia senza prospettiva e senza futuro se non si risvegliano le forze morali e gli spiriti vitali fondamentali anche per dare vigore alla vita economica del Paese.
Non mancano le risorse e una generazione di uomini e donne capaci di affrontare le sfide del presente con coraggio e determinazione.

C’è bisogno anche di individuare un modello di sviluppo adeguato alle nuove condizioni per sostenere le imprese con iniziative anche innovative.

Il Paese sarà condannato inesorabilmente al declino se non consoliderà il sentimento civico dei doveri e delle responsabilità verso la società a partire dalla grave evasione fiscale.
Soltanto con sussidi di Stato non c’è un grande generale risveglio per il quale tutti gli italiani devono sentirsi impegnati.

Articolo tratto dal giornale "Il domani d'Italia" del 19 aprile 2020

L’orizzonte lontano dello sguardo di Guarino

Con Giuseppe Guarino scompare un Maestro del diritto, un accademico con cui si sono formate intere generazioni di studenti poi diventati manager e classe dirigente del Paese. Era un uomo cordiale, aperto al dialogo e pronto ad ascoltare, ma fermo nei suoi principi. Aveva il grande pregio di guardare il futuro con grande anticipo rispetto agli avvenimenti perché aveva una visione globale. Era moderno ed elegante come il Suo sito che incorniciava i suoi scritti, i suoi interventi, che restano una memoria incancellabile.

L’ultimo volta che l’ho incontrato è stata nell’Auletta  dei Gruppi stracolma quando insieme a Giorgio La Malfa e Paolo Savona illustrò i suoi studi sulle norme europee istitutive dell’Euro, con il futuro leghista Borghi che lo invitava rozzamente a concludere, non comprendendo la grandezza del personaggio e la profondità del pensiero (che certamente non si misura con il tempo!).

Mi preme però soffermarmi su Guarino studioso dell’intervento pubblico in economia. Il problema delle Partecipazioni Statali non è tanto quello del “ruolo”, quanto quello del loro “modo di essere”. Dopo il periodo d’oro fino al 1965, in cui i meccanismi dello sviluppo erano stati favorevoli per gli ampi spazi interni e la minore capacità verso quelli esterni, riteneva che si erano generate molte illusioni.

Era per Guarino la stessa situazione di chi “veleggiando in mare aperto [scopre come] si sommino gli effetti del vento e di una corrente. Il timoniere può credere che tutto dipende dalla sua abilità a raccogliere il vento, quando molto del successo è da attribuirsi ai movimenti profondi del mare”.

Era mutato lo scenario perché era entrata la CEE – è questo lo diceva nel  luglio 1980 – e la libertà di apportare capitali per interventi pubblici non esisteva più perché aiuti anche indiretti possono alterare le condizioni della concorrenza. Il settore in quel momento coinvolgeva 1.000 imprese e 700.000 famiglie.

Forti erano le sue critiche alla classe politica che aveva capovolto il proprio rapporto non solo nei confronti degli imprenditori privati, ma anche dei grandi imprenditori pubblici. Ribadiva la funzionalità del modello organizzativo più sviluppato della società capitalistica con il gruppo di imprese, la formula che ne ha consentito il successo.

Vedeva il pericolo della amministrativizzazione spinta con i controlli preventivi nei fondi di dotazione e con vincoli eguali a quelli degli enti pubblici economici, quindi in contrasto con la formula originaria delle PPSS intese come gruppo volto ad operare  a mezzo di imprese ispirate ai criteri di economicità.

Si poneva il problema della direttiva e la sua risposta era: “Possiamo fare perno su un bastone, ma se il peso è troppo forte, il bastone si spezza e cadiamo in terra”. Se chiediamo troppo, più di quanto possano dare l’organismo si incrina, lo scopo non viene raggiunto e per di più avremo distrutto lo strumento.

Per Guarino la direzione era un’altra, quello della grande impresa, badando però ad evitare gli errori compiuti con la chimica costrette a vendere per il cambiamento del vento e dunque “costrette ad una provincializzazione spinta del settore”. E aggiungeva, con parole profetiche: “Ne avvertiremo gli effetti negativi, temo, tra non molto”.

Dunque ricapitalizzare le imprese pubbliche significava per Guarino  non tanto pagare i debiti, bensì gettare le basi per dimensioni future, incidendo nei settori civili, coinvolgendo i risparmi  verso le imprese, anche dei dipendenti, con i fondi pensione, istituti di assicurazione, grandi fondazioni. V’era il richiamo ad una funzione nuova con i caratteri del dinamismo per il conseguimento di utili che non è fine a se stesso, ma metro di validità e insieme strumento per il perseguimento dell’interesse pubblico.

Nel 1987, dopo la sua elezione alla Camera dei Deputati manifestò in modo elegante la sua candidatura alle primarie per la Presidenza della Commissione Bilancio in contrapposizione a quella di Nino Andreatta al Senato. Erano due visioni diverse delle PPSS e sull’intervento pubblico in economia. Il metodo democratico della DC, con voto segreto, portó a una scelta diversa.

Nel 1988 volle una grande momento di riflessione della Dc sull’Atto Unico di Delors, che dal 1993 avrebbe determinato modifiche strutturali, innovazioni istituzionali e politiche, superamenti di squilibri e inefficienze. Guarino sapeva guardare oltre l’orizzonte comprendendo i limiti della utilizzabilità dello schema di sviluppo domestico perché privava “il Sistema Italia della quasi totalità dei mezzi sin qui impiegati per il sostegno diretto o indiretto, dimostratatisi  indubbiamente efficaci al sistema industriale italiano”. Le difficoltà si determineranno proprio per le pmi per la loro debolezza strutturale e incapacità di affrontare i processi di ristrutturazione.

Nel 1993 al seminario della Camilluccia promosso da Gerardo Bianco disse che “le privatizzazioni andavano fatte due anni prima, ma allo stesso modo dobbiamo preoccuparci se fra dieci anni il nostro sistema industriale sarà competitivo, dopo che è nato e cresciuto nella bambagia di un mercato interno protetto. Bisogna cambiare strategie di lungo periodo nelle dimensioni pubbliche e private, negli investimenti per la ricerca, nella abitudine ai mercati finanziari”.

In un intervento in Commissione Bilancio espresse preoccupazione per gli effetti sulla occupazione in conseguenza dell’accordo Andreatta-Van Miert, che porterà di lì a breve alla chiusura dell’Iri.

Da Ministro della Industria e ad interim delle PP.SS.  nel 1992 sui decreti Amato portò avanti le sue idee sulle privatizzazioni divergendo dal Ministro del Tesoro Barucci per il quale “il programma di privatizzazioni consentirà la liberazione di energie da rivolgere allo sviluppo del Paese e permetterà la creazione di un mercato assai più vitale”.

Purtroppo non sarà così! Infatti nel successivo governo Ciampi fu sostituito da Savona. Guarino si domandava infatti se “si privatizzava a diritto variato o invariato”, perché il diritto variato implicava di adottare decisioni che modificano opportunamente l’ordinamento giuridico. Dunque, vedeva i pesanti effetti sulla occupazione per una dimensione fino a 200 mila occupati; così come vedeva i pesanti effetti della seconda direttiva comunitaria che nel rapporto delle banche con l’industria elevava il limite fino al 60 per cento del patrimonio netto.

Poi verrano i suoi magistrali studi sull’Euro che resteranno incancellabili, ma non possono essere strumentalizzati. Illuminano, come mai era stato fatto, la storia dell’Europa, i rapporti fra gli Stati, la moneta unica e le prospettive per tutti noi. Possono essere utili a chi è in grado di maneggiarli per migliorare le Istituzioni europee.

Infine, giova menzionare l’occasione dei suoi novant’anni festeggiati dall’associazione ex parlamentari nella Sala delle Colonne, con il suo sorriso bonario che ci accompagnerà come ricordo incancellabile.  Ho avuto il pregio di conoscerlo, di frequentarlo di apprezzarne le virtù. Ogni occasione era una lezione universitaria che ti arricchiva! Guarino volgeva il suo sguardo nell’orizzonte lontano!

     

 

Il divorzio Tesoro -Banca d’Italia, la tassa da inflazione e il debito pubblico

Il dibattito aperto sulle conseguenze del “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia impone qualche considerazione, soprattutto se la valutazione complessiva porta  a sostenere che “ il divorzio fu un colpo di mano in spregio delle istituzioni democratiche è facile rispondere che nessun parlamento aveva mai autorizzato quell’enorme scippo di risorse ai danni dei risparmiatori che lo Stato attuò negli anni settanta con la tassa da inflazione”.
Perche il Parlamento aveva autorizzato la tassa da inflazione con la grande fiammata inflazionionistica  tra l’estate 1946 e l’autunno 1947 quando i prezzi raddoppiarono portando a circa il 50 per cento il coefficiente di aumento rispetto a prima della guerra?  In una situazione come quella del primo dopoguerra in cui le banche detenevano ingenti riserve liquide, ma con le strozzature della carenza di materie prime e fonti di energia e trasporti disastrati.
Quell’inflazione provocò un drastico abbattimento del valore reale del debito pubblico e dell’indebitamento delle imprese.
Quella azione di stabilizzazione portata avanti dalla Banca di Italia e da Donato Menichella portò frutti innegabili negli anni successive. Uomini come Menichella e Carli avevano idee e inventarono strumenti. Menichella, con  la missione con De Gasperi  negli Stati Uniti, insieme con Carli e Campilli, nascosta come discorso a Cleveland,  determinò  prestiti per 231 miliardi. Per Menichella, parlando all’ABI,   i prestiti dovevano essere a 25 anni, con i primi anni solo rimborso di interessi, senza rimborso di capitale. (Questo solo come termine di paragone rispetto alle misure indicate nel decreto liquidità) .
Carli inventò il Mediocredito centrale e i mediocrediti regionali; c’erano le banche pubbliche i certificati di deposito con la raccolta delle Bin allo 0,50 che servivano a Mediobanca per finanziare il sistema industriale.
Questo per memoria. Torniamo agli anni settanta. Come si puo’ dimenticare che l’onda della spesa pubblica si ebbe per il consenso politico, sindacale, confindustriale a cui si è aggiunto spesso l’effetto di sentenze della magistratura, corte costituzionale compresa, con impatti devastanti sul bilancio! Per non parlare del sistema delle indicizzazioni per i lavoratori e per i pensionati  dopo  l’accordo Lama -  Agnelli del 1975. 
Le conseguenze del cosiddetto “divorzio” Tesoro-Banca d’Italia  derivarono da un aumento dei tassi di interesse reali, che contribuirono alla crescita del fabbisogno del Tesoro quando ormai il finanziamento dipendeva dal mercato.
Quella decisione  sul divorzio fu presa con una lettera a Ciampi del 12 febbraio 1981, che rispose il 6 marzo. Gianni Goria nella richiesta al Parlamento della anticipazione straordinaria di 8.000 miliardi disse che:”l’intervento restituiva flessibilità al Tesoro, ma non affrontava le cause del disavanzo”. La decisione fu presa “ senza consenso politico” come riconobbe Andreatta dieci
anni più tardi. “Gli effetti del divorzio non sono quelli sperati” riconoscerà Mario Draghi nel 2007.
Errore politico degli anni ottanta fu di puntare sulla capacità della crescita di finanziare il debito.  Il bilancio pubblico ha accentuato la pace sociale. La spesa pubblica passò dal 34 per cento del Pil nel 1970 al 55 per cento del Pil nel 1985. Il livello del debito lievita dal 59 per cento del 1980 all’84 per cento nel 1985. La spesa per interessi cresce dal 5,3 a quasi il 10 per cento del Pil.
Non va poi dimenticato che nel 1985 il 40 per cento dei titoli erano posseduti da banche e istituti di credito. Il 57 per cento degli utili Fiat e il 62 per cento degli utili Olivetti per il 1984 venivano da titoli di stato ci ha ricordato Napoleone Colajanni nei suoi scritti.
Quando in gennaio 1983 il Tesoro chiese l’anticipazione straordinaria alla BI per 8.000 miliardi i tassi veleggiavano sul 18 per cento. Nel 1986- 1987 la spesa per interessi raggiunse l’ 8, 2 per cento del Pil rispetto al 4,5 del 1981. Nell’imminenza della crisi finanziaria del 1992 il tasso di sconto si cifrava al 11,5 per cento. Nino Galloni ha ricordato l’importanza degli investimenti sia pubblici che privati peraltro di poche grandi imprese. Sappiamo bene la spunta demolitrice verso le Partecipazioni Statali in nome di liberalizzazioni senza regole!
Quando in Francia nel 1925-26 si verificò la crisi nel collocamento dei titoli vi furono emissioni al 7 per cento che furono un successo. Fu creato un fondo di ammortamento con la devoluzione di importanti entrate come reddito dei monopoli del tabacco, le imposte di successione e proprietà.  Le spese di ridussero da 58 md a 34 md.
Nella esperienza italiana ricordiamo la rendita Italia 5 per cento del 1935, regio decreto n. 60/34,  Ministro delle Finanze Jung.
Nel caso italiano in una economia aperta e globalizzata con un debito collocato per il 50 per cento ad investitori internazionali o a non residenti non vi è un “trasferimento dalla mano destra alla mano sinistra” ma da un paese ad altri, come era in passato per l’Italia con un debito tutto domestico. Il Paese diviene più povero se paga l’interesse con un trasferimento di ricchezza verso l’esterno, di qui l’errore di non avere affrontato il problema del debito in una fase economica più favorevole attraverso quelle misure come contenimento della spesa corrente dal lato della  spesa militare, e delle entrate con la dismissione di beni patrimoniali.
Ora se rompi i ponti con l’Europa e sogni di fare da solo, devi fare un piano finanziario che non può poggiare su un modesto contributo di solidarietà, ma con un robusto Piano Italia di titoli di stato  a lunghissimo termine che mobiliti la ingente liquidità degli italiani a tassi remunerativi. Per raggiungere questo obiettivo  c’è bisogno di credibilità della classe dirigente e soprattutto di idee ricostruttive. Purtroppo non abbiamo né De Gasperi, nè Menichella.

Maurizio Eufemi

Articolo tratto dal giornale "Il domani d'Italia" del 10 aprile 2020

 

Manovra economica: per la DC la più grande rivalutazione della storia.

 

Ieri il governo Conte ha approvato, con molta enfasi, dopo non poche tensioni nella stessa maggioranza, il decreto liquidità Italia. Si tratta di una cifra imponente: ben 400 miliardi di euro, pari al 25 per cento del Pil.
Viene fatto riferimento a due Istituti e strumenti: i Confidi e la Sace.

 

Fanno parte dell’armamentario economico costruito dalla Dc durante le varie fasi del governo del  Paese, per favorire le esportazioni e il credito alle PMI e la crescita del Paese. Entrambi questi strumenti furono inventati negli anni sessanta e settanta, poi affinati nei decenni successivi.

 

Del resto analogo apprezzamento pubblico è venuto ieri sera in tv dal filosofo Massimo Cacciari che riconosceva esplicitamente il valore degli uomini della Prima Repubblica rispetto allo scenario sotto i nostri occhi.

 

Quale è il pericolo che abbiamo di fronte? La preoccupazione è che quello che è successo all’INPS con il sito paralizzato dall’enormità dei collegamenti informatici, possa riprodursi nella applicazione del decreto liquidità, quindi sul versante bancario, che procedure farraginose possano creare disagio e poi malessere sociale, che molte aspettative possano andare deluse. Le banche però non sono  istituti di beneficenza. Devono tutelare i risparmi dei depositanti. Devono rispettare i vincoli di bilancio, che non possono essere elusi.

 

Il nodo del merito del credito resta seppure per una percentuale bassa, ma comporterà conseguenze sulle istruttorie che non avranno percorsi agevoli. Dunque evitiamo facili illusioni.
C’è bisogno di procedure snelle e rapide se si vuole raggiungere l’obiettivo di assicurare la liquidità alle imprese, dietro le quali ci sono i lavoratori, gli occupati e le loro famiglie,  nonchè la tenuta del tessuto economico e sociale del Paese.

Quanto alla dimensione dello stock finanziario messo sul tavolo si tratta di debito che si aggiunge ad altro debito, in attesa che l‘UE decida come intervenire e come affrontare la crisi epidemica che colpisce tutti.
In ogni caso il decreto liquidità dovrà passare al vaglio del Parlamento e in virtù dello sforamento del Bilancio richiederà una maggioranza qualificata. Li si vedrà se il testo sarà rispondente alle attese dei cittadini che dei rappresentanti delle forze sia della maggioranza che delle opposizioni, perché sulle prospettive della tenuta del Paese non si può giocare!

Uno spettacolo indecoroso

Il Consiglio dei Ministri è stato dunque sospeso. Speriamo che riprenda presto e assuma le decisioni che necessitano al Paese per superare la emergenza non solo sanitaria ma soprattutto economica e sociale. Non ci sono ritardi ammissibili. Le ragioni della sospensione stanno dentro il contenuto del nuovo decreto per un conflitto tra il titolare del’Economia e il M5S che ormai, partito di potere non vogliono cedere sulla Sace, attualmente in capo alla holding Cassa Depositi e Prestiti.
Bisogna ricordare che la Sace nacque negli anni settanta, durante il governo Andreotti della solidarietà nazionale, per azione del Ministro del Commercio Estero Rinaldo Ossola, un competente, ex Banca d’Italia  al posto giusto. Non uno vale uno, ma uno che esprimeva competenze e professionalità; il modello di riferimento costruito da Ossola era la exim Bank degli Usa che garantiva gli esportatori nelle operazioni all’estero.
Ora il conflitto è se la Sace debba avere come riferimento il Ministero dell’Economia come sarebbe più logico o debba rientrare nella sfera di influenza di qualche rampante politico a cinque stelle per allargare il proprio potere.
La cosa non è di poco conto. Purtroppo dopo avere demonizzato in questi anni  la Banca di Italia, è tutto ciò che rappresentava, sono venuti meno quegli istituti che avrebbero potuto risolvere questioni delicate con un confronto serio ma senza cadute di stile come quelle che stiamo vedendo.
L’eredità dei partiti della prima Repubblica sono stati anche istituti come la Sace, uomini come Ossola. La Sace non può essere un terreno di conquista, ma deve servire ad assicurare le garanzie per i nostri esportatori!
Decidete in fretta per il bene del Paese.

Articolo tratto dal giornale "Il domani d'Italia" del 04 aprile 2020

Lo shock petrolifero del 1973

La guerra del Kippur tra arabi e israeliani determinò lo shock petrolifero del 1973 con pesanti conseguenze sulle economie mondiali. Viene ricordata come il periodo delle domeniche a piedi degli italiani. Fu molto di più.

I prezzi dei prodotti petroliferi aumentarono di cinque volte con uno sconvolgimento che si era unito alla cancellazione nell’agosto del 1971 degli accordi di Bretton Woods contagiando l’economia mondiale. Giá nel dicembre del 1972 Siro Lombardini nel grande convegno economico della Dc, partito di maggioranza relativa, a Perugia, aveva posto l’esigenza di una politica di programmazione che avesse al centro la politica industriale, ponendo attenzione su nuove linee di sviluppo.

La crisi energetica maturata dai nuovi rapporti tra produttori e consumatori determinava: il rincaro dei prezzi di tutte le materie prime; la crisi dell’assetto monetario internazionale con i nuovi rapporti di scambio e grave deterioramento per il nostro Paese; una nuova divisione internazionale del lavoro. Lo sviluppo impetuoso degli anni cinquanta e sessanta veniva messo in discussione da variabili esogene, fuori dal nostro controllo. Il saggio di sviluppo dei paesi Ocse sarebbe passato negli anni sessanta dal 5 per cento al 3,3 degli anni settanta, mentre per l’Italia sarebbe passato dal 5,7 al 3,1 per cento; una inflazione da costi si abbatteva sul sistema industriale italiano che veniva colpito al cuore, anche da una crisi della domanda. La chimica che aveva puntato sul credito agevolato ne fu travolta. Così come l’industria siderurgica a più alta intensità di energia subì colpi pesantissimi. Mentre era forte il dibattito tra congiunturalisti e strutturalisti che cercavano di piegare il dibattito alla strategia delle alleanze, così come quello tra restrizionisti, preoccupati dalla realtà dei vincoli esterni ed interni ed espansionisti, tra chi voleva incidere sull bilancia dei pagamenti riducendo importazioni e tra chi voleva bilanciare la tassa sul petrolio con maggiore spesa pubblica. Il culmine si raggiunse in occasione della lettera d’intenti al Fondo Monetario Internazione nel 1974. Prevalse la linea di rigore della Banca di Italia. Furono approntate misure per il riequilibrio della bilancia dei pagamenti attraverso tagli sulla domanda, deposito obbligatorio sulle importazioni e politica fiscale restrittiva, nonché controllo del credito totale interno. Il fabbisogno del tesoro che veniva superato rispetto all’ammontare programmato costringeva la Banca dItalia a finanziarlo con la creazione di ampia base monetaria.

Il quadro di governo in quegli anni è rappresentato dalla azione del quarto e del quinto governo Rumor. Nel 1975 intervenne anche l’accordo Lama -Agnelli su punto unico di contingenza che permetteva ai lavoratori di recuperare la dinamica inflazionistica a due cifre. Moro espresse preoccupazioni perché “ più delicati problemi e rischi più attuali per la stabilità della economia pone invece l’andamento della dinamica salariale. Il governo non può, davanti a questi grandi round contrattuali, rimanere estraneo, poiché il loro risultato tocca piuttosto il livello generale dei prezzi e dei cambi che la distribuzione del prodotto fra profitti e salari”.

Ai governi Rumor segui il governo della piccola coalizione Moro – La Malfa, il bicolore DC- PRI che gettò le basi della ristrutturazione industriale che si concretizzò con la legge 675 del 1977. Dopo la recessione profonda, nel quinquennio 1975-1980 si è registrato uno sviluppo degli investimenti con dimensioni consistenti in parte destinati all’ampliamento della capacità produttiva e una larga parte destinata alla razionalizzazione dei processi produttivi. Si misero in campo misure per fronteggiare la crisi delle grandi imprese anche per la forza del sindacato, mentre il saggio di mortalità delle aziende piccole e piccolissime fu elevato. Nello stesso periodo gli interventi della Cassa Integrazione guadagni aumentarono di sei volte.

Si privilegiarono misure di stabilizzazione senza quelle incisive politiche strutturali che andassero verso la riduzione della bolletta petrolifera, nella ristrutturazione dell’apparato produttivo che l’aumento del prezzo del petrolio aveva bombardato nelle strutture alterando il prezzo dei fattori, e il rafforzamento della produttività, per aziende costrette alla competizione nonostante l’aumento dei costi.

La crisi sanitaria del 2020 che stiamo vivendo, diventerà crisi economica e sociale. Alcuni settori come quello turistico, alberghiero, ristorazione e quello dei trasporti di massa saranno pesantemente colpiti nelle attività economiche. Rispetto agli anni settanta non vi sará la distinzione tra garantiti e non garantiti perché i riflessi negativi saranno per tutti indistintamente. Quello che sapientemente fece in quegli anni la Banca d’Italia, dovrebbe essere nella responsabilità della Banca Centrale Europea superando incertezze ed egoismi. Si imporrà un nuovo modello di sviluppo. Da questa crisi potrà ritrovarsi una nuova idea di Europa comunitaria, non sarà facile, ma é l’unica strada percorribile. Nessun Paese può resistere da solo ad una paralisi così prolungata. Sarebbe profondamente sbagliato pensare di affrontare la crisi economica solo con misure assistenzialistiche senza gettare le basi per una ripartenza che segnerà una svolta per la interdipendenza tra le aree economiche del mondo.

Conteranno soprattutto - per usare le parole di Moro propio all’atto di nascita del suo governo - “ lo scatto di volontà, il vigore e la fantasia con cui noi tutti sapremo affrontare la sfida di adattare l’economia ai nuovi equilibri internazionali, di inventare nuove e più vere relazioni tra dirigenti e lavoratori, di mobilitare all’estremo la capacità di lavoro delle pubbliche amministrazioni”.

Sono stato sollecitato a prendere posizione su un possibile governo di unità nazionale.

La situazione è talmente grave che appare inevitabile, nonostante l’indecoroso spettacolo di questa mattina in Senato allorquando il clima di bon ton è stato rotto dall’intervento conclusivo del sen. Perilli (M5S) che ha voluto polemizzare ad ogni costo, non comprendendo l’inutilità della forzatura dei toni, dimostrando scarsa capacità di vedere la dinamica della informativa di Conte in Senato, costruita dopo un ampio gioco istituzionale.

Casini dietro di lui si è messo le mani nei capelli in una smorfia di rassegnazione.

Abbiamo il migliore uomo sul mercato mondiale per governare l’emergenza e la ripartenza: Mario Draghi, che, come ha salvato l’euro potrebbe ancora una volta salvare il suo paese e l’Europa politica.

Eppure di fronte a questa possibilità e alla domanda se serva un governo di unità nazionale, il reggente del M5S sen Crimi ha risposto “No” in modo secco e categorico.

Se le cose stanno così il governo di unità nazionale potrebbe nascere con le forze che ci stanno, tagliando quelle estremiste e trovando una piattaforma politica tra quanti hanno a cuore il destino del Paese.

L’operazione non sarà indolore perché probabilmente avrà effetti sulla unità della Lega, nonché dello stesso M5S, in cui i falchi potrebbero essere sconfitti dalle colombe.

Di certo il governo Conte non ha la forza di affrontare una epidemia che sta portando migliaia di morti e pesanti conseguenze economiche, con il rischio di fratture sociali insanabili.

Sarebbe veramente sciocco avere un italiano come Draghi e non servirsene per la salvezza del Paese.

Pandemia: Parlamento Protagonista!

Lettera dell’Associazione Ex-parlamentari della Repubblica

ai Presidenti delle Camere ed ai Parlamentari

Il  Consiglio direttivo dell’Associazione degli Ex-parlamentari della Repubblica si è riunito il 25 marzo 2020 in videoconferenza per esaminare le conseguenze, sotto il profilo costituzionale e istituzionale, delle misure adottate per affrontare l’emergenza Coronavirus. Il Consiglio ha condiviso il comunicato, adottato dall’Ufficio di Presidenza lo scorso 17 marzo, che invitava il Parlamento ad essere protagonista anche in questa fase, ed ha dato mandato alla Presidenza perché reiteri questo appello con una lettera ai Presidenti delle Camere e ad ogni singolo parlamentare

 

PARLAMENTO PROTAGONISTA 

La lettera ai Presidenti delle Camere e ai Parlamentari:

             Illustre Presidente del Senato, On. Sen. Maria Elisabetta Alberti Casellati,

             Illustre Presidente della Camera, On. Roberto Fico,

             Illustri on.li Senatori,

             Illustri on.li Deputati,

 

in un periodo così grave e difficile per il nostro paese, l’Associazione degli Ex Parlamentari si rivolge a Voi, rappresentanti democraticamente eletti della Nazione, perché nei giorni duri in cui la Repubblica è inevitabilmente governata nel segno della necessità e dell’urgenza, ciascuno di Voi si assuma le responsabilità che gli competono perché ciò avvenga nel pieno rispetto della Costituzione, confermando al Parlamento il ruolo di elaborazione delle leggi e insieme quello di indirizzo e controllo dell’esecutivo, nella consapevolezza che la situazione straordinaria  che stiamo vivendo, e che tanti sacrifici richiede a ogni cittadino, non abbia come sovrapprezzo anche l’indebolimento della nostra Democrazia. 

Mentre ribadisce la più convinta solidarietà e gratitudine a quanti - medici, infermieri, operatori sanitari, lavoratori, imprese, ricercatori, forze dell’ordine, forze armate, uomini e donne delle Istituzioni - sono impegnati, a rischio della loro incolumità, per garantire il pieno funzionamento dei servizi pubblici essenziali e delle fondamentali attività produttive, l’Associazione ritiene che anche il Parlamento, quali che siano le misure legislative e amministrative da approvare, debba essere protagonista della vita politica del Paese, e debba anche apparire tal agli occhi dell’opinione pubblica.

Non spetta solo ai Presidenti delle Camere, ma anche a ogni singolo parlamentare, che ha il privilegio di rappresentare la Nazione, il dovere di garantire, oggi come non mai, il pieno funzionamento delle assemblee elettive di cui fa parte, utilizzando tutte le attribuzioni che la Costituzione e i Regolamenti mettono a sua disposizione.

Come tutto il personale che si trova in prima linea sul fronte sanitario per custodire e salvaguardare la nostra salute, così i parlamentari sono responsabili della libertà e della democrazia di cui godono tutti i cittadini.

Perché il Parlamento possa svolgere il ruolo che gli compete, devono ovviamente essere garantite alle Camere e ai parlamentari tutte le misure di sicurezza collettive e personali necessarie e opportune.

Le provvisorie limitazioni delle libertà costituzionali di circolazione e di riunione per ragioni sanitarie non possono, in alcun modo, essere prese a pretesto per impedire al Parlamento di funzionare a pieno regime.

A questo proposito, non possiamo non manifestare la nostra fortissima preoccupazione per l’uso di strumenti normativi che non appaiono assolutamente coerenti con i principi costituzionali e con le sentenze che li hanno ribaditi.

La Costituzione italiana non impedisce, come si tende a far credere, che si possano affrontare situazioni di emergenza, indicando con chiarezza limitazioni temporanee di alcuni diritti e i necessari strumenti di intervento, e a quelle indicazioni non vi possono essere deroghe. 

A parere della nostra Associazione, i DPCM, i Decreti Ministeriali, le Ordinanze, le Circolari, l’insieme, cioè, degli strumenti amministrativi necessari a fronteggiare l’emergenza sanitaria (che ormai costituiscono un vasto corpo normativo, complesso e non sempre omogeneo),  non possono – anche nel rispetto di una consolidata giurisprudenza costituzionale - essere affidati al governo, come sta accadendo, su generici fondamenti normativi, ma solo ricorrendo ai Decreti-legge o a deleghe definite nell’oggetto, nei tempi, nei principi e criteri direttivi.

Il Parlamento deve essere messo nella condizione di controllare, emendare e convalidare la decretazione d’urgenza, in modo pieno.

Non è possibile che il Parlamento possa accontentarsi di generiche e sporadiche “informative”, che costituirebbero piuttosto un’offesa alla sua autonomia e sovranità.

È necessario evitare che le decisioni causate dall’emergenza sanitaria siano assunte in forme tali che possano costituire un precedente pericoloso.

L’Associazione degli ex-parlamentari della Repubblica avverte l’esigenza che, passata la crisi attuale, si possano sviluppare approfondimenti e adottare decisioni in relazione ai problemi istituzionali, economici e sociali che l’epidemia ha portato drammaticamente alla attenzione del Paese.

Occorre affrontare subito i problemi che sono emersi con una più chiara disciplina dello “stato di emergenza”, in modo da rendere efficaci gli interventi, nel quadro di un rapporto costituzionalmente corretto tra Parlamento e Governo, facendo anche chiarezza nella ripartizione dei compiti tra Stato e Autonomie regionali e locali, e rifuggendo da pericolose tentazioni di immaginare che una qualche forma di autoritarismo, basato su deleghe in bianco, sia la via più facile per governare l’emergenza.

Una particolare attenzione va posta al tema della Sanità che, com’è ormai evidente, non potrà più subire i tagli indiscriminati e sciagurati del passato e che dovrà assumere i reali bisogni della salute come riferimento di una politica di spesa efficace ed accorta e al tempo stesso, pienamente rispettosa dei doveri di solidarietà, anche sociale, fissati dalla Costituzione della Repubblica.

          Signori Presidenti, On.li Senatori, On.li Deputati,

nel momento in cui siete chiamati a esercitare la Vostra alta funzione in uno dei momenti più difficili della nostra vita democratica, l’Associazione degli ex Parlamentari della Repubblica avverte il dovere di esprimerVi ogni sostegno morale e civile perché possiate adempiere in modo fermo e consapevole alle funzioni che il voto popolare vi attribuisce, nel rispetto della Costituzione e nell’interesse del popolo italiano, perché tutti insieme riusciamo a superare l’impegnativa prova che il Paese sta affrontando.

per Associazione degli ex Parlamentari della Repubblica

Il Presidente

Antonello Falomi

No al MES, si agli Eurobond per rafforzare l'Europa della coesione e della solidarietà

 

Viviamo gli impedimenti della epidemia costretti alla lettura anche senza entusiasmo per le abitudini di vita stravolte, la stessa domenica sembra un giorno uguale agli altri senza i riti della festività.
Dopo l’ultimo decreto che restringe ulteriormente la mobilità sociale s’é aperto il dibattito sulle scelte economiche per superare la emergenza. L’amico Attilio Lioi ha richiamato la mia attenzione su una intervista di Giulio Tremonti al quotidiano la Veritá. Particolarmente interessante per le indicazioni che offre. Innanzitutto di fronte ad un Parlamento chiuso per paura da questi prodi apritori di scatole di tonno, c’é il pericolo tentativo dell’uomo solo al comando così come si sta verificando con i poteri derivanti da decreti legge che autorizzano ripetuti DPCR perfino con norme penali senza passaggi e controlli parlamentari!
Già questo dovrebbe far sobbalzare sulle sedie. Tremonti volge lo sguardo al caso Tsipras e alla esperienza della Grecia. Già questo è illuminante. Collega il tutto al Mes, che allo stato non è né negoziabile né accettabile. Deve essere semplicemente messo da parte per evitare ricatti sul sistema paese in particolare sui risparmi degli italiani e sul sistema finanziario. Per superare la crisi c’è bisogno di una idea forte di Europa con un salto adeguato alla gravissima situazione. Gli eurobond ipotizzati da Tremonti in epoca non sospetta possono essere un valido strumento di intervento per affrontare la crisi è come sostegno reale alle famiglie e alle imprese. La crisi si supera con più Europa, con più forte coesione e solidarietà.
Il Coronavirus ha cancellato gli egoismi.
Una ultima considerazione. E con l’epidemia é finita la fase del trentennale free trade. Si apre una fase di fair trade che dovrà essere garantita e sviluppata se non si vuole alimentare disordine economico che rischia di essere destabilizzante a livello planetario.

C’era in passato chi aveva colto ed esposto queste preoccupazioni, ma purtroppo invano!
 

Coronavirus e Università Telematica
 

I pericoli nella diffusione del virus cinese stanno imponendo nuove forme di insegnamento soprattutto con il ricorso a nuovi strumenti tecnologici.

Sono ormai lontane le tesi estremiste e distruttive di Ivan Illich propugnate in “Deschooling Society” nel 1971 che partendo da una critica severa della educazione “istituzionalizzata” giunge ad una formula radicale di “descolarizzazione” totale della società.

Una tesi da rifiutare perché non può esistere una società senza scuola.

Poi venne la Commissione dell’Unesco presieduta da Edgar Faure del 1970 che redasse un rapporto voluminoso (“Apprendre à être”, Parigi 1970) rilevando le insufficienze radicali spaziali, temporali e della comunicazione.

Le tecniche moderne aprono nuove prospettive nei processi educativi. Del pari, si apre allora il problema delle risorse da destinare allo sviluppo delle società umane.

In tempi di emergenza è necessario ricorrere a mezzi alternativi non dimenticando che l’università è il principale modello di insegnamento fin dal Medio Evo. È concepita da sempre, infatti, come Istituzione fondata sulla concentrazione spaziale di un microcosmo intorno a una Autorità incaricata di diffondere la conoscenza e di attribuire attestati” come sottolineava Henri Dieuzeide nel 1972.

Dunque non basta seguire sullo smartphone. Importante è cosa si segue e chi insegna.

Falomi: Lo scandalo di un Ministro della Giustizia che manifesta contro organi di giustizia 

Pubblichiamo l'intervista del presidente dell'Associazione degli ex parlamentari, Antonello Falomi, a Radio Radicale (https://www.radioradicale.it/scheda/598645/il-ministro-della-giustizia-alla-manifestazione-del-m5s-contro-i-vitalizi-intervista) in cui si stigmatizza lo scandalo, passato inosservato, del ministro Alfonso Bonafede, titolare del dicastero della Giustizia, che manifesta per impedire che l'organo giurisdizionale del Senato si pronunci in modo libero e imparziale sui ricorsi relativi al ricalcolo retroattivo dei vitalizi e in cui si biasima, non per la prima volta, la faziosità e scorrettezza delle trasmissioni del conduttore televisivo Massimo Giletti.

Centro di Cultura e di Iniziativa Politica “ Leonardo da Vinci”

 

Da: Centro Studi Leonardo da Vinci

Via della Colonna Antonina 36, Roma

Tel 06.6794253

COMUNICATO STAMPA

GLI ONOREVOLI GARGANI, CESA, GRASSI, ROTONDI, TASSONE HANNO PARTECIPATO ALLA RIUNIONE DEL 13 FEBBRAIO DELLA FEDERAZIONE DEI DEMOCRATICI CRISTIANI CHE HA APPROVATO ALL’UNANIMITÀ IL SEGUENTE COMUNICATO:

 

RINASCE IL CENTRO POLITICO FINE DELLA DIASPORA”

I Partiti e le Associazioni che hanno sottoscritto l’Atto Costitutivo della “Federazione Popolare dei Democratici Cristiani” si sono riuniti a Roma il per dar vita in maniera concreta ed effettiva ad una fase costituente, consapevoli di essere punto di riferimento culturale e politico per tutti quelli che si ispirano ai valori del popolarismo, italiano ed europeo, e all’umanesimo cristiano. Questa assunzione di comune responsabilità pone fine alla diaspora politica che è seguita alla crisi dei partiti degli anni ‘90 e garantisce un impegno unitario e rinnovato.
A tal fine la Federazione decide di adottare un logo e un simbolo comuni che sarà presentato alla stampa nei prossimi giorni, per essere utilizzato nelle prossime competizioni elettorali ed essere individuato unitariamente in una lista unica con proposte che costituiscono la sintesi delle varie espressioni presenti anche in periferia.
È stato detto e constatato che negli ultimi anni le “estreme“ hanno consenso ma non sono in grado di governare e il “centro“ che ha vocazione di governo è debole, e ha quindi bisogno di essere rafforzato e allargato. Per questo l’ impegno della federazione è quello di rafforzare questa area centrale invitando tutti quelli che si riconoscono nella comune linea politica a mettere da parte il personalismo che ha avvilito la politica e far prevalere la collegialità che rappresenta forza culturale e organizzativa.
 È urgente questo nostro impegno perché la crisi sociale come conseguenza anche della crisi economica sta alterando le fondamenta della democrazia e indebolendo l’unità politica e istituzionale del nostro paese, e quindi la cultura popolare rappresenta l’unico argine contro il populismo e l’estremismo di qualunque tendenza

 Per poter caratterizzare e rappresentare ancor più la nostra funzione siamo in attesa di una legge elettorale proporzionale che rispetti il pluralismo e ristabilisca il principio costituzionale della “rappresentanza” e favorisca la crescita di una nuova classe dirigente.

La prescrizione rinvio su rinvio.
 

Ieri è andata in scena la ennesima sceneggiata sulla prescrizione. Il veicolo utilizzato da Costa è stato mandato su un binario morto, quello del rinvio in Commissione.

Non poteva essere altrimenti. Quella norma regolamentare che assegna uno spazio parlamentare alle minoranze è fasulla, è una presa in giro, una norma manifesto. Non ha mai funzionato, come dimostrano i dati e i precedenti ogni volta richiamati dai presidenti della Camera.

Sarebbe meglio cancellarla. È un residuo della riforma Violante che voleva dare negli auspici una dignità al ruolo delle opposizioni tenendo conto delle istanze delle stesse, ma le maggioranze tendono ad aggirare ogni tentativo di far approvare qualcosa che non condividono.


Ora il Gruppo di Renzi vuole utilizzare il milleproroghe con un emendamento.

Sarà una pia illusione che lo stesso possa essere approvato semplicemente perché la maggioranza eviterà di metterlo in votazione. Sarà utilizzato lo strumento della fiducia e così si eviteranno spaccature nella maggioranza e tutti salveranno la faccia nel veicolo,  questa volta blindato.

 

L’unica possibilità di fare approvare una norma sulla prescrizione è un accordo condiviso che soddisfi innanzitutto la maggioranza. In tal caso il milleproroghe potrà passare anche senza ricorso alla fiducia, ma conterrà molti frutti indigesti per le opposizioni.

De Masi, Di Maio Berlinguer e il Master.

di Maurizio Eufemi - articolo pubblicato su: "Il domani d'Italia" - gennaio 24, 2020
 

Oggi il sociologo De Masi, già consulente per il Movimento Cinque Stelle dice in una intervista al Giornale, moltissime sciocchezze. Ne citiamo due.

Attribuisce a ruolo di Berlinguer, come oppositore, avere ottenuto lo statuto dei Lavoratori.

Anche i sassi sanno che è una legge attribuibile a Donat Cattin, a Giacomo Brodolini e a Gino Giugni, per volontà della Dc e dei socialisti. In quella fase Berlinguer non era neppure segretario del PCI.

 

L’altra assurdità è relativa ai consigli inascoltati dati a Di Maio.

“ Avrebbe dovuto prendere un Master ad Harvard o alla London School o Economics, “dice De Masi.

Che Di Maio dovesse approfondire gli studi è fuori di dubbio, che possa accedere a quelle prestigiose università è un poco più complesso.

Non è una passeggiata. Richiede una preparazione di base in economia che forse Di Maio non ha, così come una laurea di partenza. Non è che per un Master si può essere cooptati come nelle cariche pubbliche.!

 

Sorprende che queste affermazioni così disinvolte vengano da un sociologo, docente universitario con esperienze internazionali come De Masi!

Popolari 101

Celebriamo oggi il centunesimo anniversario dell’appello di Luigi Sturzo a tutti gli uomini Liberi e Forti. 101 e sei decimi come i deputati che i Popolari matematicamente avrebbero dovuto conquistare rispetto a 1.178.473 di voti su 5 milioni e mezzo di votanti. Furono invece 100 rispetto ai 410 candidati. Non si presentarono in 3 circoscrizioni: Chieti Potenza e Aquila. Il successo sorprese anche Sturzo di fronte a così tanti voti e troppi seggi. Chi rilegge oggi gli scritti politici di Luigi Sturzo riesce ad immergersi nella storia del nostro Paese per la profondità del pensiero, la lucidità della analisi, le indicazioni prospettiche. Oggi come allora il Parlamento vive una crisi profonda. Scrive Sturzo “è stata sottratta al Parlamento quasi tutta la tumultuosa legislazione, fatta con decreti legge”; e ancora ” questo Parlamento deve essere rifatto da un lavacro elettorale, che non può lasciare permanere le torbide acque del personalismo politico; abbiamo bisogno di elevare il corpo elettorale dalla pressione elettorale alla concezione delle idee e dei partiti. La legge elettorale appariva dunque a Sturzo il mezzo per ridare vigore al Parlamento. E c’era bisogno di un partito nuovo, avente da sè stesso forza di organizzazione, luce programmata ed energia combattiva. Oggi forse siamo nella stessa situazione del 1919. Solo che non viviamo i tormenti del mito della “ vittoria mutilata” della prima guerra mondiale, ma le ferite della guerra finanziaria globale, con le macerie degli apparati industriali, dei risparmi distrutti, della disoccupazione crescente. Come non guardare alla correlazione nel pensiero sturziano tra politica interna e politica estera! Sturzo anticipa la diagnosi sui totalitarismi di ogni tipo senza distinzione. La forza del Partito Popolare è stato il suo programma innovativo fondato sulle libertà, sulla organicità e sulla giustizia, in contrapposizione allo Stato liberale accentratore in cui i ceti medi cercavano spazio di rappresentanza. Dunque il popolarismo come risposta alla demagogia e al populismo, perché il pensiero sturziano poggia sulle comunità intermedie, sui corpi sociali, su una visione poliedrica della società. Il popolo di Sturzo non è quello di Rousseau, perchè è un popolo autentico, non c’è leader o un capo, ma c’è articolazione, c’è pluralismo della società. C’è un rapporto inscindibile tra libertà e Istituzioni, perché la libertà individuale senza Istituzioni non esiste. Merita di essere ricordato il suo appello a proseguire nella loro interezza ideali di giustizia e di libertà. Così come il suo richiamo alla riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione. Tutto questo ci riporta alle vessazioni fiscali ai processi infiniti di cui sono piene le cronache. Come sino validi i richiami di De Rosa secondo il quale “ per Sturzo ogni difesa delle istanze sociali e civili passa attraverso il ruolo fondamentale delle Istituzioni parlamentari senza le quali è facile l’attrazione verso interpretazioni populistiche-agitatorie. Di qui il nostro rifiuto a forme di democrazia diretta che minano la democrazia parlamentare.

Roma, 18 gennaio 2020

 

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