MAURIZIO EUFEMI

eletto al Senato della Repubblica per la Regione Piemonte

Segretario della Presidenza del Senato

CONVEGNO

"Analfabetismo: Danno umano e sociale"

Roma 25 novembre 2006

Vi ringrazio per l'invito, sono qui da voi in rappresentanza dell'UNLA e desidero portarvi il saluto del Presidente Saverio Avveduto.

Questa iniziativa dell'Associazione S. Vincenzo de' Paoli è molto importante perché dalle piccole cose nascono grandi cose.

Naturalmente io non sono d'accordo con le cose dette poco fa dall'assessore alla provincia, perché la finanziaria ha colpito la ricerca e ha colpito la formazione professionale, quella formazione professionale che ha avuto così tanto successo in Piemonte per l'opera di San Giovanni Bosco.

Il panorama dell'educazione degli adulti nel nostro paese si presenta, secondo gli ultimi dati censuari, assolutamente contradditorio e allarmante.

Queste due caratteristiche si assommano nella confluenza dell'alto numero di analfabeti e alfabeti di ritorno, che l'UNLA e il Ministero definiscono Ana-alfabeti e che costituiscono il 66 per cento della popolazione italiana, oltre 35 milioni di persone, esclusi dalla fruizione educativa di base.

Due terzi e più dei cittadini italiani vengono infatti così condannati alla perdita, inarrestata, delle loro conoscenze di base che, se non adeguatamente coltivate, decadono, ad unanime giudizio degli studiosi, ogni cinque anni. Nel 2001, anno dell’ultimo censimento, i cittadini italiani, quanto a scolarità, formano una piramide, appuntita. Al vertice, 7,5% di laureati (circa 4 milioni); alla base 36,5% (ben cinque volte) di italiani senza alcun titolo di studio o in possesso della sola licenza elementare: circa 20 milioni di italiani su 53 censiti. Impressionante, la platea degli analfabeti totali e dei “nessun titolo”: 5.981.579: quasi 12 italiani su cento sono oggi di fatto ana-alfabeti. Negli ultimi dieci anni - l’intervallo censuario fra il 1991 e il 2001 - la situazione non è mutata di molto: lo stesso numero di laureati, lo stesso sottosuolo educativo di circa il 66%, una variazione in più dell’1,19% degli italiani raggiunti dalla scuola: l’offerta educativa è stata sostanzialmente ferma. La prima ed allarmante implicazione di questi dati per la politica scolastica italiana è costituita dall’obiettivo che i Paesi UE si sono dati a Lisbona nel 2000 e cioè di accrescere i loro scolarizzati dell’11% entro il 2010. Se nei dieci anni passati essi sono aumentati dell’1%, i conti, per i prossimi dieci, in assenza di interventi forti, son presto fatti.

La contraddizione risiede altresì, nella spinta economica della società italiana, frenata appunto, da un fardello così grave.

Su 11 Paesi considerati, l’Italia è all’ultimo posto per addetti alla produzione di merci e servizi in possesso di qualifica universitaria e oltre. La vistosa “zoppia educativa” italiana si rivela qui come concausa pesante della debolezza del sistema economico nazionale.

Si calcola infatti che, se si riuscisse ad intervenire educativamente, sulle fasce di età tra i 24 e i 65 anni, il PIL del nostro paese potrebbe salire di un punto percentuale con i prevedibili effetti positivi sulla società italiana.

Il livello delle conoscenze assume un ruolo determinante per spingere i processi di crescita, esenziale per innovare e adattarsi alle nuove tecnologie.

Un avanzato grado discolarità agevola l'accesso alle informazioni e alle decisioni.

Il deficit di istruzione resta preoccupante: la quota dei diplomati solo del 37,5 per cento (-8 per cento, rispetto alla media OCSE), quella dei laureati 12 per cento, metà della media OCSE.

Nel 2004 solo 76 ragazzi su 100 conseguivano il diploma.

Mentre alto si presenta il rapporto insegnante-alunno, 9,4 per cento per le scuole secondarie e 9,2 per cento per le scuole elementari, contro una media OCSE rispettivamente del 7,4 per cento e del 6,1 per cento e una media europea dell'8,5 e del 6,8 per cento.

Questo conferma la scelta in favore di un alto sostegno ai disabili anche in presenza di carenze organizzativa.

Il quadro dell'EDA (educazione degli adulti), è poi squilibrato perché buona parte degli esclusi dagli effetti positivi dell'alfabetizzazione risiede nel Meridione del nostro paese.

Catania, viene considerata la città più ana-alfabeta d'Italia,

l’8,4% seguita da Palermo (7,4) Bari (6,7) Napoli (6,2).

mentre regioni di altissima civiltà come la Calabria, la Basilicata, la Campania e in genere tutto il Sud del paese, registrano alte percentuali di italiani fuori dal circuito educativo.

Contraddizione nella contraddizione, le regioni meridionali registrano un'alta percentuale di laureati che, per la sola Calabria, ad esempio, risultano numericamente superiori a quelli del Piemonte.

Nel riflettere preliminarmente sulla strategia da adottare, la stagione politica che si apre dovrebbe anzitutto riguadagnare il rapporto scuola-società e tenere attentamente d’occhio gli impulsi mutuabili che provengono dalle sedi internazionali, soprattutto dall’OCSE: modelli del tipo recepito nel seguito di questo documento. E quindi riflettere sulla convenienza a ripercorrere la insistita politica formativa italiana del dopoguerra, con il ricorso pressochè esclusivo alla cosiddetta ingegneria scolastica e cioè alla modifica delle strutture organizzative scisse dai contenuti e da un quadro di insieme. Dopo l’unico ed ultimo intervento autenticamente innovatore (scuola media, 1962) centrato sull’unificazione dei due percorsi prima distinti e l’individuazione dei contenuti obiettivamente avanzati del sapere minimo garantito, si è sempre inseguito il mito della riforma del secondario e dell’Università, mediante “architetture pesanti”. Rimane la constatazione che non si possa innovare la scuola agendo soltanto sugli impianti formali e permettendo gli interventi qualitativi sull’utenza scolastica: i docenti in primis, (con la formazione degli educatori degli adulti, affidata per legge, finora inosservata, all’Università), e la costituzione di nuovi messaggi formativi, assieme all’individuazione appropriata di avanzate modalità della loro trasmissione: il tutto nel quadro di una più vasta e articolata platea dei destinatari.

Il futuro prossimo

Politica scolastica come politica sociale

Una decisa inversione di rotta è a questo punto indispensabile. Già dagli anni 60’ l’OCSE propone architetture leggere per la scuola e cioè non più impianti di strutture fisse nel tempo, che l’innovazione sociale supera a breve, ma, per così dire, riforme capaci di autorinnovarsi ininterrottamente, autonomamente, ma con un forte monitoraggio centrale. E indica, come percorso preliminare, la riduzione e non l’allungamento delle attuali annualità scolastiche per consentire ritorni programmati nel tempo, le “classi mobili” e cioè aggregazioni variabili di allievi secondo specifici percorsi formativi (scolarizzazione ricorrente), nel quadro, già operante in vari Paesi occidentali, dell’educazione permanente : il tutto mediante l’ingresso istituzionalizzato degli adulti in attività di formazione lungo tutto l’arco della vita.

La prima connessione educativa.

Da qui la necessità di impiantare, nella competenza congiunta Stato-Regioni, un sistema di educazione permanente che consenta a tutti un’opportuna irradiazione formativa ininterrotta. La sfida è quindi triplice: allargare, consolidare e servire adeguatamente l’utenza scolastica tradizionale secondo modalità avanzate, riportare nel circuito educativo minimo gli italiani che ne sono usciti rimanendone creditori, impiantare un sistema di educazione permanente che tocchi con scadenze programmate il maggior numero possibile di cittadini, assicurando nel tempo stesso un’acconcia stabilità formativa per tutti. Questa connessione intergenerazionale, presente da tempo altrove - specie nei paesi europei non mediterranei - andrebbe prioritariamente compresa nel nostro sistema di apprendimento.

La connessione intergenerazionale dunque è il fondamento di una strategia di riforma educativa che necessita di essere opportunamente coniugata, secondo la proposta dell'UNLA, con altre due connessioni:

quella geografica,

e infine, quella socioculturale.

Essa, infatti, mira a legare in un unico progetto educativo le varie generazioni; la seconda contempla la necessaria alleanza Nord-Sud in una ipotesi di intervento globale e la terza che riassume l'insieme, registra gli effetti sul panorama socio-economico del paese delle prime due.

Un progetto particolare nella connessione Nord-Sud potrebbe essere quello dell'educazione continua che accomunerebbe il Piemonte e la Calabria-Basilicata come due punte avanzate del sistema.

Occorrerà che le due regioni interessate, mostrino attenzione al progetto che potrebbe costituire un modello di politica educativa per tutto il paese.

Ed infine un ultimo elemento dovrebbe essere fornito dall'ampia utilizzazione dell'Università per adulti dell'UNLA esistente a Roma e della quale si potrebbero costituire opportune postazioni in determinate aree del Piemonte.

Un'alleanza tra i vari enti interessati all'educazione degli adulti, e in primo luogo con l'OPAM (Opera di promozione dell'Alfabettizzazione nel mondo), dovrebbe costituire un punto di svolta nell'insieme.

Ma l’impegno politico di oggi travalica l’ordinaria amministrazione. Occorre muoversi verso un “piano Sud” sul quale convergano i molteplici impulsi che sono stati prima evidenziati.

Sabato 25 novembre 2006

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