MAURIZIO EUFEMI

eletto al Senato della Repubblica - per la Provincia di Torino - Collegio n. 7

Vice Presidente Vicario Gruppo UDC (CCD-CDU-DE)

 

 


 Corporate Governance Forum

Roma, 7 febbraio 2008

Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre

 

Intervento del sen. Eufemi

Controlli societari e nuove responsabilità contabili

 Siamo chiamati oggi ad affrontare una questione di grande attualità, richiamata non solo sulla stampa specializzata, per i riflessi che riguardano direttamente società quotate come Eni, EniPower, società controllata da Eni, Enelpower, del gruppo Enel ma, soprattutto, tanti procedimenti in fase di istruttoria relativi a Comuni e a municipalizzate da essi dipendenti con quote di comando e controllo soprattutto per danni ambientali. Recenti iniziative parlamentari hanno preso spunto da questa situazione per intervenire nel decreto Milleproroghe per correggere una nuova e pericolosa situazione. Aleggia sui nostri lavori l'assenza di un convitato.

È in atto una controversia tra giuristi su cui è stato ipotizzato un intervento legislativo riguardo a una possibile interferenza dell'azione di responsabilità amministrativa esercitata dalla procura della Corte dei Conti rispetto all'azione di responsabilità sociale che i soci possono intraprendere nei confronti degli amministratori o dei dipendenti delle società partecipate dai soggetti pubblici. Questa interferenza è stata ribadita sia dalla nota interpretativa della stessa Corte dei Conti "in materia di denunce di danno erariale" sia dalla circolare, partita dalla procura generale della Corte, inviata a tutti i procuratori regionali. 

Nell’ultimo decennio, alcune ben note situazioni di crisi hanno comportato significativi effetti sui mercati con un impatto a livello globale ed è diventata sempre più pressante la necessità di individuare delle regole di governance al fine di minimizzare e contenere le disfunzioni che si propagano sul sistema dei mercati finanziari.

Al crescere delle dimensioni si è determinata la necessità di incrementare i propri controlli gestionali.

Vi era stata una spinta a ridurre i costi di agenzia con l'esigenza di un sistema di governance strutturale.

Potrei partire dal Cadbury Report, che fin dal 1992 ha sottolineato l’esigenza di sistema di governance strutturato, sia nella governance che nei controlli interni.

 Per arrivare al Sarbenes Oxley Act, che è stata la risposta Statunitense agli avvenimenti interni al loro mercato.

 La risposta del legislatore per garantire al mercato dei capitali un sistema di governance adeguato è stata data dal d.lgs. 58/1998, il c.d. TUF, nel quale per le società quotate si prevedevano indicazioni più stringenti tanto in relazione agli organi interni, quanto in relazione alla necessità di Revisione Contabile.

 Ulteriori adeguamenti sono intervenuti con le modifiche al codice civile e  più recentemente con la legge 262/2005 con successive modificazioni che ha cambiato e integrato il TUF.

Il TUF ha inserito una normativa maggiormente stringente per gli organi interni tanto sulla composizione (rispetto dei requisiti), tanto sui flussi informativi tra gli organi che dovevano garantire l’efficienza del controllo. Lo stesso testo ha incrementato e rafforzato i poteri dell’organo di controllo interno (sia di convocazione, sia di azione).

La riforma del Codice Civile ha introdotto per tutte le società per azioni la possibilità di scegliere tra tre diversi modelli di amministrazione: quello tradizionalmente in uso in Italia, nonché quello monistico e quello dualistico. Anche il Codice civile ha maggiormente dettagliato i poteri degli organi.

La legge 262/2005, e successive modificazioni, che ha avuto un impatto sul TUF, oltre a modificare e dettagliare la disciplina relativa agli organi e ai flussi informativi, ha inserito la figura del Dirigente Preposto al Sistema di Controllo Interno.

La Consob ha sempre fatto seguire i Regolamenti che integrano e dettagliano la normativa primaria.

A queste norme di natura prettamente collegata all’organizzazione societaria e alle funzioni di tutela del risparmio se ne sono sovrapposte altre, che hanno avuto altrettanto impatto sull’organizzazione societaria, pur avendo differenti finalità: si pensi alla normativa sulla privacy, sull’antiriciclaggio, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e sulla sicurezza aziendale.

Il complesso normativo preso in esame richiede l’istituzione di specifici soggetti aziendali spesso distinti tra loro e con responsabilità civili e penali proprie; l’esecuzione e l’aggiornamento di specifiche analisi dei rischi e dell’organizzazione aziendale (risk assessment); l’istituzione e l’aggiornamento di processi di controllo, di procedure e di attività di verifica che spesso si sovrappongono.

Solo per dare un’idea dell’appesantimento strutturale si possono citare i principali attori obbligatori che interagiscono sul medesimo Sistema di Controllo Interno:

-       Collegio sindacale/Consiglio di sorveglianza/Comitato per il controllo sulla gestione;

-       Consiglio di Amministrazione;

-       Amministratore delegato al controllo interno;

-       Dirigente preposto ex art 154-bis del TUF, responsabile della correttezza della contabilità e delle dichiarazioni al mercato relative alla informativa finanziaria;

-       Organismo di vigilanza ex d.lgs 231/01: organismo autonomo che verifica la funzionalità del meccanismo organizzativo per la prevenzione dei reati societari;

-       Responsabile sicurezza protezione e prevenzione, ai sensi del d.lgs 626/94;

-       Responsabile del trattamento dei dati personali, ai sensi del d.lgs. 196/04. 

 Ne derivano indicazioni positive:

-       il maggior focus sul sistema di controllo interno che ormai è ampiamente riconosciuto essere il primo elemento di gestione e difesa a fronte di numerosi rischi di business;

-       una più diffusa conoscenza del concetto di controllo interno che originariamente veniva spesso identificato con specifiche funzioni aziendali o organi di governance e non con il più ampio ed esaustivo complesso organizzativo procedurale dell’azienda (ivi incluse ovviamente anche le funzioni indicate) a partire dalla strutturazione della tipologia di governance; al Codice di Autodisciplina si deve il merito di aver divulgato una condivisibile definizione di sistema di controllo interno (insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi una conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati);

-       una più chiara (anche se non completamente nuova) allocazione di responsabilità per la definizione e la gestione di un adeguato sistema di controllo interno, in capo agli amministratori.

Tuttavia permangono alcuni aspetti negativi:

-       problemi di coordinamento tra i diversi organi di governance (si pensi ad esempio all’annoso tema del rapporto tra collegio sindacale ed audit committee o a quello tra consiglio di sorveglianza e consiglio  di gestione)

-       rischio di sovrapposizione di normativa con conseguente possibile confusione di ruoli e responsabilità e di attribuzione di eccessiva rilevanza degli aspetti formali a scapito di quelli sostanziali con la conseguente  perdita di   efficienza ed  il rischio di riduzione dell’efficacia della disposizione normativa.           

Ne deriva la necessità di un migliore coordinamento delle norme che riguardano il sistema di controllo interno che tenga conto del fatto che quest’ultimo in tutte le realtà aziendali rappresenta un “unico” sulla base del quale vengono individuati, monitorati e valutati i rischi di business aziendali ed è quindi con riferimento a questa realtà  che le specifiche norme devono essere strutturate; questa analisi potrebbe essere svolta nell’ambito delle attuali norme che, in conformità alla normativa comunitaria, prevedono la semplificazione, il riassetto e la qualità della regolamentazione.

“Nota interpretativa in materia di denunce di danno erariale ai Procuratori regionali presso le Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti".

Una premessa generale: è riscontrabile una tendenza ad  attribuire compiti e responsabilità alla società di revisione senza una preventiva analisi della effettiva competenza della stessa sulla materia specifica, creando problemi di possibilità operativa e di aspettative non pienamente corrispondenti a quanto la funzione può realmente realizzare. (Si pensi ad esempio all’Art. 2465, comma 1, Cod. Civ. in tema di conferimento di beni in una s.r.l. ,all’ Art. 2501-sexies, ultimo comma, Cod. Civ. in tema di fusioni di società di persone con società di capitali ; problematiche similari, se non addirittura di maggiore portata sono infine riscontrabili in merito all'asseverazione richiesta al revisore designato come esperto ai sensi dell'art. 2501-sexies cod. civ. nel caso di fusione anticipata disciplinata dall'art. 2503 cod. civ.. ; infine va ricordato che analoghe situazioni si presentano nell’ambito della normative secondaria.

 Vi sono i seguenti aspetti  che necessitano chiarimenti:

- una chiara definizione di “danno erariale” al fine di accertarne la effettiva possibilità di rilevazione nell’ambito del lavoro di revisione;  in particolar modo sembra che non si tratti solo di illecito  ma anche di evento  che crea pregiudizio al patrimonio (danno emergente e lucro cessante); è evidente che la possibilità di rilevazione di tali fatti può riguardare il revisore solo se gli stessi ricadono nelle fattispecie delle frodi e della non conformità a norme e regolamenti così come contemplato nei Principi di Revisione  (PR 240 e 250) che riguardano le fattispecie indicate;

- l’introduzione di un concetto di significatività; non si rileva alcuna indicazione nella nota che evidenzi come la tematica sia riferibile solo si casi di rilevante significatività; per quanto riguarda l’attività di revisione il concetto di significatività è riferito esclusivamente al bilancio oggetto di esame;

- la definizione del perimetro di applicazione; non risulta chiaro se la norma è riferibile anche alle controllate e alle collegate di società a partecipazione pubblica e se sia da riferirsi solo alle partecipate italiane o anche alle estere

- infine va nuovamente ricordato che la funzione della società di revisione  è di controllo sulla corretta e completa rilevazione in bilancio dei fatti di gestione ma non è quella di valutazione e controllo dei fatti di gestione, funzione propria dell’organo di controllo (collegio sindacale,consiglio di sorveglianza, comitato per il controllo di gestione)

Le società a partecipazione pubblica: la disciplina normativa e la responsabilità per danno erariale

Per quanto attiene alle spa a partecipazione pubblica totalitaria, maggioritaria o minoritaria, l’esame della disciplina societaria contenuta nel codice civile evidenzia come non sia previsto che le società costituite o partecipate da enti pubblici abbiano regole di gestione e funzionamento peculiari (se non per alcuni limitati profili relativi alla nomina degli organi di amministrazione e di controllo: artt. 2449-2450 c.c.[1].

Conseguentemente, le spa a partecipazione pubblica risultano disciplinate dalle regole ordinarie applicabili a tutte le società di capitali (Libro V, Titolo V, Capo V del codice civile;  in questo senso, v. il parere formulato dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti, con deliberazione 18 ottobre 2007, n. 46).

Prescindendo – in questa sede - dalla natura giuridica delle società a partecipazione pubblica[2], resta ferma la considerazione in base a cui le spa partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici non mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo perché un operatore pubblico ne possiede, in tutto o in parte, le azioni: pertanto, gli strumenti utilizzati per regolare il rapporto tra le spa e l’ente pubblico partecipante sono unicamente quelli del diritto privato societario, da esercitarsi attraverso i componenti di nomina pubblica presenti negli organi sociali (cfr. Cass. civ., sez. un., 15 aprile 2005, n. 7.799; Tar Sicilia-Catania, sez. III, 13 agosto 2002, n. 1.446; Tar Veneto, sez. I, 4 aprile 2002, n. 1.234).

Dal quadro sopra esposto, è possibile delineare una duplice responsabilità degli amministratori di spa partecipate da enti pubblici: alla normale responsabilità civile verso la società (art. 2392 c.c.), verso i creditori sociali (art. 2394 c.c.), nonché verso i singoli soci o i terzi (art. 2395 c.c.), si affianca una responsabilità contabile, per danno erariale, azionabile dinanzi alla Corte dei conti.

Va ricordato[3] che presupposto prioritario della responsabilità amministrativo-contabile è la causazione, a seguito di un’azione, od omissione, di chi è tenuto ad assumere comportamenti concludenti, di un danno erariale[4], da intendersi, nella sua configurazione civilistica, sia come danno emergente (perdita subita per cosa distrutta o perduta, somma erogata, entrata non acquisita) che come lucro cessante (mancato guadagno). Entrambe le tipologie di danno possono essere conseguenza anche della lesione di un bene materiale, quando essa determini la necessità di sostenere le spese per il ripristino del bene leso[5] .

Il “danno erariale” consiste in qualsiasi lesione del patrimonio dello Stato e degli altri enti pubblici, prodotta da soggetti che, inseriti nello stesso apparato statale o pubblico, agiscano per conto della pubblica amministrazione. Ai fini della sua configurabilità debbono, contestualmente, sussistere i seguenti requisiti:

-       certezza: il danno si è verificato in tutti i suoi elementi;

-       attualità: esso sussiste sia al momento della proposizione della domanda che della decisione;

-       concretezza, la perdita non è ipotetica, ma realmente realizzata;

-       determinatezza, la perdita deve essere quantificata o quantificabile secondo i principi del codice civile.

Il danno erariale, tra l’altro, si distingue in:

-       diretto, ove causato, sin dall’origine, alla pubblica amministrazione;

-       indiretto, in cui il danno, causato originariamente nei confronti dei terzi, si riverbera a carico dell’amministrazione per sentenza risarcitoria emessa nei confronti di quest’ultima o per transazione dalla stessa stipulata

Una questione dibattuta negli ultimi anni è quella della completa estensione della giurisdizione della Corte dei conti sull’attività di gestione delle società partecipate, attuata dalle S.U. della Cassazione con una pronuncia del 2004[6]: ci si interroga, infatti, sui profili di compatibilità di tale orientamento giurisprudenziale con la normativa costituzionale, con la natura privata delle società in esame e con le scelte del legislatore[7].

La dottrina ha, infatti, evidenziato i seguenti punti critici della controversa questione in esame:

a) l’art. 103, secondo comma, della Costituzione[8], non sembra poter supportare tale estensione di competenza, in assenza di un’espressa previsione normativa;

b) la necessità di rispettare il principio di legalità, in quanto il d.l. n. 47 del 1995[9], che attribuiva espressamente alla giurisdizione della Corte dei conti le controversie per i danni causati da componenti di organi di amministrazione e controllo, nonché da funzionari e dipendenti degli enti pubblici economici e delle società sulle quali lo Stato esercita il controllo in ragione della partecipazione sociale, non ha superato il vaglio parlamentare, nonché in virtù della scelta del legislatore del codice civile di assoggettare le società pubbliche alla medesima disciplina di quelle private, fatta eccezione per le deroghe di cui agli artt. 2449-2450 c.c.[10];

c) l’eccessiva dilatazione della nozione di “rapporto di servizio”.

La giurisprudenza contabile, sostenuta da una parte della dottrina[11], evidenzia, tuttavia, che l’impostazione restrittiva risulta ormai superata dal rilievo centrale assunto dall’"aspetto finalistico dell’attività" della società pubblica, tesa al soddisfacimento di bisogni di interesse generale, nonché dall’esigenza fondamentale di apprestare efficaci rimedi a tutela del patrimonio pubblico[12].  Dall’esame della citata giurisprudenza – che comunque stenta a costituire un orientamento univoco e consolidato – sembrerebbe emergere la tendenza del giudice contabile a sganciare la responsabilità dei soggetti in esame dal criterio del rapporto di servizio, individuando nella natura pubblica delle risorse finanziarie il presupposto della giurisdizione contabile[13].

       

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L'adozione di sempre nuove modalità di intervento dell'Amministrazione pubblica nell'economia, di cui è ormai divenuto strumento consueto, se non prevalente, la partecipazione diretta al capitale in soggetti societari di diritto comune, presenta all'interprete dei problemi giuridici e al legislatore, tra i diversi profili problematici inerenti alla definizione degli ambiti più propri di disciplina, ora attribuiti alla regolazione del diritto pubblico ora al diritto comune, e anche l'emersione di peculiari aspetti connessi alla più propria disciplina contabile e alla connessa responsabilità da applicare in questi casi.

Tale sforzo di interpretazione in dottrina è stato sinora decisivamente influenzato dalla tesi della Corte costituzionale che, con la cd. sentenza "Cheli" (n. 466/1993), operò il primo tentativo di ricondurre il processo di privatizzazione delle partecipazioni statali, allora avviato con il d.l. n. 333/1992, nell’ambito di un regime giuridico “speciale”, la cui specialità coincideva con l'applicazione di regole di diritto pubblico a soggetti formalmente di diritto comune[14].

Per i profili di interesse, nella prospettiva di allora della Corte Costituzionale, la natura di società per azioni, rivestendo una veste solo "formale”, non si presentava affatto di per sé incompatibile con il controllo della Corte dei conti.

Difatti, non di meno, veniva riconosciuto che tale controllo è, comunque, strettamente legato alla posizione dello Stato quale azionista unico o di maggioranza. Se e quando le partecipazioni saranno dismesse, anche il controllo, di conseguenza, cesserà.

Appare chiaro che secondo il richiamato quadro concettuale, l'attrazione alla "contabilità pubblica" è correlata all'interesse erariale prevalente nell'esercizio dell'attività d'impresa, laddove, quest'ultimo, è intimamente legato all'interesse pubblico perseguito dalla Amministrazione attraverso la partecipazione.

    In tale prospettiva, sotto il profilo tecnico-contabile, la sola possibilità di riferire, anche indirettamente, il patrimonio della società al bilancio statale dovrebbe comportare che quel patrimonio sia soggetto ai meccanismi di controllo disegnati per il patrimonio dello Stato. Ne segue che, pur non affermandolo espressamente, il richiamato pronunciamento della Corte costituzionale ritiene, quindi, che i meccanismi di controllo ordinariamente previsti a garanzia del capitale sociale dalla disciplina civilistica non siano sufficienti, quando di questo capitale sia proprietario lo Stato, il quale è, quindi, evidentemente, un azionista diverso dagli altri.

          Il criterio della natura dell’attività svolta è sinora servito per discriminare la responsabilità degli amministratori degli enti pubblici economici, a seconda che ci si riferisse ad eventi dannosi, connessi allo svolgimento di funzioni pubbliche, o allo svolgimento di attività private. Tale criterio sembra, però, essere stato abbandonato dalla giurisprudenza più recente, secondo la quale l’elemento cruciale per identificare l’ambito della responsabilità amministrativa è, invece, la natura del patrimonio danneggiato: se c’è danno all’erario, da chiunque e comunque provocato, c’è giurisdizione contabile[15].

L’approccio “sostanzialista”, volto a far valere la vera natura (pubblica) dell’attività o del soggetto, relegando a mero dato formale la qualificazione (privatistica) del modello adottato e del suo regime giuridico ha, naturalmente, un suo fondamento nelle incertezze e nelle contraddizioni che il legislatore non ha saputo evitare nelle diverse e variegate norme di disciplina delle società a partecipazione pubblica.

Pur tuttavia, occorre riflettere sul fatto che l’invocazione della “sostanza” delle cose non può, però, valicare precisi limiti, a meno di trasformarsi da un indirizzo interpretativo, in vero e proprio indirizzo di "politica" giurisprudenziale.

In proposito, l’approccio "sostanzialista" deve fare giocoforza i conti, innanzitutto, con il rispetto del principio di legalità. Ad oggi, non c’è alcuna norma, nel nostro ordinamento, che preveda la sottoposizione degli amministratori delle società in partecipazione pubblica alla responsabilità amministrativa e alla giurisdizione della Corte dei conti.

Inoltre, l’approccio “sostanzialista” presenta, in secondo luogo, forti caratteri interpretativi, laddove la natura erariale dell'interesse coinvolto è direttamente legata alla definizione dell'interesse pubblico perseguito dall'Azienda partecipata.

Pertanto, in tal senso, al di là di letture convenzionali della questione, non si può attribuire sempre un valore "sostanziale" agli elementi pubblicistici delle partecipazioni "purchessiano", collegandole tout court alla natura del soggetto proprietario o all’origine delle risorse confluite nel capitale sociale o, ancora, a qualsiasi legame, sia pure assai indiretto, con il patrimonio o anche solo il bilancio statale.       

Del pari, alcuna “sostanza” può essere immediatamente riconosciuta ai detti elementi, come parimenti non si può trarre un'immediata conclusione circa il regime privatistico della responsabilità, qualora la natura dell’attività in sé, e la rilevanza del modello adottato, siano proprie delle normali imprese[16].

A mio avviso, tali elementi devono essere sempre ponderati, caso per caso, con la valutazione dell'interesse pubblico predeterminato alla partecipazione erariale, e alla tutela erariale effettivamente coinvolta negli atti gestionali compiuti in relazione ai profili di responsabilità.

L’incompatibilità fra i due tipi di responsabilità, quella "pubblica" e quella "privata", e le conseguenze negative del cumulo sono evidenti, anche perché questo cumulo non risponde alla necessità di riempire una lacuna dell’ordinamento, ma è piuttosto ispirato da una – non infondata – sfiducia nel socio pubblico e nella sua capacità di far valere sino in fondo i propri diritti e interessi all’interno dello schema societario.

Nondimeno, dal punto di vista logico, tuttavia, tale argomento prova davvero troppo, in quanto da esso deriverebbe, se portato sino in fondo alle sue estreme conseguenze, l’impossibilità radicale, per lo Stato e i poteri pubblici in generale, di entrare in rapporti privatistici, all’interno dei quali ciascun soggetto tutela i propri interessi, se non a costo di portarsi con sé i profili di responsabilità amministrativa.

In definitiva, a mio avviso, può ben dirsi che la responsabilità amministrativa propria del diritto pubblico può estendersi anche ai soggetti comunque chiamati alla tutela di interessi erariali, sia pure in via di "fatto" - avendo veste giuridica di diritto comune - ma tale estensione non può essere in alcun modo disgiunta da un'attenta ponderazione dell'interesse pubblico perseguito dal soggetto aziendale e, soprattutto, dal riflesso interesse erariale concretamente coinvolto nell'atto gestionale, sia pure in via indiretta o mediata.

Per contro, si deve ritenere che la forma giuridica di diritto comune attrae a sé anche le forme di tutela previste verso gli azionisti dal codice civile, ivi compreso il caso che veda l'azionista in un soggetto pubblico, ogni qualvolta l'interesse pubblico e il connesso riflesso erariale non siano adeguatamente apprezzabili nell'impresa partecipata.

 

 

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Ma un più forte intervento legislativo potrà essere affrontato con il recepimento della VIII Direttiva (Dir. 43/2006) per un definitivo chiarimento e allineamento della normativa.

Risulterà più chiara la possibilità per i collegi sindacali di focalizzare la propria attività di controllo esclusivamente sull'amministrazione della società, mentre il controllo contabile verrebbe demandato ai soli revisori esterni, percepiti dal mercato come soggetti più specializzati.

È opportuno inoltre ribadire l'importanza di un intervento normativo volto a introdurre nella legislazione italiana limiti alla responsabilità civile dei revisori, intervento necessario in relazione alla crescita delle azioni proposte, accompagnate da incrementi degli importi di richieste risarcitorie. Il fenomeno appare enfatizzato dal principio di responsabilità illimitata e solidale vigente.   

Sussiste inoltre rischio concreto che il diritto di regresso esercitabile dai revisori nei confronti degli altri coobbligati (amministratori e organi di controllo) possa rimanere infruttuoso, ricadendo per intero sulle prime, riducendo il numero della major e avvii di contenziosi che ne mettono a repentaglio la presenza sul mercato. Nonché il dover fronteggiare la progressiva riduzione della disponibilità delle compagnie assicurative a stipulare polizze per danni, venendo così a mancare la effettiva tutela del mercato alla risarcibilità del danno seppure entro soglie determinate.

L'incertezza si rifletterebbe negativamente sulla assicurabilità. Occorre prevedere un tetto calcolato come multiplo del compenso pagato a favore del revisore dalla società revisionata. In questo senso va ricordato l'intervento recente del Commissario MC Creevy che ha annunciato una raccomandazione affinché gli Stati membri emanino regolamentazioni volte alla limitazione della responsabilità dei revisori.

L'attuazione dell'VIII Direttiva, che sarà compito della XVI Legislatura, - ma certo il Dott. Taverna quando aveva immaginato questo seminario non poteva certo prevedere che si sarebbe tenuto immediatamente dopo lo scioglimento del Parlamento - guarderà anche a garantire assoluta autonomia e separatezza tra revisore e chi ne propone la nomina (art. 159  - comma 1 - TUIF), la possibilità di rinuncia all'incarico per giusta causa per le diverse procedure tra società quotate e società chiuse.

L'ordinamento non attribuisce al revisore la facoltà di recesso dall'incarico, che rimane un soggetto passivo e l'impossibilità di svolgere un ruolo propositivo nel processo di interruzione dall'incarico può avere ricadute negative sulla sua immagine e reputazione. 

Vi ringrazio per l'attenzione.


[1] Ai sensi dell’art. 2449 c.c., se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza. Gli amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza così nominati possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati. Essi hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall’assemblea, fatte salve le disposizioni delle leggi speciali.

Si rammenta che l’art. 3 del d.l. n. 10 del 2007 (Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali), convertito, con modificazioni, dalla l. n. 46 del 2007,  ha abrogato l’art. 2450 c.c., in base al quale le disposizioni del sopra illustrato art. 2449 c.c. si applicavano anche nel caso in cui la legge o lo statuto attribuisse allo Stato o ad enti pubblici, anche in mancanza di partecipazione azionaria, la nomina di uno o più amministratori o sindaci o componenti del consiglio di sorveglianza, salvo che la legge disponesse diversamente.).

[2] La Corte costituzionale, in relazione alla disciplina legislativa speciale di una società le cui azioni erano interamente possedute dal Ministero dell’economia e delle finanze, ha affermato che la totale partecipazione pubblica, unita <<alla predeterminazione eteronoma dei compiti e delle funzioni pubbliche che la stessa società è chiamata a perseguire>> implica che la società stessa presenti <<tutti i caratteri dell’ente strumentale>> (sent. n. 363 del 2003, § 4. Considerato in diritto).

[3] Cfr. Corte dei conti, sez. giur.le  Molise, 13 maggio 2003, n. 92

[4] Sul danno inteso come pregiudizio economico nella responsabilità amministrativa, cfr. DENTAMARO, Il danno ingiusto nel diritto pubblico. Contributo allo studio dell’illecito nella decisione amministrativa, Milano 1996. Sulla perdita di chance e la tutela degli interessi pubblici, cfr. Corte dei conti, sez. Lombardia, 16 maggio 2002, n. 1.071.

[5] Corte dei conti, SS.RR., 28 maggio 1999, n. 16/QM.

[6] Ci si riferisce a Cass. S.U. 26 febbraio 2004, n. 3.899, in Foro Italiano, 2005, I, 2674ss. In quest’ultima decisione, il giudice dei conflitti di giurisdizione fonda la responsabilità erariale sul “rapporto di servizio” che si configurerebbe tra la società pubblica e l’ente proprietario, <<ravvisabile ogni qual volta si instauri una relazione (non organica ma) funzionale caratterizzata dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come partecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo>>. Conferma questo orientamento la Cass. S.U. 25 maggio 2005, n. 10.973, per la quale è <<irrilevante il quadro di riferimento – pubblico o privato – nel quale si colloca la condotta produttiva del danno erariale>>.

[7] Cfr. G. D’AURIA, Amministratori e dipendenti di enti economici e società pubbliche: quale <<révirement>> della Cassazione sulla giurisdizione di responsabilità amministrativa?, in Foro Italiano, 2005, I, 2683.

[8] In base al quale <<La Corte dei conti ha giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge>>.

[9] Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti, decaduto per la mancata conversione in legge entro i termini costituzionalmente previsti.

[10] Cfr. nota precedente.

[11] Le ragioni della Corte dei conti sono espresse da  S. PILATO, La giurisdizione della Corte dei conti sugli enti a prevalente partecipazione pubblica nella l. 27 marzo 2001,  n. 97, in Il Consiglio di Stato, II, 673, il quale evidenzia <<il rischio della immunità di fatto>> degli amministratori delle società partecipate da soggetti pubblici, che si corre accogliendo l’interpretazione restrittiva della giurisdizione contabile, in particolare nelle ipotesi di comportamenti che contraddistinguono la devianza finanziaria, quali <<l’abuso d’impresa per atti esterni strumentali al conseguimento dell’illecito profitto in pregiudizio della finanza pubblica>> e <<l’atto d’organizzazione d’impresa strumentale alla attribuzione di indebiti vantaggi ed utili economici all’interno dell’apparato aziendale>>. L’Autore evidenzia l’opportunità di accogliere i criteri di individuazione della giurisdizione contabile fondati sul <<vincolo finalistico di destinazione sulla provvista finanziaria erogata dalla P.A. a soggetto privato per la gestione di un’attività di interesse pubblico>> e sull’assenza del rischio d’impresa nella gestione di diritto privato.

[12] Da ultimo, cfr. Corte dei conti, sez. I d’appello, 3 novembre 2005, n. 356, in Foro Amm. C.d.S. , 2005, 3428. In questa decisione la Corte, richiamando la giurisprudenza civilistica in  materia di responsabilità dell’amministratore nei confronti della società, chiarisce che l’attività gestionale, anche di natura discrezionale, degli amministratori di società pubbliche è sindacabile dal giudice contabile <<quando contravvenendo  a criteri di efficacia ed economicità si concreti in “abusi, arbitri od omissioni>” produttive di danno patrimoniale alla società, ma anche  quando contrastino o siano comunque estranee ai fini pubblici che la società, per la sua caratura pubblicistica, deve perseguire>>.

Per un approfondimento dei vari profili di responsabilità degli amministratori delle società partecipate da enti pubblici, cfr. C. PINOTTI, La responsabilità degli amministratori di società, tra riforma del diritto societario ed evoluzione della giurisprudenza, con particolare riferimento alle società a partecipazione pubblica, in Rivista della Corte dei conti, n. 5/2004, 312.

Di recente, la Corte dei conti, sez. giur. Lazio, 30 dicembre 2005, n. 3008, ha riconosciuto in capo alla società pubblica che gestisce il servizio parcheggi la qualifica di agente contabile, cui segue l’obbligo della resa del conto giudiziale.

[13] Cfr. Corte dei conti, Sez. giur. Lombardia, 9 febbraio 2005, n. 32, in Foro Amm. T.A.R., 2005, 561, per la quale si assiste al <<passaggio dalla responsabilità amministrativa dei soli amministratori e dipendenti pubblici per il danno patrimoniale da essi determinato alle finanze dell’amministrazione d’appartenenza in relazione alla violazione degli obblighi di servizio, alla responsabilità finanziaria, intesa come una generale forma di responsabilità patrimoniale per danno alle pubbliche finanze in cui possono incorrere tutti i soggetti che abbiano maneggio o che utilizzino pubbliche risorse, e che si configura, in via generale, in relazione alla violazione degli obblighi nascenti in capo al soggetto stesso dalla finalizzazione delle risorse pubbliche>>. (cfr. anche Corte conti Molise, 7 ottobre 2002, n. 234).

[14] La decisione della Corte interviene in un conflitto di attribuzione sollevato dalla Corte dei conti nei confronti del governo, per la mancata attivazione del controllo della Corte dei conti sulle società per azioni succedute all’Iri, all’Eni, all’Ina e all’Enel per effetto del decreto legge sopra ricordato 5. Si tratta, beninteso, non di responsabilità, ma del controllo previsto dall’art. 12 della legge n. 259/1958, relativo alla gestione finanziaria degli enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria6. Per affermare la sussistenza di tale controllo nei confronti delle società per azioni derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici, la Corte costituzionale ricorre a due argomenti, da allora frequentemente richiamati: a) la “sostanziale” imputabilità del capitale azionario delle società al patrimonio pubblico e la sua permanenza nella disponibilità dello Stato; b) la sussistenza di “norme speciali di diritto pubblico” relative al passaggio del patrimonio “dalla sfera pubblica alla sfera privata”. Dal primo argomento la Corte deduce che la gestione delle società per azioni possa “incidere, sia pure indirettamente, sul bilancio statale” e, di conseguenza, assimila le società per azioni agli “enti pubblici” sottoposti al controllo previsto dall’art. 12 della legge n. 259/19587. Il secondo argomento serve, invece, a sostenere la natura “differenziata e speciale” delle società derivate dalla trasformazione degli enti pubblici economici: e tale differenziazione e specialità vengono fatte coincidere tout court con regole di diritto pubblico.

[15] Nei riflessi inerenti la responsabilità erariale, il campo della giurisprudenza ha registrato di recente un sensibile cambiamento di indirizzo da parte della Corte di Cassazione, la quale ha mutato orientamento sui due elementi tradizionalmente utilizzati per escludere la responsabilità amministrativa degli amministratori di società in partecipazione pubblica: la natura delle attività svolte e la sussistenza di obblighi di servizio. La giurisdizione contabile “scaturisce”, dunque, dall'“evento verificatosi in danno di un’amministrazione pubblica”, mentre non rileva più “il quadro di riferimento (diritto pubblico o privato) nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso” (Cass., S.U., 22.12.2003, n. 19667).

[16] A ben vedere, infatti, l’imprenditore, pubblico o privato che sia, dovrà sempre svolgere l‘attività secondo le regole dettate nel codice civile per le imprese e secondo i canoni propri di quel tipo di attività, che comportano, ad esempio, un dinamismo della gestione e l’assunzione di rischi, che in nessun modo possono essere governati con le regole della contabilità e della finanza pubblica.

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