...verso il

Partito Popolare Europeo

MAURIZIO EUFEMI

è stato eletto al Senato  nella XIV^ e XV^ legislatura

già Segretario della Presidenza del Senato

nella XVa Legislatura

ARTICOLI E comunicati 2023

"Una storia mai scritta:  formazione, impegno e passione della classe dirigente democristiana" Prefazione di Francesco Malgeri.

Riuscita presentazione del libro del Senatore Maurizio Eufemi, il convegno dibattito molto ben riuscito ed articolato, che si è svolto nella sala consiliare nel palazzo municipale di Via Giacomo Puccini, a Capalbio, ha consentito di ricostruire alcuni aneddoti e passaggi molto importanti dei dirigenti della democrazia cristiana nellesezioni, nei collegi elettorali, nella vita sociale e politica e sul territorio.
Non sono mancati riferimenti all’Ente Maremma in Toscana e nel Lazio ed al ruolo svolto dalla D.C. di Capalbio e dal coordinatore di zona di quel periodo, Giovanni Casalini per raggiungere l’autonomia amministrativa e la nascita di Capalbio quale Comune autonomo.Scelta fatte e portata avanti e conclusa dalla D.C.

I lavori cono stati introdotti da GianFranco Chelini Sindaco di Capalbio, ci sono poi stati i saluti di Luigi Fanciulli segretario regionale della Fap Acli della Toscana. A seguire gli interventi molto corposi e ben articolati di dottor Huber Corsi già sindaco di Monte Argentario e medaglia d’oro della Croce  Rossa  Italiana, dello stesso senatore Maurizio Eufemi,  che nel raccontare il Libro ed i suoi contenuti ha tracciato un quadro molto importante ed articolato  del lavoro politico e programmatico svolto dalla Demnocrazia Cristiana per lo sviluppo anche della Maremma Tosco Laziale, come del resto di tutto il Paese.
Per le Acli provinciali sono intervenuti tra gli altri Michele Casalini, Piera Casalini; presenti anche alcune delegazioni di Cri delle zone di Capalbio, Grosseto e della Costa d’Argento.


Michele Casalini

 

Ieri a  Sciolze in una bellissima giornata di sole che permetteva di toccare il Monviso, abbiamo ricordato anche questi momenti di 21 anni fa. E' stato toccante rivedere tante belle persone impegnate nella politica sul territorio e nella solidarietà che si sono strette per festeggiare il loro sindaco emerito Marco Ruffino insignito della onorificenza di Commendatore della Repubblica.

 

 

 

 

Incontro con Guido Bodraro a Chieri

Oggi festeggiano il 18 aprile. La vittoria di De Gasperi contro il Fronte socialcomunista


È stato la vittoria della democrazia, della libertà, della scelta occidentale avviando la costruzione dell'Europa.
Nonostante l'intensa attività del consiglio dei Ministri giró l'Italia con oltre trenta comizi dopo quello di apertura alla Basilica di Massenzio. Convocó Giorgio Tupini capo della segreteria Spes, fondata da Dossetti, ma rimasta senza dirigente, nonostante le critiche interne per una impostazione troppo anticomunista e suscettibile di pregiudicare future collaborazioni tra i partiti di massa.
Impostó la campagna elettorale come un grande referendum tra un avvenire di libertà e un avvenire di oppressione e che non bisognava perdersi nelle "frange"
Una vittoria che venne con una "grandinata di voti" e una largissima partecipazione alle urne che ha assicurato al Paese pace e prosperità per ottanta anni cancellando povertà, miserie, sottosviluppo e divari.
De Gasperi statista seppe guardare al futuro non chiudendosi nella sua vittoria, ma aprendosi alle forze liberali e centriste per assicurare stabilità alla azione di governo affermando il principio "mai soli".


Gli italiani credettero in De Gasperi perché era un uomo di solidi principi, un perseguitato dal fascismo, un padre esemplare un Cristiano coerente.
Grazie Alcide De Gasperi per quanto hai fatto per l'Italia.!

La nascita dell’Enel, l’Ucraina, l’energia e le idee di Enrico Mattei

 

Un piccolo saggio di Maurizio Eufemi che ricorda I tempi travagliati della nazionalizzazione dell’energia elettrica, negli anni del centrosinistra, le divisioni all’interno della Dc, che pagò un prezzo elettorale, le insistenze del Psi, soprattutto di Riccardo Lombardi. L’azione comune di Moro e Fanfani - tratto dal giornale online "beemagazine.it" del 20 marzo 2023

 

La questione energetica, esplosa dopo la invasione della Ucraina,  ha posto in evidenza le lungimiranti scelte strategiche operate negli anni Cinquanta e Sessanta tanto da fare ritenere che le idee e le proposte politiche di Enrico Mattei siano ancora attuali.

Un’altra questione è invece rimasta, allo stato,  confinata nel dibattito tra gli storici, gli studiosi e gli esperti:  la nazionalizzazione della energia elettrica con la costituzione dell’Enel e la valutazione di una politica energetica adeguata, compresa quella  nucleare.

Eppure rappresentò una vicenda politica che segnò la fase della apertura al centro sinistra con l’ingresso dei socialisti nell’area di governo  e il loro coinvolgimento nello storico incontro tra cattolici e socialisti e conseguente allargamento dell’area democratica, dopo il sostegno esterno al governo tripartito DC- PSDI –  PRI (Fanfani IV).

 

Nel patto di programma maturato dopo il Congresso democristiano di Napoli, del 1962, si prevedeva appunto il varo della nazionalizzazione dell’energia elettrica con la nascita dell’Enel. Il provvedimento trovava un ancoraggio forte negli articoli 41 e 43 della Carta Costituzionale. 

Già  il nome aveva comportato un aspro confronto tra chi voleva un Ente di diritto pubblico controllato dal Ministero delle PP.SS (Partecipazioni Statali)  e una società per azioni. L’Ente finirà sotto il controllo del Ministero dell’Industria. La DC pagò un duro prezzo, sia politico sia elettorale, rispetto a quella scelta che intaccava il potere economico che spostò le sue preferenze sul PLI di Malagodi. Nelle elezioni politiche del 1963 la DC perse quasi quattro punti percentuali che si spostarono sul partito liberale.

Le forze economiche e imprenditoriali  furono miopi e non percepirono il grande disegno politico volto a garantire stabilità,  governabilità e progresso, di forze politiche lungimiranti che guardavano  ad un disegno riformatore,  tagliando le estreme.

Nella formazione del governo Fanfani uscirono gli uomini della destra DC come Scelba, Gonella, Pella e Spataro. Entrarono esponenti dorotei come Gui, Bernardo Mattarella; poi Medici e Corbellini.

Naturalmente la nascita dell’Enel era dentro un disegno legato alla programmazione economica e al varo di altre riforme come quelle  sui suoli e sulla scuola,  con la scuola media unica, poi  il presalario universitario per gli studenti meritevoli.

In quell’anno si tennero anche le elezioni del Presidente della Repubblica. Fu eletto  Antonio Segni, che fece naufragare il tentativo di Togliatti di rompere il dialogo tra Dc e PSI puntando su Nenni e su Saragat. Aldo Moro respinse fermamente i tentativi di Saragat di far ritirare i candidati in contrapposizione, salvaguardando cosi l’unità della DC.

Il varo della riforma non fu semplice per il confronto anche aspro tra le forze politiche.

L’Ingegnere Riccardo Lombardi, espressione del sindacalismo cattolico prima, poi del partito d’Azione, poi  esponente di spicco dei socialisti, era favorevole  alla nazionalizzazione fin dagli anni Quaranta.

Già nel gennaio del 1923, da studente al Politecnico di Milano aveva scritto un articolo sul Domani d’Italia . Preferiva la forma del decreto legge rispetto alla legge delega come poi fu utilizzata. La legge trova compimento in una forma diversa da quella ipotizzata. Per Lombardi e parte dei socialisti resta una operazione per sbloccare il sistema verso un futuro governo delle sinistre, per spezzare il monopolio privato, per mettere in difficolta la DC nel suo elettorato di centrodestra e verso i settori imprenditoriali.

Le resistenze parlamentari si coagularono intorno ai Liberali, ai Monarchici, al Movimento Sociale, a frange della DC.

All’esterno c’era l’azione della Confindustria e dell’Assolombarda. un ruolo importante lo giocarono i giornali di opinione come il Corriere della Sera e il quotidiano della Confindustria,  il Sole 24 ore,  alimentando un malessere nella borghesia.

 

Gli obiettivi tecnici ed economici della riforma erano di superare l’assenza di concorrenza, l’avversione verso i monopoli privati, la questione tariffaria,  gli squilibri Nord-Sud, i deficit di coordinamento nella produzione e nella distribuzione, oltre sprechi e doppioni.

A ciò si aggiunse la concentrazione di potere economico, l’assenza di investimenti, l’occultamento dei profitti con società di comodo.  Spiccano gli articoli di Ernesto Rossi sui “baroni dell’elettricità” e di Eugenio Scalfari contro il Trust elettrico.

La trattativa di Governo si concretizza con il varo di un disegno di legge e l’impegno del presidente del Consiglio Fanfani di approvarlo in tre mesi. Il provvedimento verrà esaminato da due  Commissioni speciali, alla Camera e  al Senato, presiedute da Togni e Tupini. Pasquale Saraceno esprimerá  perplessità con una lettera a  Ugo La Malfa.

Parallelamente ai lavori parlamentari si mette all’opera una commissione mista in cui sono presenti esponenti dei partiti della coalizione, ma anche Pasquale Saraceno e Guido Carli, Governatore della Banca d’ Italia.

La DC con Mario Ferrari Aggradi punta ad una impresa mista sul modello delle Partecipazioni Statali che Lombardi giudica macchinosa preferendo la forma della corporation di diritto pubblico sul modello britannico. Una ipotesi era quella dello Stato azionista con irizzazione come fu fatto per i cantieri navali di Taranto.  Poi verrà il problema della governance ma fu marginale rispetto alle questioni che furono superate. La forma della spa contrastava con il fine della produzione di servizi pubblici com’è l’energia elettrica. Sul punto vince  il Partito Socialista.

Lombardi poi vuole gli indennizzi sotto forma di obbligazioni. Sorge il problema della tutela dei piccoli azionisti. Qui prevale la linea Carli degli indennizzi in contanti in venti semestralità con interessi al 5,5 per cento non agli azionisti, ma alle società per poterli reinvestire, così da evitare tensioni sui mercati e la flessione dei titoli. 

Si dirà che gli indennizzi furono generosi e superiori del 31 per cento del valore contabile delle azioni (Zanetti e Fraquelli 1979). Il motivo risiedeva nell’obiettivo di sconfiggere la paura nei ceti medi possidenti e una seconda ragione stava nell’auspicio di indirizzare quelle risorse verso investimenti in altri rami industriali come la chimica.


Ci furono altre decisioni che influirono sul sentimento degli italiani. La cedolare secca differenziata tra azionisti italiani e stranieri provocò una fuga di capitali verso la Svizzera che proseguirà per una media di 660 miliardi all’anno fino al 1967 e per 1700 miliardi nel periodo 1968-1972.

Saragat si schiera con Carli. Solo a distanza di anni, nel 1977, nell’intervista ad Alberto Ronchey La Malfa sosterrà di avere sottovalutato la questione e che forse avrebbe meritato una crisi di governo.( Buferale,  Studi Storici, 2014).  Per Carli si trattava della soluzione meno traumatica, avendo limitato i danni rispetto agli ingenti indennizzi. Si trattava di 1.500 miliardi di obbligazioni. Nello scontro si inseriscono i giornali con la motivazione che l’indennizzo favorisce le grandi società e penalizza i piccoli azionisti che erano 500 mila.  Ballavano 130 miliardi di profitti!. Nelle considerazioni finali sull’anno 1962,  Guido Carli motiverà l’azione svolta dalla Banca d’Italia. Dopo avere evidenziato il fenomeno della esportazione di capitali, aggravatosi nel 1963, con effetti sulla bilancia dei pagamenti, con un disavanzo di 152 miliardi rispetto all’avanzo di 41 miliardi del 1961. Ad esso si era unito il forte passivo delle partite correnti. La contrazione dell’autofinanziamento e il  fenomeno dell’indebitamento delle imprese elettriche, oltre del settore chimico  verso le capigruppo non poteva non suscitare preoccupazione. In questi due settori si erano concentrati i due terzi dell’aumento dell’indebitamento delle principali società private.

 

L’attenzione al mercato dei capitali era preponderante con una soluzione che prevedeva effetti meno gravi di quelle che si sarebbero prodotte se si fosse proceduto alla liquidazione immediata degli indennizzi con titoli obbligazionari. Tutto era ispirato a non perdere il controllo del mercato, senza alternarne l’equilibrio, con una eventuale mobilizzazione  degli indennizzi entro limiti compatibili. La facoltà concessa all’Enel di effettuare  emissioni obbligazionarie accettando azioni elettriche poneva gli azionisti in grado di convertire azioni i obbligazioni, ma al tempo stesso alle Autorità monetarie di regolarne l’offerta.

 

Fanfani vedeva nella nazionalizzazione del settore elettrico un punto delle riforme che lo avevano visto protagonista,  in continuità con quelle già realizzate nella fase degasperiana: dalla riforma agraria al piano casa,  fino alla svolta delle partecipazioni statali, in linea dunque con i principi della economia sociale di mercato.

Lo storico Fanfani, oltre che il politico Fanfani, allievo di Jacopo Mazzei, confutò a Max Weber la esaltazione del capitalismo calvinista, guardava al capitalismo corretto e pone lo Stato come centro di ordine e di riscatto per una economia che non può trovare equilibrio affidandosi soltanto al libero arbitrio dei singoli operatori.

 

Aldo Moro guardava all”orizzonte politico per spezzare il Fronte dei comunisti e dei socialisti portando questi ultimi nell’area di governo. Ne aveva lungamente parlato nella relazione al Congresso di Napoli di fine gennaio 1962. La nazionalizzazione dell’energia elettrica era in fondo il prezzo da pagare all’alleanza organica con i socialisti di Nenni, pur in un quadro di rispetto dei vincoli costituzionali e delle leggi di mercato. Se ne fa carico ripetutamente di muovere il partito della Dc tutto, salvaguardarne l’unità. Ne parla il 18 giugno alla Direzione Centrale allargata ai gruppi parlamentari di Camera e Senato, dedicata a valutare l’iniziativa del Governo sulla nazionalizzazione presenti anche Ferrari Aggradi, responsabile economico e Pasquale Saraceno.

Si trattava di una iniziativa governativa pienamente rispondente alle intuizuioni originarie del Partito e alla sua visione di politica economica e sociale. Viene ribadito che questa scelta non significa sfiducia verso l’iniziativa privata, ma renderla possibile entro confini ben delimitati e non estensibili ad altri settori. In quella sede vengono dettate le linee guida da seguire per l’approvazione del provvedimento con la giusta tutela dei risparmiatori attraverso gli indennizzi, l’autonomia globale dell’Ente, l’opportuno coordinamento con le aziende municipalizzate  e regionalizzate, la salvaguardia dei legittimi interessi degli autoproduttori,  il pieno riconoscimento dei diritti acquisiti dal personale delle aziende coinvolte.

Moro sa bene la delicatezza della questione e si preoccupa di fare una dichiarazione al telegiornale il 20 giugno 1962 per ribadire il valore della decisione nel quadro dell’articolo 43 della Costituzione sulle materie riservate come le fonti di energia su cui sussista un preminente interesse pubblico che la DC rivendica di avere determinato a formulare rispondente ai valori della dottrrina sociale cristiana.

Al tempo stesso ribadisce che il programma politico della DC è contro ogni livellamento collettivistico della vita economica e sociale. Quindi sgombra ogni residua ombra affermando che la DC “non ritiene che altri settori della vita economica e sociale debbano soggiacere ad una restrizione che per noi ha carattere sussidiario e singolare”. Dunque quella nazionalizzazione sarà unica e non ripetibile. Si volevano solo combattere gli squilibri di settore e di zona, per rendere più concreta la libertà umana.

Sarà peró il Consiglio Nazionale del 3, 4, 5 luglio del 1962 la sede dove Aldo Moro affronta con compiutezza la riforma che si inquadra nella nuova alleanza politica della DC con i Socialisti. La DC paga un prezzo alle elezioni  amministrative  di giugno. Si sforza di chiarire il vero volto della DC rispetto ad obiettivi di libertà e di sviluppo democratico piuttosto che di un partito classista o di sinistra, o le accuse di debolezza verso il PCI.

Rivendica l’azione riformatrice del Governo Fanfani con il Piano per la Sardegna, il piano per le ferrovie, il piano per i fiumi, la attuazione del Piano Verde in agricoltura, e quello per le Autostrade, nonchè l’ingente sforzo finanziario per lo sviluppo della scuola italiana. Nel frattempo si portava a compimento la istituzione della Regione a Statuto Speciale del Friuli- Venezia Giulia.

Ma Moro guardava lontano e riguardo alla politica della energia ribadiva tre  obiettivi di fondo: come fosse necessario assicurare la copertura di ogni possibile fabbisogno; condizioni uniformi a tutte le categorie di utenza in conformità alla esigenza di progresso civile e di sviluppo economico; la riduzione dei costi.

Era una atteggiamento prudente, ma libero da condizionamenti.  Il provvedimento doveva rispettare due condizioni: una nazionalizzazione che non creasse problemi di squilibrio nel mercato finanziario; una nazionalizzazione conforme a principi di giustizia e libertà. Dunque pieno controllo delle autorità monetarie delle misure adottate. Conclude ribadendo  di “impiegare coraggio, iniziativa, fiducia, prudenza, e la fermezza che abbiamo cercato di usare”.

Tutto ciò avviene dopo la elezione del Presidente della Repubblica Antonio Segni, un passaggio parlamentare in cui Moro sottolinea come “il Partito comunista intendesse battere e umiliare la DC, interferendo nelle sue scelte e  cercando di piegarle secondo la sua influenza. Ed è importante che la DC abbia reagito efficacemente e con risuluta fermezza, a questo tentativo di condizionarla e di mortificarla.” Prosegue la polemica con Malagodi rispetto alla possibilità di altre nazionalizzazioni e alle falsità che venivano diffuse sulla nazionalizzazione degli autotrasporti. Voteranno a favore della Mozione presentata da Salizzoni, Scaglia, Forlani, Zaccagnini, Gava in consiglio nazionale 76 si e 19 no tra cui Scelba, Scalfaro,Restivo, Lucifredi, Elkan, Martinelli, Gonella ed altri.

Il 10, 11, 12 e 13 luglio si riunisce il Gruppo parlamentare della Camera. Pella invia un telegramma di dissenso sulla nazionalizzazione. Il ministro dell’Industria Emilio  Colombo nel su intervento ribadisce come il pensiero sociale cristiano e la tradizione democratica cristiana contemplino la possibilità di nazionalizzazione dei settori produttivi ai fini di pubblica utilità, ma se giustificata per il servizio pubblico, pone anche il limite alla adozione di altre nazionalizzazioni. Piccoli presenterà un odg della maggioranza su cui voteranno contro sia Pella sia Tambroni, ma la polemica non era piu soltanto sull’Enel, ma sulle aperture a sinistra.

 

Fanfani e Moro, da posizioni e ruoli diversi si muovono all’unisono

Entrambi rivendicano la scelta operata evitando che possa passare come scelta subita. Il successo di Fanfani e di Moro è stato quella di avere portato il governo e il Partito in unità ad una riforma che non può appartenere  solo a  leader illuminati ma a tutta  una classe dirigente che ne  condividesse  le scelte operate.

Per Riccardo Lombardi la nazionalizzazione era il successo di un lungo percorso dalle prime esperienze universitarie alla guida poi della Societa Elettrica Siciliana, poi da parlamentare con  iniziative congiunte con Ugo la Malfa sulle intese industriali e commerciali ( atto Camera 248 del 1958) poi la proposta di legge come primo firmatario, sottoscritta con Nenni, Pertini, Basso, Pierraccini, Ferri, Luzzatto, AC 269 del 20 settembre 1958,sulla nazionalizzazione della industria elettrica. Ma sarà Fanfani di concerto con tutto il governo a presentare il disegno di legge A.C. 3906 il 26 giugno del 1962 che istituiva l’ Enel  e trasferire ad esso le otto  imprese esercenti le industrie elettriche.

 

Lombardi finirà per accentuare l’aspetto rivoluzionario della riforma.

Mentre La Malfa era ispirato a un riformismo moderato, la sinistra socialista di Riccardo Lombardi insieme ad Antonio Giolitti “cercava di mantenere un dialogo se non un collegamento con il PCI, maggiore forza di opposizione”. Il PSI doveva avviare una politica di riforme strutturali capaci di dislocare il potere economico dai tradizionali centri di decisione (grandi industrie, percettori di rendite urbane immobiliari)  alle istituzioni rappresentative cioè allo Stato.  Le riforme erano concepite in un rapporto di competizione intesa con il PCI come segno di un mutamento radicale nella gestione della politica economica, il cosiddetto “ideologismo dimostrativo” teorizzato da Luciano Cafagna nel 1981.

 

Quella riforma del 1962 fu un passaggio fondamentale per l’alleanza  tra DC e PSI del primo centrosinistra che trova in Lombardi il suo culmine e anche la  sua fine,  perchè poi passerá alla opposizione interna di Nenni e De Martino.  Seguiranno in quella stagione riformista infatti altre riforme sulla scuola, sulla università. La politica di piano verrá messa in discussione dai rallentamenti della crescita economica, dalle tensioni sociali. Nuovi protagonisti politici si affacceranno sulla scena. Verrá il Sessantotto e verranno gli shock petroliferi che imporranno la ristrutturazione dell’apparato industriale. Resteranno le debolezze del Paese in campo energetico che potranno essere superate solo con il coraggio della politica.

 

Furono fatti errori?

Certamente sul piano tecnico e sulle relative aspettative. La mediazione non impedì di aprire una fase nuova nel rapporto tra cattolici e socialisti che verranno spinti sempre più verso la via dell’autonomia e dopo la solidarietà nazionale una ripresa di rapporti che negli anni Ottanta e primi anni Novanta raggiungeranno i momenti più alti con i governi Craxi, Andreotti e Amato.

 

Bibliografia essenziale

  • Aldo Moro scritti e discorsi a cura di G. Rossini, edizioni Cinque Lune, 1986

  • Piero Roggi, Amintore Fanfani, imprenditore della politica,  Firenze, Regione Toscana, 2011

  • Atti e Documenti della Democrazia Cristiana  1943 – 1967 a cura di Andrea Damilano edizioni Cinque Lune

  • L’accordo politico programmatico per il governo di centro-sinistra tra Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Socialista Democratico italiano, Partito Repubblicano Italiano  Italiano, Roma, 1963 Arti Grafiche Italiane

  • Economia Italiana Storia Economia e Società in Italia 1947 – 1997 Rivista quadrimestrale del Banco di Roma nn 1 e 2, 1997

  • Luca Buferale, Riccardo Lombardi e la nazionalizzazione dell’energia elettrica in Studi Storici LV n. 3 luglio, settembre 2014

  • Carmine Pinto il riformismo possibile. La grande stagione delle riforme: utopie, speranze, realtà (1945-1964 Rubbettino, Cosenza 2008

  • Banca d’Italia, Relazione annuale 1962

Maurizio Eufemi


2020 l'anno più lungo

Piccole luci nella notte del Covid


Convegno organizzato su iniziativa dell’Associazione ex Parlamentari della Repubblica martedì 21 febbraio 2023 nella Sala Capitolare

Palazzo Minerva - Biblioteca del Senato della Repubblica 

 

 

Presentazione

Sen. Maurizio Eufemi

Introduzione

On. Giuseppe Gargani

Presidente Associazione ex Parlamentari della Repubblica

Relazione

On. Hubert Corsi

Presidente Comitato CRI di Grosseto

Interventi

Avv. Rosario Valastro

Presidente Nazionale CRI ff

Dr. Pasquale Morano
Vicesegretario generale e Direttore  tecnico  CRI

Conclusioni

On. Luciano Ciocchetti Vice Presidente Commissione affari sociali Camera dei Deputati

 

 

Intervento Sen. Maurizio Eufemi

Abbiamo fortemente voluto ricordare questo incontro in un giorno particolare e nella sede istituzionale del Senato,  che ringraziamo, sede della biblioteca dedicata a Giovanni Spadolini. In questa sala capitolare così ricca di storia che ci riporta all'architetto Guidetto Guidetto di Firenze Allievo di Michelangelo che ha realizzato il Chiostro della Basilica in cui c'è la tomba di Santa Caterina da Siena. 

Quale luogo migliore - dove trovarono rifugio le monache basiliane fuggite dall'Oriente per le persecuzioni mussulmane -  e  presentare questo libro sul Covid e sulle storie di generosità e solidarietà raccolte nell'anno buio. 

 

La giornata coincide con un anniversario quello del primo caso di Covid del 21 febbraio 2020. Sappiamo bene che è stata istituita la giornata del prossimo 18 marzo per le vittime del Covid.  È passato un lungo triennio fatto di sperimentazioni, lock down restrizioni nei movimenti e nelle libertà. Soprattutto i giovani hanno affrontato un mondo nuovo. Le nostre vite sono cambiate. Abbiamo però riscoperto nuove solidarietà anche familiari o di vicinanza per i grandi centri. Abbiamo dovuto fare i conti con un nemico invisibile. 

Con il primo caso del 2020 abbiamo scoperto forza e debolezze del nostro sistema. 

La mancanza di un piano pandemico, con l'assenza di scorte di presidi sanitari, di materiali, dalle mascherine ai respiratori, ma non è di quello che dobbiamo parlare oggi. Ma della straordinaria forza del volontariato, della CRI  in prima linea con straordinari esempi di generosità verso tutti e i più deboli.  La nostra associazione ex parlamentari fece una donazione significativa agli operatori sanitari impegnati in prima linea nella battaglia, così come abbiamo visto il grande numero delle donazioni di aziende, fondazioni e cittadini verso la CRI. 

"2020 l’anno più lungo”, piccole luci nella notte del covid,  è il libro curato dai volontari del   comitato   di Grosseto della Croce Rossa Italiana per ricordare l’impatto del virus Covid 19, poi trasformato in Sars-Cov-2 che con il salto di specie aveva cambiato cavallo aggredendo la specie umana con una spaventosa capacità di replicarsi, di diffondersi e uccidere con conseguenze catastrofiche. 

Ai rischi mortali si univa la paura per il futuro, per gli effetti della crisi economica e sociale, per l’inadeguatezza dei sistemi sanitari ad affrontare le insidie del “nemico” invisibile. 

Il libro offre uno spaccato di cronaca lunga un anno con fatti, storie di generosità, itinerari di soccorsi di emergenza, l’incontro con le solitudini, i bisogni, le sofferenze, i lutti, i dolori. 

È un cammino di solidarietà di tante persone comuni che trovano il tempo nei ritmi del quotidiano per dedicarsi agli altri, al prossimo, vincendo la paura. 
 

Nulla è più stupefacente della mano sconosciuta e inattesa che ti aiuta a rialzarti, della parola e del sorriso che non ti fa sentire solo” scrive nella prefazione Hubert Corsi, presidente della CRI di Grosseto, che, dopo aver servito le Istituzioni, prima come consigliere comunale di Grosseto, poi come sindaco di Monte Argentario, poi come deputato per tre legislature, dal 1995 guida la Croce Rossa di Grosseto portando con generosità nel volontariato tutta la sua esperienza. 

Lo vogliamo ringraziare per quanto ha fatto e fa perché Hubert Corsi è lo straordinario esempio delle capacità delle esperienze di un ex parlamentare che dà tutto se stesso nel volontariato istituzionale, come mission di vita,  proprio in contrasto con la facile demagogia e il populismo qualunquista di questi anni. 

Il libro è arricchito di tanti racconti – vincendo le resistenze dei volontari a scrivere le loro esperienze – che hanno accompagnato i momenti della attività del comitato nell’anno “più lungo”. 

Una organizzazione di volontariato all’avanguardia con una articolazione territoriale in sedi decentrate affinché gli obiettivi possano essere raggiunti con la massima efficienza per utilizzare al meglio i doni di umanità. 

Le aree di intervento specialistiche sono la salute e la vita, la promozione dell’inclusione sociale, la preparazione delle comunità e le risposte a emergenze e disastri, la diffusione del diritto internazionale umanitario e la cooperazione con altri movimenti internazionali, la promozione dello sviluppo dei giovani e una cultura di cittadinanza attiva, la prevenzione delle vulnerabilità delle comunità. 


Sono i grandi personaggi che gettano il seme dell'amore. 

Una grande rete che merita di essere ricordata con la parole di Madre Teresa di Calcutta, ora Santa, pronunciate a Porto Santo Stefano nel maggio del 1989: “il frutto dell’amore è la solidarietà, il frutto della solidarietà è la pace”.

 

Consentitemi di aggiungere una questione che mi sta a cuore e a volte in controtendenza rispetto ai poteri forti.  Mi riferisco al welfare di comunità. Sappiamo che il nostro Paese è disuguale nelle infrastrutture, nei servizi, nella scuola nella sanità nella assistenza. Dobbiamo rimuoverete queste differenze. 

Nel bilancio sociale e nelle rappresentazioni grafiche ci sono macchie rosse come indice di concentrazione e macchie bianche segno di minore presenza fisica e umana. 

Altro che federalismo differenziato quindi che sfocia nella finanza anarchica come disse Sturzo cento anni fa a Napoli. 

Vi do solo alcuni dati 

Il totale delle erogazioni delle fondazioni bancarie nel 2021 è pari a 914 milioni di euro, in diminuzione del 3,8% rispetto allo scorso anno. 

Esaminando più dettagliatamente gli importi deliberati e gli interventi realizzati in ciascun settore, Arte, Attività e Beni culturali risulta assorbire la quota più alta delle risorse, 245,5 milioni di euro (il 27% delle erogazioni totali), per 6.897 interventi (il 36,6% sul totale). Seguono, con una distanza importante, Volontariato, Filantropia e Beneficenza a cui sono stati destinati 143,2 milioni di euro (il 15,7% sul totale), realizzando 2.475 interventi (pari al 13,1% del numero totale di iniziative) e Ricerca e Sviluppo

Questo sarebbe un primo riequilibrio. 

Completa i sette settori prioritari Salute pubblica con 48,1 milioni di euro (rappresentando il 5,3% sul totale) e 820 interventi (pari al 4,3 del numero complessivo

Al 31 dicembre 2021 le Fondazioni di origine bancaria vantano un patrimonio contabile di 40.247 milioni di euro, pari all’85% del passivo di bilancio 

In questo stesso arco temporale che va dal 2000 al 2021, nonostante le perduranti difficoltà economico-finanziarie che hanno investito il nostro Paese, le Fondazioni hanno erogato complessivamente 25,1 miliardi di euro e accantonato ulteriori risorse per l’attività erogativa futura pari a circa 4,8 miliardi di euro, per un totale di 29,9 miliardi di euro; 

La situazione genetica 

Per quanto riguarda il primo profilo, le 46 Fondazioni aventi sede nel Nord del Paese hanno complessivamente un patrimonio di quasi 30 miliardi di euro, pari al 74% del patrimonio complessivo. In particolare, nel Nord Ovest, dove risiedono 4 delle 17 Fondazioni di grande dimensione, il valore medio del patrimonio è più di due volte e mezzo la media generale (1.194 milioni di euro contro 468). Il Nord Est ha una presenza più diffusa di Fondazioni (30), ma un valore medio del patrimonio più contenuto della media (353 milioni di euro). Il Centro, in cui sono presenti 30 Fondazioni, ha valori patrimoniali medi ancora più contenuti, con 285 milioni di euro.

Il Sud e le Isole pesano meno nella distribuzione territoriale (il patrimonio delle Fondazioni che si trova in questo cluster rappresenta solo il 5% del sistema), contando 10 Fondazioni che, con circa 202 milioni di euro, si pone al di sotto della metà del dato generale.

La forte disomogeneità territoriale deriva dalla distribuzione delle originarie Casse di Risparmio da cui sono derivate le Fondazioni, molto diffuse nel Centro Nord del Paese, solo in parte compensata dalla presenza degli ex istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli, Banco di Sardegna, Banco di Sicilia) e della Banca Nazionale delle Comunicazioni, meno numerose e di dimensioni patrimoniali inferiori. 

Questo sarebbe un secondo riequilibrio. 

Secondo i dati disponibili le donazioni covid sono state significative. Quasi la metà ( 31 milioni) dell'intero importo del contratto di servizio con il ministero della salute. Uno straordinario gesto di solidarietà. 

 

Possiamo procedere con i nostri lavori dando la parola a Hubert Corsi, poi al Presidente della CRI, qiundi a ll'On. Luciano Ciocchetti, Vicepresidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati. Il  Presidente Gargani che ha fortemente voluto questo incontro in una sede così prestigiosa come la sala Capitolare del Senato che ringraziamo per la disponibilita,  dove venne anche Papa Ratzinger allora cardinale, svolgerà l'intervento conclusivo.  

È anche un modo per ricordare Gerardo Bianco che dieci anni fa volle un incontro sul tema la Carità interpella la politica

Voglio ringraziare gli ex parlamentari che sono intervenuti oggi Agazio Loiero e Luigi Meduri, Luigi Grillo, Nicodemo Oliviero, Paolo Affronti, Luisa Pozza Tasca, Francesca Scopelliti. 

Le attività di volontariato costituiscono una ricchezza della società. Trovano fondamento nella Costituzione, nell’articolo 2 laddove “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali 

E’ una missione complessa che deve misurarsi anche con le difficoltà del momento, le guerre regionali e locali, con i conflitti religiosi, con vasti movimenti migratori, con le turbolenze dei mercati. 

Il volontariato è oggi sempre più sperimentazione, innovazione, costruzione di spazi di convivenza, prevenzione e sostegno reale alle persone e alla comunità. Ha bisogno però di avere nella distinzione dei ruoli una politica educata e sensibile capace di interpretare le esigenze di adeguamento delle infrastrutture giuridiche agli investimenti sociali, rispettosa dell’autonomia funzionale.

La CRI svolge un ruolo insostituibile come ha dimostrato l'emergenza. Sta a noi indicare una rotta per potenziare il ruolo della CRI e non essere impreparati alle sfide e ai bisogni del domani e del XXI secolo. 

Il  Santo Padre nel 1979  ai giovani della Caritas disse “ converrà aprire ai giovani le prospettive di un volontariato della carità che allo spontaneismo dispersivo e provvisorio sostituisca la funzionalità e continuità di una organizzazione razionale del servizio, inteso come impegno volto a modificare le cause che stanno all’origine di tali bisogni. I volontari opportunamente formati saranno i naturali animatori di un processo di responsabilizzazione della comunità”

I volontari della CRI sono l'immagine della solidarietà' dell'Italia che resiste , che aiuta, che dona, che non chiede niente in cambio nemmeno un grazie. Rispettiamoli. Sono la parte migliore di noi. 

Hanno vinto la paura la grande paura di aiutare gli altri in ogni modo possibile e necessario. 

Sono stati eroici come ha detto il Presidente Hubert Corsi. 

Non entri per concorso. Non paghi una quota. 

Devono essere formati alla conoscenza e alle procedure salvavita. Indissi una divisa importante e  rispettata e devi essere alla altezza del compito. 

Il Covid 19 è stata una grande prova per le infrastrutture sanitarie e per il volontariato. 

Dobbiamo fare tesoro di quella lezione.  Sappiamo tutti la sofferenza della prima linea dei pronto soccorso e le  criticità da rimuovere. 

Sarebbe incomprensibile se il coraggio del volontariato di prossimità del primo segmento della emergenza scontasse le difficoltà del segmento successivo, quello delle prime cure. C'è bisogno che tutta la macchina organizzativa funzioni come un orologio  svizzero. 

Rafforziamo gli investimenti in società civile in tutte le sue articolazioni di cui la CRI è un pilastro. ! 

 

 

   

 

la videoregistrazione del Convegno si trova al seguente indirizzo:

https://www.mab.to/t/dwVXNWG1FvV/eu1

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L’accesso alla sala - con abbigliamento consono e, per gli uomini, obbligo di giacca e cravatta - è consentito fino al raggiungimento della capienza massima Tutti coloro che vogliono partecipare all’evento e i giornalisti devono accreditarsi scrivendo a: ass_ex_parlamentari@camera.it  Il Convegno sarà trasmesso in diretta streaming sul canale YouTube del Senato.

Gerardo Bianco, il bel gesto di Mattarella, ma una commemorazione parziale.

È mancato il Bianco della Balena Bianca

articolo di Maurizio Eufemi tratto dal giornale online "beemagazine" del 20 Febbraio 2023

La presenza del Capo dello Stato alla cerimonia in ricordo di Gerardo Bianco è stata un bellissimo gesto e un significativo riconoscimento peraltro accompagnato da una larghissima partecipazione di amici. Il cerimoniale ha le sue regole, alle quali è difficile derogare e la rigidità comprime tempi e slanci emotivi. È stato tracciato un bel profilo di Bianco uomo di cultura, ma poco lumeggiato il Bianco politico quasi che la storia sia stata solo quella postdemocristiana.

 Ecco, è mancato il Bianco della Balena Bianca. Del resto era prevedibile una visione parziale dalla impostazione dei relatori. Dunque non abbiamo trovato analisi penetranti sulla azione di Bianco dentro la Dc con le sue grandi battaglie, con vittorie e con sconfitte.

 Bianco è quello che intervenne per la commemorazione di Bartolo Ciccardini all’Istituto Sturzo indossando per l’occasione la cravatta con la “balena bianca” donatagli da Bartolo o quando alla commemorazione sempre di Bartolo volle lo storico Francesco Malgeri a Cerreto d’Esi insieme a Francesco Merloni, suo coetaneo, con il quale Bartolo aveva combattuto per la libertà nella vallesina durante la occupazione nazista. Legava momenti del ricordo sempre a pagine di storia.

Quante riunioni ha convocato da capogruppo in quella sala in cui è stato ricordato? Tante; non erano solo assemblee dei deputati anche congiunte con i senatori ma anche momenti di elaborazione culturale con giornate di studio o seminari di approfondimenti che dovevano trovare nella sede istituzionale il suo significato più forte!

Li furono gettate nel novembre 1980 le basi, alla presenza della presidente Nilde Jotti, della prima riforma regolamentare dopo quella Andreotti-Ingrao del 1971, della programmazione dei lavori parlamentari e il rafforzamento dei poteri presidenziali per garantire la funzionalità dell’Istituto. Il tramonto della centralità parlamentare imponeva di per se l’urgenza di ricostruire e rafforzare la funzione.

Lì invitó il grande premio Nobel per l’economia, l’eclettico postKeynesiano Paul Samuelson – autore del manuale di economia più diffuso nel mondo – a dare indicazioni sulla sicurezza sociale nei paesi industrializzati insieme all’illustre demografo francese Alfred Sauvy che nel 1982 anticipò per l’Italia il divorzio, non quello tra moglie e marito, ma tra la società e la vita! Come è purtroppo avvenuto e come dicono i numeri demografici.

La collaborazione con Nilde Iotti poi sarà più intensa quando da vicepresidente della Camera sarà chiamato a gestire il difficile compito di situazioni di Aula nel rispetto delle regole parlamentari.

Nell’Auletta volle affrontare i problemi delle grandi aree del mondo, con Prodi e Monti non ancora assunti a cariche istituzionali. Avvertiva l’esigenza di una larga mobilitazione di energie e capacità intellettuali in grado di tracciare nuove linee, formulare più aggiornate teorie che potessero evitare di giungere alla stagnazione politica e culturale.

E come dimenticare il dibattito che sul fronte interno alla Dc volle per aggiornare le idee del grande convegno economico di Perugia del 72 che trovò poi conferma e mobilitazione con l’avvento della Segreteria De Mita. L’azione da parlamentare europeo verso i Paesi dell’area mediterranea erano la continuazione delle sue iniziative con il sostegno di Andreotti, in favore dell’allargamento della Comunità europea con Grecia Spagna e Portogallo nonostante le resistenze delle organizzazioni agricole che vedevano pericoli dalla competizione sui prodotti mediterranei.

Affrontò nel 1980 i problemi delle Partecipazioni statali e degli oneri impropri che sarebbero esplosi alla fine del decennio.

Tutte vicende che hanno visto anche come protagonisti molti testimoni del tempo presenti ieri come Calogero Mannino, Giuseppe Gargani, Mario Segni Mario Tassone, Giorgio Meduri, Pino Pisicchio, Alessandro Forlani e tanti altri.

Completamente marginalizzata la fase della sua guida della Associazione ex parlamentari per oltre un decennio, affrontando con coraggio e determinazione, a volte controcorrente, le spinte demagogiche, populiste, qualunquiste che avevano fatto presa nel renzismo e nel grillismo. Privilegiò la buona politica con i temi in agenda dalla legge elettorale alla riforma costituzionale, dal federalismo al meridionalismo.

Fece iniziative e incontri su territorio da Napoli a Milano da Castrocaro a Firenze senza dimenticare le celebrazioni dei 150 anni dell’unità di Italia a Torino con una splendida relazione del liberale Valerio Zanone alla presenza di Fassino appena eletto sindaco di Torino. Così come volle essere presente con specifiche iniziative all’Expo di Milano.

Bianco era pluralista nei rapporti politici, mai settario. Ieri è mancata completamente la “presenza” non fisica, ma culturale della area liberal-democratica nella quale affondava le sue radici.

Credo che l’associazione ex parlamentari dovrà prevedere una giornata di studio dedicata al suo presidente emerito dando voce alle persone che possano meglio integrare la conoscenza della sua figura e personalità con analisi penetranti di vicende storiche che non possono essere parziali.

Completamente omessa la fase storica degli anni Ottanta rispetto alle scelte sul Preambolo e sul Pentapartito, compresa la visione sui problemi della Giustizia e non furono questioni marginali.

L’europeismo di Bianco affonda nella storia della Dc, da De Gasperi a Moro con tappe fondamentali nella vicenda SME del 1978 che segnò una rottura politica con la sinistra; poi nella elaborazione del programma elettorale del 1992 con la segreteria Forlani. L’unione Monetaria Europea è conseguenza di quelle scelte fondamentali.

Per non parlare poi della vicenda Ciampi che non parte nel 1996 ma nel 1993 con molte pagine non raccontate come quelle sulle privatizzazioni delle telecomunicazioni, in particolare; devono essere scritte dagli storici senza pregiudizi nel segno del pluralismo e delle libertà alle quali Gerardo Bianco era profondamente ancorato.

 Maurizio Eufemi

Tangentopoli e la fine traumatica della legislatura nel 1994.

Riflessioni sul libro di Enzo Carra. L'ultima Repubblica e i dialoghi con Gherardo Colombo

articolo di Maurizio Eufemi  tratto dal giornale online "beemagazine.it" del 13 febbraio 2023

 

Le anticipazioni del libro di Enzo Carra, L'ultima Repubblica hanno evidenziato i dialoghi con Gherardo Colombo. Quasi un confronto senza rancora sulle idee di diversa formazionetra il fine giornalista e il letterato, intellettuale magistrato ex membro del Pool Mani Pulite, seppure a distanza di un tempo lontano, ma non cancellato, della stagione della politica messa sotto scacco dalla magistratura, con una profonda rottura dell'equilibriodei poteri costituzionali con la complicità dei media che hanno alimentato il furore giustizialista. Enzo Carra divenne la tragica vittima di quella "ultima Repubblica".

 

Sono stato colpito, nelle anticipazioni e poi, nella lettura delle pagine conclusive, dei riferimenti ad un nome, quello di Zangrandi.

 

Ma chi è Ruggero Zangrandi? Un nome certo sconosciuto ai giovani e ai meno giovani ma non ai lettori più attenti di vicende Democristiane. Era un comunista, intellettuale, scrittore, storico, fondatore del Partito Socialista Rivoluzionario poi confluito nel PCI. L'ultimo sua opera postuma fu l'Italia tradita del 1971.

 

Nel 1952 ci fu una vivace polemica tra Franco Maria Malfatti e Ruggero Zangrandi sul ruolo e l'autonomia della cultura e il comunismo.

 

Lo fecero con un aspro confronto dialettico, attraverso scambi di lettere pubblicate in un triangolo che vedeva la rivista San Marco di Nicola Pistelli, Rinascita e Per l'Azione del movimento giovanile Dc. Di ciò troviamo riscontri sia all'Istituto Sturzo sia negli scritti di Franco Malfatti.

 

Per Malfatti la cultura non poteva essere ridotta a propaganda. Per Zangrandi la cultura era il modo per giudicare le ingiustizie del mondo. Noi comunisti - sosteneva Zangrandi - neghiamo l'autonomia della cultura e sosteniamo che anche la cultura è legata alla società in cui nasce e si sviluppa e trasforma connessa e serve ad essa.

 

Negava dunque l'autonomia fino al punto che se appare autonoma in realtà è influenzata dalla ideologia e dai concreti interessi della classe dominante che cosi come organizza e dirige la sua società, organizza e amministra la cultura che le è propria; sosteniamo che gli intellettuali i quali si proclamano indipendenti dalla politica e negano di far politica, fanno in realtà la politica della classe che li esprime e li conserva.


Malfatti replica con l'autonomia della cultura per rispettare il principio secondo il quale non la politica, ma la cultura, cioè la filosofia, la morale, il diritto la scienza, l'arte sono le componenti del progresso della società civile. Per Malfatti riducendo tutta la realtà alla politica si uccide la possibilità di sviluppo della realtà, la possibilità di nuovo, il pensiero, e con ciò la stessa azione.

 

Per Malfatti la soluzione comunista era illusoria. Perché fin quando sono comunisti hanno poco da discutere con noi perché credono di avere la soluzione in tasca. E se vogliono discutere con noi e tra noi è solo per collocare la loro soluzione.

 

Come si può vedere c'è uno scontro ideologico che persevera tra quanti si ritengono i detentori della verità e interpreti dei destini del mondo.

 

Gherardo Colombo nel suo dialogo conclude con un dubbio assillante relativi ai meriti della Prima Repubblica.

Lo scambio di opinioni prosegue sul momento iniziale di vicende oscure tra chi lo fà risalire al 1969 e chi allo sbarco degli USA in Sicilia.

 

Forse un contributo potrebbero darlo quanti hanno propugnato le doppie verità il doppio Stato e tutte le teorie che in questo mezzo secolo hanno intossicato la vita del nostro Paese. Dunque Carra ha spostato il confronto sul terreno letterario e culturale per ricordare quelle vicende che lo hanno tragicamente ferito, rialzandosi però con coraggio e con la fede cristiana come è stato ricordato nella cerimonia funebre.

 

Poi però non ho resistito e ho voluto leggere il libro, grazie a Kindle, nella sua interessa, per meglio capire il senso dei ragionamenti di Carra e intrecciandoli con quello del libro di  Andrea Spiri, The End 1992-1994, uno storico che ha lavorato sui documenti desecretati del Dipartimento di Stato USA vengono fuori muove Verità con le note di SEMBLER console USA che prova la collaborazione con i magistrati della procura di Milano.

Sono carte certamente idonee a definire una linea di lettura storiografica diversa da quella fin qui narrata.

Sul piano più strettamente politico e relativamente alle vicende Dc due questioni meritano grande attenzione: l'incontro di Ciampi con Clinton, in settembre, quando viene anticipato che si voterà in primavera! Quindi la fine della legislatura, pur in presenza di una maggioranza, era tutto già deciso e da chi? E il Parlamento? Le autoconvocazioni all'alba di Marco Pannella all'Auletta dei gruppi parlamentari per impedire lo scioglimento anticipato della legislatura in presenza di una maggioranza parlamentare? E  il parlamentarista presidente Scalfaro?

 

Poi le visite di Martinazzoli con alcuni esponenti Dc all'ambasciata USA di Via Veneto. Li viene anticipata la divisione e la successiva cancellazione della Dc di cui la legge elettorale sarà lo strumento.

 

Questi libri non alimentano dubbi, ma offrono certezze.

 

Maurizio Eufemi

100 anni fa uno storico discorso di Luigi Sturzo sul Mezzogiorno.

Un’analisi di mali ed errori che hanno creato la “questione meridionale”

 

Rileggerlo oggi acquista un significato particolare per la profondità del pensiero, la penetrante analisi storica, economica e sociale. Basti pensare alla riforma agraria, alle bonifiche, alla questione meridionale come questione nazionale, all'intervento straordinario per il Mezzogiorno, all'apertura agli scambi piuttosto che ai protezionismi, all'energia come fattore di sviluppo unitario. Il 2023 sarà un anno importante per il movimento cattolico ricorrendo l'ottantesimo anniversario della fondazione della Dc

 

articolo di  Maurizio Eufemi tratto dal giornale online  "beemagazine.it" del 13 Gennaio 2021

"Un programma politico non si inventa, si vive; e per viverlo, si deve seguire nelle sue fasi evolutive, percorrerne le attuazioni, determinarne le soluzioni nel complesso ritmo sociale, attraverso i contrasti e le lotte, nella audacia delle affermazioni, nella fermezza delle negazioni."

Luigi Sturzo - 2 maggio 1921 - Augusteo di Roma.

 

Il 2023 sarà un anno importante per il movimento cattolico ricorrendo l’ottantesimo anniversario della fondazione della Dc.

Il giorno 18 è altrettanto importante e ricorrente perché ci riporta al 18 gennaio 1919 con l’appello al Paese del segretario politico del Partito Popolare don Luigi Sturzo e della Commissione Provvisoria “a tutti gli uomini Liberi e Forti…”

 

Ma tra i corsi e ricorsi storici, il prossimo 18 gennaio sarà il centenario del discorso di Luigi Sturzo, pronunciato proprio il 18 gennaio del 1923 a Napoli, nella Galleria Principe di Piemonte, nel quarto anniversario della fondazione del partito su “Il Mezzogiorno e la politica italiana”.

Rileggerlo oggi acquista un significato particolare per la profondità del pensiero, la penetrante analisi storica, economica e sociale e le illuminanti indicazioni di un pensiero filosofico forte che troveranno in parte realizzazione nelle idee ricostruttive, nel programma degasperiano e nell’azione dei governi centristi. Basti pensare alla riforma agraria, alle bonifiche, alla questione meridionale come questione nazionale, all’intervento straordinario per il Mezzogiorno, all’apertura agli scambi piuttosto che ai protezionismi, all’energia come fattore di sviluppo unitario. Per non parlare della finanza locale coordinata piuttosto che la preoccupante degenerazione in una “finanza anarchica!”.

Questo discorso si tenne dopo quello, affollatissimo, di Torino del 20 dicembre del 1922, due mesi dopo la marcia su Roma e tre giorni dopo la soppressione, avvenuta a Torino di circa 20 operai antifascisti i cui corpi furono gettati nel Po.

Era la prima manifestazione del segretario del PPI dopo la partecipazione di due Ministri e tre sottosegretari al primo governo Mussolini cui Sturzo non aveva dato il suo consenso. “Nell’ora grigia del tormento politico come nelle vicende delle battaglie pubbliche, non si può nè si deve disertare il posto di combattimento che abbiamo scelto per convinzione di coscienza, non si può nè si deve rinunciare a quel complesso di postulati e di finalità che firmano la ragione ideale e programmatica del nostro Partito”.

 

Questo era il suo pensiero al riguardo. La collaborazione fu di breve durata.  Sturzo riuscì a sventare il processo di aggiramento di Mussolini verso i Cattolici che rischiava di assumere i caratteri dell’assorbimento. “Con il congresso di Torino i Popolari hanno alzato la bandiera dell’antifascismo e lo fecero con grande dignità e coraggio” disse Aldo Moro nel 1959 al Teatro Eliseo di Roma.

 

Questa puntualizzazione è necessaria per meglio comprendere il contesto storico.

Il discorso di Sturzo a Napoli assume una particolare importanza perché servì a reimpostare il problema del Mezzogiorno dopo che già a Bologna, nelle tavole programmatiche, era stato riaffermato il carattere “nazionale” della questione meridionale nella sua interezza, “una unità inscindibile, in un travaglio morale, politico ed economico, per risolvere la sua crisi e riprendere il suo cammino glorioso di civiltà e di progresso”.

Sturzo sottolinea i grandi errori compiuti, dal 1860 al 1915, verso la questione meridionale con un Sud che ha “mormorato, protestato, scritto libri e opuscoli” senza scendere sul terreno della lotta. Sottolinea il grave colpo al Mezzogiorno con le tariffe doganali del 1877 che sconvolse i mercati, dopo lo sforzo di produttività agricola determinato dal trattato con la Francia del 1863. Prevalse nei trattati doganali il contrasto tra economia agraria ed economia industriale, dunque un indirizzo protezionista industriale, nonostante qualche piccolo vantaggio per l’agricoltura come i trattati di commercio con Austria e Germania del 1891- 1892.

Sturzo pone il problema del Mediterraneo come zona naturale di commercio e di comunicazioni, come zona naturale di sviluppo, così come le erano state Trieste e Fiume per il bacino danubiano e Genova per le Alpi e come i periodi di floridezza coincisero con la politica mediterranea, con fenomeni e fatti politici.

Poi per Sturzo un ulteriore colpo all’economia del Mezzogiorno è stato dato dal sistema tributario con una irrazionalità dei tributi, con la riforma del catasto che penalizzò il Sud tanto che Sonnino propose poi la riduzione del 50 per cento della fondiaria erariale a favore del Sud.

Sturzo analizza come il sistema proporzionale e non progressivo dei tributi sui terreni abbia danneggiato l’agricoltura meridionale, perché meno ricca e perché i terreni, con gli investimenti, sono gravati da oneri ipotecari che non venivano detratti dal passivo, al contrario dei debiti dell’industria che godevano di questi vantaggi.

“Errori e danni” li definisce Sturzo con la storia dell’imposta e della sovraimposta, con il vecchio e nuovo catasto. Tutto ciò alimentato dalla campagna mediatica operata dai giornali del Nord per colpire di ricchezza mobile l’agricoltura agricola diretta.

Come terza causa di inferiorità Luigi Sturzo aggiunge la uniformità legislativa. Il processo dinamico della realtà economica e amministrativa che dovrebbe essere lasciato all’adattamento locale come è nel modello inglese o austriaco, anziché in quello centralistico francese, napoleonico. Per Sturzo, l’Italia doveva imitare il dinamismo legislativo inglese piuttosto che la forza statica dei regolamenti di impronta francese.

Sturzo richiama lo sboscamento pazzo del Mezzogiorno con la legge del 1877 che non distinse tra  le Alpi e le rupi del Mezzogiorno, con sussidi solo ai pascoli del Nord, con la legge sulle bonifiche principalmente fatta per gli abitanti e per le zone padane, quindi con profonde diversità sia tecniche sia economiche.

Tra gli errori indicati da Sturzo v’è stato il sistema delle tariffe dei trasporti ferroviari con una unicità di tariffe che nuoce e danneggia fino ad arrivare a un regime proibitivo.

Per l’Italia la legge uniforme è un errore sostanziale così come lo è la “legge speciale fatta con mentalità livellatrice e formalistica avulsa dalla realtà pulsante e viva di coloro che sentono e operano nelle regioni”.

Dunque, per Sturzo il Mezzogiorno può trasformarsi da regime economico passivo in attivo nella affermazione di una politica mediterranea e a condizione che si superino le tre barriere poste dal regime doganale, dalla pressione tributaria, dalla legislazione uniforme e livellatrice.

Poi Sturzo richiama l’importanza di dare al Mezzogiorno scuole professionali specializzate per fermare l’emigrazione e fare uomini preparati per affrontare la concorrenza.

Dunque, Sturzo a nome dei “Popolari, pochi, modesti, sinceri” vuole dire una parola di verità e di amore al Mezzogiorno. E il suo appello finale è oltre il suo stesso partito politico,  con i compiti propri che “non sono quelli di una associazione sportiva”, ma verso gli organizzatori nel campo del sociale e dell’Azione Cattolica, giovanile e femminile per rinsaldare i vincoli sociali fra  le varie classi sociali in nome delle virtù cristiane dopo che il massonismo anticlericale delle provincie aveva allontanato le classi urbane e professioniste dalla fede e dalla pratica cristiana, prima in nome della nazione, poi in nome della scienza, ed ha rotto così i rapporti morali tra le classi alte e il popolo.

Per Sturzo, dunque, la Redenzione comincia da noi. La parola è questa: “il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno”.  Questa visione non deve essere monopolio di partito, ma coscienza politica della nostra gente.

Rileggere quelle pagine oggi significa immergersi nella attualità dei problemi: dalla politica estera con il Mediterraneo e i Paesi rivieraschi, con la diversità delle culture e delle religioni,  a quelli della politica tributaria con il catasto e delle imposte, dalla politica industriale alla politica agricola, dalla articolazione dello Stato nei livelli di governo alle autonomie e dunque ai problemi d’oggi del regionalismo differenziato, dalla semplificazione legislativa alle leggi speciali.

Da queste pagine emerge la grandezza di Sturzo e del suo pensiero. Sono pagine che illustrano la storia del nostro Paese, di ciò che eravamo cento anni fa e di ciò che siamo oggi.

“Il discorso di Napoli è il culmine della esperienza meridionalistica di Sturzo” scrive Gabriele De Rosa, un meridionalismo che si distingue da quello di Salvemini di socialismo liberista e da quello di Gramsci che guarda all’alleanza tra proletariato urbano con i contadini. In Sturzo v’era ferma diffidenza verso la prospettiva industrialista.

Si trattava invece di “un meridionalismo che prende forza da una specie di coscienza autentica, immediata della condizione del Sud, da una ricognizione storico-sociale di un Mezzogiorno inserito in un’area economica e culturale di respiro Mediterraneo, dalla constatazione che il problema fondamentale era trasformare la terra e di realizzare una maggiore giustizia e democrazia nelle campagne”.

 

Maurizio Eufemi

 

 

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